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Autore: Moonfire2394    18/07/2020    0 recensioni
I genitori di Leona e Gabriel vengono uccisi brutalmente da un trio misterioso di vampiri in cerca delle mitiche "reliquie". Dopo il tragico evento, verranno accolti al campo Betelgeuse, un luogo dove quelli come loro, i protettori, vengono addestrati per diventare cacciatori di creature soprannaturali. In realtà loro non sono dei semplici protettori, in loro alberga l'antico potere dei dominatori degli elementi naturali: imedjai. Un mistero pero' avvolge quell'idilliaco posto e il subdolo sire che lo governa: le strane sparizioni dei giovani protettori. Guidata dalla sete di vendetta per quelli che l'avevano privata dei suoi cari, Leona crescerà con la convinzione che tutti i vampiri siano crudeli e assetati di sangue. Fino a quando l'incontro con uno di loro, il vampiro Edward Cullen, metterà sottosopra tutto quello in cui ha sempre creduto facendo vacillare l'odio che aveva covato da quando era bambina. Questo incontro la porrà di fronte a una scelta. Quale sarà il suo destino?
Una storia di avventura, amicizia e giovani amori che spero catturi la vostra attenzione:)
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Precedente alla saga
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Capitolo 33 – Io non temo le fiamme

 Il tempo dei balli era terminato e con esso anche quelle oscene effusioni d’un falso sogno d’amore. Gli strumenti non arpeggiavano più, la marea di chiacchiere borbottate di orecchio in orecchio si era placata, perfino il frinire delle cicale non avrebbe potuto spezzare quel silenzio sepolcrale. Gli avanzi della cena giacevano a terra in un mare di briciole e condimenti,  frammisti a cocci di vetri e porcellana frantumati. Gli effluvi allettanti della portata principale, la testa di cinghiale in crosta di miele e salvia ancora intatta sul vassoio,  effondevano una foschia speziata in tutto l’ambiente, ignari di aver perso la loro attrattività. E tutto era immoto, come in un lussuoso giardino di statue. Fate di razze diverse, mezze nude e con i capelli scarmigliati, si erano accalcate timorose e con volti cinerei a ridosso della scalinata che portava agli alloggi reali. Parevano insolitamente avvezzi ai continui capricci del figlio della reggente fatata dai capelli d’oro, sapevano esattamente quando era il momento di mettersi da parte e lasciare inesorabilmente che la sua tempestosa sfuriata si acquietasse. Non si erano mossi di un millimetro nemmeno quando la loro rispettabile sovrana aveva fatto il suo ingresso, seguita da una parata di Curatores Noctis. Le guardie della regina nelle loro panoplie sfavillanti avevano sfoderato le armi e sbarravano, solerti agli ordini del loro signore, tutte le uscite della sala. Iris affiancava il fratellastro, proteggendosi alla sua ombra, e restandosene fuori dalla portata del suo sguardo adirato e aguzzo come le lance dei suoi soldati. Stretto dentro il suo pugno luccicò una catenella d’oro.
Leona si chiese come diavolo le fosse venuto in mente di coinvolgere nel suo piano quell’accozzaglia di bambinetti immaturi. Comunque non si sarebbe mai aspettata che fra loro si nascondesse uno stramaledettissimo cleptomane. Carlotta interruppe quell’apparente tregua silenziosa con i suoi gemiti sommessi, la ragazza non faceva che piangere da quando aveva varcato la soglia del regno, era davvero troppo soprattutto per una protettrice, le dava tremendamente sui nervi. Sta volta però era diverso, notò Leona scortata con la forza da due fatui alati. I suoi occhi non facevano che zampillare di lacrime narrando un indicibile strazio. Non si meravigliò di trovare un cappio all’esile collo della sua acerrima nemica. Certo, non poteva che essere stata lei, pensò la ragazza. Ma perché rischiare la pelle per un insulso gioiello? Non era da Marlena, questo glielo doveva concedere. Stesa sulle ginocchia, avvolte dal tessuto cremisi e vellutato del suo vestito, si erse con sguardo fiero e spavaldo, la crocchia disfatta e le labbra arrosate dai baci. Il resto della squadra se ne stava in disparte alla sua destra, sotto continua minaccia delle spade affilate delle guardie. Avevano tutti quell’aria stralunata di chi si era appena risvegliato da un lungo sonno ed era alla disperata ricerca di una tazza di caffè fumante. Ad eccezione di Fabrizio. Il protettore era semi dormiente sul tavolo, privo di occhiali, ingarbugliato in un corredo di tovaglie ricamate mentre sussurrava parole dolci agli orifizi di un pollo arrosto. Leona avrebbe riso se la situazione non fosse stata tremendamente tragica. Soltanto Fabiano si era riuscito a creare un varco all’interno di quel cerchio di cavalieri dalle ali variopinte, in piedi davanti a lei. Le sue intenzioni erano palesi e assolutamente apprezzabili, ma la protettrice detestava il suo spirito eroico, soprattutto se significava mettere a repentaglio la sua stessa vita.
