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Autore: paige95    14/07/2020    6 recensioni
La guerra in Afghanistan è il filo rosso che lega il destino di due uomini e due famiglie, due mondi distanti che non sanno di essere molto vicini tra loro.
Nell'estate del 2018, in pieno conflitto, il tenente comandante dei Navy SEALs Christian Richardson e l'inviato speciale del Los Angeles Times Samuel Clark verranno chiamati al fronte, lasciandosi alle spalle vissuti, affetti e i vasti territori californiani.
[Questa storia partecipa al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo" indetto da BessieB sul forum di EFP]
Genere: Angst, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Destino'
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Solitudine



 

Pacific Beach – San Diego, 1 settembre 2018
 
 
L’oceano si stagliava all’orizzonte, davanti a Katherine vi era solo un’infinita distesa d’acqua salata. Era sulla torretta di avvistamento in una giornata piuttosto tranquilla in spiaggia, esattamente l’antitesi dei suoi pensieri. Era grata ai bagnanti giornalieri e alla prudenza che stavano mostrando in quella tarda mattina particolarmente difficile da digerire; sentiva di non possedere i riflessi pronti per un salvataggio d’emergenza.
Anche il clima temperato della California risentiva delle prime ore di settembre; presto sarebbe giunto l’autunno, le stagioni si sarebbero susseguite – troppo lentamente senza Christian – e un pezzo del suo cuore sarebbe rimasto altrove. Katherine riponeva ogni speranza nella primavera; era il tempo della rinascita, il periodo in cui era programmato il ritorno di suo marito, il momento migliore in cui avrebbe potuto riabbracciare l’uomo che amava. Non riusciva a comprendere se i brividi che avvertiva all’altezza delle spalle fossero dovuti al venticello che si era sollevato oppure all’umore discutibile che stava pervadendo il suo cuore. Aveva freddo, perché nessuno più l’abbracciava da diversi giorni, nessuno scaldava le notti divenute umide, nel suo petto era già sopraggiunto l’inverno. Katherine non ricordava più come si affrontasse la vita da sola, ogni suo passo veniva marcato da Christian; era stata privata di un sostegno fisico e morale, una parte del suo cuore era stata estratta con violenza dal petto e nessuno aveva la certezza che sarebbe tornata al suo posto; una tortura nel corpo le avrebbe provocato meno sofferenza. Aveva trascorso più di dieci anni accanto ad un uomo di cui era perdutamente innamorata; il destino era stato dalla sua parte, benché abbandonare la propria città natale fosse stato un grande azzardo.
Il sole era alto in cielo; non stavano ammirando la medesima volta celeste, Christian, se tutto andava bene, stava riposando. Non sapeva come trascorressero le giornate di suo marito oltre oceano; lei si occupava di lui, se ne prendeva cura, in parte riusciva a compensare la mancanza di una madre nella vita di Christian. Al telefono non si era sbilanciato, ma non era difficile intuire quanto le condizioni in Medio Oriente fossero impegnative da tollerare; Katherine non temeva solo che le restituissero il corpo di suo marito trivellato da colpi di arma da fuoco, avrebbe anche potuto contrarre una qualsiasi infezione mortale.
Venne spontaneo a Katherine accogliere fra le mani il lembo di una stoffa sottile che scivolava sulle spalle; forti mani maschili la sfioravano appena, fu una sensazione piacevole, la aiutò a ricomporre in parte i pezzi della sua anima. La consapevolezza di aver riconosciuto al tatto l’uomo la rattristò; ancora una volta non era il calore del corpo di Christian ad inondarla.
«William, cosa fai qui?»
L’amico si accertò che il golfino non si spostasse dal punto in cui l’aveva posato; aveva recuperato l’indumento da uno sdraio aperto lì accanto, aveva colto il freddo percorrere lungo la pelle della donna scoperta dal costume. Si sedette accanto a Katherine sul bordo della torretta e lasciò anch’egli penzolare le gambe nel vuoto.
