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Autore: mask89    17/07/2020    10 recensioni
«Ah, ero convinta che te lo avesse dato Satana in persona. Normalmente, gli stronzi finiscono all’inferno e non in paradiso.»
«Bhe, sai, alla fine le mie buone azioni hanno prevalso sulla mia, come la chiami tu, stronzaggine.»
«Evidentemente, qualcuno doveva essere visibilmente ubriaco, per prendere una decisione del genere. Ero convinta che Minosse ti avesse spedito dritto nel girone dei lussuriosi!»
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jiraya, Tsunade | Coppie: Jiraya/Tsunade
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Unmei no akai ito - Il filo rosso del destino
 
 
La missione era stata un autentico successo. Tutti i criminali erano stati assicurati al braccio lungo della giustizia. Doveva sentirsi soddisfatto ed in parte lo era; ma, nel profondo del suo cuore, albergava un malessere che non riusciva a farlo sentire pienamente felice, pago. Eppure, aveva tutti i motivi di esserlo. Aveva sventato il piano di un pazzo criminale, recuperato il suo posto da direttore dell’agenzia per cui lavorava, buttato fuori, letteralmente, l’impostore che aveva preso il suo posto e regolato i conti con tutti i suoi detrattori. Un autentico successo su tutta la linea. Eppure, la soddisfazione tardava ad arrivare. La realtà era che, il senso di colpa, lo stava divorando ed aveva una fisionomia ben precisa. Le forme di una donna di cinquant’anni, prosperosa, dagli occhi color ambra e dai capelli biondi. Non era la prima volta che si fingeva morto; in passato aveva partecipato ad alcune missioni sotto copertura, dove morire, o per lo meno fingerlo, era stato parte integrante del piano; ma, usare la sua vera identità non gli era mai capitato e, ora, ne avvertiva chiaramente tutte le conseguenze. Con che faccia si sarebbe presentato da lei? Con che stato d’animo avrebbe affrontato la sua reazione? E poi, cosa dire? Ehi Tsunade, era tutta una messa in scena, sono vivo e non mi sono mai sentito meglio! La conseguenza più lieve, di tale battuta, sarebbe stata che non gli avrebbe rivolto la parola per il resto della sua vita; la peggiore, avrebbe portato a compimento il lavoro di trent’anni prima, ovvero lo avrebbe ucciso con le sue stesse mani. Si mise a compilare tutte le scartoffie, che gli capitavano sottomano, per non pensare alla situazione; ma era inutile, ogni singola parola che scriveva, ogni singola frase che leggeva, non facevano altro che rimandare, inspiegabilmente, alla donna al centro dei suoi pensieri. Gettò la penna stilografica, che tanto amava e che era stata amica di tante avventure di carta, contro il muro, in un impeto d’ira. Ripiegare sul lavoro era inutile. Inoltre, nella sua mente, continuavano a rimbombare, ossessivamente, le parole pronunciate dalla sua allieva preferita: le vuole molto più che bene! Sbuffò e si lasciò andare di peso contro il morbido schienale della poltrona, che lo accolse come un vecchio amico.
Se voleva uscire da quell’impasse aveva solo una cosa da fare, un'unica opzione: incontrarla! Anche a costo di morire. Si alzò di scatto e uscì dall’ufficio. Il lavoro, per quel giorno, avrebbe atteso.
La doccia, che di solito lo aiutava a schiarire le idee, quella volta non era stata molto di aiuto. 
Tutt’altro. Quella ridda di pensieri si era fatta ancora più intensa, provando, ulteriormente, il suo cervello, già messo a dura prova da giorni non, assolutamente, facili.
