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Autore: laNill    18/07/2020    0 recensioni
La voce di Osamu fu un mormorio indistinto ma nitido, vero, a raggiungerlo. «Guardalo. Non so se sia merito tuo o no. Da quando ti ha visto non c'è nessun altro in tutto lo stadio che possa fermarlo o nessun muro troppo alto da non poter essere superato.»
Tu lo rendi divino.
-
Un tocco, due, Atsumu che prendeva la mira in un punto più alto di lui, arcuandosi, spedendo la palla alle sue spalle. Il respiro gli fluttuò in gola per una frazione di secondo. I contorni di Bokuto si delinearono netti e nitidi, contro le luci abbaglianti dei fari.
Bokuto segnò, e il cuore gli si aprì in due.
[BokuAka | post-timeskip; spoiler!]
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Warning: Spoiler! Se non hai letto gli ultimi capitoli del manga uscito in jp NON leggere la storia, potrebbe contenere spoiler. 
Avvisati :3
Due parole veloci. In realtà ho scritto tutto ciò diverso tempo fa, quando era apparso bokuto la prima volta dopo il timeskip e, poi, continuata quando è apparso anche akaashi. So, non sarà fedelissima a come si è svolta la fine della partita, ma fortunatamente son rimasta sul vago quindi non si nota. 
Per il resto, sono molto sappy e dolci e stupidamente dubitanti (akaashi per primo) 
E niente, li amo con l'intensità di mille soli e stelle. 
Spero piaccia,
enjoy.

 
playlist + lyric inserts:
• blinding lights - the weeknd
• stay gold - bts
 


Blinding Star
 
I'm blinded by the lights
No, I can't sleep until I feel your touch
 


Il profilo dello stadio si stagliava in una curva netta nel cielo limpido di metà novembre, tanto nitido da ferire lo sguardo. Non sapeva se fosse per via degli occhiali, ma i colori quel giorno sembravano essere più forti e intensi - il blu del cielo, i cartelloni delle partite della giornata, persino il bianco della scritta del palasport. 
Percepiva tutto con estrema vividezza, un'intensità sottile e amplificata, rendendolo più sensibile, più inquieto - in attesa. 
Di cosa, Akaashi non avrebbe saputo dirlo.
Una vibrazione sotterranea, profonda come la terra, sembrò raggiungerlo in un echeggiare di grida ovattate e fischi sibilanti, struscianti al di là delle porte chiuse. L'intera struttura parve vacillare, stupidamente e fuori da ogni logica della fisica, incapace di contenere il boato che esplose al suo interno. 
Akaashi si era fermato, in ascolto. 
La partita era iniziata da una buona mezz'ora, trentasette minuti per l'esattezza. Non doveva essere così in ritardo come i ripetuti messaggi di Udai lo accusavano di essere, esortandolo a sbrigarsi. 
La tratta fino a Sendai non era breve, ma aveva calcolato bene i tempi in cui avrebbe impiegato a raggiungere la metro e, da lì, lo stadio a piedi. Akaashi si reputava una persona metodica; non aveva calcolato, invero, la portata dei suoi sentimenti e dell'effetto che una partita di quella portata avrebbe avuto su di lui. 
Una volta varcate le porte spesse, il suono che prima udiva lontano e ovattato come un ronzio, lo sovrastò come una marea. 
Un ringhio, un impatto squarciò l'aria e l'intero stadio sembrò vibrare della cacofonia ed esaltazione del pubblico, mentre il grido strozzato sembrò disperdersi in quella cloaca di voci, urla e soddisfazione. Avanzò superando la biglietteria ed il reparto del merchandise; già un fremito elettrostatico serpeggiava sotto i polpastrelli. Varcate le porte d'ingresso all'arena, il fiato gli si raggrumò in gola. Le luci lo abbagliarono e per un istante Akaashi fu costretto a serrare le palpebre.
Diede tempo allo sguardo, al suo cuore di abituarsi. 
Tutte quelle luci artificiali, quell'orgia cromatica delle divise e degli sponsor, il tifo senza fiato nei polmoni e i tamburi che davano il ritmo a delle urla estenuanti e sempre più infuocate, il cicaleccio di alcuni, il fiato trattenuto in un sibilo tra i denti da altri. L'impatto del pallone a terra. I rimpalli di un'azione. Tutto lo richiamava con un cipiglio di nostalgica esaltazione. 
Venne attraversato da una scarica elettrostatica tale da sentire esplodere il petto e i polmoni. 
Si riprese in fretta. Con lo sguardo mite e stabile, si aggiustò lo zaino in spalla. Un passo, e un altro passo ancora. 
