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Autore: Michele Milia    16/07/2020    0 recensioni
Frederica avvocato in carriera vive la sua vita tra alcool e documenti, il troppo lavoro le sta costando il tempo per stare con suo figlio Alexander che oramai non vede quasi più. I freni dell'auto tagliati e l'esplosione di quest'ultima sono nulla in confronto a quello a cui Frederica sta andando in contro. La donna è finita nel mirino di qualcuno, ma con tutte le persone che ha fatto finire dentro la lista dei sospettati è troppo lunga.
Genere: Avventura, Azione, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Finito di pranzare passo l'intero pomeriggio tra telefono aziendale e i, oramai maledetti, documenti del caso. 

Alla fin fine la giornata è stata tutto men che di riposo, sono abituata a ciò ma non sarebbe male avere più tempo da dedicare alla mia persona. 

Finalmente ho finito di esaminare tutti i documenti completando anche la stesura del fascicolo contenente le domande da porre all'imputato. 

La mia giornata di riposo è già finita ed anche oggi non sono riuscita a poggiarmi nemmeno un secondo sul letto, però in compenso sono riuscita a finire un'altra bottiglia di whisky, oramai è proprio diventato un problema, Alexander vorrebbe tanto che io smettessi, ma è più forte di me, il whisky per me è come se fosse caffè, mi tiene sveglia oltre che compagnia. 

Benché io non abbia chiuso occhio il sole è sorto, da bambina la mamma mi diceva sempre che se non mi fossi addormentata il sole non sarebbe mai spuntato, com'era bella l'infanzia con le sue sfaccettature.
Oggi è il grande giorno, il giorno in cui sentirò la testimonianza di Gideon Parker e lo dichiarerò colpevole. 

Vado in bagno in modo tale che possa darmi una sistemata, non penso che il trucco possa essere sufficiente, qui ci vogliono proprio delle mani esperte, oramai è già da un paio di giorni che passo la notte sveglia dietro ai vari casi... ho proprio bisogno di una settimana di riposo. 

Prometto a me stessa che alla fine di tutto mi regalerò un viaggio in Europa e mi riposerò. 

Davanti allo specchio ho paura ad alzare lo sguardo, avrò sicuramente una faccia in condizioni pietose, ripeto la routine del giorno precedente, mi faccio la doccia ed una volta uscita con un po' del mio caro amico correttore ad alta coprenza faccio sparire le borse dal mio viso, salgo in camera da letto ed indosso il tailleur blu. 

Questa mattina esco prima di Alexander da casa quindi devo fare il massimo silenzio per evitare di svegliarlo prima del dovuto. 

Mi dirigo verso l'ingresso, prendo la borsa ed esco chiudendomi la porta alle spalle, cammino verso la macchina che, ringraziando il Signor Williams, adesso è perfettamente funzionate.

Apro la portiera, salgo, inserisco le chiavi nel blocchetto d'avviamento della macchina e accendo il quadro. 

Una volta inserita la retromarcia, esco dal vialetto.

Per strada non c'è nessuno e riesco ad arrivare in tribunale prima dell'udienza. 

Parcheggio sotto l'albero di fronte al tribunale, per evitare di mettere la macchina sotto al sole e quindi rischiare l'asfissia una volta risalitaci, scendo dalla macchina dirigendomi verso l'ingresso. 

«Buongiorno Signora Thompson».

«Buongiorno».

Le guardie poste all'ingresso del tribunale mi fanno togliere tutti gli oggetti metallici che ho indosso e mi fanno posare la borsa per poterla controllare, passata sotto al metal detector mi ridanno i miei effetti personali e mi augurano un buon lavoro. 

Mi dirigo in ufficio per sistemare tutto ciò che non mi serve al suo interno. Salendo le scale è tutto un continuo salutare persone e colleghi. 

Finalmente davanti l'ufficio, cerco nella borsa le chiavi per aprirlo.

«Cavolo!».

«Signora Thompson ci sono problemi?».

«Ho dimenticato le chiavi del mio ufficio a casa».

«Non si preoccupi, ne teniamo sempre una copia per poterli pulire quando voi non ci siete».

«La ringrazio, mi ha salvato la giornata».

Il signore che si occupa delle pulizie è qui da più di dieci anni ed ancora non mi sono interessata a chiedergli quale sia il suo nome... non lo faccio per male è che solitamente ho le chiavi e quindi al di fuori del buongiorno non scambiamo parola. 