«Passavo da queste parti»
«Non è vero»
La bagnina incrociò gli occhi dell’uomo; l’espressione dell’amico era trasparente, aveva appositamente deviato verso la spiaggia, anche se non lo avrebbe mai ammesso, certo non a parole. Vi era una tacita promessa tra Christian e William; il loro legame con il tempo si era esteso alla famiglia che il Navy SEAL aveva creato. Christian non era solo, William non mancava mai di ricordarlo all’amico ed ora la stessa rassicurazione doveva essere rivolta a Katherine. L’uomo non aveva idea di cosa significasse salutare un compagno di vita con l’incertezza di non vederlo più tornare; per lui Christian era un fratello acquisito, sentiva anch’egli un grande vuoto nel petto, ma era certo fosse nulla in confronto al patimento che provavano la moglie e la figlia di un soldato sul campo. William aveva perciò assicurato all’amico e a se stesso che non avrebbe abbandonato Katherine e Alisia, avrebbe evitato con impegno e costanza che perdessero la speranza; ricordarlo a loro avrebbe aiutato lui stesso a non cedere allo sconforto. Se Christian era sopravvissuto alla solitudine più profonda, aveva superato la morte delle persone più care della sua vita, nulla era davvero perduto.
«Non ha chiamato per sentire Alisia?»
Katherine negò appena; confidava che il pessimo umore che stava ostentando fosse molto più eloquente delle parole. Lei per prima si rifiutava di credere che quel 1 settembre il padre di sua figlia non fosse presente e che fosse proprio una guerra così lontana da loro ad impedirgli di esserci. La fede della donna scivolava nervosamente lungo tutte le falangi della mano mancina; non le restava altro di lui, solo un pegno d’amore datato di quasi dieci anni, un simbolo, una dolce catena che rappresentava solo la punta dell’iceberg dei sentimenti che si professavano, era stato il semplice coronamento di un amore incommensurabile. Cercava la forza nel loro amore, un sentimento raro che i mesi e i chilometri non avrebbero potuto dissolvere; niente avrebbe potuto farlo. L’influsso dell’oceano non era mai stato così debole, la pace si teneva a debita distanza; gli abissi oceanici avevano fatto da sfondo al loro primo incontro; avrebbe dovuto lasciarsi cullare dai tempi felici trascorsi in compagnia di Christian, ma non le bastavano i ricordi con cui avevano marchiato a fuoco la sabbia e le acque della California, aveva solo bisogno di altri momenti da vivere insieme alla sua famiglia. William la sfiorò di nuovo, cessò il movimento compulsivo che stava sfogando sulla sua preziosa vera; le accarezzò la mano, la intrecciò alla sua, non era un caso che proprio quella mattina lui l’avesse raggiunta, intuendo la solitudine che l’avrebbe catturata in quelle ore.
«Alis ha sentito la sua mancanza stamattina. Abbiamo scelto insieme in quale istituto iscriverla e lui non c’era. Si è perso il primo giorno di scuola di sua figlia»
«Lui contava di esserci, Kathe. Non avrebbe mai immaginato che la guerra lo obbligasse lontano da voi»
La donna recuperò un respiro soppresso dal magone che dal risveglio si era incastrato nella sua gola; venne invasa da un singulto, ma si costrinse a non sfogarlo.
«Hai idea del motivo per il quale lo abbiano richiamato al fronte?»
«Immagino per un supporto umanitario. Christian è molto bravo ad aiutare coloro che si trovano in difficoltà. Sai, ricordo quando mi disse di voler intraprendere la carriera militare. Inizialmente lo accusai di follia. Mi sono reso conto solo con il passare degli anni quanto fosse bravo a portare pace laddove la violenza sembrava l’unica soluzione. Katherine, devi essere orgogliosa dell’uomo che hai sposato. Mi sono sempre chiesto se prima o poi non avesse cambiato il mondo. Ha trasformato il dolore in dedizione, lui non serve la Patria, lui serve i cittadini, ma non si dimentica di sua moglie e di sua figlia, voi avete un posto privilegiato nel suo cuore. Non so se vorrebbe ti riferissi le ultime parole che mi ha detto prima di partire, potrebbero però aiutarti a credere che lui tornerà quanto prima»
«Cosa ti ha detto?»
