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Autore: Spoocky    15/07/2020    2 recensioni
[Spoiler per il finale del film]
Alcuni giorni dopo aver lasciato l'Acheron sotto il comando di Tom Pullings ed aver scoperto l'inganno dei Francesi, l'equipaggio della Surprise ritrova la nave catturata. Non tutto è andato a buon fine.
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Genere: Guerra, Hurt/Comfort, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Disclaimer: I personaggi riconducibili all'opera originale non mi appartengono e non ne possiedo i diritti.

Ringrazio tutti coloro che hanno avuto, e spero abbiano ancora, la pazienza di seguire questa storia dai tempi di aggiornamento biblici.
Siete dei tesori! ^^
Buona lettura e una gita alle Galapagòs a tutti! 



Pullings non riprese conoscenza nei due giorni successivi all’intervento e per tutto il tempo il dottore non si allontanò dal suo capezzale. La febbre era ancora alta e lo faceva soffrire molto: sudava freddo, tremava, e ogni tanto si agitava sotto le coperte in evidente disagio. Solo gli impacchi freddi e le frequenti spugnature sembravano dargli sollievo.
Apriva gli occhi solo quando Stephen lo scuoteva per dargli da bere, da mangiare, o per somministrargli le medicine, alleviando il suo dolore con piccole dosi di laudano scaglionate durante la giornata. Nemmeno in quei brevi momenti, tuttavia, sembrava essere al corrente di quanto stava accadendo.

Interrogato a riguardo da un Jack al colmo della preoccupazione, Maturin si limitò a scuotere la testa: “Bisogna avere pazienza. E’ un sonno così: di chi è senza forze. Ha passato l’inferno negli ultimi giorni e gli serve tempo per riprendersi.”
Aubrey si chinò sul ferito e gli prese una mano per fargli sentire la propria presenza: “Per il resto come sta?”
“Ha ancora la febbre, anche se sembra essere scesa un poco. Ma la ferita ormai spurga solo lodevole pus ed è molto migliorata, sia nell’aspetto che nella velocità di guarigione. Credo che il peggio possa dirsi passato, adesso dobbiamo solo aspettare che si svegli.”
Pur riponendo la massima fiducia nelle capacità mediche dell’amico, Jack non poté impedirsi di stringere i denti per la preoccupazione: “E’ ancora molto pallido.”
Nelle parole di Stephen non c’erano rimprovero o giudizio, solo pacata comprensione: “Mio caro, lo saresti anche tu se ti fossi ritrovato con una ferita simile: al di là dell’intervento ha perso molto sangue e sarebbe comunque molto debole. La scelta era tra lasciarlo morire per quella ferita o dargli una speranza. Come hai detto tu: questo è il minore tra i due mali.”
Allora Jack si volse verso di lui con un sorriso: “Ani-mali, Stephen.”
Il medico restituì il sorriso con un cenno del capo e tornò alle sue letture, lasciando al capitano il tempo necessario a ricomporsi.

Aubrey si raddrizzò e si aggiustò la giacca prima di allontanarsi dalla branda e fare un cenno a Stephen di seguirlo, perché non voleva turbare il povero Tom se avesse ripreso i sensi proprio in quel momento.
Tanta discrezione era in lui del tutto atipica, così come era atipico il suo tono basso e circospetto: “Hai poi parlato con, beh, con quella persona?”
Maturin si sfilò gli occhiali e si stropicciò gli occhi con un sospiro: “Anche volendo non avrei potuto: la situazione qui è troppo delicata ed è necessaria una veglia costante. Non posso nemmeno sottrarmi ai giri di visite in infermeria. Del resto, se andassi proprio io ad interrogarlo credo capirebbe come stanno le cose e non è certo opportuno. Tu non sai se abbia parlato con qualcuno in questi giorni?”
Fu il turno di Jack di scuotere il capo con rassegnazione: “Hogg non ha saputo dirlo e Tom non è certo in condizione di fare rapporto in questo momento.” sbuffò “Bah, al diavolo! Ho cincischiato anche troppo! E’ ora di far valere la massima di Nelson e puntare dritto sul nemico. Ed è proprio quello che farò, perdio!”
“Non t’invidio: non è un compito semplice.”
“Nessuno può saperlo meglio di te, fratello.” Sorrise mesto Jack nel recuperare la feluca “Meglio che vada, adesso: certe cose bisogna risolverle subito. Abbi cura di lui, mi raccomando.”
“Come sempre, mio caro. Buona fortuna!”
Aubrey si chiuse la porta alle spalle, lasciando Stephen alla sua veglia.

