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Autore: Marti Lestrange    14/07/2020    6 recensioni
Dal testo:
❝ «Non è vero.»
«Cosa?»
«Non è vero che lo hai dimenticato.»
«Roger, e che differenza farebbe?» Sembrava stanca.
«Forse nessuna, ma sarebbe bello se fossimo sinceri.»
Lei lo guardò ancora un attimo e poi si alzò in piedi talmente in fretta che Roger quasi si rovesciò addosso quel che restava del suo caffè. Fece il giro del tavolino, gli tolse la tazza di mano e gli si buttò addosso, cercando le sue labbra. Roger l’accolse e ricambiò il bacio, mentre lei gli si sistemava addosso, e lui la teneva per la vita stretta.
«Voglio farlo da quando ci siamo visti, poco fa», gli sussurrò sulle labbra prima di percorrerne i contorni con la lingua.
«Anche io», rispose lui scendendo a toccarle i fianchi e i glutei stretti in un paio di jeans. ❞
[ oneshot su Roger Davies e Prudence King (OC di mia invenzione), ambientata tra la II Guerra Magica/Anni 5-7 e il dopoguerra; Roger Davies è diventato un Auror e Prudence è figlia di Madama Rosmerta; i due sono legati a doppio filo da un amore particolare che un tempo non aveva la necessaria maturità ma che ora, nel loro presente, potrebbe cambiare le loro vite ]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Roger Davies
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'GENERATION WHY.'
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Storia partecipante all’iniziativa “scrivimi” del gruppo Facebook “Caffè e calderotti”.

 


Pacchetto proposto da SeveraBartySha:

Personaggio: Roger Davies;
Prompt: «Che ne dici di una Burrobirra solo tu e io?»;
Genere: romantico.

 

 

Elementi aggiunti da me:

Rating: arancione;
Altri generi: introspettivo, malinconico;
Tipo di coppia: het;
Contesto: II Guerra Magica/Libri 5-7, Dopo la II Guerra Magica/Pace;
Tipo di storia: oneshot;
Note: what if?. 

 

Questa oneshot nasce da una sfida, ma in realtà si è trasformata in qualcosa a cui tengo molto, in cui ho cercato di esplorare il personaggio di Roger Davies partendo da un aneddoto presente ne “L’Ordine della Fenice”, quando Harry e Cho siedono da Madame Piediburro e Roger è seduto vicino a loro “con una ragazza bionda”: Prudence King (OC di mia invenzione) è quella ragazza bionda. Da lì, sono andata a braccio. Nel mio personale universo, Prudence è figlia di Madama Rosmerta e, dopo la guerra, lavora insieme alla madre ai “Tre Manici di Scopa”; Roger invece è diventato un Auror (insomma, una persona seria - forse). Questa piccola introduzione finisce qui, vi rimando al fondo per delle note più “tecniche”. 

 

[ questa shot può essere letta anche ma non solo come Missing Moment della mia long “Death in the Night”,
ma non c’è bisogno di aver letto la long ]

 


 

Azzurro nell’azzurro.

 


Gennaio 2023

Roger sedette al lungo bancone in legno, su uno sgabello, ma leggermente defilato. Il locale si stava svuotando pian piano, gli avventori pagavano, salutavano Prudence1 e uscivano nella fredda serata invernale, diretti alle loro abitazioni. Roger si era trascinato dietro il suo bicchiere di Burrobirra ormai quasi vuoto dal tavolo accanto alla finestra dov’era rimasto seduto per tutta la serata, la maggior parte della quale trascorsa in compagnia di Bryan Chambers2, un vecchio compagno di scuola e membro della squadra di Quidditch di Corvonero, che lo aveva stordito di parole raccontandogli tutto quello che aveva fatto negli ultimi vent’anni, mentre Roger non riusciva a smettere di guardare Prudence, che veleggiava tra i tavoli fittamente occupati trasportando vassoi stracolmi di bicchieri pieni, ma senza mai perdere la sua naturale leggiadria. 