«Vuole proporti un fratellino per Alisia. Non gli sembrava il caso di parlartene prima di partire per l'Afghanistan. Non voleva azzardare promesse, ma io sono certo che nel suo cuore si stia facendo guidare dal desiderio di diventare padre di nuovo»
Katherine strinse più forte la mano dell’amico, gli era grata per aver condiviso con lei una flebile speranza.
 
 
 
Base militare americana – confine Nord/Est di Kabul, 2 settembre 2018 (ora locale)
 
 
«Capitano!»
Christian non fece alcuna fatica a ridestarsi dallo stato di dormiveglia in cui era entrato. Si era accorto tardi di aver ceduto – con grande fatica – alle braccia di Morfeo indossando la camicia e di averla stropicciata coricandosi sul letto. Era notte fonda ed era sempre più complicato riuscire a conciliare il sonno; il fatto che il soldato Ward lo avesse chiamato allarmata, prima ancora di spalancare con irruenza la porta in ferro grezzo, accostata e priva di qualunque serratura, diede una scossa al muscolo cardiaco già in tensione e abituato alla sofferenza personale e bellica. Anche Gwendoline si era ritirata per trascorrere la notte e recuperare le forze; i lunghi capelli biondi le ricadevano sulle spalle, l’abbigliamento era informale, una semplice maglietta e un paio di calzoncini evitavano alla ragazza di subire il caldo umido delle ore notturne.
«Gwen, cos’è successo?»
«Capitano, ci sono cattive notizie. I talebani hanno iniziato ad uccidere gli ostaggi»
La ragazza lo aveva informato, comunicando la drammatica e repentina svolta della situazione, con l’unico alito di fiato ancora integro, quello che le era rimasto nelle vene; non era riuscita a scendere nei dettagli, li stava ancora rielaborando razionalmente, il cuore non smetteva di battere. La sentinella sulla torre di controllo aveva dato l’allarme al generale, la quale a sua volta era stata informata da un convoglio italiano di ritorno da una ronda notturna; era solo questione di tempo prima che l’ufficiale comandante della base convocasse il tenente Richardson per metterlo al corrente dei cambiamenti delle ultime ore. Era corsa trafelata da lui, forse per un supporto emotivo, ignorando l’ora tarda; stava male, sapeva di poter cedere davanti a lui, il tenente non avrebbe rimproverato e demonizzato il suo sconforto. Christian aveva avuto l’impulso di alzarsi, quando vide il soldato posare i palmi su un piccolo tavolino, posto nel mezzo della stanza e che rendeva ambigua la funzione del luogo in cui si trovavano; necessitava di un appoggio fisico, conseguenza della devastazione che stava divorando il suo spirito. Era stanca della guerra, della sofferenza, era stufa del suo destino che non sembrava mai favorevole.
«Gwen»
Christian le sfiorò la schiena, il contatto umano le offrì la certezza di non essere ancora morta di crepacuore; era ancora viva, ma era anche ad un passo dal baratro. Il Navy SEAL ricordava di non aver mai assistito ad un profondo crollo emotivo da parte della ragazza; stava manifestando a lui le sue fragilità.
«Gwen, hai bisogno di una pausa. In questo stato non mi sei di aiuto»
«Non toccano le donne e i bambini. Stanno uccidendo i soldati … i nostri compagni e i nostri alleati. Ci stanno dando un ultimatum, rivendicano vere e proprie esecuzioni. Capitano … per favore, lo aiuti»
La giovane recluta era scoppiata in un pianto sconsolato; conveniente o meno, la tempra fisica ed emotiva impartita in accademia era collassata, fu inutile coprire il viso in cerca di consolazione, era solo uno sterile tentativo per raccogliere le lacrime prima che potessero scorrere. Christian le afferrò dolcemente il braccio e la invitò a seguirlo. La fece accomodare sul materasso, lei si fece guidare, necessitava di un rifugio sicuro e di comprensione. Il tenente piegò le gambe davanti a lei e raccolse una mano della giovane nella sua con atteggiamento paterno; avrebbe osato il medesimo gesto, se avesse assistito alla sofferenza di sua figlia.
«Gwen, ascoltami, conosci qualcuno in quell’ospedale?»