Dietro al suo sguardo calmo e pacato, nessuno avrebbe saputo dire quanto il suo cuore battesse in quell'aspettativa e smania che sentiva attorcigliarsi nelle profondità dello stomaco, scavandogli dentro, raggiungendo luoghi che pensava perduti. 
Da quant'è che non provava più quelle emozioni? Da quanto non metteva piede dentro uno stadio dove i riflettori sembravano bruciare la pelle e il cuore batteva allo stesso ritmo del pallone al suolo?
La nostalgia gli scivolò sul cuore come una carezza che, Akaashi già sapeva, avrebbe provato. Si era preparato a quell’eventualità. Si era preparato ad incassare ogni ricordo gli sarebbe ritornato alla mente, tenendo a bada un’emotività che poteva risultare instabile. 
Era abituato a gestirsi, gli riusciva facile a distanza di tempo. 
Ma qualcosa incrinò quella sua capacità.
Gli occhi si alzarono, richiamati da un barbaglio argenteo che lo colse impreparato. Sentì il respiro venir meno e di fronte a lui si compì ciò che era destinato ad essere. 
Ciò che lo stadio, il mondo intero, avrebbe dovuto vedere, innalzare, gridando il suo nome.
Bokuto.
Fu come il vederlo per la prima volta. 
Lo slancio elastico delle gambe a piegarsi per sollevarlo da terra, la spinta per issarsi in volo, i muscoli che si accartocciavano e poi si tendevano, duri come corde, in un'esplosione di forza e potenza, il corpo solido simile al marmo che acquistava carne e movimento; il roteare del busto, il braccio che si tendeva in alto e la mano che intercettava il pallone in una frazione infinitesima d'istante. Il tempo di un respiro, di un battito di ciglia. 
Lo vide come lo vide quel giorno in palestra. 
Il pallone impattò duro sul campo avversario, il muro deviato. Una diagonale perfetta. 
Sul viso di giada di Akaashi, a malapena tendente al sorriso, le labbra si piegarono in una curva mite e gentile, di una dolcezza morbida e triste assieme. 
«...E' iniziata solo ora e già danno il meglio di sè.» fu un mormorio leggero, sovrastato facilmente dal tifo esaltato degli spalti. 
La seconda cosa che Akaashi intercettò furono gli onigiri; la terza, diretta conseguenza della seconda, il venditore che lo guardava con la stessa consapevolezza di riconoscerlo che aveva Akaashi sul viso inespressivo. 
Ah! Il fratello di Atsumu.
Gli ci volle un secondo in più per reagire, e gli venne spontaneo chinare il capo. 
«Mi scuso per il disturbo.» come se fosse un gesto abituale e meccanico.
Osamu faticò a capire a cosa si riferisse, ma gli parve doveroso ricambiare il gesto col capo. Perchè si scusa con me? Di chi?
«Ah, no.. non preoccuparti.» nonostante l'interrogativo gli inarcasse ancora le sopracciglia scure sotto alla visiera del cappello.
Una donna si sporse e ordinò una manciata di onigiri semplici, due bambini gli corsero accanto e ne presero due col tonno e uno con lo zenzero e carne. Con la coda dell'occhio Akaashi seguiva ogni movimento di quello scambiarsi di palla e di azioni al limite dell'assurdo per essere solo i primi minuti di gioco - riconobbe l'alzatore del Karasuno così come fu piacevolmente sorpreso nel rivedere il sorriso estatico del giovane dai capelli baciati dal sole e con le stelle negli occhi, Hinata Shouyo. 
Bokuto gliene parlava spesso con grande enfasi al telefono, e di riflesso fu compiaciuto anche Akaashi nel vederlo. 
«È la prima partita a cui vieni?»
«Oh no, ma mai così lontano. La prima volta è stato due anni fa - con il lavoro non ho più così flessibilità.» Si ricordò di avvertire Udai del suo arrivo e di chiedergli dove si fosse messo tra gli spalti stracolmi. 
«Alla prossima partita a Tokyo ci sarai? Nel caso mi prenoto subito se è per prendere i tuoi onigiri.»
Osamu sorrise, accettando il complimento.
«Farò del mio meglio per esserci.» 
Akaashi ricambiò il sorriso, annuendo, prima di riportare l'attenzione alla partita alle sue spalle.
Tutto era un susseguirsi confusionario di gesti, corse, rimpalli e prese al volo, trattenere il respiro voleva dire impedirsi di perdere la minima azione che poteva risultare la decisiva. Di tutti i corpi fasciati dalla divisa scura, marchiata da strisce grezze color ruggine, di tutti i volti conosciuti ma dimenticati in fretta se non come contorni sfocati nella memoria giornaliera - di tutti, gli occhi scuri di Akaashi fissavano l'unico per cui sentiva il sangue infiammargli il viso, farfalle nelle vene da sentirle vibrare sui polsi e in gola. E qualcos'altro, qualcosa di più profondo, nascosto in una zona che non credeva esserci nella propria anima, che aveva il sapore di perdita e incomprensione sul fondo della lingua. 
