Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: platinum_rail    15/07/2020    2 recensioni
Sono passati quattro mesi dalla fine della Guerra dei Titani.
Percy ed Annabeth salvano Piper, Leo e Jason al Grand Canyon, senza sapere che avrebbe significato l'inizio di una nuova guerra.
Percy scompare la notte successiva, ma quando mesi dopo arriva al Campo Giove non ha perso la memoria. Ha un passato diverso da quello che conosciamo, e dei poteri incredibilmente pericolosi.
(IN FASE DI RISCRITTURA)
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson, Percy/Annabeth, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
So che per certi versi è simile all'originale, ma avevo bisogno che fosse così.
Spero che vi piaccia, buona lettura.

Requiem 

Jason stava camminando freneticamente avanti e indietro per il ponte da così tanto tempo che Percy dovette distogliere lo sguardo, per preservare l’ultima e precaria traccia di calma che gli era rimasta.
Il figlio di Giove si fermò per un istante: -Ricapitolando. –
Percy alzò lo sguardo stanco su di lui, aspettando passivamente che parlasse.
-La dea della rabbia ti ha rapito e portato solo gli dei sanno dove per cercare di portarti dalla parte di Gea? –
Percy sospirò, passandosi le mani sul viso con frustrazione.
-Sì. – riuscì a dire solamente.
Il loro viaggio era ricominciato non appena Jason e Piper avevano rimesso piede sulla nave. E purtroppo, in poche ore, il sole era scomparso. La nebbia li aveva circondati completamente, fitta e densa abbastanza da impedirgli di vedere qualunque cosa oltre la testa di Festus a prua.
Annabeth era al fianco di Percy, e gli stava accarezzando delicatamente la schiena cercando di rassicurarlo. Seduti a semicerchio intorno a lui c’erano tutti gli altri, compreso Hedge, e tutti loro osservavano Percy con apprensione.
Percy si era svegliato ancora steso sul ponte della nave, e la prima cosa che aveva sentito era stata la voce di Annabeth che chiamava disperatamente il suo nome. Frank e Leo lo stavano scuotendo cercando di svegliarlo, mentre Hazel lo guardava spaventata e con una bottiglia di nettare nella mano tremante.
Doveva essere rimasto svenuto per poco tempo, nonostante gli fosse sembrata un'eternità. Ma dopotutto, non sapeva nemmeno se fosse stato tutto un sogno o dove Lissa lo avesse portato.
Percy stava bene, fisicamente.
Eppure, da quando si era svegliato sentiva ancora il tocco rovente di Lissa addosso, la sua voce che ad ogni istante lo portava più vicino alla pazzia. Aveva impresse a fuoco nella testa le immagini orripilanti che la dea gli aveva mostrato. Lo aveva terrorizzato in modo troppo profondo e mirato perché lui potesse ignorarlo.
Si sentiva mentalmente fragile, sull’orlo di perdere il controllo.
Percy ancora una volta si chiese a quanti millimetri fosse dal perdere completamente il lume della ragione.
-Vuoi mangiare qualcosa? – gli chiese dolcemente Annabeth.
Percy si voltò a guardarla, cercando di addolcire il suo sguardo: -Non ti preoccupare Annie. –
Il ragazzo si voltò a guardare i suoi compagni, i quali gli rivolsero dei sorrisi incoraggianti.
Il figlio di Poseidone forzò un sorriso a sua volta: -Mi dispiace di avervi fatto preoccupare. –
Jason finalmente si sedette, ma continuava a studiare Percy con attenzione.
Percy ricambiò il suo sguardo quasi sfidandolo ad aggiungere qualcosa.
Il figlio di Giove infatti parlò: -Il problema è che hanno cercato di manipolarti. Potrebbero riprovarci. –
Percy sbuffò, incominciando a picchiettare nervosamente le dita sul tavolo:
-Potrebbero. Ma non ce l’hanno fatta ora, e non ce la faranno nemmeno la prossima volta. O stai insinuando che non ti fidi di me? –
Jason si accigliò: -No, ma... -
-Abbiamo problemi più gravi al momento. – tagliò corto il figlio di Poseidone, rizzando la schiena. -La nostra priorità è arrivare a Roma, poi dobbiamo aiutare Annabeth a partire per la sua missione, trovare Nico e uccidere i due giganti. –
-E dovremmo farlo in fretta. – mormorò Hazel. -Nico ha poche ore di vita, e noi siamo la sua unica speranza. –
Percy annuì grave, e per un secondo calò il silenzio nella stanza.
Questo finché Leo non si schiarì la voce.
-Non vorrei suonare irrispettoso… - cominciò, e subito tutti quanti si voltarono a guardarlo.
-Ma…? – lo incalzò Percy, alzando il sopracciglio.
-Io penso che dovremmo pensarci più attentamente, riguardo al trovare Nico. –
Nessuno fiatò.
Hazel guardava Leo come se l’avesse appena schiaffeggiata.
-Scusami? – esclamò Percy con gli occhi sgranati dall’incredulità.
Leo si guardò intorno timidamente, deglutendo nervoso.