Si guardò allo specchio della camera da letto; nonostante avesse passato da un bel po’ i cinquanta, poteva ritenersi ancora un bell’uomo, piacente e le sue innumerevoli conquiste, anche molto più giovani di lui, ne erano una prova tangibile. Eppure, avrebbe rinunciato a tutto quello, per avere l’amore incondizionato di una sola donna. Si sarebbe astenuto da tutto il sesso del mondo, da tutte le scopate occasionali, solo per stringerla una sola volta fra le sue braccia. Evidentemente, lei e il suo fato, non la pensavano allo stesso modo. Passò la mano sulla brutta cicatrice che aveva sul petto, memoria e monito che, in una missione, non si deve dare nulla per scontato. Si diresse verso l’armadio, alla ricerca di un capo d’abbigliamento, che lo facesse sembrare vagamente umano e non uno zombie. Rimase un po’ di tempo a fissare i vari abiti, ma il suo cervello si rifiutò di assemblare qualcosa di decente. Poi, un’epifania. Perché non fare affidamento sulla “Jiraiya”? La tecnica di seduzione che lo aveva reso famoso; ideata quando era ancora un cadetto all’accademia e che, successivamente, aveva fatto usare, svariate volte, al protagonista della sua fortunata serie di libri per conquistare varie donne. Oltre all’abbigliamento, contemplava un comportamento alquanto spregiudicato, per far cadere ai propri piedi la preda; solo che, lo scopo ultimo di quella serata con Tsunade, non era quello di portarla a letto; non ci sarebbe mai riuscito, ma almeno gli avrebbe dato un aspetto decente, adatto a qualsiasi contesto.
Prese un pantalone elegante nero dall’armadio ed una maglietta a maniche corte del medesimo colore; notò, con suo piacere, che metteva in risalto la sua muscolatura ancora abbastanza atletica; successivamente, passò in rassegna le giacche presenti, scelse una bianca, che ben si coordinava con i capi precedentemente indossati. Si rimirò, finalmente aveva assunto un aspetto vagamente accettabile, almeno secondo i suoi standard. Si recò in cucina e cominciò a passare in rassegna la sua collezione di superalcolici, che custodiva gelosamente in un angolo ben nascosto del mobile. L’occhio cadde su un Junmai Daiginjo, abbozzò un sorriso. Era perfetto. Non ci poteva essere miglior tassello finale per la sua tattica. Lo aveva conservato per un’occasione speciale e quella, in qualche modo, lo era. Uscì di casa; ma, prima di chiudere la porta, gettò uno sguardo al suo appartamento da scapolo incallito; deglutì a vuoto, sperò ardentemente che quella non fosse l’ultima occhiata al suo nido, che lo aveva accolto sempre benevolmente. Decise di andare a piedi, dopotutto la casa di Tsunade era a soli quindici minuti di cammino dalla sua; per di più, nonostante fosse giugno inoltrato, un venticello leggero, che smorzava la calura estiva, rendeva la serata perfetta per fare due passi. Inoltre, sperava che, quell’attività muscolare, gli avrebbe schiarito le idee. Attraversò il parco che sorgeva nel cuore della città. Una fragranza inebriante colpì il suo olfatto. Si fermò per cercare di capire da dove provenisse quel piacevole profumo. Si lasciò guidare dal suo naso, che lo condusse ad un roseto. Rimase meravigliato nell’osservare quel tripudio di colori. Una rosa lo colpì particolarmente; era rossa con delle sfumature gialle sui bordi dei petali. La tastò delicatamente, era morbida e vellutata al tatto. Si guardò intorno furtivo e, non con poca difficoltà, la colse. La fece girare, con tutto il tatto di cui era capace, fra le sue dita; sorrise, era un esemplare con i fiocchi. Se quella sera lo avesse aiutato a sopravvivere, l’avrebbe inserita nella “Jiraiya”; sarebbe stata l’evoluzione della sua tattica di seduzione, la “Jiraiya 2.0”.