Il medico chinò lo sguardo sul libro che aveva in grembo, una raccolta di osservazioni sulla fauna del Pacifico redatto da un ufficiale al seguito di Cook, e si rese conto di aver perso del tutto la concentrazione. Con un sospiro rassegnato si sfilò gli occhiali e si massaggiò le palpebre prima di piegarsi in avanti ad osservare il suo paziente.
Il volto di Pullings, smagrito dai patimenti, era arrossato per la febbre e il suo respiro era sottile ed accelerato. Gli avevano raccolto i capelli in un codino ma alcune ciocche erano sfuggite dal nastro, ed il sudore gliele aveva appiccicate alla pelle.
Quando lo vide deglutire con una smorfia Maturin intuì che avesse sete e ripose il libro.
Su un tavolino accanto alla branda avevano disposto una caraffa d’acqua, zucchero e succo di limone. Ne versò un bicchiere e passò un braccio sotto la nuca sudata del ferito per sollevarla, sostenendogli la mandibola con il palmo.

Sentendosi scostare i capelli dal volto, il giovane socchiuse gli occhi con un gemito. Le pupille erano piccole e lucide, lo sguardo perso e confuso. Niente di più diverso dalla sincera gratitudine che lo aveva illuminato sul tavolo operatorio.
Stephen gli rivolse un sorriso rassicurante: “Salve, Tom. Vorreste farmi la cortesia di bere un po’ d’acqua?”
Inclinò il bicchiere verso le labbra aride del giovane, bagnandole appena. Pullings però sembrava non capire cosa stesse succedendo e rimase a fissarlo, sussultando per un brivido febbrile.
“Coraggio, mio caro.” Insistette il medico “Dovete bere per rimediare alla perdita di sangue.”
Troppo debole per fare altro, Pullings sbatté appena le palpebre ed inclinò un poco la testa verso il bicchiere.
Doveva essere terribilmente assetato, ma non riuscì a gestire altro che alcuni lenti, piccoli sorsi, dosati dal polso esperto di Stephen che insistette il più possibile: “Tutto. Sforzatevi di berlo tutto.”
Non passò molto prima che la sua fronte bollente si posasse sul braccio che lo sosteneva, dimostrando che non era in grado di resistere oltre.

Posato il bicchiere, Maturin gli poggiò un palmo sulla tempia per saggiarne il calore e lo fece sussultare: “Piano, adesso. Tranquillo.” Gli sussurrò per abitudine, prima ancora di rendersene conto.
Lo riadagiò con delicatezza sul cuscino e tamponò il suo volto arroventato con una pezzuola fresca, finché le rughe di dolore intorno ai suoi occhi non si attenuarono ed il suo respiro rallentò.
 

“Piano. Fate piano.”
“Sforzatevi di bere, capitano. La febbre vi fa bruciare.”
“E lascialo coperto, leccapalle scimunito! Non vedi come trema?!”
“Non vi agitate, signore. E’ la febbre che vi fa bruciare.”
“State giù, capitano. Vi si riapre la ferita!”
“Porca di una puttana sfondata! Questo liquido merdoso ha bagnato tutta la medicazione.”
“Tom, riuscite a sentirmi?”
“Vieni, fratello. Mettiti qui a capotavola. Bisogna tenergli su la testa.”
“Le gambe, Padeen! Alzagli subito le gambe!”
“A quel punto Nelson diede il segnale di attacco e le navi si disposero in formazione.”
“Coraggio: è quasi finita. Siete stato bravo.”