Ma Jason parlò prima che lui potesse continuare.
-Credo che Leo si riferisca al fatto che forse dovremmo stare attenti, e che forse non dovremmo fidarci così ciecamente. Dopotutto, per trovarlo cadremmo direttamente nelle mani dei giganti. Magari non dovremmo correre rischi inutili senza pensarci. –
-Inutili?! –
Hazel si alzò di scatto dal pavimento del ponte, guardando Jason con una rabbia che Percy non le aveva mai visto negli occhi.
-Mio fratello sarebbe un rischio inutile per voi?! –
Jason la guardò attentamente: -Hazel, stiamo solo cercando di essere prudenti. -
-Jason, per l’amor del cielo. – lo interruppe Percy. -Avete già detto abbastanza stronzate, risparmiaci. –
Jason lo guardò dritto negli occhi, e sembrava faticare a mantenere la calma.
-Percy, tu sai cosa significa dover essere al comando. Sto solo cercando di non mettere a rischio la squadra. Siamo l’unica speranza per il mondo, e se qualcuno di noi dovesse rimetterci per salvare Nico, come… -
Percy poteva essere maturo ed intelligente come persone col doppio dei suoi anni, ma non aveva ancora imparato a frenare la lingua.
-Scendi dal piedistallo Grace, non basta essere un figlio di Giove per poter comandare. Vuoi essere tu a prendere le decisioni per tutti quanti? Allora dimostra almeno di avere le palle per farlo. –
-Percy… - cercò di richiamarlo Annabeth, ma il ragazzo non sembrò ascoltarla.
Jason strinse i pugni, e sembrava sul punto di perdere la calma.
-Nico non è stato sincero con nessuno di noi, nemmeno con Hazel o con te. Ha dimostrato di non avere problemi a mentire, e di non essere leale come credevo che fosse. Perché dovrei fidarmi di lui? –
Percy lo guardava dritto in faccia. Era arrabbiato, e i suoi occhi erano insostenibili.
-Oh Jason, posso solo immaginare quanto sia doloroso scoprire che non tutti sono perfetti come te. – sibilò il figlio di Poseidone.
-Allora dimmelo tu, Percy, perché dovrei andare a salvarlo rischiando la vita di tutti gli altri?–
Percy fece per rispondere, ma Hazel lo precedette.
La ragazza guardava Jason senza timore, ma aveva le lacrime agli occhi.
-Non ci posso credere. - mormorò. -Jason Grace, il leader perfetto, il ragazzo che avrei seguito in capo al mondo… che ora vorrebbe lasciar morire mio fratello?! -
La ragazza strinse gli occhi rabbiosamente stringendo i pugni.
E poi, veloce come un lampo, si voltò e corse via.
-Hazel! – la richiamò Frank, alzandosi subito per correre da lei.
Ma Piper gli posò con delicatezza una mano sulla spalla, cercando di sorridergli:
-Frank, diamole qualche minuto per calmarsi. Puoi raggiungerla tra un attimo. –
Annabeth annuì, sospirando, prima di voltarsi verso Leo e Jason:
-Siete stati insensibili. –
Leo abbassò lo sguardo, mortificato, ma Jason sgranò gli occhi.
Sembrava incredulo:
-Ma perché qui nessuno si rende conto che potremmo non uscirne, e che magari è Nico stesso che ci sta tendendo una trappola? –
Percy si sporse verso di lui, il suo sguardo brillava pericolosamente.
-Tu nemmeno lo conosci. – ringhiò Percy. -Nico è un mio amico, e non ti permetterò di condannarlo a morte solo perché hai paura. –
Jason non mollò l’osso:
-Se non ne usciamo vivi, il mondo avrà perso la sua unica speranza di salvarsi da Gea. –
Percy, improvvisamente e inaspettatamente, addolcì il suo sguardo.
Sorrise lievemente, ma con amarezza. Il ragazzo si sfiorò la collana del Campo Mezzosangue.
-Siamo in guerra Jason. Ogni giorno potrebbe essere l’ultimo. – disse il ragazzo. -E Nico, tanto quanto il resto del mondo, merita un’occasione. –
Jason sembrò placarsi, ora che Percy aveva affievolito la sua rabbia e ostilità.
-È pericoloso rischiare così tanto per una persona di cui non siamo sicuri di poterci fidare. Sei troppo leale verso i tuoi amici Percy.  –
Percy indurì il suo sguardo ancora una volta, ma il suo lieve sorriso non scomparve.
-Hai ragione Jason. Dopotutto, è il mio difetto fatale. –
Jason gli rivolse uno sguardo attento, come se lo stesse studiando, e Percy ricambiò l’occhiata con un ghigno malizioso. Inevitabilmente, il suo sorriso furbesco contagiò il figlio di Giove.
Per un secondo la tensione tra di loro si allentò notevolmente.
Frank andò da Hazel, sottocoperta, e gli altri si godettero la ritrovata pace nel gruppo.
Percy lasciò vagare lo sguardo intorno a sé. La nebbia così fitta nascondeva ancora il mare intorno a loro.
Ma poi, percepì qualcosa.