Era davanti alla porta di casa di Tsunade e non si sentiva per nulla tranquillo. Altro che schiarirsi le idee, si sentiva più confuso che mai. Tutte quelle che gli erano venute, ora, gli sembravano futili e pretestuose; tutte le parole e le frasi, che aveva attentamente pesato nella sua mente, gli sembravano vacue e fuori luogo. Tutta la sua esperienza da scrittore, di discreto successo, sembrava essersi volatilizzata. Avvertiva un nodo all’altezza della gola, che gli impediva di articolare alcun suono. Avvertì i palmi delle mani umidi a causa del sudore freddo. Neanche nella più difficile delle sue missioni aveva provato delle sensazioni simili. Spostò lo sguardo sulle finestre della casa, sperando che non rivelassero la presenza della donna all’interno; ma, purtroppo per lui, dalle tende filtrava della luce, chiaro indizio della presenza di qualcuno all’interno dell’abitazione. Per un attimo fu tentato di scappare, di mettere più metri possibili fra lui e quel posto, ma la sua coscienza lo fece desistere; l’idea di essere un vigliacco lo faceva sentire l’essere più infimo sulla faccia della Terra. Salì i gradini che portavano all’uscio poi, lentamente, alzò il braccio, per poter suonare il campanello. Pigiò il tasto; come disse Giulio Cesare, sulle sponde del Rubicone, “Alea iacta est”. Il rumore dei passi, reso più cupo dal pavimento in legno, lo mandò in fibrillazione. Si impose di ripensare a tutto il suo addestramento, per recuperare un minimo di sangue freddo e lucidità; sembrò funzionare. Sentì i battiti del suo cuore ritornare ad un ritmo normale. Lo scatto della serratura lo distolse da quei pensieri. La guardò e si sentì davvero un verme. Aveva gli occhi gonfi e rossi; i capelli, che erano sempre in perfetto ordine, scarmigliati ed il viso era visibilmente scavato. Vide passare sul suo volto una sequela di emozioni che andavano dal puro sconcerto, all’incredulità, per poi giungere ad una agghiacciante consapevolezza. Istintivamente si avvicinò per abbracciarla, ma la donna fu più lesta; lo colpì in pieno viso, con un potente schiaffo.
«Sei un grandissimo stronzo. Un fottutissimo bastardo, che si diverte a calpestare i sentimenti delle persone.»
Restò in silenzio a incassare quelle dure parole, accompagnate dai pugni che si infrangevano sul suo petto. Sentiva di meritare pienamente quegli appellativi che gli venivano rivolti. Era conscio di averla ferita, quel risentimento era più che giustificato. Fece sfogare tutta la sua frustrazione, glielo doveva; quando sentì il suo attacco scemare, l’abbracciò. Avvolse il capo della donna con la mano sinistra e, delicatamente, lo fece appoggiare sulla parte sinistra del suo petto, all’altezza del cuore. La udì sussultare e piangere. Dolcemente le accarezzo la schiena.
«Mi dispiace.»
«È tutto ciò che hai da dire? Sappi che non mi basta.»
«Lo so. Pensi che queste due cose, siano abbastanza sufficienti per permettermi di entrare in casa?” Mostrò la bottiglia di sakè e la rosa che aveva nella mano destra.
Tsunade rimase un attimo interdetta nel vedere i due oggetti che Jiraiya le aveva portato. Era contenta per la bottiglia; a primo impatto le sembrò una molto costosa, anche se l’istinto le suggeriva di rompergliela in testa, visto il suo comportamento. Ma, la cosa che la lasciò alquanto perplessa, era la rosa. Un esemplare magnifico, che emanava un profumo delizioso, intenso, talmente corposo da riempire le narici, ma, al tempo stesso, delicato. Prese il fiore tra le mani e lo rimirò affascinata.
«Penso che ti sia guadagnato una chance.»
Jiraiya ringraziò mentalmente la sua buona stella, per avergli fatto scoprire quel roseto nel parco. Era ufficiale, quella sottospecie di verdura, causa di molti attacchi di allergia, sarebbe entrata di diritto nella sua tattica di seduzione per eccellenza. 