Ave Maria, Gratia plena, Dominus tecum.
“Mangiatene ancora, Thomas. Dovete recuperare le forze.”
Benedicta tu in mulieribus, et benedictus frctus ventris tui, Jesus.
“Resistete, Tom. Abbiamo bisogno di voi.”
“Vieni via, fratello. Non affatichiamolo.”
Sancta Maria, mater Dei, ora pro nobis peccatoribus.
“Ecco qui, mio caro, questo allevierà il dolore.”
Nunc,
“Calmo. Calmo. E’ la febbre. Avete avuto un incubo per la febbre.”
Et in hora mortis nostrae.”
“Tutto. Sforzatevi di berlo tutto.”
Amen.”

Quelle ed altre voci si susseguivano nella mente di Pullings in un caos indistinto.
Ciascuna di esse aveva qualcosa di famigliare ma non riusciva ad abbinarle a nessuno dei volti indistinti che gli aleggiavano davanti. Il calore della febbre aveva preso in ostaggio la sua testa, rendendola tanto dolente e pesante da fargli confondere sogni e realtà.
Non era neppure più sicuro di essere ancora vivo. Una parte di lui era certa di trovarsi all’inferno, dove la sua anima sarebbe bruciata in eterno, straziata da un dolore senza fine.

Serbava ricordo dei primi momenti: l’agonia del tragitto fino alla cabina, aggrappandosi ad un marinaio per non cadere scivolando nel suo stesso sangue, Higgins che lo ricuciva ad una qualche maniera ma non riusciva a bendarlo. Ricordava di avergli strappato le bende di mano e di essersele avvolte da solo intorno all’addome, nonostante il dolore e la debolezza. Ricordava quella prima notte insonne ed il malessere del mattino dopo, ma da quel momento in poi era precipitato in un vortice indistinto di luci ed ombre, con il dolore come unico compagno.
Ad un certo punto gli era parso di sentire le voci del capitano e del dottore e gli era sembrato di vederli, chini su di lui.

Avrebbe voluto credere che fossero davvero lì, che i suoi calcoli per rintracciare la rotta della Surprise fossero corretti, ma la sua mente stravolta interpretò quelle presenze come allucinazioni. Mentre lottava per trovare un’origine alle mani che gli reggevano la testa per dargli da mangiare e da bere, che gli cambiavano le medicazioni con una delicatezza affatto marinaresca, che stringevano le sue per calmarlo e scostavano ciocche fradice di capelli dalla sua fronte. Anche quelle mani avevano qualcosa di familiare: piccole, bianche, le dita segnate e contratte in modo strano.
Ricordava di aver alzato gli occhi e di aver incontrato un volto preoccupato. Qualcosa dentro di lui gli aveva suscitato un moto d’affetto per quell’omino pallido, dai capelli cortissimi e gli occhi chiari, ma non riusciva a ricordare chi fosse, né capiva perché si trovasse lì.
 

Man mano che si faceva strada nel ventre della nave, diretto verso la cella in cui avevano confinato il capitano Palmière, l’umore di Jack s’incupì sempre di più.
Il cuore gli batteva tanto forte da sentirselo rimbombare nelle orecchie e aveva stretto tanto i denti da sentire dolore. Le mani gli sudavano e avevano iniziato a tremare per la rabbia repressa. Se le ficcò dritte in tasca, per nasconderle il più possibile e per impedirsi di prendere a pugni qualcosa pur di sfogarsi.

Quando arrivò davanti ai due fanti di marina che sorvegliavano l’ingresso la sua espressione era tanto grave da farli impallidire.
A quello dei due che dovette aprire la porta tremavano tanto le mani da far tintinnare le chiavi.

Li superò senza una parola, entrando con passo fermo nella stanzetta semibuia.
Palmière era seduto ad un tavolino, unico arredo della stanza. Sembrava stare scrivendo una lettera ma non appena entrò Jack si ricompose e si alzò in piedi, inchinandosi in segno di riguardo.