-Secondo voi quanto manca alla costa italiana? – sentì Piper chiedere.
-Credo che manchino un paio d’ore. – le rispose Leo. -Prima del tramonto dovremmo… -
-Fermarci. – mormorò Percy agghiacciato. -Dobbiamo fermarci. -
Solo in quell’istante, si rese conto che c’era qualcosa nelle acque che stavano solcando. Qualcosa di troppo grande, e di troppo vicino.
Leo lo guardò stranito, come fecero tutti gli altri: -Amico, tutto… -
Percy scattò in piedi, spalancando gli occhi e allargando le braccia.
-Fermiamoci! – urlò, fermando bruscamente la nave con la sola forza del pensiero.
Ma non aveva fatto in tempo.
Un’altra nave sbucò dalla nebbia e li speronò di prua.
 
Percy riuscì a registrare ogni singolo particolare dell’altra nave nel millesimo di secondo precedente al disastro che ne conseguì.
Era una trireme enorme, con le vele nere e il corpo femminile e precisamente scolpito di una gorgone come polena.
A bordo si intravedevano le enormi figure umanoidi di strane creature ancora nascoste dalla nebbia. Il sartiame venne gettato sull’Argo II, per fare da ponte ai loro aggressori.
Percy e gli altri rischiarono di essere sbalzati fuori bordo dall’impatto, e lui si ritrovò a stringersi con forza al bordo per non cadere in mare.
Il ragazzo fece in tempo a rimettersi in equilibro sulle proprie gambe, prima di rendersi conto che erano già stati completamente circondati.
Gli invasori erano decine di pirati umani con gli arti o la testa da delfino. Erano armati fino ai denti, e avevano già occupato gran parte del ponte.
Quasi meccanicamente, Percy ed Annabeth si misero schiena contro schiena come avevano sempre fatto in battaglia.
Il figlio di Poseidone non sguainò la spada, ma aveva i muscoli tesi e pronti a scattare e la mano vicino alla tasca. Se lo avessero attaccato credendolo disarmato, Percy li avrebbe colti di sorpresa.
Ma Leo non era della stessa idea:
-Festus! –
Percy si voltò improvvisamente verso di Leo, che aveva appena tentato di richiamare l’attenzione del drago di bronzo.
Un pirata alle spalle del figlio di Efesto, quasi con stizza, lo colpì alla testa con una mazza, e lui cadde svenuto ai suoi piedi.
Jason e Piper immediatamente si agitarono cercando di correre ad aiutarlo, ma vennero bloccati da quattro di quelle creature bizzarre, che sembravano abbastanza forti per immobilizzarli senza sforzo.
Percy li guardò ferocemente, e il suo corpo si tese, pronto ad attaccare.
Ma Annabeth, quasi come se gli avesse letto nel pensiero, gli strinse il polso.
-Non farlo. – sussurrò, la sua voce così fievole che Percy a malapena la sentì. -Se mettono anche noi fuori gioco prenderanno la nave. –
Il ragazzo rivolse un ultimo sguardo a Piper e Jason, che avevano rinunciato a lottare per liberarsi dai pirati. Doveva tirare i suoi compagni fuori da quella situazione.
Poi tornò a guardare di fronte a sé, osservando calcolatore i loro aggressori.
Si concentrò, pronto ad ordinare al mare di abbattersi su di loro e sulla loro nave, di distruggerla ed annegarli.
Ma Percy si rese presto conto con indignazione che il mare non rispondeva ai suoi comandi.
C’era una forza, selvaggia e antica, che sembrava opporsi al suo volere, che gli strappava il controllo del mare.
E il figlio di Poseidone ebbe modo di scoprire cosa fosse.
Improvvisamente, si materializzò sul ponte un uomo in armatura, che si avvicinò a loro ridacchiando.
Percy si tese inevitabilmente, e lo osservò con una luce di ostile sfida negli occhi.
L’uomo era alto quanto lui, e il suo viso e corpo erano interamente nascosti sotto l’armatura d’oro massiccio. L’elmo era finemente lavorato per rappresentare la testa di una gorgone, e Percy si ritrovò a sentirsi nervoso nel guardarlo. I dettagli erano talmente perfetti da inquietarlo tanto quanto avrebbe fatto una vera gorgone.
L’uomo aveva in mano una lancia, d’oro anch’essa, ma al suo fianco pendeva ancora nel fodero una lunga spada.
Annabeth alle sue spalle si voltò nel sentire il guerriero in armatura ridere.
Percy ora l’aveva al suo fianco.
-Chi sei? – chiese il ragazzo, guardando l’uomo di fronte a lui dritto in faccia, ostentando sicurezza.
L’uomo sembrò ghignare sotto all’elmo, e avanzò ancora con eleganza e scioltezza.
-È un piacere conoscerti, fratello. Io sono Crisaore, la Spada d’Oro. – disse lui.
La sua voce arrivò familiare all’orecchio di Percy in un modo inaspettato, come se fosse un suono che aveva sentito troppo tempo prima, ma che per qualche motivo gli era rimasto impresso in testa.