Sta proteggendo la sua fidanzata, è giusto così, si disse laconicamente Leona. Non accettava comunque il fatto che le lance fossero puntate su di lui e non sulla vera colpevole del furto.
Leona strattonò via i polsi con rabbia dalla presa delle guardie che l’aveva tenuta in ostaggio e tentò di avvicinarsi a Kahel per implorargli pietà, ancora una volta. La regina però la prese per la spalla affondandole le unghia nella pelle. Fabiano si accorse di lei ma si godette i suoi tempestosi occhi azzurri per pochissimo. Aveva lasciato la giacca da qualche parte ed era rimasto soltanto con la camicia appena sbottonata sul petto e gli orli arricciati sui gomiti. I suoi capelli castani erano ingarbugliati dal vento mentre alcune ciocche gli rimanevano incollate sulla fronte madida di perle di sudore.
«Oh madre, siete giunta giusto in tempo per l’esecuzione» esordì Kahel rivolgendole un mezzo inchino col capo. «Ve l’avevo detto che non ci si poteva fidare dei protettori, non sono altro che dei luridi ladruncoli. Disprezzare così l’ospitalità delle fate» disapprovò il principe mostrandole il tesoro della sorella. La regina avanzò verso i suoi figli e si fece consegnare il gioiello, un semplice cimelio tipico della stirpe reale, senza mollare la presa su Leona. La stella a sette punte indorò le mani della regina che osservava il prezioso oggetto tramandato a sua figlia, lasciando che ruotasse nel vuoto.
«Tu ne sapevi qualcosa?» domandò schietta a Leona. Ignorò il dolore alla spalla e le rispose senza pensarci «No, con tutto il rispetto non saprei che farmene. Sapete benissimo perché sono qui». La regina inarcò un sopracciglio manifestando i suoi dubbi malgrado la sua dichiarazione più che sincera. Non poteva mentire nel regno delle fate.
«La protettrice, madre!» esclamò Iris indicando Marlena, nascosta da Fabiano «E’ stata lei, ma non vuole confessare! Si è introdotta in camera mia, deve essere punita!» si lagnò facendo le bizze come una bambina capricciosa con le nove code irte attorno a lei.
«E’ stata plagiata da una pixies, sua maestà». Gli accusatori si voltarono verso la arruffata chioma riccioluta della protettrice dalla pelle scura. Era scalza ed aveva un generoso spacco su un lato della cucitura dove prima non c’era. «Le hanno suggerito all’orecchio cosa fare, sapete quanto possono essere persuasive…» le ricordò Caterina. Ethan le acciuffò il braccio risaldando la morsa sulle dita per indurla a non intromettersi ulteriormente. La ragazza digrignò i denti per la frustrazione, risuonando più come un ringhio cupo e sottomesso.
«Le pixies sono suggeritrici, ammaliatrici, sanno bene come districarsi nell’arte della persuasione, ma non impongono nulla. Sono state le sue debolezze a rinfocolare quest’atto ignobile. Per di più non ha alcuna intenzione di parlare, né di scusarsi. La legge parla chiaro, il nostro quieto vivere e la nostra indole pacifica ci dissocia dagli ardenti desideri perversi che spingono gli umani a uccidersi fra loro o a rubare. La ragazza deve morire!» la condannò Kahel.
«No!» urlò per la prima volta Fabiano «Non potete farlo! Vi è stato reso ciò che è stato rubato, non c’è alcun motivo di ricorrere a tanto».
Kahel inasprì l’espressione al punto da diventare una maschera rugosa di solchi raggrinziti «Come osi dire al principe cosa deve fare? Questo è un oltraggio, esigo la sua testa!».
«Fate di me ciò che volete ma non toccate lei, lasciatela andare. Mi assumerò io le sue colpe» lo implorò veementemente.
«Avevate già il vostro garante ma non è in condizione intavolare negoziati per voi» disse facendo cenno al protettore che si faceva il bagno nella salsa in agrodolce con due foglie di lattuga sugli occhi. Norman e Gabriel avevano tentato in vano di farlo scendere dal tavolo e rimetterlo in piedi per farlo rinsavire. Gli effetti collaterali della pozione stavano degenerando ogni minuto che passava.
«Fatevi da parte e potremmo anche dimenticare la vostra scellerata insubordinazione ragazzo» gli propose la regina per trarlo in salvo dalla furia del figlio che la sferzò con un’occhiataccia.