Si impedì, Akaashi, di avanzare oltre. La sua mente era un dedalo di vie e cunicoli stretti e tortuosi che, se imboccati incautamente, potevano farlo finire in luoghi colmi di pensieri e dubbi che non era il caso di risvegliare. 
Volse il viso al piccolo banchetto di onigiri. Osamu lo osservava con un interrogativo. 
«Vorrei cinque di quelli di carne e altri cinque di tonno. E anche tre vuoti. Da portar via.» 
Un sorriso divertito gli illuminò lo sguardo pigro e affilato. 
«Fai rifornimento per quando ritorni a Tokyo.» gli uscì un affermazione velata di domanda. «Se mi dici che tipo di farcitura preferisci, posso farteli avere la prossima volta; hai il mio numero sulla busta.»
«Credo che non ci arriveranno a Tokyo, li mangerò prima. Ma grazie.» Evitò di dire che probabilmente si sarebbe fermato lì quella notte. Ma stupidamente si chiese se Bokuto avrebbe accettato senza neppure averlo avvisato del suo arrivo a quella partita; non sapeva neppure se fosse saggio rimanere, potevano essere visti da qualcuno o peggio. Lo avrebbe solo salutato dopo la partita e sarebbe ritornato via, non poteva avere la presunzione di esigere altro da lui. 
«Mhm, credo stasera ci sarà una cena della squadra qualsiasi sia l'esito.» 
Lo sapeva, ma non osò nè negare nè affermare nulla, limitandosi ad un mugolio dietro al suo viso pacato. 
«Spero solo che non ci siano problemi da ambo le parti.»
«Tipo?»
«.. Esaltarsi troppo porta Bokuto a sbagliare facilmente. Se la pressione risulta essere troppo densa, ho paura che ne risentiranno.»
Osamu parve riflettere, la gara che si srotolava affannosa e caotica di fronte a loro, gonfiata dal tifo delle tribune.  Una schiacciata bloccata da un muro impenetrabile; un'altra tirata di potenza, finendo out. Era stata alzata troppo alta, pensò involontariamente Akaashi.
«Atsumu lo saprà gestire. Per lo meno lo spero.»
Akaashi, al di fuori da sè, si ritrovò ad annuire senza sforzo. 
Ritornò ai contorni del campo, come se lo sguardo andasse fuori fuoco e ritornasse pulito, togliendo lo zoom che era stato automatico impostare alla partita. Non era lui a doverci pensare, non più. 
Era stato un gesto automatico. Come quando il corpo agisce di riflesso, senza ragione, solo per memoria; così alcune parti della sua mente reagivano al ragionamento compulsivo messo in atto per anni. 
Ma ora Bokuto era diventato qualcuno che non era più possibile gestire, non per Akaashi, non col suo stile di gioco esplosivo. Come la stella abbagliante che era, ancora di più fuori portata. 
«Atsumu lo saprà gestire.» ripetè, la voce che usciva senza inflessioni, una sfumatura distante; teneramente triste, come il residuo di un sogno da cui ci si risveglia.
Non che ci potesse far niente, lo accettava con una scrollata di spalle. Il tempo passava, erano cresciuti, erano cambiati loro e i loro obiettivi - i suoi, quelli di Bokuto erano rimasti solidi come roccia di fronte alle intemperie. 
Amava la sua solidità confortevole, le sue spalle larghe che tenevano sopra di sè il peso e le aspettative della nazione, la schiena dritta che sapeva del sudore versato e delle sconfitte ricevute. Le sue labbra che aveva baciato per la prima volta un anno e mezzo dopo il suo diploma, labbra che sapevano di promesse mantenute e di sogni che lasciava cadere la notte sulla curva morbida della clavicola. 
Lo amava come amava il suo porto sicuro, l'ancora che era nella sua vita.
L'aveva avuto per quanto poteva, ma il rammarico era ancora lì, un sapore metallico alla base della gola. Non sarebbe mai stato come Atsumu o qualsiasi altro alzatore di quel calibro, ma il pensiero, infido e sfuggevole, rimaneva. 
E si chiedeva se anche Bokuto l'avesse mai pensato, talvolta, negli allenamenti, a come sarebbe stato continuare a giocare insieme e se le sue alzate erano davvero ancora le migliori.
Un ringhio frustrato riverberò nello stadio chiuso, acuto e raspato in gola, ruvido come il grattare di una pietra con l'altra. Akaashi si voltò riconoscendolo ancor prima di vederlo. 