Aubrey replicò con un fermo cenno del capo, un gesto a malapena accettabile, ma non aveva alcuna intenzione di mostrare riguardo o rispetto per un tale traditore.
Tale astio non era provocato dal suo espediente, dato che lui stesso aveva usato un travestimento per trarlo in inganno, ma dal fatto che il suo prezioso subordinato stava rischiando la vita a causa sua.
Nonostante il prigioniero avesse un aspetto quantomeno miserabile: lacero, scarmigliato e decisamente sporco, con la barba lunga di una settimana, Jack sentì una furia omicida pervaderlo. L’addome gli si contrasse in una morsa e le mani gli si strinsero a pugno.
Pur essendo disarmato sapeva che, se gli fosse saltato addosso, l’altro non avrebbe avuto possibilità di fuga: con le spalle al muro non avrebbe avuto speranza. Sarebbe bastato mettergli le mani al collo e stringere un poco per mandarlo all’altro mondo.

Poi gli tornò in mente il viso pallido e sofferente di Tom Pullings e la tempesta omicida si sedò quasi del tutto. Il suo inestimabile primo tenente, così buono e onesto, non avrebbe voluto che il suo mentore si macchiasse di una simile colpa, ma soprattutto sarebbe stato ingiusto nei suoi confronti privarlo della possibilità di affrontare con onore il suo avversario e rivendicare la propria vittoria.
In cuor suo infatti sapeva che Pullings non era l’indifeso agnello sacrificale che i suoi sensi di colpa avevano dipinto. Era un combattente di tutto rispetto, secondo tutti i marinai aveva lottato come una furia ed Aubrey non stentava a crederlo: lo aveva formato lui in quel modo.

Aveva dunque un’espressione dignitosa e composta quando rivolse di nuovo lo sguardo al capitano francese. Qualcosa nei suoi occhi doveva aver tradito la sua tensione perché l’altro incurvò le spalle, come a volersi fare più piccolo, e abbassò lo sguardo nel tendergli la mano: “Il mio nome è Clemènt Palmière, capitano della nave corsara Acheron, al servizio di sua maestà Napoleone Bonaparte. Servo vostro, capitano.”
Nel ricambiare la stretta, Jack non si sorprese della buona padronanza che il suo interlocutore aveva dell’inglese: grazie a Stephen lui e Pullings sapevano che si era rifugiato a Boston durante il Terrore e fino a quando non era stato graziato da Bonaparte ed era salpato con l’Acheron.

Non volle prolungare il contatto più del necessario e, dopo aver fatto cenno al francese di sedersi, gli si pose di fronte con le mani sui fianchi: “Sono il capitano Jack Aubrey, capitano dell’HMS Surprise della Marina Reale di Sua Maestà Britannica.”
“Lieto di fare finalmente la vostra conoscenza ufficiale, capitano Aubrey.”
“Vorrei poter dire altrettanto ma mi scuserete se ammetto che non è così.”
“E’ del tutto comprensibile. Mi sono comportato in maniera oltremodo sleale con il vostro secondo in comando. Il comandante Thomas Pullings, se non vado errato.”
“E’ corretto. Dovrete rispondere a lui delle vostre azioni quando si sarà ripreso.”
Sul volto del francese, fino a quel momento impassibile, si dipinse un’ espressione sconcertata: “Dunque è ancora vivo.” Con grande sorpresa di Jack trasse un sospiro di sollievo e si accasciò sulla sedia “Sono davvero lieto di sentirlo: la perdita di un ufficiale tanto abile e competente, oltretutto così giovane, sarebbe stata incalcolabile.” Gli occhi gli s’inumidirono e la voce gli tremava quando proseguì: “Posso avere l’ardire di chiedervi come sta?”

