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Autore: Eevaa    19/07/2020    17 recensioni
A due anni dalla conclusione della Seconda Guerra Magica, Harry Potter decide di prendersi una pausa dalla vita frenetica dell'eroe. A sua insaputa troverà qualcuno che, come lui, sta fuggendo da un passato colmo di orrori.
Un viaggio. Una strada. Due persone che, per la prima volta nella loro vita, si ritrovano a camminare nella stessa direzione.
In un momento storico in cui viaggiare sembra solo un ricordo lontano, voglio portarvi in viaggio in una terra che tanto ho amato e che porto sempre nel cuore.
L'Irlanda.
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Disclaimer: Questa storia non è scritta a scopo di lucro. 
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte del loro universo sono di proprietà di J.K.Rowling.
Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo
Nessun copyright si intende violato.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.



Avvertenza: il personaggio di Draco sarà trattato in modo molto particolare. Non ho messo l'avvertimento OOC perché, caratterialmente parlando, non ritengo di averlo snaturato molto. Mi preme però avvertirvi del fatto che la sua situazione è decisamente fuori dalla norma, ma verrà giustificata con il passare dei capitoli.

 


–THE WILD ROVER–

 



PROLOGO

 

Verde.
Verde ovunque. Verde intenso, verde infinito oltre le colline e i tetti delle case di campagna.
Verde sotto i piedi stanchi di una giornata trascorsa come un vagabondo tra le brughiere del Connemara.
Dietro le spalle una distesa di torba, innanzi agli occhi un sentiero cintato. Harry si passò una mano tra i capelli umidi di sudore, poi si aggrappò più forte alle cinghie dello zaino color mattone. Uno zaino pesante, seppur di modeste dimensioni. L'Incantesimo di Estensione Irriconoscibile non era poi così influente sul peso.
Si beò di quella vista ancora per qualche attimo, prima di riprendere il lento cammino oltre il lieve promontorio. Avrebbe dovuto affrettarsi: nuvole dense vorticavano sopra la sua testa e, sebbene un timido raggio di sole si stagliasse sul paesaggio, entro un'ora al massimo sarebbe venuto a piovere. Ne era certo, Harry.
Dopo più di due mesi a vagabondare per quelle liete terre, aveva imparato a riconoscere i repentini cambi d'umore del cielo di metà aprile.
Non molto lontano, tra il blu cobalto di una baia e le distese d'erba fresca, un paesino di casette colorate si affacciava timido al termine della maestosa Strada del Cielo.[1]

Passo dopo passo Harry prese a sorridere più ampiamente. Qualche pecora osservò curiosa il suo passaggio mentre il tramonto lo attese proprio all'ergersi delle prime abitazioni e il cartello di benvenuto alla città di Clifden.
Harry sospirò, si arrestò per qualche secondo, poi riprese a camminare di nuovo. Due vecchine lo salutarono da una panchina, il viaggiatore rispose con cortesia e fiato corto. L'orologio del campanile segnava le sei meno dieci del pomeriggio - orario perfetto per bere qualcosa.
Arrivato in centro, le prime gocce di pioggia lo sorpresero ancor prima di potersi guardare intorno alla ricerca di un posto dove alloggiare. Tipico.
Le note acute di un violino echeggiarono per la strada non appena un signore sulla quarantina aprì il portoncino di un pub nelle vicinanze. L'uomo si accese una sigaretta riparandosi sotto il porticato.
Harry si tolse gli occhiali e li asciugò con un lembo della maglietta, strizzando gli occhi verdi per poter mettere a fuoco la vecchia insegna del pub.
Un'altra cosa che aveva imparato Harry in quei due mesi, era che i posti dall'aria più decadente riservassero le migliori sorprese.
Senza alcuna remora si addentrò dalla porta, trovandoci esattamente tutto ciò che si era immaginato. E tutto ciò di cui aveva bisogno.

La musica gli riempì le orecchie, l'odore di legno e birra scura le narici. Un lungo bancone in legno d'ebano ricopriva tutta la parete sulla destra, una decina di tavolini tondi sparpagliati accoglievano delle piccole comitive. In fondo, seduti su due alti sgabelli, un chitarrista e un violinista intrattenevano il pubblico con un motivetto tradizionale. Sorrisero entrambi al viaggiatore, vedendolo entrare. Altre persone si voltarono lanciandogli un'occhiata distratta, poi tornarono all'ascolto e alle loro bevande.
Era presto, alcuni degli sgabelli al bancone erano ancora liberi.
Uno dei due baristi lo accolse con un consueto "Hi, folk!", e Harry non perse tempo per ordinare una pinta e dissetarsi dalla lunga camminata.
In due sorsate si ritrovò già con il bicchiere mezzo vuoto, mentre i primi cenni della stanchezza gli imprigionarono le gambe torturate dai crampi.