Marlena gli ghermì l’orlo dei pantaloni «Fabiano, no…» tentò di convincerlo a desistere col suo debole mormorio. Ascanio si raggomitolò su se stesso con la testa fra le mani, imprecando silenziosamente per la sua inettitudine. Avrebbe dovuto prendere lui le difese di Marlena e non se lo sarebbe mai perdonato.
Fabiano si fece sordo alla preghiera della ragazza posta sotto accusa. Si piegò in ginocchio davanti a lei e le baciò la fronte. Poi continuò tornando a farle da scudo «Se volete Marlena, dovrete prendere anche me. Ma se le darete libertà mi arrenderò placidamente alle vostre mani e mi prenderò ciò che mi spetta. Sarò irremovibile nella mia decisione e non ve la lascerò senza combattere, la scelta sta a voi» si pronunciò con quel nefasto ultimatum. Per Leona fu come se avesse ingoiato veleno.
Kahel si mosse sul piede di guerra fronteggiando il protettore a quattrocchi e snudò il fioretto dal fodero facendo stridere il ferro dell’arma.
«Sarei felice di accontentarvi» lo minacciò il principe con quel sorrisetto baldanzoso che Leona avrebbe voluto cancellare a suon di pugni. Era pronta a scattare e a scatenare un inferno infuocato se solo avesse tentato di sfiorarlo con quell’insulso giocattolino che si ritrovava in mano. La regina percepì il calore emanato dalla protettrice a fior di pelle e mollò la presa scostandosi lontano da lei.
«Adesso basta Kahel, sii ragionevole figlio mio. Non è saggio mettersi contro un protettore ben addestrato e non voglio che venga versato sangue in un giorno importante come questo» lo rimproverò Delilah. Leona guardò la regina inorridita cercando di capire cosa le avesse potuto far cambiare idea così radicalmente da un momento all’altro, visto che prima al fiume non pareva particolarmente magnanima e ben disposta nei loro confronti. L’aveva forse intimorita percependo la furia che le montava dentro? La sua plateale contraddizione non aveva alcun fondamento, non aveva mostrato di temere il potere dei medjai, poiché fiduciosa dell’arma micidiale che le adornava il collo. Allora perché fermare Kahel? Le sue intenzioni erano davvero quelle di scongiurare un inutile spargimento di sangue? Leona era scettica. Nonostante avesse passato poche ore nel regno delle fate, aveva imparato in fretta che dietro ad ogni gesto caritatevole di un fatuo si nascondeva qualcosa di più, che si sarebbe pagata a caro prezzo. Eppure non vi era alcuna malizia abbozzata nel suo volto, i suoi occhi erano tristi e si posavano delicati su Fabiano come una carezza.
Kahel si sgonfiò sconfitto «Ma madre! Non possiamo ignorare un tale crimine, non possono farla franca così!  La legge dice…».
«La legge sono io, figliolo» lo zittì lei «e non verrà infranta, solo modificata per la particolare occasione. Metti via quella spada per favore, ti ho permesso di portarla con te come ornamento, non per sguainarla ai quattro venti, per le sacre Moire!». Il ragazzo rinfoderò il fioretto mormorando fra sé e sé parole in una lingua incomprensibile fatta di stridore di denti e sibili.
«Ciò non vuol dire che resterete impenitenti. Una punizione esemplare avrà luogo comunque poiché non lascerò che si pensi di poter ordire serenamente alle nostre spalle senza che ci siano conseguenze, nessuno dovrà ridicolizzare le nostre usanze o mettere in discussione le leggi del mio popolo. Trovo la bontà d’animo del ragazzo lodevole e per questo accoglieremo la sua preghiera. Risparmieremo la protettrice e lui in vece sua verrà castigato. Sarà tua premura scegliere la penitenza che riterrai più opportuna per lui».
L’eccitazione brillò negli occhi del principe che trovò la proposta della madre degna di nota. Ordinò alle guardie di lasciare andare Marlena con il solito fastidiosissimo schiocco di dita. La ragazza raccolse le sue vesti e fuggì via dal patibolo allestito per lei senza nemmeno rivolgere un segno di gratitudine al suo salvatore. Carlotta le corse incontro e le due si strinsero forte l’una all’altra, consolandosi a vicenda. Il principe interruppe la loro commovente riconciliazione con secchi colpi di tosse «Voglio che tu assista in prima fila ladruncola, voglio che tu veda con i tuoi occhi le sofferenze che tu stessa infliggerai al tuo amato protettore». Il principe s’interruppe ripensandoci su per un attimo e rise «oppure ne godrai e avrai la tua rivincita su di lui per il suo vile tradimento» disse cercando d’incrociare i grandi occhi blu di Leona. «Sappi comunque una cosa. Sei stata salvata dalla benevolenza della mia dolce madre dei fatui ma le terre sacre su cui ti è stato permesso di vagare esigeranno un prezzo da te e per il tuo peccato». Quell’insinuazione fece riversare un fiotto di lacrime silenziose sulle guance di Marlena e accucciò nuovamente la sua amica Carlotta fra le sue braccia.