Fortunatamente, Chambers se n’era andato intorno alle undici e lui era rimasto solo, e così si era andato a sedere al bancone, da dove riusciva ad osservare Prudence intenta ad agitare la bacchetta verso i bicchieri da lavare e da asciugare e a salutare i clienti. I capelli biondi che aveva legato in un nodo scomposto dietro la nuca ora le cadevano sul viso e lei se li scostava spesso da davanti agli occhi - azzurri, azzurrissimi. Parecchie volte si incrociarono con i suoi, ma la donna rimase concentrata sul lavoro per tutto il tempo, limitandosi a servirgli altri bicchieri di idromele e Burrobirra e sorridendogli frettolosa. Era sempre stata seria, Prudence, seria e sicura di sé, sapeva sempre ciò che voleva e quando lo voleva, anche da ragazza. Andava dritta al punto e ti diceva quello che pensava senza giri di parole, guardandoti negli occhi e sorridendoti, viso innocente e fossette da baciare, labbra di miele e capelli di grano. 

 

 

Febbraio 1996

Erano appena riemersi dal caldo soffocante di Madame Piediburro, e Roger era pieno di tè alla rosa, torta soffice alla rosa con glassa di zucchero e profumo di rosa su tutti i vestiti e i capelli - però era anche pieno dei baci di Prudence e non poteva certo lamentarsene.  

Ora camminavano vicini, stretti nei loro mantelli invernali, e le loro mani si sfioravano molto poco casualmente. Prudence era più carina del solito, quel giorno, e si era messa un lucida-labbra alla fragola che però lui si era mangiato tutto prima che arrivasse la torta. E dopo, le sue labbra avevano preso il sapore dello zucchero glassato. 

«Non riesco a togliermi dalla testa Potter e Chang», disse mentre entravano da Scrivenshaft. 

Prudence alzò lo sguardo su di lui e sollevò le sopracciglia. «Ah, sì?» gli chiese. «E perché?»

«Be’, ma perché Cho sembrava sconvolta e Potter… nah, lasciamo perdere.»

«Da quando ti interessa come sta la Chang? Non hai detto che non fa altro che piangere?»

La voce di Prudence sembrava scocciata mentre si chinava a guardare delle piume di fagiano nere o era solo una sua impressione? Roger scrollò le spalle.

«Non mi interessa la Chang», replicò, nonostante una vocina nel suo cervello gli avesse appena fatto presente che aveva invitato Cho ad uscire giusto due settimane prima. E lei aveva gentilmente declinato, molto probabilmente per via di Potter. Per un attimo si sentì uno stronzo. 

Prudence gli lanciò un’occhiataccia e Roger pensò che la loro giornata - San Valentino, gli ricordò la stessa vocina di prima - si stava trasfigurando velocemente in un flop. «E poi sono qui con te, ora, chi se ne importa di quei due», aggiunse in fretta.

La ragazza alzò gli occhi al cielo, ma Roger notò che sorrideva. Improvvisamente, far sorridere Prudence divenne una delle cose più importanti della sua vita.

«Penso che prenderò anche questo quaderno», disse lei tirando sù da un espositore un quaderno spesso, di pelle di drago blu, tenuto chiuso da un cordoncino. 

Roger glielo prese dalle mani e, tra le sue mille e più proteste, si diresse al bancone per pagare, e alla fine riuscì a regalarglielo lui, insieme alla piuma di fagiano. Le aveva galantemente offerto la merenda, nonostante Prudence avesse protestato anche in quell’occasione («Così uccidi il mio femminismo, Davies!»), ma quello sarebbe stato un regalo solo suo, che avrebbe conservato nel tempo e che le avrebbe sempre ricordato lui - o così si augurava. 

Usciti dal negozio, Prudence lo afferrò per il mantello e, sollevandosi sulle punte, lo baciò teneramente. Lui ricambiò, tenendola stretta per la vita, mentre un paio di ragazzi li scansava e qualcuno fischiava al loro indirizzo. Roger si voltò e riconobbe Dylan Bradley3, un suo compagno di squadra. Gli fece un gestaccio e poi prese Prudence per mano e insieme si incamminarono lungo la via. 

«Grazie per il regalo, non avresti dovuto.»

«Mi ha fatto piacere», rispose lui.

Sentì Prudence rallentare e deviare verso la vetrina di Mondomago, dov’era già riunita una piccola folla. 

«Cosa succede?» sussurrò lei, quasi tra sé e sé. 