Al cospetto di quella che percepì come un’immensa sfacciataggine Jack venne pervaso dall’impulso di afferrare la sedia e fracassarla addosso al suo interlocutore. Come davanti a Stephen diversi anni prima, anche in quel momento si trattenne all’ultimo e riuscì a rispondere con un secco: “Vivrà. Non certo grazie a voi.”
Palmière incassò il colpo senza battere ciglio, riconoscendogli la ragione con un cenno del capo: “Nonostante ciò, sono davvero molto sollevato nel sapere che si riprenderà. Voi non mi crederete ma i miei sentimenti sono sinceri.” Il suo sguardo abbandonò il viso di Jack per concentrarsi sulla fiamma tremula della lanterna di fronte a sé: “Durante tutta questa caccia disperata ho pensato spesso che foste simile a me, nel modo di combattere e forse anche di comandare. Non mi ero però reso conto di quanto ci assomigliassimo davvero fino a questo momento.” Trasse un respiro profondo per ricomporsi “Ricordate quel giovane ufficiale? Era steso sul tavolo dell’infermeria quando mi trovaste.”
“Quando vi spacciaste per DeVigny? Sì, lo ricordo: aveva la gola squarciata da un proiettile.”
Il capitano annuì mestamente: “Eduard Lambért. Era il mio secondo in comando. Lo conoscevo fin da quando era un ragazzo ed allievo ufficiale: da allora mi ha sempre seguito fedelmente. Aveva attraversato l’Atlantico per servire ancora una volta sotto il mio comando. E io l’ho portato a morire.” Strinse le labbra si strofinò gli occhi arrossati con una manica “Sono contento che al vostro secondo non sia accaduto lo stesso. In quel momento, quando me lo sono trovato di fronte, non pensavo ad altro che ucciderlo. Per eliminare un nemico pericoloso, certo, ma anche per infliggervi quello stesso dolore che ho provato io. Ora però, non so nemmeno per quale motivo, sono solo contento che sia vivo e che continuerà a vivere nonostante tutti i miei sforzi.”

Sopraffatto da quella rivelazione inaspettata, Jack si trovò del tutto spiazzato.
Calarono alcuni istanti di silenzio teso prima che, tremando per la rabbia e lo sforzo disumano di non sfracellare il francese contro la paratia, girasse i tacchi e se ne andasse sbattendo la porta.
I fanti di marina sobbalzarono di nuovo nel vederlo passare ed istintivamente si ritrassero, sopraffatti dal timore che incuteva l’ imponente figura del capitano quand’era tanto adirato.

L’ira lo aveva sopraffatto al punto tale che gli occhi gli bruciarono e si riempirono di lacrime, e strinse i denti tanto forte da farsi male.
Continuava a pensare a Pullings, al suo sguardo incredulo per la promozione ed al sorriso che gli aveva illuminato il volto subito dopo. Poi lo rivedeva tremante tra le sue braccia mentre si sforzava di non gridare e si aggrappava a lui con tutte le sue forze.
Non poteva immaginare che qualcuno potesse fargli tanto male solo per vendicarsi di lui.
Non riusciva ad ammetterlo neppure a sé stesso ma quella nuova rivelazione lo faceva sentire ancora più colpevole nei confronti del suo secondo.
La rabbia si tramutò in dispiacere, ed il dispiacere nell’angoscia profonda di rivederlo per accertarsi che fosse ancora vivo.
Risalì i ponti a grandi falcate ed entrò nella cabina senza bussare.

Con sua enorme sorpresa, Tom era più dritto nella branda. Era ancora terribilmente pallido, ma aveva gli occhi aperti. Vedendolo entrare il suo volto smagrito venne illuminato da un sorriso che parve cancellare ogni traccia di sofferenza: “Signore!” lo salutò con voce arrochita e spenta, ma non meno gioiosa.
 

Jack si era allontanato da pochi minuti e Stephen aveva appena riadagiato Pullings nella sua branda quando accadde l’imprevedibile.
Il respiro del giovane comandante accelerò all’improvviso e cominciò ad agitarsi sotto le coperte, nel tentativo apparente di togliersele di dosso.