Si avviò verso il salone con la Junmai Daiginjo ancora tra le mani; la guardò stranito, non gli era stata ancora, inspiegabilmente, requisita. Si sedette sulla poltrona e poggiò il liquore sul tavolino. Cominciò a meditare sulle parole da dire. Sapeva, per esperienza diretta, che quanto detto poco prima dalla donna corrispondeva al vero. Gli avrebbe concesso una sola opportunità e avrebbe fatto meglio a giocarsela al massimo delle sue capacità. La sentì avvicinarsi; con la coda dell’occhio, la vide appoggiare due bicchieri da vino sul tavolinetto. Lo squadrò a lungo prima di sedersi difronte.
«Per essere tornato dall’oltretomba, ti vedo abbastanza in forma, anche leggermente ingrassato.» Ironizzò.
Jiraiya si limitò ad osservarla in silenzio. Conosceva bene quella tattica, farlo innervosire in modo tale da abbandonare la conversazione. Ci era cascato un sacco di volte, ma non quella sera. Era lì per farsi perdonare e, chissà, anche per altro. Le parole di Sakura, la sua allieva preferita, gli infondevano un coraggio che, sentimentalmente parlando, mai aveva avuto prima nei suoi confronti.
«Hai ragione!» Si toccò l’addome. «Però, in una bara non c’è abbastanza spazio per fare movimento.» Aprì la bottiglia di sakè e versò il liquido nei due calici, per poi farli leggermente roteare a spirale. Smesso quel movimento, aspettò diverso tempo prima di passare il bicchiere alla bionda; in modo tale che, la fragranza, col trascorrere del tempo, si sarebbe fatta sentire in tutta la sua potenza, così da poter gustare appieno il sapore. La guardò sottecchi; l’espressione in volto era compiaciuta, chiaro sintomo che si stava procedendo bene con il trattamento della bevanda. Era sicuro che, quella vecchia volpe, conoscesse molto bene quel tipo di sakè. Ora si spiegava il motivo per cui non glielo aveva strappato dalle mani, voleva metterlo alla prova. Stava cercando di capire se il suo “regalo” era casuale o ragionato. Le passò il bicchiere. La fissò mentre, lentamente, lo gustava. Nonostante non fosse propriamente in tiro, era magnifica come sempre. Per un attimo desiderò essere quel freddo vetro, solo per poter saggiare la consistenza di quelle labbra. Buttò giù, tutto in un sol colpo, la sua porzione. Non era il momento di pensare a certe cose, era lì per altro.
«Piaciuto questo omaggio paradisiaco?»
«Ah, ero convinta che te lo avesse dato Satana in persona. Normalmente, gli stronzi finiscono all’inferno e non in paradiso.»
«Bhe, sai, alla fine le mie buone azioni hanno prevalso sulla mia, come la chiami tu, stronzaggine.»
«Evidentemente, qualcuno doveva essere visibilmente ubriaco, per prendere una decisione del genere. Ero convinta che Minosse ti avesse spedito dritto nel girone dei lussuriosi!»
«E mi sarebbe anche piaciuto!» Fece una pausa, nel mentre versò altro sakè nei due bicchieri. Bevvero. «Che ne dici di smettere con le stronzate e di cominciare a parlare da persone adulte?»
«E di cosa vuoi parlare? Del fatto che ti sei finto morto? Che non mi hai detto nulla? Che quando sei tornato alla ribalta, tutti lo sapevano, tranne la sottoscritta?»
«Tsunade, non era mia intenzione fare una cosa del genere, tenerti all’oscuro di tutto, ma le circostanze lo richiedevano. Mai avrei pensato di usare la mia identità, ma gli eventi esigevano questo prezzo. Era in gioco la sicurezza dell’intero Paese. Però, credimi se ti dico che la nazione passava in secondo piano, rispetto ad un’altra cosa…»
«Cioè?»