Mi apre l'ufficio e, dopo averlo nuovamente ringraziato, mi infilo dentro chiudendomi la porta alle spalle.

Devo prepararmi psicologicamente per affrontare questo caso...le domande che gli farò devono fargli confessare tutto involontariamente.

Torno a controllare i documenti, in essi, oltre ai dati della vittima e di Gideon Parker, ci sono le foto del deceduto e la foto dell'arma del delitto, un coltello. 

È arrivato il momento di scendere in campo. 

Arrivo nella sala del tribunale in cui si svolge il processo, Gideon è già seduto ed il giudice da inizio all'udienza.

«Buongiorno signor Giudice, se permette vorrei mostrare delle foto al signor Gideon Parker».

«Faccia pure».

Prendo i documenti letti fino a qualche minuto fa ed estraggo solo le foto della vittima e dell'arma.

«Lo riconosce? È Thomas Bennet, ucciso, con dodici pugnalate».

Gideon risulta ostile alla mia domanda, non vuole parlare così decido di usare un tono più minaccioso.

«Non vuole parlare? Devo rammendarle che abbiamo abbastanza prove per incastrarla anche senza continuare questo processo? Lei sa cosa vuol dire risultare colpevole per omicidio no?».

Gideon continua a non parlare è tenace, ma so come farlo parlare.

«Signor Parker, non sembra capire la situazione, ha ucciso un essere umano proprio come lei. Le daranno la pena di morte se non prova almeno a difendersi».

Non capisco perché provare a farlo difendere, è colpevole, lo sappiamo tutti. Ma il giudice mi ha costretta a spronarlo a difendersi o per lo meno a raccontare come sono avvenuti i fatti per maggiori prove. 

Gideon inizia a cedere, lo si vede dagli occhi lucidi. 

«Cosa... Cosa mi faranno? Mi uccideranno vero?».

«Se decide di non difendersi verrà accusato per omicidio e verrà ucciso mediante iniezioni letali».

«Non voglio morire».

«Allora parlami».

«Io... non posso».

Cosa vuol dire che non può... che forse stia difendendo qualcun altro? Devo farlo cadere in trappola, se non è stato veramente lui sbaglierà qualcosa mettendolo sotto pressione.

«Signor Parker dodici pugnalate inferte! Voleva essere sicuro che morisse? Ha provato rabbia? Odio? Rancore?

Il signor Bennet sanguinava! Implorava pietà! Ma lo ha pugnalato ancora e ancora e ancora!».

«La prego, la smetta non voglio rivivere quella scena».

Sta cedendo, meglio aumentare il tono della voce.

«Sappiamo che l'ha ucciso lei, perché non vuole ammetterlo?».

«Mi torturava ogni giorno, l'ho sempre aiutato quando mi chiedeva una mano ma si divertiva a farmi del male, delle volte mi faceva lo sgambetto mentre trasportavo materiali pesanti, a volte mi buttava le chiavi della macchina nel tombino e quel giorno ha preso un bastone ed ha cominciato a colpirmi, inizialmente dava dei colpetti leggeri ma piano piano mi ha colpito sempre più forte. 

Mi ha buttato a terra ed ha iniziato a colpirmi con rabbia, come se gli avessi fatto qualcosa. Poi quando ha smesso ha detto che stava scherzando. 

A quel punto non ce l'ho fatta più e non appena si è voltato distraendosi ho preso il pugnale che lui teneva sempre sulla scrivania come tagliacarte e l'ho colpito in pancia ogni colpo che gli davo mi faceva sentire meglio e così lo pugnalavo ancora e ancora! 

Poi, quando mi sono sentito meglio, ho smesso e lui era morto... c'era sangue ovunque».

Guardo Gideon stupita, non potevo immaginare che la causa di questo omicidio fosse una rabbia repressa nei confronti di chi lo ha torturato.

Però perché nessuno voleva prendersi il caso? Non mi sembra così tanto pericoloso, lo era di più quello che feci arrestare due anni fa. 

Il giudice mi guarda e mi fa segnale di sedermi, per lui basta così.

«Signor Gideon Parker, lei è accusato per omicidio e per questo la dichiaro colpevole e la condanno a morte».

«No! No!».

Gideon urla e piange allo stesso momento, tutto questo mi colpisce. Lo avrebbe potuto denunciare, lo avrebbe potuto aggredire nel momento dell'attacco e portarlo in tribunale con l'accusa di violenza... ma lo ha ucciso, in un momento in cui lui era distratto... non è classificabile come autodifesa. 