Maturin scattò subito e accorse al suo fianco: “Calmo, Tom. Non vi agitate: potreste riaprire la ferita.”
Non appena le sue mani si posarono sulle spalle nude del ferito si accorse che aveva iniziato a sudare profusamente. Gli occorse un momento per capire che, no, i suoi sensi non lo stavano ingannando: era iniziata la defervescenza.
“Tranquillo, Tom. Vi aiuto io.” Con pochi gesti precisi liberò il ferito dalle coperte in cui si era attorcigliato e le gettò a terra, lasciandolo con solo un lenzuolo attorno ai fianchi e sulle gambe per rispetto al suo pudore.
Pullings si accasciò ansimando sul guanciale e Stephen prese a tamponare il suo corpo sudato con una spugna bagnata, per dargli sollievo dal calore.
Si concentrò sul volto ed il collo, dove sapeva per esperienza veniva percepita una maggiore sofferenza.
Di lì a poco ebbe un’altra, ancor più gradita sorpresa.

Il giovane, pur comprensibilmente disorientato, aprì gli occhi e gli si rivolse con voce flebile: “Dottore? Siete voi?”
Sorridendo amabilmente, Stephen gli scostò una ciocca di capelli dalla tempia: “Sì, mio caro. Sono proprio io. Come vi sentite?”
“Stanco.” Sussurrò Pullings e aggiunse, deglutendo a fatica, “Ho molta sete.”
Il medico gli sollevò la nuca dal cuscino e gli accostò la tazza alle labbra, aiutandolo a sorbirne lentamente il contenuto prima di farlo stendere di nuovo.
Lo osservò con attenzione: era pallido e sembrava ancora molto debole ma, per la prima volta da che lo aveva rivisto, pareva essere lucido.
“Volete che vi aiuti a tirarvi un po’ su?” gli chiese, vedendolo un po’ sacrificato in posizione sdraiata.

Il comandante parve esitare un momento e una mano gli scivolò sulla ferita come a proteggerla, poi però annuì debolmente.
Maturin gli fece passare un braccio intorno alle spalle e, con l’altra mano, gli sorresse il fianco mentre lentamente lo tirava a sedere.
Nonostante tutte le precauzioni, la procedura non fu comunque indolore e una serie di lamenti soffocati arrivò comunque all’orecchio del dottore, che riadagiò il ferito sui cuscini con la massima cautela, aiutandolo poi a coprirsi con il lenzuolo.
Il volto pallido del comandante aveva assunto una tonalità grigiastra, i masseteri erano contratti e la fronte imperlata di sudore freddo. Stephen intinse una pezzuola nella bacinella e, dopo averla strizzata, l’usò per tergergli viso e collo, suscitandogli un sospiro di sollievo.

Aveva appena strizzato di nuovo la pezza quando una serie di passi pesanti annunciò una figura di notevoli dimensioni in avvicinamento.
Poco dopo un tesissimo Jack Aubrey piombò nella cabina, per arrestarsi di colpo incrociando lo sguardo del suo secondo, il cui volto si distese in uno di quei suoi sorrisi tanto allegri da illuminare lui e chi lo circondava: “Signore!”, lo accolse con gli occhi lucidi.
 

La rabbia che aveva pervaso l’animo di Jack si dissolse come neve al sole mentre attraversava il breve spazio che lo separava dalla branda di Pullings.
Notò con la coda dell’occhio che una mano del giovane giaceva abbandonata sul lenzuolo al suo fianco, mentre l’altra era posata sul suo ventre. Senza soffermarsi a ragionare sull’appropriatezza o meno del suo gesto coprì quest’ultima con la sua e le diede una stretta calorosa, attento a non pesarsi sulla ferita per non procurargli dolore.
Senza interrompere il contatto, ricambiò il sorriso commosso del suo secondo: “E’ bello vedervi sveglio, Tom.”
“Grazie, signore.” Ed era davvero un bel cambiamento vedere i suoi denti bianchi comparire tra le sue labbra distese per la felicità e non contratte per il dolore.
“Come vi sentite?”
“Un po’ acciaccato, signore. Ma sono ancora vivo.”
“L’importante è quello. Il dottore dice che vi rimetterete completamente.” Dovette interrompersi, sopraffatto dalla commozione che gli spezzò la voce, ed abbassò gli occhi perché gli si stavano inumidendo.
“E’ stato così brutto?” Chiese il giovane, con un filo di voce.