«Arrrgh fanculo! Dannato Ushijima!!» La voce di Bokuto era lontana dall'essere una tra tante, perse nel caos del tifo e del pubblico. Si faceva sentire e le sovrastava con facilità quasi inconsapevole, ma non pareva mai darvi troppo peso. 
Le ciglia scure ebbero un fremito mentre la fronte chiara si corrugava. Bokuto era frustrato, lo vedeva nella tensione delle spalle, o nella piega stizzosa delle sopracciglia; il broncio, quello ancora non c'era. 
«Ha iniziato prima del previsto. Il suo umore nell'ultimo periodo non è dei migliori.» Osamu, dietro di sè, rise sconsolato. 
Si trattenne dal chiedergli se poteva usare la sua terrificante telepatia che aveva col fratello per comunicargli degli aiuti. Non era necessario. Atsumu lo placcò alle spalle, dandogli un colpo duro tra le scapole e sussurrandogli qualcosa all'orecchio in un suo annuire. «Non stanno messi male, sono solo ad un paio di punti di differenza.» 
«Non credo siano i punti a infastidirlo.» Impedisci ad uno schiacciatore di schiacciare, e lo vedrai infuriato per settimane.
Il solo ripensarlo gli fece venire il mal di testa; accanto a lui Osamu lo imitò, stropicciando il viso. 
«Aaah posso ricordare come ci si sente.» mugugnò Osamu in un reclinare lento del capo. 
Il coach chiese un time-out tecnico, le sirene suonarono acute riecheggiando per l'intera arena. 
La panchina dei Black Jackals, scoprì, era sulla sua traiettoria a pochi passi da sè e la distanza tra il recinto del campo e le segnaletiche degli sponsor a delimitarlo. Bokuto camminava lento, il sudore già ad appiccicargli la maglia sull'addome mentre alzava un braccio e si asciugava la fronte e una mano prendeva una borraccia che gli veniva data. 
Hinata, fu lui a vederlo per primo. 
«Ah! Quello è Akaashi-san!» la sua voce era un squittio acuto, come la ricordava. I timpani ne risentivano dopo che ci stavi a contatto per troppe ore. 
Akaashi gli concesse uno sguardo come una carezza gentile, ma fu l'intensità crepitante di una fiamma a richiamare la sua più totale e devota attenzione. La stretta alle viscere che aveva percepito una volta entrato svanì del tutto quando i suoi occhi, in un guizzo flebile di ciglia, si riempirono di Bokuto. 
Vide con esattezza l'istante in cui la contrarietà lasciò il posto allo stupore che poi si tramutò in un lampo in meraviglia elettrica che esplose come un petardo. 
«AKAASHI!» L'urlo si riverberò in un eco vibrante per le tribune, tale da farlo sussultare più per la rapidità che non dallo stupore. 
Mormorii interrogativi strusciarono dietro e attorno a lui mentre sguardi e volti si guardavano, girandosi per capire a chi stesse parlando chi è akaashi? akashi-san? a chi ha urlato? forse ad un suo compagno..
Un rossore intenso gli colorò le guance pallide in un istante, stoico nel mantenere un espressione mite e raccolta. Era difficile, con Bokuto contro il bordo delle panchine della squadra, il viso che si era aperto ad uno dei suoi grandi, abbaglianti sorrisi come un cielo che si apre alla primavera e gli occhi stillavano intere costellazioni di stelle da donargli. 
Inevitabilmente, si scoprì a sorridere. Il viso si modellò di gentile affetto, le labbra che si piegavano in alto, una curva morbida su labbra di rosa, gli occhi che si piegavano al sentimento, fondi e increspati da un guizzo argenteo. 
Alzò una mano, muovendola pianto in un segno di saluto. 
«Perchè non mi hai detto che venivi?? Mi hai scritto per caso?! Non l'ho letto, potevi chiamarmi!» Si lamentò, impostando la voce ad una tonalità troppo alta per essere non udita da chi gli era vicino. L'allenatore lo guardò male, e Akaashi gli fece un gesto rapido nel farlo ritornare al suo posto. 
«Aspettami eh! Dopo la partita, aspettami!» 
«Sìsì, ora vai.» Sussurrò in un sibilo, sentendosi mortalmente colpevole mentre Atsumu lo trascinava in campo nonostante Bokuto, pieno di euforia, continuava a osservarlo e venerarlo con gli occhi. 
Osamu dietro di lui rise piacevolmente stupito. 
«Oh bhe, la sua ripresa questa volta è stata più rapida del previsto.» 
Akaashi si rese conto che aveva per un istante smesso di respirare, e trasse un leggero respiro a labbra schiuse.
«Speravo di passare inosservato quanto possibile.» 