Mi dispiace. 

Continua ad urlare e poi mi guarda.

«Me lo aveva promesso. Mi aveva promesso che se avessi collaborato non mi sarebbe successo nulla».

Non so cosa rispondere, non so come comportarmi. 

Tutto ad un tratto Gideon si divincola e si libera dalla presa delle guardie. 

Si scaglia contro di me, istintivamente rimango ferma. Più che istinto forse è la paura che fa si che io non riesca a muovermi.

Di colpo uno sparo e Gideon cade a terra.

La guardia per difendermi lo ha sparato. Mi dispiace Gideon, non si sfugge alla legge. 

Tutto è finito, il corpo di Gideon è stato portato via ed io dopo essere passata dall'ufficio per prendere i miei effetti personali vado verso la macchina. 

Salgo in auto ma un foglietto sul parabrezza attira la mia attenzione. Scendo nuovamente dalla macchina e afferro quel pezzo di carta.

"I miei occhi sono sempre puntati su di te".

Sembrerebbe una frase romantica, al dir poco sdolcinata per i miei gusti. 

Stropiccio il foglio e salendo in macchina lo butto sul sedile del passeggero. 

Giro la chiave e parto, direzione casa, direzione letto.

Non c'è traffico stranamente, sono l'una del pomeriggio, dovrebbe essere l'ora di punta. 

Arrivata a casa parcheggio nel vialetto ed entro, un altro foglietto, questa volta sotto la porta d'ingresso, attira la mia attenzione.

"Tutti coloro che ti circondano alla fine di tutto non ci saranno più".

Inizio ad avere paura, mi guardo intorno prima di entrare in casa ed una volta dentro chiudo la porta mettendo anche il blocco, abbasso tutte le finestre e chiudo tutte le tende. 

Ho paura che qualcuno stia osservando i miei movimenti. 

Vado in bagno cercando di rilassarmi, mi butto un po' d'acqua fredda in faccia per riprendermi dallo shock avuto in tribunale e, dopo aver pensato al biglietto, corro in camera da letto dove nel cassetto del comodino tengo una pistola che mi è stata assegnata dopo il mio caso più importante.

Controllo che l'arma sia ancora lì e mi corico nel letto cercando di non pensare a nulla provando, finalmente, a riposarmi. 

Un rumore mi fa svegliare di soprassalto, guardo la sveglia, sono le due del mattino, è solamente il telefono che squilla, allungo la mano sul comodino e lo afferro. 

«Sconosciuto?».

Rispondo al telefono.

«Pronto?».

Silenzio... stacco la chiamata, ho troppo sonno per stare dietro a queste persone.

Il telefono squilla nuovamente. Di nuovo sconosciuto.

«Pronto? Chi sei?».

Silenzio... non è divertente, non dormo da due notti.

Se qualcuno vuole farmi uno scherzo ha sbagliato persona.

Stacco nuovamente la chiamata e poso il telefono sul comodino. Squilla nuovamente e rispondo senza vedere chi sia.

«E' la terza volta che chiami, chi sei?».

«Mamma, sono Alexander... e ti sto chiamando solo adesso...».

«Scusami Alex, ho avuto una giornataccia, ma cos'è questo baccano».

«Immagino mamma, scusa se ti chiamo a quest'ora, sono al locale e c'è una serata penso di non tornare a casa stasera, c'è troppo afflusso di gente, e penso di fare orario continuato».

«Devi riposare almeno un pochino Alex».

«Tranquilla mamma, con tutta la gente a cui devo dar conto manco ci penserò al fatto che sia stanco».

«Mi raccomando Alex, prima di rimetterti in viaggio per tornare a casa riposati un pochino».

«Certo mamma, tranquilla. Buona notte».

Stacco il telefono e lo poso sul comodino, aver sentito la voce di Alex mi ha tranquillizzata. Il telefono squilla nuovamente.

«Alex?».

Silenzio... poi tutto ad un tratto sento in sottofondo lo stesso baccano che sentivo al telefono con Alexander. Guardo il telefono.

«Sconosciuto... chi sei? Cosa vuoi da me?».

Il baccano si sente sempre più forte, poi una voce lontana mi è familiare.

«Salve, cosa desidera?».

È la voce di Alexander.

«Alexander Scappa!».

Prima che potessi parlare la linea cade. 

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