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Autore: mikybiky    15/08/2009    2 recensioni
Questa non è semplicemente la storia di una tredicenne che è alle prese con la vita adolescenziale, no. Questa è la testimonianza di chi è stato costretto a vivere emarginato perché c'è gente ancora troppo ignorante per capire.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Amarezze -


Le dita della ragazza torturavano senza pietà l’evidenziatore giallo che stringeva in mano. Staccava gli occhi ogni due secondi dal libro per controllare l’orologio; la lancetta dei minuti scorreva inesorabilmente e stava per sovrapporsi al numero 11. Non avrebbe mai potuto bloccare il tempo, ne era perfettamente consapevole.
Infine, lo stridulo suono della campanella, che segnava la fine della terza ora scolastica e l’inizio della ricreazione, si propagò per tutto l’istituto e gli studenti aspettarono impazientemente che l’insegnante li congedasse. Così si alzarono con sincronismo e si riversarono nei corridoi e nel cortile.
Solo la ragazza rimase seduta al suo posto.
Silvia, non si può rimanere in classe durante l’intervallo, lo sai.”
La professoressa di matematica si fermò accanto a lei, sorridendole. Anche Silvia ricambiò il sorriso, ma incurvò le labbra a fatica. Possibile che nemmeno lei capisse? Era così difficile far comprendere la sua situazione?
Si alzò con rimpianto dalla sedia e uscì dall’aula a malincuore; erano i primi di maggio e quasi tutti gli alunni giocavano in cortile, cosicché il corridoio fosse quasi vuoto.
Per fortuna, pensò Silvia.
Una volta uscita dalla porta non si era mossa, indecisa su cosa fare. Non che avesse molta scelta. I bagni erano adiacenti alla sua classe, non doveva fare molti passi per raggiungerli. Osservò la porta arancione con rancore, prima di aprirla e valicarla.
Un pugno in un occhio, pensò, riferendosi al colore.
I bagni delle ragazze erano pieni, come al solito. Seppur la primavera stesse per arrivare, c’era ancora frescolino e loro non perdevano occasione per rintanarsi nello spazio chiuso più caldo, fingendo di avere bisogno di usare i servizi e scaldandosi le mani sotto l’asciugatrice.
Per Silvia il motivo era un altro, invece. Di tutta la scuola il bagno era il posto più accogliente; non per il caldo o per i vivaci colori shocking delle porte, bensì perché era l’unico posto dove potesse stare da sola senza vergognarsene.

Aveva solo tredici anni ed era già costretta a vivere il terribile sentimento della solitudine. Che cosa aveva che non andava bene a tutti gli altri? Era bruttina, brufolosa e grassoccia, ma ce n’erano a bizzeffe di ragazzi così, e il loro aspetto non gli impediva di certo di avere amici.
Ma per Silvia era diverso. Era lo zimbello della scuola, e il fatto che ci fossero solo sei classi e che tutti gli alunni si conoscessero aggravava la situazione.
Era spesso presa in giro e se succedeva durante le ore dei professori più tordi accadeva che questi se la prendessero addirittura con lei!
Una volta era capitato che, durante una lezione di artistica, un deficiente compagno di classe le avesse dipinto la sedia. Lei non se n’era accorta e, quando si era rimessa al suo posto, si era sporcata. Tutti erano scoppiati a ridere e solo allora lei aveva capito. Si era alzata e aveva tentato di arrabbiarsi, ma quasi nessuno era accorso in suo aiuto. Allora era arrivata l’insegnante e l’aveva sgridata.
Senti che casino che stai creando, e guarda cos’hai fatto! Vai in bagno a pulirti!”
Cogliona, aveva pensato Silvia.
Al termine delle lezioni si era coperta il sedere con la cartelletta e aveva chiamato sua mamma per supplicarla di venirla a prendere. Che mamma fantastica era la sua. L’aveva consolata tutto il tempo e le aveva assicurato che sarebbe andata a parlare con i docenti, perché quella situazione terminasse.
Ma, ahimè, chi può fermare dei cretini di undici, dodici e tredici anni che amano divertirsi?
Sul pulmino era sempre seduta da sola e ogni volta doveva subire gli insulti di quella testa di cazzo del F.
Bagòs!” le urlava dietro, alludendo al suo cognome. “Bagòs!”
E così era per tutto il viaggio. E l’autista che sentiva tutto e non diceva niente. Coglione anche lui.
Quando la scuola aveva promosso l’iniziata di un corso di vela, lei era arrivata al molo, entusiasta, assieme ai suoi compagni, e si era seduta sulla barca in gruppo con due ragazze che messe assieme pesavano quaranta chili. Lei ne pesava cinquanta. Le ragazze sedute sulla barca dietro la loro avevano iniziato a dire: “Guardate come pende la barca dalla parte della Silvia!”. Lei si era voltata a guardarle e loro avevano fatto finta di niente. Che puttane.
Per fortuna esisteva Riccardo. Lui sì che la trattava da essere umano. Era un vero amico, forse l’unico che aveva. Le prime volte si detestavano e continuavano a litigare, anche per cose buffe. Però poi erano diventati grandi amici, che condividevano anche una grande passione: la scrittura. Per fortuna che esisteva almeno lui.

La voce dell’insegnante la riportò alla realtà.
Cosa ci fate sempre chiuse nel bagno? Avanti, fuori quelle che hanno finito. Ve lo dico sempre, uscite in cortile!”
Silvia ignorava sempre gli avvertimenti. Non le importava che venisse sgridata, o che fosse poco igienico restare lì. Si vergognava a farsi vedere da sola in mezzo a tutti quei coglioni. Aveva paura che trovassero una scusa in più per deriderla.
Il bagno era frequentato ogni giorno sempre dalle stesse ragazze, che erano più o meno una decina. Anche se ormai, dopo otto mesi, era inutile fingere di essere lì per i suoi bisogni, preferiva mostrarsi senza nessun amico davanti a dieci persone piuttosto che a cento.
Ma non tutte le volte le andava bene.
Silvia, esci anche tu” intimò la professoressa. “C’è bel tempo fuori.”
Sospirando, la ragazza staccò la schiena dalle mattonelle fredde e uscì dalla porta arancio fosforescente.
Fatti coraggio, si disse.
Camminò a passi lenti e pesanti fino a giungere all’ingresso, poi furtiva, si voltò e sgattaiolò nuovamente in bagno.
Aveva avuto una migliore amica, un tempo. Il suo nome era Alice e si volevano non bene, benissimo. Erano legatissime, finché, una terribile mattina di settembre 2004, a inizio terza media, lei non aveva deciso che essere amica dello zimbello della scuola comportava a sua volta essere presa in giro. Non riusciva a capire che se tutti la chiamava Patty, in “onore” dell’insopportabile personaggio di Camera Caffè, non era per colpa sua.
Comunque, dopo due settimane che si comportava in modo strano e che la faceva stare sulle spine, Silvia si decise a chiderle: “Alice, ma si può sapere che cosa c’è che non va?”
E allora quella aveva sospirato e aveva confessato tutto.
Silvia” aveva detto. “Noi due non siamo più migliori amiche, ormai. È chiaro, non c’è più sincronia.”
Quella fu l’ultima ricreazione che passò all’aperto.
  
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