La ragazza affermò; più i minuti trascorrevano, più lei si rendeva conto di ciò che stava succedendo ed era terribile che i suoi peggiori incubi si stessero materializzando.
«A-Alexander»
«È il tuo ragazzo? State insieme?»
Le palpebre della recluta si abbassarono lentamente; negò davanti al superiore, non vi era alcuna relazione tra lei e quel soldato, ma era parte del suo cuore da quando aveva intrapreso a New York il servizio militare; avevano attraversato insieme l’Oceano e insieme erano atterrati sul suolo afghano per affrontare la loro prima esperienza bellica. Non poteva perdere anche lui. Christian riconosceva nello sguardo che aveva davanti agli occhi l’innocenza di una giovane donna spaesata, preda di eventi che lasciavano poco spazio a sentimenti nobili come l’amore.
«Gwen, cosa significa per te quest’uomo? Lo ami?»
Il pianto del soldato accentuò, ma Christian non fu disposto ad accogliere la notizia con comprensione; ebbe l’impulso di alzarsi e sciogliere il contatto tra le loro mani. Il tono del tenente acquisì potenza, in poco meno di un minuto aveva riacquisito l’autorità propria del suo ruolo; era deluso, arrabbiato e poco propenso alla condiscendenza.
«Dannazione, Gwen, perché non me lo hai detto?? Per quale ragione vengo a sapere solo ora che i talebani stanno puntando un kalashnikov contro la tempia di una persona a te cara?»
«Il generale Flores non vuole che mischiamo gli affari personali con il lavoro»
«Al diavolo il generale Flores! Io non sono il generale e tu in questa missione prendi ordini da me. Ho bisogno che tu sia sincera per fermare quei bastardi. Se un mio soldato è coinvolto emotivamente, io esigo di saperlo»
Il tenente aveva abbassato i toni, ma non l’intensità con la quale inveiva contro il sottoposto. Era stanco del modo in cui Flores gestiva la base; non risolveva nulla a trattare i soldati come fossero statue senza cuore; provavano amore e dolore, esattamente come ogni essere umano, negarlo avrebbe ostacolato la missione, il soldato Ward ne era la prova tangibile. La ragazza non avrebbe mai potuto affrontare il nemico a sangue freddo, il timore per le sorti dell’uomo che amava l’avrebbe attanagliata.
«Era ricoverato?»
«No, Alex aveva tentato di liberare l'ospedale mesi fa, fallendo. Non abbiamo mai trovato il suo corpo, fino ad oggi avevo speranza che fosse in ostaggio. Capitano, non voglio perdere anche lui. Non ho un'anima che mi aspetti in America. Gli avevo suggerito di non andare, di attendere tempi migliori. Il generale Flores stava già pensando di far giungere dagli Stati Uniti un militare esperto come lei. Era solo questione di tempo prima del suo arrivo, perché non mi ha ascoltata?»
Christian rivedeva il suo passato nel presente della recluta; comprese l’angoscia della solitudine, aveva attanagliato svariate volte anche il suo cuore. Si sedette accanto alla ragazza, affondando pesantemente il materasso; prese un respiro, sperando di sentirsi meno in balìa degli eventi, ma fu tutto inutile. Era il soldato al suo fianco ad aver bisogno di sollievo; era quello il compito di un buon ufficiale, chissà se anche Flores prima o poi l’avrebbe capito, possibilmente prima della fine del conflitto.
«Gwen, non sei sola, non più. Io non posso assicurarti che lui sia vivo, ma se dovesse esserlo posso garantirti che lo salvo. D’accordo?»
Stava offrendo al Navy SEAL un motivo in più per portare a termine la missione con successo; era riuscito persino ad accennarle un piccolo sorriso, dopo aver sussurrato a pochi centimetri da lei una significativa promessa.
«Capitano?»
«Dimmi»
«L’ho giudicata male, sua moglie è fortunata, ma prima ancora della sua signora, lo sono i suoi uomini nel Coronado. Qualunque soldato si sentirebbe onorato a ricevere ordini da lei»
Christian non aveva smesso di tollerare poco le lusinghe, le accettò con diplomazia e spostò con astuzia l’attenzione altrove.