Roger, che era molto alto, si sporse sopra le teste, e notò un grande manifesto appeso proprio alla vetrina del negozio, manifesto sul quale campeggiavano le stesse dieci foto comparse sulla prima pagina de La Gazzetta del Profeta qualche settimana prima. Il titolone a grandi caratteri neri diceva “MINISTERO OFFRE RICOMPENSA DI 1000 GALEONI A CHI SIA IN POSSESSO DI IMPORTANTI INFORMAZIONI SUI MANGIAMORTE EVASI DA AZKABAN”. 

«Dài, andiamocene», disse lui tirando Prudence per una mano. 

«No, voglio vedere, Roger», protestò lei, e riuscì ad infilarsi in mezzo alla folla, che intanto si stava disperdendo alla chetichella. Prudence si fermò di fronte al manifesto, silenziosa. Roger cercò di incrociarne lo sguardo ma lei fissava ostinatamente le fotografie, allora le prese semplicemente la mano, senza dire niente.

Il padre di Prudence, l’Auror Rudyard King4, aveva perso la vita per mano di Antonin Dolohov, nel 1980. Prudence aveva solo tre anni e i suoi ricordi del padre erano sempre stati frammentari e confusi, e derivavano solo dalle fotografie che sua madre Rosmerta teneva nel salotto di casa, sopra i Tre Manici di Scopa, di cui era la proprietaria. Prudence glielo aveva raccontato alla fine dell’anno prima quando, in occasione dell’ultimo weekend a Hogsmeade del trimestre estivo, aveva invitato lui e altri compagni a casa sua, ed erano finiti a parlare, loro due da soli, affacciati alla finestra della sua stanza. Ora, Roger non riusciva a immaginare come Prudence si dovesse sentire a sapere che l’uomo che aveva ucciso suo padre era tornato a piede libero. 

«Andiamocene», disse lei alla fine. Lo trascinò lontano da Mondomago, in direzione del castello. «È meglio se rientriamo.»

Roger la trattenne quando arrivarono in prossimità di Hogwarts. Erano rimasti in silenzio per tutta la durata della loro camminata. 

«Hei», iniziò. «Stai bene?»

Prudence girò la testa, arricciando le labbra. Aveva gli occhi lucidi. Tornò però a guardarlo, decisa. «Sto bene, non guardarmi come se stessi per disintegrarmi, okay?»

«Non era mia intenzione, Prue», si difese lui alzando le mani. «Sono solo preoccupato per te, tutto qui.»

«Sto bene. Starò bene.»

Roger le appuntò un capello biondo dietro l’orecchio e le sorrise, carezzandole una guancia. Prudence alzò una mano a trattenere la sua e Roger, che si stava chinando in avanti per baciarla, si fermò a metà strada. Ora lo guardava in modo strano, e lui piegò leggermente la testa, stupito.

«Cosa c’è?»

«Mi dispiace, Roger.»

Lui deglutì. Continuava a non capire. O forse sì?

«Ti dispiace? Per cosa?»

«Mi dispiace ma non posso», spiegò lei tutto d’un fiato. 

«Non puoi…»

«Questo», continuò indicando loro due, e il poco spazio che li divideva. «Noi due. Non posso.»

Ora Roger si sentiva confuso. E anche un po’ spiazzato.

«Non sono fatta per una relazione seria, e quest’anno abbiamo i M.A.G.O., non posso permettermi distrazioni, punto ad uscire con una “E” in tutte le materie per quel tirocinio al San Mungo, l’ho promesso a me stessa, e tu saresti troppo… saresti troppo, da gestire.»

Roger continuava a guardarla, incredulo. «Cioè, fammi capire», prese la parola aggrottando le sopracciglia. «Mi stai scaricando perché pensi che io sia troppo impegnativo per te? Dovrei sentirmi lusingato o cosa? Non credo di aver compreso il nesso…»

«Uff, perché devi rendere le cose così difficili, eh?» esclamò lei  passandosi una mano tra i capelli. «Sto cercando di dirti che non voglio una relazione seria. Non in questo momento della mia vita.»

«E chi ha parlato di relazione seria, scusa?»

Roger capì subito di aver detto la cosa sbagliata, perché gli occhi di Prudence si adombrarono. 

«Vorresti dire che mi avresti scaricata? Magari per Cho Chang, eh?»

«Smettila di tirare in ballo Cho, per Merlino!»

«Okay, Davies, finiamola qui. Io come al solito non ho capito niente, e tu sei il solito stronzo.» Così dicendo si incamminò verso il portone di quercia, la sciarpa giallo-nera che le scivolava dal collo. 