Lacrime di coccodrillo, pensò Leona adirata con la bionda più che mai. La sua brace d’odio si estinse in fretta alla vista dello sguardo malevolo e perverso del principe Kahel su di lei.
«Fiammelle venite a me! E’ il legittimo erede al trono che ve lo ordina» impartì Kahel. Gli acuti scheggianti del principe fecero tremolare i capelli fiammeggianti delle fate. La ragazza che osservava sempre più attonita gli eventi frenetici di quella sera, le scovò raffazzonate in mezzo ad una calca mista di creature fatate di ogni genere. Una di loro, una fra le più belle fiammelle del regno, si fece avanti alle sorelle prostrandosi al suo cospetto.
«Sì, mio signore» lo adulò la donna barbecue, come l’aveva soprannominata nella sua mente Leona. Trovava detestabile la sua remissività.
«Mostratevi nella vostra vera forma e voglio che il ragazzo cammini sui carboni roventi» disse lui sogghignando.
«Sì, mio signore» ripeté ubbidiente facendo cenno a un gruppo delle sue sorelle. Le loro chiome arsero in uno scoppiettio crepitante. Quando raggiunsero il centro della sala, incendiarono i loro corpi in un'unica vampata e sparsero le loro ceneri fumanti sul pavimento. L’odore acre di carne bruciata si mescolò al profumo dei fiori che abbellivano la sala in un connubio dolciastro dalle note speziate. Il risultato costrinse la protettrice a trattenere il respiro. Poi come se un spirito si fosse impossessato di quel cumulo disordinato di granella nera, le ceneri si raggrumarono formando una passerella di cubi ardenti. Le onde di calore che si contorcevano da quel tappeto di carboni sfrigolarono nell’aria avvitandosi verso l’alto.
La regina arricciò le labbra in segno di disapprovazione, come se scoprisse per la prima volta di quanta crudeltà fosse capace il suo stesso figlio. Dall’altro canto però gli aveva lasciato carta bianca e non avrebbe potuto intervenire in alcun modo su una decisione già presa.
Kahel era impaziente, come se non vedesse l’ora di godere delle sofferenze del ragazzo. Fabiano ormai era in balia di quel sadico, non poteva più tirarsi indietro e nemmeno Leona sarebbe potuta intervenire senza peggiorare la situazione. Non c’era esitazione in lui, fu come se sapesse già ciò che andava fatto. Strascinò una delle sedie e sedette sul ciglio per slacciarsi le scarpe, senza che nessuno glielo avesse ordinato. Come poteva essere così impassibile?, si chiese Leona. Arrotolò gli orli del pantalone e avanzò verso quella pira di carboni. Lanciò una breve occhiata al principe aspettandosi che gli fosse accordato il permesso di cominciare. Le guardie si affollarono attorno a lui, anche se non gli aveva dato modo di sospettare di una possibile fuga. Leona avrebbe tanto voluto sfruttare il dominio del fuoco per rendergli quel supplizio più sopportabile ma non aveva alcuna influenza sul potere elementale delle fate. Il fuoco delle fiammelle era indomabile, così era scritto nella legge della natura. Prima di poggiare la pianta del piede su quel pavimento rovente, Fabiano ripeté qualcosa a bassa voce, forse il suo mantra personale, e fece il primo passo. Il principe era pronto a gustarsi le urla di dolore del ragazzo, ma non ottenne nient’altro che silenzio. Leona era a dir poco basita. Scrutò gli occhi del suo amico e ciò che vide la fece impazzire. Il suo sguardo vacuo, le diede puro terrore. Fabiano continuò a marciare indenne sui tizzoni infuocati sotto le urla di sorpresa di tutti i presenti comprese quelle di Kahel, deluso dalla calma del protettore. Non una strizzata d’occhi, non un gridolino o un respiro affannato, nessuno spasmo di dolore. Era come se il calore lo sfiorasse da lontano, come se non stesse affondando i piedi in quel magma ardente. Fabiano era immune alle sue scottature? No, si rispose da sola la protettrice. La verità era molto più orribile e cruda di quella a cui avrebbe voluto credere, non c’era nulla di straordinario o sovrannaturale. Fabiano era già stato battezzato nel fuoco, un indicibile numero di volte. Quella tortura non era nuova per lui, la conosceva molto bene. Lo poteva vedere nella sua camminata aggraziata e prudente. Tiziano lo aveva già preparato a questo e quella consapevolezza fece infuriare la protettrice al punto di volerlo morto, senza nemmeno concedergli la grazia di un ultimo desiderio. Quell’uomo meritava l’inferno.