-Il piacere è mio, fratello. – ribatté Percy con sarcasmo. -E tu saresti qui per…? –
-Per avere tutto ciò che possiedi, Percy Jackson. – rispose con calma mortale l’uomo, e Percy digrignò i denti nel vederlo voltare il capo verso Annabeth.
Aveva bisogno di un piano. Dovevano liberarsi di quell’inconveniente in fretta, perché non avevano tempo da perdere.
Ma erano circondati da decine di uomini mutanti, e loro erano pochi semidei di cui la maggior parte già catturati.
Percy aveva avuto l’istinto di attaccare Crisaore senza aspettare un secondo di più, ma lo aveva osservato, e aveva capito che non aveva davanti un avversario qualunque.
Il modo in cui si muoveva, flessuoso eppure pronto allo scatto, il modo in cui le sue dita scivolavano vicino alla spada così velocemente da essere difficile notarlo, erano tutti aspetti di un più che abile spadaccino.
E Percy non poteva permettersi di attaccare alla cieca un opponente simile.
-Ragazzi! – tuonò improvvisamente Crisaore. -Fate il giro della nave. Prendete tutto ciò che sia di valore. Il solito, insomma. –
I delfini umanoidi eseguirono immediatamente, ma naturalmente la maggior parte rimasero radunati intorno a loro con le armi sguainate. Gli altri si muovevano frenetici scendendo sottocoperta e risalendone con casse e botti.
Percy però non vedeva né Hazel, né Frank, e sembrava che nemmeno i pirati li avessero trovati sottocoperta. Non sapeva se provare sollievo oppure angoscia.
-Dì ai tuoi tirapiedi di fare attenzione con quella roba. – esordì Annabeth con un ghigno infelice. -Potrebbero spezzarsi un’unghia… chi di loro le ha.–
Crisaore la guardò con quello che Percy pensò fosse divertimento.
-Oh ragazza, non temere. Deprediamo le navi che solcano queste acque da più tempo di quanto mi piaccia ricordare. Sappiamo quel che facciamo.–
Percy intervenne: -Carino l’elmo. E il tuo accento, mi suona familiare sai? Ho mai avuto il piacere di incontrarti? –
Crisaore emise un verso di stizza: -Temo di no. Ma io so bene chi sei, Percy Jackson. –
L’uomo si avvicinò a Jason e Piper, tenuti in ostaggio, osservandoli come se fossero gioielli preziosi. Lanciò un’occhiata anche a Leo, che era ancora a terra.
-L’uccisore di Crono, il diavolo del Campo Mezzosangue… Il semidio più potente al mondo. - disse Crisaore, quasi sovrappensiero.
-Così mi farai arrossire. – lo schernì Percy.
Crisaore ridacchiò lievemente, prima di avvicinarsi ad Annabeth: -E come sempre sei accompagnato dalla tua fedele compagna, Annabeth Chase. –
La ragazza gli rivolse un’occhiata assassina, che incredibilmente lo fece fermare lontano da lei.
-Io non accompagno nessuno, stronzo. – rispose lei. -E Percy, ha un accento familiare perché è lo stesso di sua madre. L’abbiamo uccisa nel New Jersey.–
Percy guardò Crisaore con più attenzione, e l’elmo lo aiutò a capire.
Il ricordo della stessa cadenza suadente seppur aggressiva di Crisaore gli tornò con più chiarezza.
-Tua madre sarebbe Medusa? – chiese Percy con scherno. -Pover’uomo. Posso immaginare perché ti sia ridotto ad attaccare degli stupidi ragazzini di passaggio. –
Crisaore stavolta non rise.
Anzi, Percy quasi lo sentì ringhiare.
-Sei arrogante e sfrontato come il tuo omonimo Perseo. – sibilò l’uomo. -Ma sì, è così. Sono, insieme a Pegaso, il figlio di Medusa e Poseidone. –
Percy non riuscì a trattenere la sua insolenza.
-Ah capisco. Sarà per questo che non ho mai sentito parlare di te. –
Crisaore sospirò, quasi esasperato da lui: -Temo che tu abbia ragione. Un cavallo alato è di gran lunga più affascinante. –
Percy sorrise, maligno.
Ma in quell’istante Crisaore gli puntò la lancia al collo con una velocità che stupì il semidio. Aveva avuto tempo di battere le ciglia, e si era ritrovato con la punta d’oro dell’arma dritta alla gola.
Quell’uomo era davvero veloce. Forse troppo.
-Ma non sottovalutarmi, ragazzino. – sibilò Crisaore. -Mi chiamano la Spada d’Oro per un motivo. –
Percy, come sempre, nascose il suo sgomento con il sarcasmo: -Perché sei ricoperto da capo a piedi di oro imperiale? –
Crisaore gli rispose con stizza: -Tu lo conosci come oro imperiale. Ma io sono stato il primo tra tutti a scoprirlo, l’oro incantato, e avrebbe dovuto rendermi l’eroe più grande di sempre. Ma così non è stato. –
Annabeth lo guardò attentamente:
-E quindi sei diventato un pirata. –
Crisaore sorrise: -Precisamente. Ho radunato una ciurma invincibile e da allora deprediamo qualunque sciocco che si avventuri nel Mediterraneo. –
Percy si guardò intorno, e pensò che Crisaore avesse ragione.