«Tu!» Per un attimo fu compiaciuto dallo sguardo spaesato, ma allo stesso tempo sorpreso, della donna. Cercò di ritrovare quella fermezza e quel coraggio, che lo avevano sostenuto fino a poco prima. «Ero sorvegliato e spiato costantemente, tutto il giorno, senza soluzione di continuità. Fingere di morire, era l’unica opzione possibile, per muoversi liberamente. Inoltre, era sotto osservazione anche la cerchia delle persone che frequentavo. Non potevo rischiare che ti potesse succedere qualcosa, per nessuna questione al mondo! Ora comprendi il mio silenzio?» Si versò dell’altro sakè e lo bevve tutto di un fiato. Vide la donna fargli cenno di versarne dell’altro, anche nel suo bicchiere.  Stranamente, si sentiva leggermente stordito, nonostante, per i suoi standard, non avesse ingerito tanto alcool.
«Mi dispiace, io…io non credevo che fossi coinvolto in una cosa simile. Saperti morto e poi vederti sui telegiornali vivo, mi ha scombussolata. Il non essere venuto da me, alla prima occasione utile, mi ha fatto infuriare. Perché?»
«Perché ho avuto paura!»
La vide sgranare gli occhi per la sorpresa. Quella rivelazione, uscita all’improvviso, era dura da digerire anche per lui. Il grande Jiraiya, l’agente con la più alta percentuale di missioni riuscite, che non si tirava indietro dinanzi alle difficoltà, lui, aveva paura di una donna, per inciso, quella donna.
«Appena ho avuto l’opportunità, mi sono informato su di te. La tua allieva preferita, mi ha detto tutto: il viso stravolto dal dolore, le lacrime di nascosto, lo sbraitare con i tirocinanti senza un motivo valido; tutto da quando ho finto la mia morte. Ora capisci perché non ti volevo vedere? Ho sempre creduto, che non mi fosse concesso entrare nel tuo cuore; che versare delle lacrime per me fosse impossibile; che la mia presenza fosse uguale a quella delle altre persone che popolano le tue conoscenze. Vedere ciò che pensavo venire meno, mi ha, letteralmente, mandato nel panico; ma, al tempo stesso, mi ha riempito di gioia. Tsunade, tu per me non sei una donna qualunque; non sei l’occasione di una sera. Con te, se solo ne avessi la possibilità, passerei il resto della mia vita. Per te rinuncerei a tutto.»
L’espressione della bionda era attonita. Rimase a lungo in silenzio, in attesa di una risposta, che tardava ad arrivare. Comprese. Bevve un altro bicchiere di sakè poi, lentamente, si alzò dalla poltrona. Si avviò verso l’uscita; nonostante il silenzio imbarazzante che era seguito alle sue parole, non si sentiva triste, arrabbiato o umiliato. Finalmente, era riuscito a dare sostanza a quei pensieri, che erano nel suo cuore e nella sua mente, da quando l’aveva conosciuta. I rapporti sarebbero, irrimediabilmente, cambiati, ma non provava alcun rimorso; finalmente, era riuscito a togliersi quel peso dallo stomaco. Guardarla in faccia, dopo ciò che aveva detto, sarebbe stato difficile; però, visto quello che aveva fatto, se avesse richiesto un trasferimento, sicuramente non glielo avrebbero negato. Forse, mettere un migliaio di chilometri fra di loro, avrebbe reso tutto più facile.
Posò la mano sul pomello della porta d’ingresso, quando si sentì abbracciare da dietro. Sussultò, nel sentire il prorompente seno della donna premere contro la sua schiena.
«Non andare via!»
Strinse convulsamente l’oggetto nella sua mano, fino a far sbiancare le nocche.
«Sono stata una stupida. Mi dispiace. Dopo la morte di Dan e Nawaki pensavo di non dover più amare, che tale sentimento fosse una disgrazia per chi decideva di ricambiarlo. Così ho scelto la via più breve, quella più facile, quella che mi permettesse di soffrire meno. Mi sono rifiutata di vedere, resa cieca dal folle dolore. Ho calpestato i tuoi sentimenti, credendo di non meritarli. Non sei stato molto bravo a nasconderli, sai?» Aumentò la presa sulla maglia dell’uomo, facendo aderire ulteriormente i loro corpi.