«A volte si deprime con niente e si riprende lentamente. Stavolta forse sarà più facile.» Osamu dietro di lui lasciò uno sbuffo sardonico. Akaashi non si accorse del modo in cui Osamu lo osservava, con la coda dell'occhio pungolante al suo profilo, un angolo della bocca teso in una virgola pigra ma sbarazzina. «Ricordo che a suo tempo mi avevano costretto a studiarmi il vostro modo di giocare. È cambiato un pò, ma non ne sarei così certo.» 
«Bokuto sapeva essere piuttosto imprevedibile ma era stabile nel gioco. Non è cambiato molto. Atsumu-san invece è sempre stato affidabile.» Akaashi non sapeva perchè ma la conversazione stava prendendo una piega strana.
«Dici? Alcune volte Atsumu ha da sudare per farlo rientrare in gioco, invece, ora non sembrerebbe il caso.» 
Le sopracciglia scure di Akaashi ebbero un fremito impercettibile. Il battitore schiacciò di alzata il pallone spedendolo nel campo avversario, un missile che il libero riuscì a prendere; chance ball.
«Cosa intendi?» 
«Non sta a me dirlo, e mi fa strano che tu non te ne sia accorto, ma l'hai risollevato in silenzio più tu di quanto potesse fare Atsumu con i suoi consigli.» 
Un tocco, due, Atsumu che prendeva la mira in un punto più alto di lui, arcuandosi, spedendo la palla alle sue spalle. Il respiro gli fluttuò in gola per una frazione di secondo. I contorni di Bokuto si delinearono netti e nitidi, contro le luci abbaglianti dei fari. Sospeso in aria, tutto il bagliore sembrava irradiarsi da lui, circondarlo di un alone abbagliante da ferire la vista - incoronato di forza e potenza, Bokuto schiacciò il pallone e nessun muro riuscì a contenerne l'impatto dirompente impresso dal braccio. Glorioso nella sua forma, sapeva di sacro, di coraggio e determinazione ardente. La voce di Osamu fu un mormorio indistinto ma nitido, vero, a raggiungerlo. «Guardalo. Non so se sia merito tuo o no. Da quando ti ha visto non c'è nessun altro in tutto lo stadio che possa fermarlo o nessun muro troppo alto da non poter essere superato.»
Tu lo rendi divino
Lo rendi la stella più luminosa e sfolgorante di tutto il firmamento, intere costellazioni impallidiscono a confronto.
E Akaashi era sempre stato debole per quel suo lato di lui, il respiro che si fermava in gola, il cuore leggero e fremente, palpitante, contro le vene e le tempie e la gola. 
Bokuto segnò, e il cuore gli si aprì in due. 
«HEY HEY HEY!!» La folla fu in delirio, fischi e grida vibrarono esplodendo nello stadio in uno scroscio di applausi. Bagnato di fama e gloria, Bokuto rise tutta l'anima, l'adrenalina a rendergli gli vivi gli occhi, fulgidi e sfolgoranti di una fiamma che, Akaashi si accorse, essere pura, feroce esaltazione. In un battito di ciglia, lo sguardo di Bokuto fu di nuovo su Akaashi, lo ricercò, trovandolo, e lì piantarsi; e per poco non si sentì sovrastato. In un battito di ciglia, l'intensità feroce da togliere il fiato si trasformò in un bagliore più sopportabile, il sorriso si ammansì della gioia più pura e adolescenziale. «Akaashi! Hai visto? Hai visto cos'ho fatto?! Sono il migliore!» 
Osamu rise, una risata leggera che non aveva più nulla della fatalità consapevole impressa poco prima.
«Alla fine è sempre l'egocentrico del Fukurodani!» 
«Essere una stella ti da una scarica di confidenza e sicurezza inimmaginabili.» 
Applaudì, Akaashi, sorridendo tra i ciuffi scuri contro la fronte a sfiorare la montatura degli occhiali. Inclinò il capo, un gesto inconsapevole, il sorriso che si faceva più ampio e gli rischiarava le curve morbide del viso. 
«Lo è davvero.» Asserì. 
La mia stella. 
 
Ma lo era davvero?
Suo?

 
Stay gold
More than any stars

 
 
Non si accorse del proseguo della partita, tanto rapida e caotica che i punti si sommarono l'un l'altro ad una rapidità d'azione a cui non riuscivi a tener testa. Il fischio finale decretò la fine dei cinque set in un tripudio di acclamazioni e festoso riconoscimento ad ambo le squadre per la partita svolta. 
Saluti vennero scambiati contro la rete, festeggiamenti vennero fatti dai Black Jackals che, fedeli al loro nome, sembravano una mandria di belve senza contegno - salutavano, dandosi pacche sulle spalle e buttandosi bottiglie d'acqua addosso, l'adrenalina che ancora gli scorreva nelle vene li rendeva carichi, sanguigni, vivi. 