La ciurma era il vero problema.
Era disposto ad affrontare l’uomo in armatura, ma sapeva che nel momento in cui l’avrebbe attaccato la ciurma avrebbe probabilmente ucciso i suoi compagni. E anche nell’ottimistica opzione in cui Percy avrebbe sconfitto Crisaore, non sapeva se sarebbero mai riusciti a fronteggiare una ciurma così numerosa senza rischiare di tirare le cuoia.
Doveva liberarsi della ciurma di Crisaore.
E non poteva farlo usando la forza.
-Un vero sballo. – commentò lui. -Anche se, senza offesa, la tua è una ciurma a dir poco singolare. –
Crisaore si voltò verso i suoi compagni mutanti: -Sì, hanno avuto un piccolo incidente tanti secoli fa. Hanno rapito la persona sbagliata, e sono stati maledetti. –
Uno dei pirati dal muso da delfino emise una serie di versi acuti e gorgoglianti.
Crisaore lo scacciò con un gesto della mano: -Sì, lo so, è stato un duro colpo per loro. Ma non ha importanza. Lui non c’è. –
Percy sgranò gli occhi.
Quegli uomini sfigurati avevano paura di qualcuno, ed era qualcosa che lui poteva usare contro di loro. Qualcuno che li aveva trasformati in delfini.
Annabeth al suo fianco lo guardava attentamente, e Percy si voltò verso di lei per un secondo.
Un ricordo gli balenò in mente.
Anche lui era stato minacciato di venir trasformato in un delfino. E ricordava esattamente da chi.
Un sorriso divertito nacque sulle sue labbra, ma prima che potesse agire Crisaore prese la parola.
-Bene! – esultò. -Siete più arrendevoli di quello che mi aspettavo. Ragazzi, portiamoli via. -
Annabeth si intromise: -Portarci dove scusami?! –
Crisaore sorrise di pura cattiveria: -Beh, tutti gli altri semidei verranno venduti come schiavi o carne da macello, poco importa, e magari le due ragazze potranno venire reclutate da Circe. Per quanto riguarda voi due… -
La sua lancia venne di nuovo sollevata e puntata verso Percy ed Annabeth.
-La vostra taglia rasenta l’incredibile. Voi due verrete quindi consegnati alla dea che tanto desidera avervi… Gea, giusto? –
Annabeth stava per lanciarsi su di lui con la mano stretta sul pugnale, pronta a sguainarlo. Ma Percy le strinse il braccio con delicatezza.
La ragazza lo guardò sorpresa, la rabbia che le infiammava gli occhi, ma Percy semplicemente scosse la testa.
Crisaore li guardò stranito:
-Devo ammettere… – incominciò. -Che mi aspettavo più resistenza. Da quello che si dice, sei un abile spadaccino. Lascerai davvero che io vi porti via senza quantomeno tentare di opporti? –
Percy ghignò: -Forse non sono così bravo come dicono… -
Crisaore fece per parlare, ma Percy lo precedette.
Sospirò, con perfetta rassegnazione: -In ogni caso, siamo tutti spacciati. –
Tutti quanti si voltarono a guardarlo, i suoi amici increduli, e i pirati con scherno o pietà.
-Ah sì? – disse Crisaore trattenendo una risata.
-Avete interrotto il nostro viaggio. – spiegò Percy. -Al nostro comandante non piacerà. Ci punirà tutti, per il nostro ritardo… -
-Di che cosa stai parlando? – lo interruppe Crisaore, innervosito. -Non c’è nessun comandante qui. Abbiamo perlustrato la nave da cima a fondo. –
Percy deglutì pesantemente, fingendosi angosciato: -Lui non viaggia con noi. Il dio del vino non ha bisogno di essere presente per sapere che stiamo compiendo la nostra missione da lui assegnata. –
Non appena pronunciò le parole “dio del vino”, vide i pirati intorno a Crisaore irrigidirsi come statue. Incominciarono a fare baccano, strillando e agitandosi.
-Non dategli ascolto idioti! – urlò Crisaore. -Gli dei si sono tutti ritirati, nascosti come vigliacchi, non… -
Annabeth al fianco di Percy gli sorrise, chiaramente capendo le sue intenzioni. Percy avrebbe voluto baciarla.
La ragazza alzò il mento con fierezza: -Veniamo dal Campo Mezzosangue. Tu sai che lui è il nostro direttore, il signor Dioniso. Avete di nuovo assaltato la nave sbagliata. E pagherete il prezzo di questo inconveniente insieme a noi. -
Ormai i pirati avevano perso il lume della ragione.
Si muovevano frenetici avanti e indietro, alcuni si gettarono persino dalla nave.
-Fermatevi! – li chiamò Crisaore. -Cercano di salvarsi! Ci stanno ingannando tutti. –
Fu allora che Percy lo vide.
Nascosto dietro ad una balista, scorse Frank.