«Devi riposare, Gwen»
«Sono preoccupata per Alexander, non riesco a dormire»
«Nell’immediato non possiamo fare nulla per lui. Se agiamo stanotte, perdiamo. Ci serve riposo e qualche ora in più per affinare il piano. Ricorda, soldato, non devi essere impulsiva»
Era troppo giovane per subire gli orrori della guerra, non era pronta a perdere in modo cruento e crudele un giovane amore appena sbocciato, chiunque non lo sarebbe stato; in nome del sergente Ward si sentì in dovere di proteggerla nel corpo e nell’anima, non era più ammesso alcun errore da parte sua, non le avrebbe più lasciato correre alcun pericolo, sia che provenisse dal sottoscritto sia da altri.
«Gwen, prova a coricarti. Resto qui con te, finché non ti addormenti»
«Ma, capitano, questo è il suo letto, lei deve dormire, è più importante che sia lei ad essere vigile»
Le fece segno di sdraiarsi battendo con il palmo sopra il materasso; Christian non aveva alcuna esclusiva su quel letto, erano al fronte, la proprietà era effimera, erano spogliati di tutto, beni materiali e spirituali. La ragazza indugiò qualche istante, ma alla fine obbedì; si coricò, rannicchiando le ginocchia contro il petto, le sembrava di disturbare meno occupando poco spazio. Il tenente la coprì con la giacca della sua divisa, le notti erano diventate umide, le imposte non reggevano gli spifferi d’aria e le lenzuola erano già troppo leggere per affrontare le ore di sonno e i brividi di pianto.
«Dormi. Stanotte non hai il turno di vigilanza, hai tutto il diritto di riposare»
L’uomo le scostò i capelli che minacciavano di scenderle sulle palpebre chiuse con una carezza. I muscoli della ragazza erano rigidi; Christian attese che si rilassasse, vegliò sul suo sonno per qualche minuto e uscì dalla stanza solo dopo aver udito il respiro pesante e caldo della ragazza. Richiuse la porta alle sue spalle, la stanza era sovrastata da vetrate sul soffitto, non l’avrebbe lasciata avvolta nel buio, la Luna – completamente scoperta dalle nubi – avrebbe vegliato su di lei al suo posto; la luce d’avorio avrebbe svolto un lavoro migliore di quanto non fosse in grado di fare lui, il satellite l’avrebbe cullata e indirizzata verso sogni lieti.
Christian, a differenza di Gwendoline, necessitava che l’aria fresca della notte penetrasse nelle sue ossa e nel suo cervello; non era un’impresa facile farsi carico dei propri e degli altrui pensieri. La recluta gli aveva addossato nuove responsabilità, le aveva assunte di sua spontanea volontà, era scontato che lo avrebbe fatto, non avrebbe potuto consentire che quel giovane morisse, se vi era ancora il tempo utile per evitarlo. Quando il tenente raggiunse la zona limitrofa alla costruzione nella quale alloggiava, si accorse di non essere stato il solo ad avere avuto quell’idea. Il giornalista di Los Angeles si era accomodato alla base di una cassa cubica di legno vuota; era avvolto dal fumo della sua stessa sigaretta e contemplava un orizzonte desolante. Il Navy SEAL si avvicinò; non era certo che la compagnia avrebbe giovato al suo umore, avrebbe innanzitutto dovuto dare una spiegazione alla sua presenza, ma si ricordò che in fondo era Samuel e vi erano buone probabilità che non gli avrebbe domandato alcun motivo senza prima fornirne uno per sé.
«Anche per te è una notte insonne?»
Il ragazzo alzò gli occhi sul soldato; la sua espressione era confusa, era palese lo avesse riportato indietro da qualche pensiero o ricordo. Tra l’indice e il medio della mano destra stringeva il mozzicone acceso, mentre nella sinistra teneva il pacchetto che allungò all’amico, convinto che gli avrebbe fatto volentieri compagnia.