Fabiano avrebbe potuto correre per evitare danni permanenti, ma non accennava alcuna fretta. Ogni passo era controllato, studiato e paziente all’esasperazione. Leona poteva sentire l’odore di pelle bruciata, avvertiva come quelle fiamme maledette gli lambissero la carne viva. Il cuore le stava sanguinando alla vista di quello strazio. Lei lo amava, non poteva sopportare ulteriormente quell’ingiusta punizione. Non aveva fatto nulla di male, si disse con un nodo alla gola. Perché doveva essere sempre lui a rimetterci? La cosa peggiore era che lui pensava di meritarlo…poteva leggere nei suoi occhi azzurri il compiacimento nell’espiare il suo peccato, mondato dalle fiamme.
Tiziano era davvero consapevole di ciò che aveva fatto al suo stesso figlio? La violenza fisica era nulla in confronto a come lo avesse spezzato nel profondo. Lo aveva assoggettato al punto da poter plasmare la sua mente a piacimento, modellando i suoi pensieri e intaccando la sua stessa morale. Leona non poteva che colpevolizzare se stessa. Dov’era stata lei? Come aveva potuto lasciarlo a quel mostro senza cuore che si ritrovava per padre? Tiziano poteva averlo reso forte, invincibile di fronte alle sofferenze, un guerriero irreprensibile sempre pronto a sacrificare le proprie emozioni, ma dov’era la sua umanità? Lo aveva annullato, aveva spento la luce abbagliate del suo sole interiore che anni a dietro l’aveva rinfrancata col tepore dei suoi raggi. Leona non aveva mai dimenticato cosa Fabiano aveva fatto per lei, di come l’avesse sempre tenuta lontana dalla sua oscurità. Fabiano non era soltanto un compagno di caccia, come aveva detto alla Regina. Leona si accarezzò il nastro rosso, con un affetto che racchiudeva in sé anni di ricordi, fra gioie e dolori. Nonostante suo padre, lui c’era sempre stato, l’aveva salvata da se stessa e dalla triste vendetta che rivendicava per la morte dei suoi genitori. Infatti la sua lontananza era stata sufficiente affinché lei avesse perso di vista i suoi insegnamenti e avesse ceduto così facilmente a quel contratto che le prometteva ciò che per tutti quegli anni aveva cercato di sopprimere. Suo fratello ne era vittima più di lei, schiavo della sua bramata vendetta. Insieme erano riusciti ad affievolire quel sentimento malato che adesso nel gemello era fuori controllo. Non li avrebbe mai dovuti lasciare, Gabriel e Fabiano erano la sua famiglia e lei li aveva abbandonati soltanto per appagare il suo orgoglio. Era una abile combattente, forse molto di più di quello che credeva, ma a cosa le era valso tutto questo?
Leona si ripromise che una cosa del genere non si sarebbe mai dovuta ripetere. Non importava come, aveva deciso che avrebbe riportato indietro il suo Fabiano, avrebbe usato la forza se fosse stato necessario, avrebbe sfruttato qualunque mezzo per far riaffiorare in lui le sue emozioni, la sua vera e ben sepolta essenza. Forse non l’avrebbe amata comunque, non l’avrebbe voluta più al suo fianco, non le importava. Se ne fosse valsa la pena, se fosse davvero riuscita a far riaffiorare la sua anima da quel manto di tenebre, avrebbe accettato qualsiasi cosa, persino spingerlo di nuovo nelle braccia di Marlena se era quello che lui voleva. Nessuno avrebbe più avuto controllo su di lui, sarebbe stato di nuovo libero.
Fabiano aveva portato a termine il suo martirio. Kahel era fuori di se. Il suo stesso patetico teatrino degli orrori, si era preso beffe di lui. La dignità di Fabiano con cui aveva affrontato la sua punizione era stato uno schiaffo morale e lo aveva ricoperto di umiliazione. Il principe sprizzò d’odio puro e si protese verso Fabiano come se non fosse ancora sazio dei suoi vili tentativi di nutrirsi del dolore altrui. Ma fu stroncato dall’occhiataccia furente che gli riservò la madre, stanca di assecondare ancora una volta i suoi capricci terrificanti. La regina intimò alle Fiammelle, con un solo gioco di sguardi, di farsi da parte senza ringraziarle del servizio reso.