E l’idea migliore della sua vita si palesò. Avrebbe voluto abbracciare il figlio di Marye, ma cercò di trattenere un sorriso.
Si rivolse di nuovo a Crisaore.
-Tu non hai idea del disastro in cui vi siete cacciati. – disse Percy. -Non lo sentite? La sua magia ci ha già colpiti! -
Crisaore lo guardò come se fosse pazzo, e Percy si voltò a guardare direttamente verso Frank.
-Guardate! Frank si sta già trasformando in un delfino! – urlò.
Frank lo guardò per un istante con incertezza, ma Percy allargò gli occhi in modo molto eloquente.
E allora il figlio di Marte capì, e barcollò in mezzo al ponte da dietro alla balista.
Emise alcuni gemiti, e si strinse il collo come se stesse soffocando: -No… vi prego aiutatemi!–
E dopo pochi istanti, il suo viso si allungò smisuratamente in un muso argenteo, le sue braccia scomparvero e le sue gambe si fusero in un’unica pinna.
Al suo posto, sul ponte cadde un lucido delfino adulto che sbatteva la coda sul legno come impazzito.
Percy sorrise vittorioso.
E i pirati fuggirono senza attendere un secondo di più.
Si gettarono tutti in mare urlando, e nemmeno le grida di Crisaore riuscirono a fermarli.
In un istante, l’uomo si ritrovò solo.
Fu allora che Percy attaccò, sguainando Vortice e gettandosi su di lui con tutta la forza che aveva.
Ma Crisaore era veloce, forse persino più di lui, ma esattamente quanto il semidio aveva calcolato. L’uomo parò il suo attacco con la lancia, e in quel brevissimo istante riuscì a sguainare la spada d’oro e incrociarla con la sua.
Incominciarono a combattere.
Le loro spade si muovevano con tanta velocità da fischiare nell’aria, due lampi d’oro e bronzo che si infrangevano ad ogni istante. Crisaore lo attaccava, ma Percy riusciva sempre a fermarlo. Ma se Percy lo attaccava, Crisaore si difendeva senza mai fallire.
E Percy si ritrovò a provare una malsana euforia.
Quella battaglia, così spietata e mortalmente pericolosa, lo eccitava tanto da esaltarlo.
Per la prima volta dopo tanto tempo, stava combattendo con un avversario che riusciva ad eguagliarlo.
Percy cercò di sorprenderlo, tentando una finta diretta al suo stomaco.
Ma Crisaore lo fermò, incrociando le loro lame, e spingendolo all’indietro.
-Devo dire… - disse l’uomo col fiato corto. -Che i racconti non mentono… -
Percy sorrise, stringendo la presa sull'impugnatura di Vortice.
-Ti stai per caso arrendendo? –
Crisaore sembrò ghignare sotto all’elmo, i suoi occhi verdi scintillarono, e poi gli fu di nuovo addosso con una rapidità tale che Percy rischiò di non riuscire a fermarlo.
Con la coda dell’occhio il semidio vide che tutti i suoi amici erano intorno a loro, con la armi sguainate e i muscoli tesi. Frank era tornato umano, e Hazel era comparsa lì sul ponte come per magia.
Sapere che tutti i suoi compagni erano lì, illesi e uniti rassicurò Percy.
Ma il combattimento tra lui e Crisaore continuò, e il semidio si rese conto che erano troppo simili, troppo capaci, perché uno dei due prevalesse.
Percy capì che doveva usare l’unico vantaggio che aveva.
Dopotutto, lui aveva sempre saputo di non essere tenuto a giocare secondo le regole. Soprattutto in guerra.
Crisaore sollevò la spada, pronto a calarla su di lui. In uno scontro normale Percy avrebbe usato i suoi riflessi inumani per colpirlo allo stomaco ora che aveva la spada alzata.
Ma ci aveva già provato, e Crisaore era troppo veloce, aveva i riflessi troppo fulminei.
Stavolta, fece qualcosa che nessun’altro avrebbe potuto fare.
Tese la mano sopra di sé, e bloccò la lama della spada d'oro, stringendola tra le dita.
Sentì i suoi compagni sussultare alle sue spalle.
Crisaore lo guardò con pietà, quasi divertimento, ma poi una profonda incertezza gli attraversò lo sguardo.
Non c’era traccia di dolore negli occhi verdi del semidio.
Crisaore guardò la mano sinistra del ragazzo, stretta intorno alla lama affilata della sua spada. Dove la lama avrebbe dovuto affondargli nella carne stretta intorno ad essa, non c’erano ne tagli né sangue.
Un lampo di comprensione attraversò lo sguardo incredulo di Crisaore
-Tu sei stato maledetto dallo Stige… - mormorò lui.
E prima che l’uomo potesse reagire, Percy lo colpì in faccia con il pomolo di Vortice, con tanta forza da intaccargli l’elmo.
Crisaore arretrò gemendo e mollò la presa sulla sua arma, ma Percy non ebbe pietà di lui.
Lo colpì alle gambe costringendolo a cadere.
L’uomo era a terra, e il semidio gli puntò Vortice dritta al collo.
Percy gli rivolse un sorriso storto.