«No, grazie, non fumo»
«Saggia decisione, capitano»
Christian si accomodò accostando la schiena al lato del cubo più vicino a Samuel. In quella posizione non avrebbero potuto scrutare i loro visi avvolti nell’oscurità, avevano entrambi prospettive differenti davanti agli occhi. Il Navy SEAL alzò gli occhi verso il cielo stellato; ricordava che da bambino la nonna materna gli suggeriva di cercare tra gli astri i propri cari defunti; il nonno era sempre la stella più grande e restava quella, finché la sera e poi la notte avanzavano – in inverno sempre più velocemente – e nuove stelle di dimensioni maggiori della precedente risaltavano all’occhio nudo dei mortali. Quella sera vi erano una, due, tre … decine di stelle brillanti e grandi, non riusciva a capire a quale di esse rivolgersi per chiedere un’intercessione da parte dei suoi genitori; lo avrebbe chiesto per sua figlia, la piccola aveva la priorità su tutto, gli rincresceva ammetterlo, ma l’aveva persino su Katherine; era sempre più incredulo circa la decisione di restare, più passavano le ore e più si rendeva tristemente conto di aver preso la scelta migliore. La voce che uscì dalle sue corde vocali fu roca, rotta dal pensiero sofferto che aveva appena sfiorato la sua mente.
«Sai, ho trascorso l’ultimo momento felice con la mia famiglia guardando il cielo in occasione della Notte di San Lorenzo. Mi sembra passata un'eternità. Mi manca la mia bambina, mi manca tornare a casa la sera e poterla riabbracciare. Ora è tutto così incerto, non so se avrò l'occasione di risentirle e ancor meno di rivederle»
Samuel non rimase affatto sorpreso dalle parole di Christian, era certo fosse un buon genitore, aveva avuto diversi modi per capirlo. Il tenente era circa l’opposto di suo padre, non si vedevano né sentivano da due settimane; sembrava che padre e figlio non sentissero la necessità di mantenere un canale di comunicazione. Il reporter non poteva sapere cosa passasse realmente nella mente e nel cuore del direttore, ma era certo che l’indifferenza che stava nascendo nel suo cuore per quell’uomo iniziava a spaventarlo; desiderava ancora compiacere ogni compito affidatogli dal suo capo, ma in tutto ciò si sentiva solo, dalla California non arrivava mai una parola di approvazione - ad eccezione di una rara volta -, un mi manchi, un interessamento per un figlio al fronte che stava rischiando la pelle per pubblicare un articolo – non sarebbe stato pubblicato forse nemmeno tutto per motivi di spazio, eppure Samuel aveva già così tante cose da riferire agli americani – su un dannatissimo giornale. Era stanco di essere considerato il giornalista e non il figlio, era stufo di dover guadagnare le sue attenzioni, per poi rimanere puntualmente deluso, nonostante svolgesse al meglio il suo dovere.
«Capitano, l'avrai, il cielo non può privare quella bambina di un padre come te»
«Il cielo ha privato me di un padre e di una madre, non mi sorprenderebbe se ciò accadesse anche ad Alisia. È solo che è ancora così piccola e non voglio lasciare mia moglie»
«Sei orfano? Non me ne hai mai parlato»
Samuel gli aveva posto la domanda distratto, appena prima di inspirare il fumo della sua sigaretta; espirando si accorse di essere stato inopportuno, stava per rimediare quando il Navy SEAL iniziò a parlare con tono sommesso.
«Non è il mio argomento preferito, Samuel. Ho perso i genitori a diciassette anni. Stavano tornando in volo dall’Australia. Li ho sentiti appena prima di imbarcarsi in aereo e …»
Dare voce ai ricordi lo indeboliva nel corpo e nell’anima. Non raccontava i momenti più dolorosi del suo passato da molti anni, l’ultima ad ascoltare il drammatico racconto era stata Katherine; lei non aveva più osato domandare, con gli altri deviava il discorso, non seppe spiegarsi per quale ragione avesse deciso di amplificare proprio quella sera un dolore assopito, ma mai spento, come una cicatrice che negli inverni più rigidi tornava a pulsare. Gwendoline aveva ragione, era corretto che i suoi compagni in quel conflitto fossero pienamente consapevoli delle sue fragilità, era una questione di fiducia.