«Ma dopo questi giorni, dopo stasera, ho capito. Sono una deficiente, una cretina, una fifona, che merita solo il tuo disprezzo; ma, sono anche una egoista, perché non riesco a lasciarti andare, non riesco a sopportare il pensiero che tu possa lasciarmi sola. Ci sei sempre stato Jiraiya, nei momenti belli, ma soprattutto nelle ore più buie della mia esistenza. Sei essenziale per me; la paura che, a causa mia, ti potesse succedere qualcosa, mi ha fatto impazzire. Io…» Sentì l’uomo divincolarsi dalla sua ferrea presa, lo lasciò andare. Lo vide girarsi, lo sguardo che le stava riservando era indecifrabile; un senso d’ansia si fece largo in lei.
«Smettila con le cazzate Tsunade, non credo di meritarle.» Uno schiaffo a piena potenza, sul volto, probabilmente, le avrebbe fatto meno male in confronto a tali parole.  «Finiscila di trovare mille scuse e dillo, chiaramente, una volta per tutte.» Lo sguardo dell’uomo si addolcì.
«Voglio che tu, dopo ogni giornata lavorativa, torni da me. Voglio poter viaggiare per il mondo, visitare luoghi mai visti, apprezzare altre culture, con te. Voglio poter ridere e piangere con te. Voglio sentire la tua presenza accanto a me ogni giorno. Voglio poter trascorrere tutto il tempo che mi rimane da vivere con te. Ti voglio nella mia vita, non come amico, ma come confidente, amante, uomo. Ho sempre cercato di negare tutto questo a me stessa; ma, la verità è che, io ti...»
«Va bene così. Mi basta, è sottinteso.» Sorrise e si chinò verso le labbra della donna. Un bacio lento, ma carico di sentimenti tenuti a freno per diversi decenni. Con le mani accarezzò tutto il suo corpo, fino ad arrivare al viso, dove la presa si fece più intensa, ma al contempo delicata.
«Ti amo Tsunade. Non ho mai provato un sentimento simile per nessuna altra donna. Sei l’unica. Ti appartengo dal primo giorno che ti ho conosciuta.»
La baciò nuovamente e ci mise tutta la passione di cui era capace. Era il suo modo per fargli capire che, quelle parole, non erano vacue. La spinse contro la parete e la intrappolò con il suo corpo. Percorse nuovamente il corpo della donna con le sue mani, questa volta famelico. Troppo a lungo aveva desiderato sentire la consistenza di quelle membra tentatrici. La sentiva tendersi e fremere sotto il suo tocco. Si staccò. Il suo sguardo languido lo mandò in estasi.
«La camera da letto è in fondo al corridoio, sulla sinistra.»
Sorrise sornione. Poi, all’improvviso, la prese in braccio e si incamminò verso il luogo che sarebbe stato spettatore della loro passione. La risata argentina della donna riecheggiò per tutta la casa.
 
Si svegliò di soprassalto. Le prime luci della giornata facevano capolino attraverso le feritoie della persiana. Notò la rosa appoggiata sul comodino alla sua destra. Si sforzò di capire come fosse finita lì sopra. Si meritava di entrare di diritto nella sua tecnica di seduzione, visto ciò che era successo quella notte.  Con la mano destra si schiaffeggiò la fronte, infastidito. Fanculo la “Jiraiya” pensò. Fanculo all’agenzia, alle missioni, alle tecniche di seduzione, alle scopate occasionali. Era finalmente con la donna che amava. Tutto il resto non contava. Aveva finalmente trovato il suo angolo felice, all’interno di quella sfera caotica, comunemente chiamata mondo. Guardò Tsunade, l’espressione beata che aveva dipinta sul volto, lo fece sorridere. Posò un leggero bacio nell’incavo del collo e l’abbraccio. I suoi giorni da scapolo incallito erano finiti e non poteva essere più felice di così.


Angolo autore: 

Ciao a tutti,
eccomi con una nuova one-shot. Spero sia stata di vostro gradimento.

Grazie a chi leggerà e vorrà lasciarmi un commento.
A presto!
Mask.

 
   
 
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