-Ho vinto. – mormorò il più giovane.
Crisaore boccheggiò, la punta della spada che gli premeva dolorosamente sul collo lasciato scoperto dallo stacco tra l’elmo e l’armatura.
-Solamente perché godi dei doni dello Stige. – mormorò lui, quasi con sdegno. -Ma non esserne felice. La chiamano la maledizione di Achille per un motivo. –
Percy sorrise con scherno, ma non c’era divertimento nei suoi occhi:
-Ma non mi dire. –
-Un dono come l’invincibilità ha un prezzo. – continuò l’uomo. -Scegliendo l’invincibilità, hai donato la tua anima alla guerra, e per questo sei condannato a morire in battaglia per colpa della tua stessa arroganza. –
Percy si irrigidì, ma cercò di nasconderlo.
Lui non aveva mai desiderato l’invincibilità. Lo aveva fatto per poter vincere una guerra che avrebbe distrutto il suo mondo. Per riuscire a sconfiggere Crono, per poter fronteggiare Luke. Per ucciderlo.
E ora, quello che l’uomo gli stava dicendo suonava spaventosamente giusto, ed era qualcosa a cui Percy non aveva più pensato. Lo stesso Achille lo aveva avvertito, eppure solo ora ripensava al prezzo di quella scelta.
-Tu non sai nulla di me. – rispose lui con rabbia malcelata.
-So abbastanza. So che tu cerchi disperatamente pace per il tuo tempo, ma così non è stato, nemmeno dopo che hai sconfitto il signore dei Titani. E sai perché? Perché da quando hai scelto l’invincibilità dello Stige, un’invincibilità fittizia e pericolosamente accecante, hai scelto di combattere fino alla morte… povero stolto. –
La spada premette con ancora più forza sulla pelle di Crisaore.
Percy si sentiva come se un ferro rovente gli si fosse piantato in gola.
Non rispose.
Crisaore sorrise con cattiveria: -Morire in giovane età, al culmine della propria gloria, è il destino di chi è così potente da non poter essere sconfitto. Lo è stato per tutti gli altri. E sarà anche il tuo. –
Percy continuò a tacere, gli occhi scuri come un mare senza fondo.
Achille era morto nel fiore dei suoi anni. Luke aveva appena ventidue anni quando Percy lo aveva ucciso.
Entrambi nella battaglia più importante della loro vita.
Crisaore rise del suo sguardo nervoso.
-E ora cosa farai, grande figlio di Poseidone? Mi imprigionerai? Mi consegnerai ai tuoi tanto amati dei? –
Percy lo guardò in faccia con tutta la cattiveria di cui era capace, e Crisaore sembrò perdere tutta la sua spavalderia.
-Non credo ti concederò l’onore. – sibilò il ragazzo, stringendo la presa sul manico della spada.
Non ebbe nessuna pietà. Spinse la lama con tutta la forza che aveva a penetrare la carne tenera della gola di Crisaore, finché la lama non si piantò nel legno della nave.
L'uomo tentò di urlare, ma il suono non riuscì a propagarsi, perché morì sul colpo.
 
Arrivarono a Roma.
E Percy dovette vedere Annabeth partire per la sua missione impossibile.
Ma mentre la guardava andarsene, mentre la vedeva allontanarsi da lui, pensò che lei ce l’avrebbe fatta. Aveva bisogno di credere che lei sarebbe tornata.
E nonostante non avrebbe dovuto, corse verso di lei.
Le strinse delicatamente il polso, facendola voltare.
La ragazza lo guardò sorpresa, ma sospirò inevitabilmente quando il ragazzo la baciò.
-Ci vediamo dall’altra parte. – sussurrò il ragazzo. -So che ce la farai. –
Ma nonostante la speranza e fiducia che aveva infuso ad Annabeth e a sé stesso, le cose da allora non fecero che peggiorare.
Sì, lui, Piper e Jason riuscirono ad uscire dal ninfeo, ma solamente dopo essere stati ad un passo dal morirci dentro.
Erano anche riusciti ad uccidere i due giganti, e Leo, Hazel e Frank si ricongiunsero a loro sani e salvi. Salvarono anche Nico, ma lo avevano trovato pochi secondi prima che fosse troppo tardi, e il ragazzo era in fin di vita. Percy lo aveva preso tra le braccia e non lo aveva lasciato andare finché il ragazzino non si svegliò.
Avevano pochissimo tempo per raggiungere Annabeth, ma Percy lottò con le unghie e coi denti pur di raggiungere la ragazza in tempo.
E poi, alla fine, il figlio di Poseidone dovette fare i conti con il destino più brutto al quale un semidio poteva andare incontro.
Quando trovarono Annabeth, Percy nemmeno aspettò che calassero la scaletta.
Si buttò giù, e corse verso di lei. Annabeth era rimasta a terra, tremava, e aveva lo sguardo puntato oltre l’abisso. Sembrava inorridita, terrorizzata.
Percy le si avvicinò piano, e chiamò con dolcezza il suo nome.
La ragazza si voltò improvvisamente, e Percy vide i suoi splendidi occhi d’argento riempirsi di lacrime.