Non appena Fabiano si lasciò quel rovo infuocato alla spalle, Gabriel fu subito da lui per sorreggerlo. L’amico si avvolse il suo braccio attorno al collo permettendogli di appoggiare tutto il peso su di lui. «Sei stato grande» gli sussurrò Gab, con sincera ammirazione mentre lo sollevava da terra per evitargli un ulteriore sfregamento delle ustioni col pavimento. Lo adagiò delicatamente su una sedia per farlo riposare con le gambe sospese. Il ragazzo si sdraiò sullo schienale, socchiudendo le palpebre improvvisamente pesanti. Gabriel si accigliò osservando attentamente le sue vesciche carbonizzate, ricoperte di pus e sangue. Represse un forte attacco di vomito alla vista delle ferite dell’amico. «E’ un gran bel casino» gli fece lui scherzandoci su. Leona si fece spazio sgomitando fra quella folla di guardie e li raggiunse inginocchiandosi accanto a suo fratello, col viso sconvolto dalla preoccupazione. Fabiano la vide e nonostante i dolori lancinanti delle ustioni le sorrise. «Sto bene» le bisbiglio fradicio di sudore.
«Non sei mai stato bravo a mentire» gli fece notare lei trattenendo la rabbia che le esplodeva dentro. «Sei un pessimo attore, anche più di Gab». Il diretto interessato roteò gli occhi spazientito.
I suoi piedi erano una catastrofe dovette ammettere Leona. Le ferite e le ustioni erano molto più gravi di quello che si era aspettata, i tessuti epiteliali erano carbonizzati e pieni di vescicole, non si sarebbero cicatrizzati con facilità. Avrebbe potuto curarlo come aveva fatto con Caterina, ma non conosceva l’esatta composizione del terreno di Sirio, essendo suolo tipicamente fatato. Non poteva rischiare di aggravare il suo stato, così disse «Queste flittene andranno medicate subito con lavanda, menta e aloe vera o potrebbero non cicatrizzarsi correttamente». La ragazza fece per alzarsi per procurarsi tutto l’occorrente ma Fabiano glielo impedì afferrandole il polso «Ti prego, non te ne andare» borbottò con un suono a malapena udibile. La sua presa attorno al polso era così debole che la ragazza fu colta da un moto irrefrenabile di tenerezza mentre il protettore scivolava via nell’oblio.
Gab lo schiaffeggiò prontamente per evitare che svenisse « Ehi! non è ancora il momento della siesta. Resta fra noi» lo minacciò.
«Portate le erbe che ha richiesto Leona, delle bende e dell’acqua gelida per curare la ferite del ragazzo» ordinò Delilah alle sue ancelle. Leona la ringraziò tacitamente.
«Che sia chiaro» starnò Kahel «non verrà messo a disposizione nessuno dei miei druidi!».
«Sta calmo fratellino» disse pacatamente Iris poggiandogli una mano sulla spalla «non ce ne sarà bisogno. Leona è un’abile guaritrice» ammise con stizza, arricciando le vibrisse. Kahel si liberò malamente del monito della sorella e marciò come una furia lontano da loro come un vecchio leone ferito. Gab inarcò un sopracciglio «Suscettibile il biondino» commentò. Poi si rivolse a Fabiano: «Andrà tutto bene, quella testa di rapa di mia sorella sa quello che fa, anche se detesto ammetterlo» lo rassicurò Gab. Cercò l’approvazione di Morgana, ma lei distolse lo sguardo facendo svanire nel nulla la loro intesa tanto sudata. Il fratello s’imbronciò sconfitto. Leona non aveva tempo di occuparsi delle loro diatribe amorose quando Fabiano aveva disperatamente bisogno delle sue cure.
Fabiano ebbe uno spasmo acuto che lo fece ripiegare su se stesso. Con ancora gli occhi chiusi, gli disse offrendogli i palmi all’insù «Ho voi due, non mi serve altro. So di essere al sicuro». 
Leona e Gabriel si sondarono reciprocamente gli sguardi e sorrisero prima di intrecciare le loro mani con quelle dell’amico.
«Bello così mi fai commuovere, non mi va di farmi vedere piagnucoloso o perderò il mio fascino!» lo stuzzicò. Fabiano provò a ridere ma gli uscirono solo una serie di rantoli tossicchianti.