Hinata venne trattenuto da fotografi, il capitano della squadra venne intervistato da alcune troup sportive assieme ad Atsumu che cercava di togliersi di dosso la piaga iperattiva che era Bokuto, circondato da fan a chiedergli autografi e foto o anche solo ricevere una parola. 
Akaashi lo attese paziente, osservandolo da lontano; l'ombra delle gradinate tagliava obliquo il corridoio in cui si trovava e dove già alcuni giocatori ritornavano negli spogliatoi. 
Rispetto alla calca del bordo del campo, quel punto era più calmo. Vide Bokuto alzare il capo al di sopra del cumulo di fan, gli occhi vispi, aperti, da rapace, sondavano qualcosa da cercare ed individuare. 
Akaashi alzò una mano, e venne intercettato in un'esclamazione graffiata in gola e ripetute scuse rifilate rapidamente. In una volata, fu da lui. 
Si ritrasse quando se lo vide piombare addosso. La fatica, su di lui, aveva un sapore dolce, non lo rendeva sfinito ma sembrava esaltarlo come una statua di un dio. 
«Akaashi!!» Il viso di Bokuto si aprì di nuovo in uno dei suoi grandi sorrisi, con una punta più mansueta e adorante nelle profondità delle iridi; Akaashi pensò di esserselo immaginato. «Sono stracontento che sei venuto, non ti aspettavo. Me l'avevi scritto?? Sono certo al 101% che non me l'avevi detto, o ti avrei cercato fin da subito!» 
«No, l'ho deciso all'ultimo riuscendo a liberarmi prima dal lavoro. Non volevo disturbarti prima di una partita.»
«Cosa dici, Akaashi! Tu non puoi mai disturbarmi!» Gli prese il viso tra le mani, a coppa. Il gesto in sè lo accigliò, ma non faceva male; le sue mani, bollenti per il fuoco che gli scorreva nelle vene, gli spremevano le guance in maniera adorabile. «Riesci a vedermi?» 
Ancora non si era abituato agli occhiali. 
«Shi, Bokuto-san; ci vedo benisshimo. Non preoccuparti.» 
Bokuto rise di nuovo, una vibrazione calda, piena, raschiante che Akaashi giurò di poterla sentir vibrare fin nel petto in un tremito di ciglia e di cuore. 
«Puoi toglierteli a volte, sai? Credo che ti faccia male indossarli sempre.»
«Lo faccio, ma li ho tenuti perchè volevo vederti meglio durante la partita.» Akaashi lo disse come una constatazione di fatto, ma Bokuto sembrò reagire come se gli stesse per esplodere il cuore; un rossore intenso si sparse sulle guance rapidamente.
«Vieni!» 
Non gli diede tempo di rispondere. Lasciato il viso, Akaashi sentì prendersi per mano e trascinato via per la fine del corridoio e poi a sinistra. Si ritrovarono fuori dalla struttura con Bokuto che apriva le porte antiincendio, in una delle uscite laterali, si appuntò, doveva essere il retro dello stadio, un parcheggio per gli addetti e vicino agli spogliatoi.
La prima cosa che pensò fu che fosse fresco, non tanto ma abbastanza per Bokuto e il sudore che ancora gli colava dalle tempio. Venne preso da una punta di panico. 
«Bokuto-san, ti prego; non uscire così di fuori. Prenderai freddo.» Aveva la felpa della tuta, l'aveva rubata sulla panchina - e non sapeva se fosse la sua o di qualcun altro. 
«Tranquillo, sto benone.» Lo rassicurò, e Akaashi si stupì di quanta fiducia gli infondesse e di quanto poco dovesse preoccuparsi, ora che era cresciuto. Qualsiasi cosa gli dovesse dire, morì sulle labbra l'istante in cui la bocca di Bokuto fu sulla propria. 
Lo baciò gentile, all'ombra del sole e con l'eco del pubblico ancora nelle orecchie. Akaashi, andando contro il buon senso, si concesse a quel bacio e si affidò alle sue mani attorno al giaccone, schiudendo le labbra e sentendo il cuore scalpitare in petto, in un tremito di pelle. 
Sarebbe sempre stato debole, al sapore di sudore sulla lingua, alla consistenza ruvida dei suoi polpastrelli, alla goffa attenzione nello stringerlo per sentirlo ma non volendogli far male, ai suoi baci che avevano l'ombra dei sorrisi infantili. Sapeva di forza e dolcezza, di divino e di umano, di fiducia e di inguaribile adolescenza. 
Si staccò per vergogna, sentendo le voci di qualche fan trascinate dal vento. 
«Bokuto-san, non puoi farlo dove potrebbero vederci.»