-Percy… - mormorò la ragazza, e cercò di strisciare verso di lui.
Il figlio di Poseidone vide solo allora che Annabeth aveva la caviglia fasciata e inusabile.
Corse verso di lei, lasciò a terra la sua spada e si inginocchiò al suo fianco stringendole con delicatezza le spalle e la mano.
Annabeth seppellì il viso nel suo petto, e pianse.
Percy le accarezzò i capelli con dolcezza, baciandole ripetutamente la fronte.
-Sei stata bravissima Annie. – mormorò. -Va tutto bene ora. Siamo insieme… -
Annabeth annuì, e Percy si ritrovò a sorridere.
I loro compagni si radunarono intorno a loro, e Percy lesse un profondo sollievo sul viso di Annabeth.
La ragazza raccontò loro della sua impresa, e tutti rimasero affascinati dalla sua ammirevole conquista. Annabeth era stata la prima figlia di Atena a ritrovare la statua, che ora si ergeva splendente davanti a loro.
La ragazza li pregò di portare la statua lontano da lì, e tutti corsero alla nave.
E da allora, tutto degenerò in pochi istanti.
Annabeth aveva una ragnatela legata alla caviglia. Una ragnatela il cui filo cadeva fin dentro all'abisso alle loro spalle.
E nessuno lo aveva notato in tempo.
Annabeth si sentì strattonare la caviglia, e il dolore le spezzò il fiato in gola. Aveva la mente così annebbiata dal male che non si rese conto di star scivolando lontano dalle braccia di Percy.
E in quel momento, quando la ragazza venne improvvisamente strattonata e trascinata verso il baratro, Percy percepì tutti i suoi sensi scattare come molle.
Si buttò verso Annabeth, e cercò di afferrarla.
Ma la ragazza scivolò oltre il ciglio, dritta nell'abisso, e Percy fece la cosa più disperata e avventata della sua vita.
Si buttò oltre il bordo, e si tuffò verso di lei.
In un gesto dettato dalla disperazione le afferrò il braccio con la mano destra, e con la sinistra riuscì ad afferrare una minuscola sporgenza sulla roccia.
Il contraccolpo gli avrebbe dovuto rompere il braccio. Ma il suo corpo d'acciaio resse lo strappo, e lui ed Annabeth rimasero sospesi nel vuoto.
Annabeth, nonostante la caviglia sembrasse ad un passo dallo staccarsi dal suo corpo facendole tanto male da sentire le ossa della gamba gelarle, rimase ad osservare la scena sopra di lei con occhi febbricitanti.
Sentiva e vedeva gli altri ragazzi sporgersi verso di loro urlando, ma sapeva che non potevano fare nulla.
Erano caduti troppo in basso, la forza che la stava trascinando era troppo forte, e lei sapeva che nemmeno Percy avrebbe potuto contrastarla. Non per sempre.
-Percy… - mormorò delirante. -Lasciami andare… -
-No! –
Annabeth lo guardò, e nonostante avesse i capelli pieni di polvere e ragnatele e il viso teso dallo sforzo ricoperto di terra e sangue, lei pensò che fosse più bello che mai.
Il suo eroe dallo sguardo di tempesta.
Il ragazzo la stava guardando a sua volta, con disperazione, fatica e paura. Poi, anche lui alzò lo sguardo verso il bordo sopra di loro.
Là, c'erano Nico ed Hazel, il ragazzo sporto a guardarli con lo sguardo più orripilato che Annabeth gli avesse mai visto dipinto in viso.
-Nico! – urlò Percy con tutto il fiato che aveva in gola.
Il figlio di Ade rimase a guardarli paralizzato.
-Portali dall’altra parte Nico! – urlò Percy. -Ci vediamo dall’altra parte! –
Nico aveva il labbro inferiore che tremava, gli occhi spalancati all'inverosimile.
-No… Percy ti supplico non… -
-Ti prego Nico! Promettimelo! – urlò con frustrante dolore il ragazzo.
Nico lo guardò, e Annabeth lesse un dolore indescrivibile nelle sue iridi.
-Ok… - mormorò il figlio di Ade. -Lo... lo prometto… -
Percy rimase ad osservarlo per un interminabile istante, e Annabeth sospettò che avesse tentato di sorridere incorraggiante al figlio di Ade.
Poi, il ragazzo si voltò verso di lei.
-Anche io ti ho fatto una promessa… - sussurrò lui, gemendo dallo sforzo. -Non dovremo mai temere nulla… -
Annabeth annuì, e nonostante le lacrime che le scorrevano sulle guance, sorrise.
-Perché saremo insieme. –
Percy non sorrise, e non pianse.
Semplicemente, lasciò andare la presa sulla roccia e loro caddero nel Tartaro.
Il ragazzo strinse Annabeth a sé, e mentre precipitavano verso la morte lui rimase ad osservare, forse per l’ultima volta, la luce del sole che si faceva sempre più fioca e sempre più lontana.
Una voce sibilante gli rimbombò nel cervello.
Goditi il Tartaro, Eroe dell’Olimpo.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: platinum_rail