«Ah, sarei io, lo stronzo?» le gridò dietro Roger. «Tu mi stai scaricando, King!»

Lei si girò a guardarlo e tornò sui suoi passi. Tirò fuori il quaderno blu dal sacchetto di Scrivenshaft e glielo ficcò tra le mani. Roger la guardava con gli occhi sbarrati, ora.

«Questo te lo puoi riprendere», disse. «La piuma me la tengo perché mi serve, ma questo regalalo a Cho Chang.»

Roger rimase a guardare il quaderno ad occhi sbarrati. Che diavolo stava succedendo? 

«Prue», la richiamò. «Prudence! Aspetta, per favore…»

«Lasciami in pace, Davies!» esclamò lei con voce ferma, e lui la lasciò andare, e la guardò sparire all’interno del castello. Abbassò gli occhi e si rigirò il quaderno di pelle tra le mani. Rimase lì per qualche minuto, letteralmente sopraffatto da ciò che era successo. 

Le sue intenzioni con Prudence King non erano mai state troppo serie, ma perché era così che faceva lui. In quasi sette anni di scuola non aveva mai avuto una relazione degna di questo nome e che fosse durata più di qualche settimana, tutto si era sempre esaurito con qualche flirt e sbaciucchiamenti vari e, talvolta, con qualcosa di più, ma nessuna ragazza se n’era mai lamentata. Con Prudence, forse, le cose sarebbero potute cambiare, ma lei non gli aveva dato modo di provarci, aveva semplicemente deciso che non aveva tempo, e voglia, e lo aveva scaricato come un cumulo di immondizia. 

Rientrò al castello, sempre stringendo il quaderno blu tra le mani. 

 

 

Gennaio 2023

«Stiamo chiudendo, Davies.»

Roger si riscosse dai suoi pensieri vorticanti e tornò alla realtà. Sedeva ancora al bancone dei Tre Manici di Scopa, ma ora il locale era vuoto. A parte lui.

«Che ore sono?» chiese. Guardò dentro il bicchiere e lo trovò vuoto.

Prudence indicò l’orologio appeso al centro esatto della parete alle sue spalle: segnava la mezzanotte passata.

«Per Merlino, devo essermi distratto…»

«Distratto? Stai pensando al caso5?» Prudence si appoggiò al bancone con i gomiti e lui si ritrovò i suoi occhi azzurri - azzurrissimi - pericolosamente vicini. Era bella proprio com’era bella nel suo ricordo, ragazzina risoluta e testa dura, una delle Tassorosso meno Tassorosso che avesse mai conosciuto.

«Sì e no», rispose quindi agitando una mano.

«Non ne vuoi parlare.» E non era una domanda.

Lui scosse la testa. 

«Stavo pensando al nostro primo - e ultimo - appuntamento», disse quindi d’impeto. «Te lo ricordi?»

Prudence alzò gli occhi al cielo, proprio come aveva fatto quel giorno da Scrivenshaft. «Non vado fiera di quel ricordo, mi sono comportata da stronza.»

«Oh-oh», esclamò lui sedendosi meglio sullo sgabello. «Cosa sentono le mie orecchie!»

La donna sorrise scuotendo la testa. «Be’, insomma, sì, ti ho detto che non ero interessata a te quando in realtà eri tutto ciò che volevo, e speravo così che tu mi avresti detto che “no, Prue, tu e io dobbiamo stare insieme, siamo fatti per stare insieme”, e invece tu te ne sei uscito con quella storia di “non fare sul serio”…»

Roger sbarrò gli occhi. «Tu…» iniziò. «Tu intendevi… Ma perché non l’hai detto e basta, eh?»

Prudence scrollò le spalle. «Ero giovane e mi credevo furbissima. E poi volevo testare i tuoi sentimenti.»

«E io ho fallito miseramente», concluse lui passandosi una mano dietro la nuca. Quanto era stato cretino, non era mai stato bravo a capire le ragazze, e le cose non erano cambiate affatto, col tempo. 

«Credo che tra noi non sia proprio destino, Davies», concluse Prudence sospirando.

 

 

Dicembre 1996

Si incontrarono per caso ad Hogsmeade due giorni prima di Natale. Roger era al villaggio per fare alcuni acquisti, ma la vide subito, in piedi sotto casa (che si trovava sopra i Tre Manici di Scopa), stretta in un cappotto blu, una sciarpa bianca buttata su una spalla e i capelli biondi tagliati corti - cortissimi.