«Ti darò una mano» si offrì inaspettatamente Ethan «Ho studiato anch’io le erbe mediche e avrai bisogno di estrarre gli oli essenziali dalla lavanda…». Lei e il protettore inglese restarono prigionieri di una ragnatela di sguardi, studiandosi a vicenda.  Leona aggrottò le sopracciglia, non le era sembrato che Ethan nutrisse una particolare simpatia per Fabiano ma non fece domande. Una mano esperta in più le avrebbe fatto certo comodo e aveva già apprezzato in passato la sua abilità con le erbe officinali. Così maneggiando con destrezza ed eleganza pestello e mortaio, Ethan si rese degno della sua reputazione. Lenirono le ferite del ragazzo col balsamo all’aloe vera e le bendarono accuratamente con candide garze sterili. La mestizia e la scrupolosità con cui  Ethan si era preso cura delle sue bruciature e i sorrisi un po’ storpiati dal dolore di Fabiano che gli rivolgeva di tanto in tanto, le fecero tornare in mente il dialogo che aveva avuto luogo in riva al lago delle ninfe. Quei due stavano nascondendo qualcosa, Leona ormai ne aveva l’assoluta certezza e nella sua mente stava prendendo piede un’idea, un po’ folle condita con un pizzico di assurdo. Eppure per quanto ci avesse provato, non poteva scacciarla via, poiché pian piano aveva messo radici profonde. Non poteva ignorare i segnali, anche se avrebbe voluto. Aveva paura di dirlo ad alta voce…Pensava di conoscere entrambi come le sue tasche, più specificatamente credeva di aver compreso a pieno le loro inclinazioni sessuali…ma sarebbe stato così strano se i due avessero provato qualcosa l’uno per l’altra? Magari quelle sensazioni erano così nuove per loro che non riuscivano a carpirne bene il significato, non avendole mai provate per nessuno prima d’ora. In effetti Fabiano non si era mai mostrato particolarmente incline a corteggiare il gentil sesso, ma Leona lo aveva scambiato per profondo rispetto ed educazione da parte sua, non aveva mai contemplato la possibilità che potesse esserci dell’altro. Dall’altra parte Ethan si era dichiarato quando erano prigionieri nella torre…e se lo avesse fatto per mascherare quella nuova nascente attrazione per Fabiano? Ciò avrebbe dato un spiegazione alla repulsione che Fabiano provava nel toccarla o nei baci particolarmente sofferti con Marlena…Quell’idea continuava a ripercussione a rosicchiarle la testa mentre terminava il bendaggio. Non aveva il coraggio d’incontrare i loro sguardi, sarebbe arrossita all’istante e l’avrebbero scoperta, come se i suoi pensieri stessero urlando a squarcia gola quella terribile rivelazione a cui non voleva dare credito per il suo stesso bene. Scosse la testa amareggiata e levò gli occhi al cielo, accigliandosi con aria incuriosita. Le nebbie si erano fatte più rade, morendo in sbuffi di vapore nella notte, proprio come poco prima quando la Regina le aveva mostrato il portale ma…Delilah non aveva mosso un solo dito. Ammesso che sapesse padroneggiarle con la sola forza del pensiero, le veniva difficile credere che si fosse impossessata della bruma magica dal momento che stava conferendo con un drappello di soldati reali. Eppure le nebbie si erano abbassate nettamente di quota e i suoi tentacoli si rimestavano giocosi tutt’intorno alla sala, sgusciando silenziosi fra gli invitati. Non le piaceva affatto, non le sembrava naturale anche se si trovava in suolo fatato. Il suo istinto le diceva che qualcosa non andava, anche se apparentemente le parevano innocue. Passò in rassegna con lo sguardo ogni angolo in cui le nebbie si erano infiltrate e le sembrò curioso come stessero lambendo Marlena e incombendo, quasi minacciose, alle sue spalle.
Prima che chiunque potesse gridare, qualcosa luccicò in mezzo alle nebbie e Leona sapeva che non si trattava  di polvere fatata. L’ammonimento le affiorò sulla bocca d’istinto «Vieni via di lì!». Lei era fatta così, proteggeva indistintamente a prescindere di chi si trattasse, anche se l’odiava.
Il bagliore si fece più intenso e per una frazione di un secondo l’accecò.