Aubrey non rispose, ma Stephen annuì: “Cosa ricordate?”
“Ricordo... dolore. Dal petto, alla pancia e fin sotto il ginocchio mi sembrava di andare a fuoco. Sembrava che mi stessero avvolgendo le budella con l’argano come il cavo di un’ancora. Non so se mi spiego.” Ansò, e quel paragone suscitò nel capitano una risata, a cui rispose con un sorriso prima di proseguire “Ricordo Higgins che mi frugava dentro per cercare la pallottola, ma senza riuscirci.” Deglutì “Dopo avermi ricucito gli tremavano talmente le mani che non riusciva a bendarmi. E così... ho fatto da solo. Poi più nulla. Ricordo delle voci, dei volti, e quel dolore fortissimo che non ne voleva sapere di smettere. Il resto è buio.”
“Abbiamo rischiato di perdervi.” Confermò Stephen “Eravate davvero in una brutta situazione quando siamo arrivati. Ma, grazie a Dio, ora state meglio.”
Pullings gli rivolse un sorriso divertito da sopra la spalla di Jack: “Anche grazie a voi, dottore.”
Stephen sorrise di rimando e gli fece un breve inchino: “Ho fatto il possibile.”
Notando che la voce del giovane si era arrochita di nuovo, Aubrey gli versò una tazza d’acqua e lo aiutò a sorbirla a piccoli sorsi.
Era ormai evidente che Pullings stesse lottando per restare sveglio: il viso gli si era fatto più disteso, le palpebre scivolavano pesanti sui suoi occhi stanchi, e la sua testa era pesante tra le mani del suo capitano quando la depose con delicatezza sul cuscino.

Stephen stava per invitare Jack ad allontanarsi per lasciar riposare il suo paziente, quando quest ultimo rivolse al loro un’ultima domanda: “Come ci avete trovati?”
Aubrey rivolse lo sguardo verso l’amico, che annuì con un sospiro rassegnato: “Fa’ pure, intanto che è sveglio e tranquillo.”
Prima di rispondere, però, Jack bagnò di nuovo la pezzuola e continuò a passarla sul viso del suo ufficiale mentre gli parlava: “Abbiamo seguito quella che ipotizzavo fosse la vostra rotta. Purtroppo una tempesta ci ha costretti a deviare, ma appena si è calmata abbiamo ripreso la ricerca. In realtà, vi abbiamo raggiunto più facilmente del previsto: pensavo foste molto più a Sud.”
Fu di nuovo il turno del giovane comandante di sorridere: “Quella sera, una volta sedata la rivolta, sono riuscito a calcolare e tracciare una rotta per intercettarvi, prima di svenire.”

Pullings esalò le ultime parole con un sospiro e crollò sul cuscino, ansando leggermente, gli occhi chiusi.
Aubrey avrebbe voluto parlargli ancora a lungo, raccontargli della discussione con Palmière, complimentarsi con lui della vittoria, ma vedendolo così provato si risolse di attendere finché non fosse stato più in forze.
Non avrebbe avuto comunque la possibilità di farlo in quel momento: il comandante si era addormentato appena aveva posato il capo sul cuscino.
A differenza dell’incoscienza tormentata dei giorni precedenti, tuttavia, il suo volto era sereno e rilassato, il respiro lento e regolare. Un vero sollievo dopo i lunghi giorni di angoscia e sofferenza.

Qualche ora più tardi Aubrey tornò sulla Surprise con il cuore più leggero.
Si recò direttamente nella sua cabina ed iniziò a ribaltare casse e cassetti alla ricerca di un oggetto particolare. Alle sue spalle, Killick ebbe un bel da fare a raccattare roba a casaccio ed imprecargli dietro, lamentando un disordine a suo parere indegno di un ufficiale ed accusandolo di stare trasformando il suo alloggio in una stalla.
Sordo alle sue proteste, Jack non si diede pace finché non trovò quello che stava cercando. Lo raccolse e se lo mise sotto braccio.
Uscì dalla cabina rapido come vi era entrato, diretto all’officina del fabbro di bordo.
  
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