La chiamò per nome senza neanche accorgersene. Lei si voltò subito e lui si morse la lingua, ma ormai era troppo tardi. La raggiunse e rimasero a guardarsi per un lungo momento, azzurro nell’azzurro.

«Hai tagliato i capelli», disse quindi lui, banale e sciocco.

Lei annuì. «Quasi una vita fa.»

Effettivamente, non si vedevano da giugno, da quando avevano concluso i M.A.G.O. e la scuola era finita e loro erano tornati a casa. Non si erano mai più visti, neanche per caso. 

«Ti va un caffè?» le propose. «Si muore di freddo.»

«Sì, ma non qui», rispose lei indicando con una spalla i Tre Manici di Scopa. «Altrimenti mia madre spettegolerà fino alla fine dell’eternità.»

«Be’, Madame Piediburro non mi pare il caso… E alla Testa di Porco rischieremmo qualche malattia infettiva.»

«Vuoi salire da me?»

Roger la guardò negli occhi. 

«Solo per un caffè», aggiunse lei ridendo maliziosa. Con quel taglio di capelli sembrava ancora più furba. 

E così fecero. Prudence aveva occupato l’appartamento accanto a quello della madre e praticamente viveva da sola. Lo fece accomodare in salotto, piccolo ma confortevole, dove il tavolino basso al centro del tappeto era ingombro di fogli di pergamena, libri e spessi volumi.

«Studi al San Mungo, allora?» le chiese mentre lei preparava il caffè. 

«Sì, è dura ma mi piace», gli spiegò. 

«E tu?» gli chiese poi lei tornando in salotto con un vassoio, sopra il quale erano poggiate due tazze stracolme di liquido forte e bollente, e un piatto con alcuni biscotti. «Sempre intenzionato a diventare un Auror?»

«È dura ma mi piace», la imitò, scrollando quindi le spalle. Sapeva che l’argomento Auror era un argomento difficile da affrontare, con lei, per via dei ricordi legati al padre e alla sua prematura morte.

A luglio, subito dopo i M.A.G.O., Roger aveva iniziato l’addestramento all’Accademia Auror e quelli erano stati quasi sei mesi intensi e impegnativi e faticosi, ma mai era tornato a casa più contento di essere stanco, mai aveva speso nottate intere a studiare così volentieri, mai si era letteralmente fatto il culo come in quelle settimane, ma si sentiva al suo posto, e sentiva di star facendo qualcosa di dannatamente utile, per una volta. Hestia Jones6, un suo diretto superiore, aveva parlato alle nuove reclute del Dipartimento Investigativo, dove lei stessa era impiegata, e Roger aveva istintivamente deciso che quella sarebbe stata la sua strada. Le parole di Hestia lo avevano affascinato.

Prudence gli sorrise e gli fece segno di sedersi su una poltrona, mentre lei prese posto di fronte, sul divano. Bevvero il caffè e sgranocchiarono i biscotti in silenzio, mentre Roger non poteva fare a meno di guardarla, il corpo magro affogato in un maglione viola e i capelli che le sfioravano appena la base del collo da cigno.

«Non ci crederai, ma proprio ieri ho ritrovato una cosa», disse lui rompendo il silenzio.

Lei alzò lo sguardo dalla sua tazza.

«Il quaderno di pelle blu che ti avevo regalato a San Valentino.»

Prudence abbassò la tazza. «Ce l’hai ancora?»

Lui annuì. «Quel giorno l’ho buttato nel baule e me ne sono dimenticato. L’ho ritrovato quando sono tornato a casa dopo gli esami, l’ho messo in un cassetto ripromettendomi di spedirtelo, ma non l’ho mai fatto. Credo di essermene dimenticato, di nuovo.»

«Ah.»

«Mi dispiace.»

«No, no, non dispiacerti. Anche io lo avevo dimenticato.» Riprese a sorbire il suo caffè, ma Roger non smise di guardarla. 

«Non è vero.»

«Cosa?»

«Non è vero che lo hai dimenticato.»

«Roger, e che differenza farebbe?» Sembrava stanca.

«Forse nessuna, ma sarebbe bello se fossimo sinceri.»