«Chris, non è necessario che me lo racconti, non voglio che tu stia male»
«È stata l’ultima volta che li ho sentiti. Mia madre mi ha detto che non vedeva l’ora di riabbracciarmi. Ho sentito la voce flebile di mio padre mentre le raccomandava di salutarmi anche da parte sua. Samuel, ho paura che questi ultimi ricordi che ho di loro svaniranno prima o poi, temo di dimenticare le loro voci»
Anche Samuel si commosse davanti alla sofferenza del soldato; non lo interruppe più, quando comprese che si stava esprimendo davanti a lui attraverso uno sfogo, di cui, considerate le circostanze in cui si trovavano, sentiva la necessità.
«Quando ho appreso la notizia al telegiornale, ho pregato non fosse il loro volo. Non sapevo chi chiamare per tranquillizzarmi. Non avevo altri parenti, avevo solo loro. È stato il Dipartimento di Polizia di San Diego ad avvisarmi e da quel momento il mio mondo è crollato, non ho più visto la luce, anche la più flebile, per diverso tempo, ero entrato in un tunnel infinito, in un vortice di impotenza. La mia fobia per il volo è nata da questa esperienza. Non voglio che la mia bambina provi lo stesso dolore, so che Katherine non la abbandonerebbe, ma ne soffrirebbe tanto comunque. In questi giorni ha iniziato la scuola, la prima elementare, credo sia lì proprio in questi minuti ed io non le sono potuto restare accanto, fremere e gioire insieme a lei. Anzi, Samuel, io ho scelto di non esserci»
Anche per Margaret era una giornata importante, iniziava il suo nuovo lavoro e Samuel non c’era; comprendeva l’amico più di quanto immaginasse, lui per primo aveva preso la decisione di non essere presente, nonostante lei avesse espresso il desiderio di averlo al suo fianco.
«Christian, tua figlia capirà un giorno»
«Ha sei anni e non sa che sono in guerra. Ha sei anni, Samuel. Mia figlia ha solo sei anni»
Il tenente si coprì il volto con il palmo della mano, non aveva alcun appiglio che lo rincuorasse; era sufficiente un alito di vento e la sua famiglia si sarebbe distrutta.
«Aspetta, Chris, mi hai detto che ha iniziato la scuola? Forse è un’assurdità, ma la mia fidanzata è una maestra di scuola primaria. In quale scuola è iscritta tua figlia?»
«A poco meno di sessanta miglia da San Diego, a San Clemente c’è la scuola primaria Concordia. Io e Katherine abbiamo pensato potesse sentirsi a suo agio in un clima più raccolto, fuori dalla città»
«Non ricordo il nome della scuola in cui lavora Margaret, ma vale la pena fare un tentativo»
Samuel spense il mozzicone e lo gettò a pochi metri da lui, desiderava concentrarsi sul suo telefono e sul numero che stava componendo. La linea era un po’ traballante, gli squilli erano infiniti e poco nitidi; quando finalmente sentì il respiro della fidanzata si mostrò soddisfatto, era essenziale che lei rispondesse.
«Margaret»
«Sam, scusami, mi hai presa in un brutto momento, sono in classe»
«Tesoro, lo so. Spero vada tutto bene. Te la stai cavando?»
«Ci sto provando, ma c’è una baraonda di piccole pesti davanti a me»
La sentì sussurrare divertita e per nulla infastidita per il caos da gestire. Samuel era certo che l’insegnamento fosse la sua vocazione; poche ore prima le aveva spedito un messaggio in cui le augurava buona fortuna, ma era sicuro che lei non ne avesse necessità.
«Maggy, avrei bisogno di un favore. So che è come cercare un ago in un pagliaio, ma so anche che tu lavori in una scuola parecchio fuori da Los Angeles. Potrebbe essere ad una sessantina di miglia da San Diego e chiamarsi Concordia?»
«Non ho fatto i calcoli, ma credo che potrebbe. Sì, si chiama così. Samuel, cosa devi chiedermi?»
«Nella tua classe c’è una bambina di nome Alisia Richardson?»
La ragazza non riuscì a capire il motivo di quella domanda, ma l’aveva incuriosita a tal punto da sentire la necessità di recuperare il registro degli alunni della classe e di far scorrere con l’indice i nomi. Aveva fatto l’appello poche ore prima, ma essendo il suo primo giorno non li ricordava ancora a memoria.