Mise il broncio - un broncio terribilmente adorabile. 
«Te lo già detto, non mi interessa. Vorrei che tutti lo sappiano, di te - di noi. Tutti devono sapere quello che sei stato e sei per me.» 
Anche quello faceva parte dei suoi sogni, gli aveva detto una volta, dopo aver fatto l'amore, tra le coperte, racchiuso tra le sue braccia. C'erano cose che neppure una stella avrebbe potuto compiere. 
Lo sguardo deviò in basso, il sapore di nuovo lì, ancora acre alla base della lingua. Nel riverbero del sole ebbe l'immagine costante di lui, del suo profilo che lentamente perdevano fuoco, allontanandosi.
La stessa luce morente che si infilava tra le ciglia stagliandole sulle guance pallide di Akaashi, di una bellezza malinconica. 
«Sai che non posso seguirti, Bokuto-san.» Una mano, fredda, di Akaashi veniva tenuta senza forza dalla presa forte e solida di quella di Bokuto. Gliela strinse, lui, dandogli una strizzata energica inconsapevole - o forse con più consapevolezza di quanto Akaashi avesse mai pensato.
«Mmh, lo so.» Borbottò leggero, contrariato ma come se non fosse affatto un problema insormontabile. «Ma non è che sia la fine del mondo, no? Non è che puoi seguirmi sempre, ma so che vorresti. Anche se non vieni allo stadio, ma guardi la partita da casa o se anche durante il lavoro pensi a me che sto giocando - per me va bene. E' il massimo, davvero. E' come se fossi con me, come se fossi ancora il mio alzatore. Solo pensarlo mi risolleva il morale. Mi sostieni anche da lontano, è quello che fai sempre.» 
Furono parole che Bokuto disse nella sincerità più disarmante, qualcosa di ovvio ma che non era stato visto con superficialità - erano poche le cose che Bokuto considerava superficiali, e quella meno di tutti. Una frase che Akaashi aveva pronunciato in senso generico, Bokuto l'aveva presa invece nel senso letterale del significato - poteva sembrare stupido, ma era la cosa più vera che avesse mai potuto dirgli. 
Si vide a trattenere il respiro Akaashi e, finalmente, i suoi lineamenti si allentarono. 
Gli occhi scuri, freddi e profondi, si aprirono tingendosi di un barbaglio argenteo, una screziatura che richiamava le colorazioni di quelle gemme che sembrano possedere sfumature dello stesso colore e riverberano splendendo se colpiti dalla luce. Bokuto lo guardò vedendo la luce debole sfiorargli i suoi begli occhi scuri, accarezzando le guance che si tinsero di rosa mentre le labbra si ammorbidirono in una curva dolce. 
Era così bello, il suo Akaashi, a volte si chiedeva cosa ci facesse con uno come lui. Era il ragazzo più fortunato dell'intero universo. 
La risata gli uscì in come un campanellino d'argento, bassa, mite contro le labbra dischiuse. Nel farlo, gli occhi si chiusero in piccole mezzelune e non ci sarebbe mai stato nessun tramonto più mozzafiato di quello.
«Mi piace quando ridi!» Affermò Bokuto, perchè tutto ciò che rendeva felice Akaashi rendeva felice, per diretta conseguenza, anche lui. 
«Grazie, Kou.» Lo sguardo lo accarezzò da dietro le ciglia folte e le palpebre morbide, «Anche io amo ciò che sei.» Sorrise, e il bacio che si chinò a dargli aveva impressa la curva gentile di quel sorriso contro la bocca di Bokuto. La mano di Akaashi trovò il suo petto, appoggiandolo proprio dove il suo cuore batteva quasi delicatamente, chiudendo gli occhi nello stesso momento. Bokuto non potè resistere. Sfregò le labbra nella maniera più gentile e goffa che era in grado di fare, voleva baciarlo così tanto e a fondo, ma si trattenne per il divieto che gli era stato imposto e che sapeva far agitare Akaashi. Si limitò a far scorrere le dita callose sulla sua guancia, con una reverenza sfumata di amore incondizionato. 
Rimasero un istante di troppo, pensò Akaashi in una zona alla base della nuca, stretti solo a condividere un abbraccio, il naso di Akaashi a sfiorare la curva del collo di Bokuto, inspirando l'odore della tuta e del sudore. Era confortevole il modo che aveva Bokuto di tenerlo, baciargli la tempia ed ogni centimetro della pelle del viso, sogghignando quando scendeva ad una zona più sensibile del collo che sapeva fargli solletico. Bokuto lo teneva come se volesse venerarlo, adorarlo in ogni modo possibile. 
Gli altri potevano avere la stella della pallavolo, Akaashi avrebbe avuto il ragazzo accorto e amorevole e stupidamente adorabile che era solo con lui. 