Lei lo guardò ancora un attimo e poi si alzò in piedi talmente in fretta che Roger quasi si rovesciò addosso quel che restava del suo caffè. Fece il giro del tavolino, gli tolse la tazza di mano e gli si buttò addosso, cercando le sue labbra. Roger l’accolse e ricambiò il bacio, mentre lei gli si sistemava addosso, e lui la teneva per la vita stretta. 

«Voglio farlo da quando ci siamo visti, poco fa», gli sussurrò sulle labbra prima di percorrerne i contorni con la lingua. 

«Anche io», rispose lui scendendo a toccarle i fianchi e i glutei stretti in un paio di jeans. 

Fecero l’amore lì, su quella poltrona a fiori, si spogliarono velocemente, e si baciarono, si toccarono, si unirono come entrambi avevano sempre desiderato baciarsi, toccarsi, unirsi, come avrebbero dovuto fare tempo addietro, e come entrambi avevano anelato fare da sempre. 

L’orgasmo li trovò già tremanti e sudati, avvinti e avvolti, le membra allacciate, una mano di Roger dietro il collo di lei, l’altra sul suo seno; una mano di Prudence a tirare i capelli di lui, l’altra sulla sua schiena. 

Lei gli si accasciò addosso e lui si lasciò andare appoggiandosi alla poltrona, entrambi scossi e preda dei loro stessi gemiti, che avevano riempito la piccola stanza ingombra. 

«Roger», iniziò lei baciandogli il collo. 

«Prue», rispose lui carezzandole una gamba. 

«So che quando uscirai da qui forse non ci rivedremo più.»

«Credi che tra noi non sia destino?» Roger cercò i suoi occhi. Salì ad accarezzarle una spalla.

«Forse. Non lo so. Sicuramente non ora. Non oggi.»

Lei annuì, come a cercare una conferma nel suo sguardo. Forse aveva ragione: quelli non erano giorni per pensare, giorni per programmare, giorni per amare.

Lei ora gli sorrideva, e intanto gli carezzava una guancia con la punta delle dita. Il suo era un tocco lieve. 

«Possiamo stare qui ancora un po’?» gli chiese quindi.

Fu il suo turno di annuire. «Tutto il tempo che vuoi.»

 

 

Gennaio 2023

«Mamma?»

Si voltarono entrambi. La porta sul retro che conduceva agli appartamenti di Prudence e Rosmerta era aperta e un bambino dai capelli biondi che doveva avere all’incirca sei, sette anni, era in piedi in mezzo al passaggio. Indossava un pigiamino azzurro con un disegno di pluffe e si stropicciava gli occhi azzurri.

«Holden, tesoro», esclamò lei affrettandosi a raggiungerlo. «Cosa succede?»

«Ho fatto un brutto sogno», spiegò il piccolo mentre lei gli si chinava di fronte.

«Stai bene, ora?»

Lui annuì. «Ti ho cercata ma non c’eri…»

Dalle scale si sentì uno scalpicciare di piedi e dalla porta spuntò anche Rosmerta, avvolta in una vestaglia verde. 

«Ecco dov’eri finito», esclamò rivolta al nipote. «Sono andata a controllarlo e non era nel suo letto…» spiegò all’indirizzo della figlia. Poi dovette accorgersi di Roger seduto dietro il bancone, perché alzò le sopracciglia e inclinò le labbra in un sorriso.

«Grazie, mamma, torna pure a letto, lo porto a casa.»

«Oh, no, tesoro, torniamo a casa mia, tu sta’ pure qui ancora un po’…» rispose la donna indicando Roger con un cenno del capo.

Prudence gli lanciò un’occhiata e poi tornò a rivolgersi alla madre. «Non ce n’è bisogno, mamma, Roger stava andando via…»

«Sì, Rosmerta, non preoccuparti», intervenne lui alzandosi in piedi. Non avrebbe voluto andarsene, ma in quel momento gli sembrò la cosa giusta da fare, per educazione. 

«Non voglio sentire frottole, ragazzi», li ammonì lei, come se fossero tornati ad avere diciassette anni. «Porto a letto Holden, voi state insieme ancora un po’.»

Prese il bambino per mano e gli sorrise. «Ce ne andiamo nel lettone, Holden, che ne dici?»

Holden annuì mentre Prudence gli depositava un bacio sui capelli. Poi li guardò salire le scale mentre chiacchieravano su come scacciare i brutti sogni. 