«Sì, ma come diavolo fai a sapere che ho un’alunna di nome Alisia Richardson?»
«Il padre della bambina è accanto a me e gli piacerebbe tanto poterla sentire. Credi che potrebbe essere possibile?»
«So che il padre di Alisia è un soldato. Sua madre mi ha detto che la figlia è particolarmente triste dopo che suo marito è partito per l’Afghanistan. Le ho detto che la comprendevo perché anche tu sei lì, ma non mi sarei mai immaginata che poteste incrociare le vostre strade. Faccio uscire la piccola dall’aula e le passo il mio telefono. Concedimi qualche minuto»
«Grazie, amore»
Sapeva di poter contare sulla fidanzata; era stata una piacevole combinazione di astri, a cui Christian meno di Samuel credeva. Il giornalista allungò il telefono al soldato, il quale mosse lo sguardo dal compagno all’oggetto confuso.
«Samuel, non la sento da quasi quindici giorni»
«Ora puoi sentirla»
Il reporter non smetteva di sorridergli, era felice di aver contribuito ad alleviare le sofferenze di un padre premuroso e di una figlia devota; almeno loro non avrebbero sofferto troppo la lontananza l’uno dall’altra. Christian afferrò il cellulare; il tremore frutto del racconto sofferto della sua adolescenza si sommò a quello della gioia e dell’agitazione, quando udì la voce sottile di Alisia.
«Papà»
La sentiva davvero, non la stava sognando come era capitato durante le notti più agitate da quando si trovava al fronte.
«Papà, ci sei?»
«Sì, amore, ci sono»
«Ciao, papà. Mi manchi»
«Anche tu. Non sai quanto, piccola»
«Torna presto. Io e la mamma siamo tristi senza di te»
«Lo so. Anch’io lo sono senza di voi»
La commozione minacciava di mozzargli la voce, non era il momento opportuno, voleva parlare con la sua bambina.
«Papà, hanno chiamato i nonni. Io e la mamma andiamo a New York»
«Scusa, quando andate a New York?»
«Boh. Mamma non sa quando, ma dice che dobbiamo andare, le vogliono parlare. Io non ricordo i nonni, papà. Loro mi riconosceranno?»
La notizia aveva smorzato il trasporto di Christian verso la figlia; Alisia gli aveva dato una pessima notizia e una nuova preoccupazione. Non poteva essere vero che sua moglie avesse in programma un viaggio a New York dai suoi genitori insieme alla figlia.
«Sì. Sono venuti a trovarti in ospedale quando sei nata, ti hanno vista ed anche in altre occasioni, ma eri troppo piccola per ricordarlo. Avranno sicuramente un regalo per te, Alis, è per questo che vi hanno chiesto di raggiungerli»
«Papà?»
«Dimmi, tesoro»
«Devo tornare al mio posto ora. La maestra Margaret mi sta aspettando»
«Certo. Ti mando un bacio grande, Alis. Danne uno anche alla mamma da parte mia»
«Anche io, papà. Torna presto»
Riattaccò interdetto, ma non fece in tempo ad esplicitare i suoi dubbi, una donna afghana con il fiato corto comparve davanti a loro oltre il filo spinato. Era una conoscenza di Samuel; il ragazzo non indugiò ad avvicinarsi a lei, era sconvolta.
«Maryam»
«S-Samuel, aiutami, ti prego. Karim ha bisogno di te»


 
Ciao ragazzi!
Credo di aver messo tantissima carne al fuoco con questo capitolo e anche di essermi lasciata prendere un po’ dalla narrazione, il capitolo è un po’ lunghino ^^”.
Per addolcire un po’ il tutto, vi lascio il link della Os con il missing moment sul primo incontro tra Chris e Kathe accennato nel primo capitolo: 
Apnea.
Ringrazio di cuore tutti voi per l’affetto che mi mostrate e un ringraziamento speciale va a Inzaghina per avermi dato importanti spunti sui territori californiani <3
Nel prossimo capitolo scioglierò la suspance ;).
Un grande abbraccio
-Vale

 
   
 
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