«Mi mancavi.» 
«Anche tu, Keiji; certe volte le videochiamate non mi bastano, non è come sentirti qui!, un conto è vederti un altro è stringerti tra le braccia!» Bokuto se lo strinse contro in uno spasmo più forte, facendogli quasi mancare il respiro. Ancora di più e avrebbe trovato gli onigiri privi di forma- «Ah! Gli onigiri di Osamu.» 
Si scostò, ricordandosi solo in quel momento di averli avuti in mano fino a quel momento. Alzò la busta, tirandone fuori uno che porse ad un Bokuto i cui occhi avevano già inghiottito la luce, dilatandosi e puntando la preda in estasi. «Li avevo presi prima della partita, ne ho mangiati già tre ma te li ho lasciati - tieni.» 
Non aveva fatto in tempo a darglielo, che Bokuto l'aveva già inghiottito e infilato in bocca con una voracità invidiabile. Akaashi gliene stava già scartando un altro; c'era abituato. E poi doveva ammettere che gli piaceva vederlo mangiare così tanto, gli dava una sensazione simile alla soddisfazione. 
«Sono gli onigiri più buoni del mondo!»
«Vorrei davvero che aprisse a Tokyo.» 
«Vero?? Gliel'ho detto anche a Tsumtsum ma non mi ascolta!» 
Dietro di loro si sentì il rumore metallico delle porte antiincendio venir aperte, Akaashi si scostò appena da Bokuto irrigidendosi solo per tirare un sospiro di conforto nel vedere un viso familiare. 
Parlando del diavolo. «Tsumtsum!» 
Questo volse la testa, corrugando la fronte e roteando gli occhi in maniera sconsolata; era qualcosa che si era aspettato ma che non era affatto volenteroso di trovarsi di fronte. «Cretino! Ti sto cercando dappertutto, l'allenatore ci chiama negli spogliatoi.»
«Tsumtsuuum, digli ancora cinque minuti!»
«Non ci penso nemmeno.»  
Akaashi piegò il capo, affacciandosi al di là del braccio sinistro di Bokuto. Lo salutò con formale gentilezza. 
«Ti ringrazio, Miya-san, mi scuso per il disturbo.» 
«Akaaashi, non scusarti.» 
«Sei tu che dovresti scusarti! Sai che c'è, ci rinuncio, io ci ho provato.» Gli rese noto, in un guizzo alla mascella e facendo per andarsene. Akaashi lo vide arricciare il naso, lo sguardo vacuo di chi non voleva ma gli toccava fare la parte della brava spalla. «Vi è andata bene che fossi io e non qualcun altro. Invece di fare i piccioni che tubano, fate più attenzione.» 
Akaashi annuì comprensivo. Se non fosse stato sicuro che non ci fosse nessuno, sarebbe stato il primo ad evitare quel genere di effusioni. 
Bokuto, d'altro canto, mise su uno dei suoi più irritabili e stizzosi bronci. 
«Non mi importa niente degli altri!» 
Akaashi, dietro di lui. «Faremo attenzione, non preoccuparti. E, Miya-san,» non ci aveva riflettuto, Akaashi, ma fu più forte di lui e gli uscì quasi come se fosse una precisazione piuttosto naturale da fare. Inclinò il capo, dietro le lenti gli occhi neri come la terra e calmi, terrificantemente calmi. «Noi non siamo piccioni; siamo gufi. Tienilo a mente la prossima volta che avremmo bisogno di te.» 
Se Atsumu fosse più sconvolto dalla serietà o dall'improvvisa affermazione da qualcuno come Akaashi e non, piuttosto qualcuno fuori di testa come un Bokuto - questo non avrebbe saputo dirlo.
Dio li fa, poi li accoppia. Il pensiero gli attraversò la mente già contratta dallo sforzo che aveva fatto a gestire un Bokuto in campo; non pensava di essere psicologicamente pronto a gestirlo anche fuori. 
Anzi, a gestire non uno, ma due come loro. 
Li lasciò con gli stridii acuti e rochi di Bokuto ad echeggiare per tutto il parcheggio sul retro e Akaashi a gestirne l'impatto che ebbe su di lui. 
«AKAASHI! Che figo! Dillo di nuovo!!»
«Non urlare Bokuto-san.» 
«Come faccio, ti amo troppo! Segnati questa frase, la voglio riusare in campo!» 
«Per piacere, Bokuto-san, rientra dentro. Fa freddo.»
Akaashi era contento così. Era quello che amava: la sua stupida e brillante testa, i suoi bellissimi e brillanti occhi, il suo ampio sorriso. 
Il suo ragazzo, la sua brillante stella.
 
Hold my hand tight
I don't want to let go
fin.
 
  
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