Marlena giaceva a terra con il volto stravolto dal terrore e gli occhi fissi sulla sua amica Carlotta che l’aveva spinta senza capirne il perché. In quel momento la bruna si era avvolta le mani sul collo come una sciarpa. Sorrise e il sangue prese a ruscellarle lento fra i denti, colandole oziosamente sul mento macchiandole di rosso cremisi il bell’abito giallo canarino, il suo colore preferito. Marlena urlò e una cascata scarlatta sgorgò fra le dita dell’amica precipitando sul marmo del pavimento. La lama gelida che le aveva squarciato la pelle e reciso di netto la gola si stava nutrendo del suo sangue come un vampiro assetato e reso folle dalla lunga astinenza. Gli occhi castani di Carlotta si rovesciarono nascondendosi dentro le palpebre e snudò il collo dall’amplesso delle sue mani e s’inginocchiò nella sua stessa pozza di sangue. La spada non era sazia come anche la mano che la guidava e si fece strada dentro il suo cuore facendole assaggiare il gelo dell’acciaio. La polla sanguinolenta attorno a lei si espanse, allontanandosi sempre più dal suo corpo come se le stesse risucchiando via la vita. La spada che le aveva trapassato il petto attese che il cuore della protettrice emettesse le sue ultime pulsazioni. Poi emerse dalle nebbie insieme al guerriero e alla sua armatura lucida e bronzea. Al suo fianco un’altra spada era custodita nel suo apposito fodero. Lo straniero era abile nell’arte della doppia spada, proprio come la medjai. Bardato con tutto quell’acciaio addosso, era impossibile scoprire la sua identità. L’elmo sulla testa lasciava un’unica finestra su due occhi celesti turbati dalla rabbia e da qualcosa che Leona non seppe definire quando le sue pupille nere come il carbone si espansero puntandosi su di lei come fari annebbianti. Estrasse la spada dal cuore della giovane protettrice e avanzò senza guardarsi indietro, pulendo il piatto della lama sull’avanbraccio con una non curanza sconcertante, come se non avesse appena spezzato una vita innocente. Il vortice alle sue spalle schiarì il biancore del banco di nebbie scintillanti di polvere di fata e mostrò un portale attraverso il quale si riversarono all’interno della sala da ballo un intero esercito di protettori corrotti. Gli abomini sfociarono fra gli invitati dello Scao Leadh come una diga rotta, i corpi irrigiditi dalla frenesia che antecede il massacro, artigliati come avvoltoi sulle loro armi affilate. Erano almeno un centinaio. Leona non si era resa conto fino a che punto quel male fosse dilagato fra la sua gente e ne rimase inorridita. Capì che il guerriero mascherato aveva il potere di tenerli a bada da come reclinavano il capo sul petto quando venivano inceneriti dal suo cipiglio funesto e impietoso. Obbedivano solo a lui. La regina rimase impietrita di fronte a quell’inaspettata invasione nel suo regno. Il portale funzionava a due sensi?, pensò la protettrice. Quale protezione poteva fornirle allora? Doveva essere stata una svista da parte sua, ogni tipo di magia, per quanto semplice o complessa richiedeva un sigillo, esattamente come un ‘marchio di fabbrica’. E se prima quando le aveva mostrato quella visione lo avesse lasciato aperto?
Marlena strisciò fino al corpo esanime di Carlotta. Vederla come la cullava fra le sue braccia, ricoprendosi del suo sangue, squarciò il cuore di Leona. Carlotta le aveva salvato la vita. Non sapeva cosa provare esattamente. Carlotta, insieme a Marlena e Lilia, le avevano reso la vita un inferno, ed era stata vittima a lungo delle loro cattiverie. Non ne trasse sollievo, ma nemmeno riuscì a struggersi per quella perdita. Era una sua sorella d’armi, l’avrebbe vendicata per il suo sacrificio ma non riuscì a concederle altro.  Un po’ si sentì in colpa, meschina, ma non poté non pensare a come avrebbe reagito se al posto di Carlotta ci fosse stata la sua Morgana…
Non ebbe molto tempo d’indugiare su quella possibilità. Quel tamburellio di tacchi sul pavimento la distolse dai suoi pensieri e tornò in allerta. Una donna dalla bellezza cupa, gotica e sinistra entrò per ultima nella sala, chiudendo con un gesto della mano il portale da cui lei e il suo plotone di Abomini, capitanati dal guerriero mascherato, l’avevano preceduta. I suoi lunghi capelli ondulati di un bizzarro blu elettrico svolazzarono attorno al suo viso deturpato da cicatrici come onde impetuose d’un mare agitato. I suoi occhi, di un viola intenso, s’incontrarono presto con quelli della regina e si strinsero esaltando ancor di più i solchi delle sue cicatrici, il prezzo da pagare per una fata che pronunciava la menzogna. La sua pelle bianca come quella di un cadavere, era nascosta da intricati ricami runici cuciti appositamente nel suo lungo abito nero come quella notte.  Fra le labbra dipinte di nero, sporgeva un canino aguzzo e argenteo. I suoi occhi viola si fermarono per un attimo sulla povera Carlotta e scosse la testa, fingendosi dispiaciuta. Poi tornarono nuovamente sulla regina ed eruppe in una fragorosa risata. Allargò le braccia in un gesto plateale ed esclamò a gran voce: «Salve sorella mia! Ti sono mancata?».
Leona non aveva mai visto la regina perdere il controllo della sua tanto vantata imperturbabilità. Digrignò i denti  e mormorò sibilando pianissimo il nome di sua sorella Frieda.

 
Angolo dell'autrice: Ciao a tutti lettori! Purtroppo come avrete notato ho completamente sballato i ritmi di pubblicazione che avevo regolarizzato nel periodo della quarantena. Purtroppo l'estate, il lavoro e gli impegni, m'impediscono di scrivere con regolarità, non per questo ho intenzione di abbandonare la storia. Spero che stia continuando a piacervi e che la seguirete fino alla fine. Auguro a tutti un buon proseguimento delle vacanze! 
   
 
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