Roger aveva saputo del matrimonio di Prudence da amici in comune dei tempi di Hogwarts. I pettegolezzi dicevano che lei e Gabriel Truman7, un Tassorosso di un anno più grande di loro, si fossero sposati in fretta e furia (un giorno di dicembre del 1997, poco prima di Natale) perché lei era già incinta del primo figlio, Joseph, che nacque nel luglio del 1998, quando ancora si raccoglievano i cocci della guerra. Aveva anche sentito che aveva lasciato i suoi studi al San Mungo, non appena scoperta la gravidanza, studi che poi non aveva mai più ripreso. Holden era nato invece nel 2016 e, sempre secondo i pettegolezzi, non era stato cercato e, due anni dopo, Prudence e Gabriel si erano separati consensualmente, firmando alcuni fogli al Ministero e andando ognuno per la propria strada. Qualche mese dopo la nascita di Joseph, Prudence aveva cominciato a lavorare ai Tre Manici di Scopa con sua madre, e non aveva mai smesso. 

«È bellissimo», convenne Roger. «Holden», specificò.

Prudence gli sorrise. «È tutto suo padre.»

«No, è tutto sua madre.»

Lei alzò gli occhi al cielo. 

«Ti ricordi quando ti ho parlato di mio padre?»

Roger annuì. Se lo ricordava come se fosse ieri.

«Li ho chiamati come lui», continuò lei. «Joseph e Holden. Erano gli altri nomi di mio padre. Rudyard Joseph Holden King. Pretenzioso, eh?» aggiunse ridendo.

Roger scrollò le spalle. «No, affatto. E trovo che siano due nomi molto belli.» Allungò una mano a cercare quella di lei, e Prudence non si scostò. 

«Non ti ho mai ringraziato per avermi spedito il quaderno…»

Roger le sorrise. «Lo avevo comprato per te, era giusto che fosse tuo. Mi spiace di averci messo tanto.»

Si guardarono a lungo e in silenzio, sempre azzurro nell’azzurro, finché non fu Roger a romperlo.

«Ti va una Burrobirra, solo tu e io?»

Prudence scoppiò a ridere, scuotendo la testa, e lui si unì a lei, ma ben presto tornarono in silenzio.

«Come quando mi hai chiesto di bere un caffè, quel giorno prima di Natale?» Ora lo guardava con una luce intensa nello sguardo e lui sentì il suo stomaco capitolare.

«Forse.»

Si tenevano ancora per mano.

 


 

  1. Prudence King: personaggio di mia invenzione, figlia di Madama Rosmerta e R.J.H. King (vedi nota numero 4); studentessa di Tassorosso dello stesso anno di Roger.
  2. Bryan Chambers: studente di Corvonero, Cacciatore nella squadra di Quidditch; il nome di battesimo è di mia invenzione.
  3. Dylan Bradley: studente di Corvonero, Cacciatore nella squadra di Quidditch; il nome di battesimo è di mia invenzione.
  4. Rudyard King: R.J.H. King, studente di Grifondoro, membro della squadra di Quidditch, con la quale ha vinto un premio nel 1969 e la cui targa figura nella sala dei trofei; molto probabilmente potrebbe essere stato un coetaneo di James Potter, e suo compagno di squadra; i nomi di battesimo sono di mia invenzione, così come tutte le sue vicende.
  5. Il caso: questo fa riferimento alla mia long “Death in the Night”, basta cliccare sul titolo per aprire il link collegato, per chiunque volesse curiosare.
  6. Hestia Jones: come i lettori di “Death in the Night” già sanno bene, la “mia” Hestia ha studiato come Auror e, al termine della Guerra, è stata promossa a capo del Dipartimento Investigativo (sottosezione dell’Ufficio Auror); questo headcanon è di mia esclusiva invenzione.
  7. Gabriel Truman: studente di Tassorosso; Prefetto.

 

Concludo queste note lunghissime ringraziando ancora Severa per avermi fornito questo prompt bellissimo, perché mi ha dato modo di creare le basi per questa coppia alla quale mi sono affezionata tantissimo. Chiunque voglia curiosare nella mia long, ve la lascio QUI, narra della Nuova Generazione con protagonista un Teddy Lupin in versione Auror, con un Roger Davies come partner.

Grazie a chiunque abbia letto.

Marti

   
 
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