«Avete degli alloggi?» domandò Harry al barista, durante la pausa tra un brano e l'altro.
«Sì, in camerata da sei, per otto sterline a notte. C'è ancora posto, per stasera» rispose l'oste mentre asciugava distrattamente con un panno un bicchiere appena lavato.
Harry sorrise ed estrasse dalla tasca le monete riversandole sul bancone, incluse quelle per la pinta.
L'uomo aprì un cassetto sotto al registratore di cassa, poi gli porse una grossa chiave in ferro battuto e un depliant con delle stampe scolorite.
«La camera è al primo piano sulla destra, si accede al bagno direttamente da essa. Benvenuto a Clifden!» disse il barista. I folti baffi arancioni si muovevano ad ogni parola. Con gesti trafelati indicò una porticina verde accanto all'ingresso.
«La ringrazio» rispose Harry cortesemente. Trangugiò la rimanente birra in pochi sorsi e si congedò dall'oste con la sola intenzione di lavarsi via di dosso la stanchezza di un'intera giornata di cammino.

Dietro la porta verde trovò delle scale scricchiolanti, qualche ragnatela lungo il corridoio e dei quadri antichi appesi alla carta da parati con fiori di buganville. La chiave della camera era sufficientemente arrugginita da costringerlo a forzarla dentro la porta ma, dopo qualche mandata, riuscì ad addentrarsi.
Le tre brande inferiori dei letti a castello erano già occupate da alcune valigie di altri viaggiatori, così Harry lanciò il giacchetto su uno di quelli superiori. Quello più vicino al lucernario.
La stanza era piccola, ma tutto sommato pulita rispetto agli standard che aveva trovato durante il suo lungo viaggio.
Approfittando del fatto che nessuno degli ospiti fosse in stanza, Harry si godette una lunga doccia rinvigorente. Riuscì persino a lavare i vestiti sporchi e asciugarli con un incantesimo veloce, ringraziando il cielo di avere chiuso a chiave quando qualcuno provò ad aprirla proprio mentre compiva l'incantesimo.
Quando però uscì dal bagno – pulito, profumato e con la bacchetta ben nascosta in tasca - non trovò nessuno all'interno della stanza. Solo un nuovo zaino nero e beige sul letto adiacente al suo, un parka verde militare gettato alla rinfusa e la custodia di una chitarra acustica.
Si arrampicò sulla sua branda, distendendosi con un lungo sospiro di approvazione.
Camminare e godersi quei paesaggi era quanto più di meraviglioso potesse desiderare, ma anche poggiare le stanche membra su un materasso – sebbene cigolante e con qualche molla fuori posto – non era da considerarsi meno prezioso.
Harry chiuse gli occhi, e le note del violino provenienti dal piano inferiore lo accompagnarono in un'inevitabile sonno profondo.

Si risvegliò controvoglia all'udire di suoni meno armoniosi. Chiari ed evidenti segni che il suo stomaco implorasse a gran voce di essere riempito con qualcosa di più sostanzioso e consistente di una birra media. L'orologio da polso che segnava le dieci e mezza di sera gli ricordò che la sua lunga pennichella pomeridiana gli sarebbe costata una notte a contemplare il soffitto e la muffa negli angoli.
Harry inforcò di nuovo gli occhiali, maledicendosi. Recuperò il portafogli dallo zaino, infilò i piedi gonfi nelle scarpe e decise che fosse giunta l'ora di procacciarsi del cibo.
Un ragazzo sulla trentina, probabilmente già ubriaco, era riverso nella branda inferiore del loro letto a castello.

Il cigolio delle scale venne sopraffatto, man mano che Harry scendeva, dal suono di una chitarra acustica di vecchia annata e una voce graffiante.
I commensali all'interno del pub erano triplicati, rispetto a quand'era arrivato. Molta gente sostava in piedi, alcuni sui tavoli, e tutti ballavano e cantavano accompagnando il nuovo musicista in esibizione. Il duo che aveva suonato a inizio serata stava mangiando fish and chips al bancone del bar, e Harry decise che avrebbe preso spunto dal loro pasto. Si trovò un posticino in piedi di fianco alle spillatrici e, dopo qualche minuto di attesa, riuscì a ordinare da bere e da mangiare.
Tutti, dentro al locale, alzarono i loro bicchieri di birra al ritornello di una canzone tradizionale irlandese che Harry aveva sentito centinaia e centinaia di volte durante il suo viaggio.[2]
"And it's no, nay, never" cantò il musicista, e tutti batterono le mani quattro volte. Anche Harry lo fece, risvegliandosi completamente dalla sonnolenza.
Amava le serate irlandesi anche se, lo sapeva, andavano a finire sempre allo stesso modo: barcollando.

"No nay never, no more" cantò di nuovo il ragazzo alla chitarra, accompagnato dal coro dei commensali. Un piccolo varco si aprì tra la folla, lasciando finalmente intravedere a Harry il giovane musicista e la sua chitarra in mogano. Marcato accento inglese, a discapito della ballata che stava cantando. Capelli biondo platino, occhi grigi come il cielo d'Irlanda.
Il sorriso di Harry si spense, il boccale ancora pieno gli cadde dalle mani.
Un gran frastuono riempì il locale, ma nessuno fece troppo caso alla birra rovesciata. Cose che capitano, in un pub irlandese. Ma il musicista, forse disturbato nell'esibizione, lo udì eccome. Il suo sguardo si posò su quello di Harry e le parole della canzone gli morirono in gola. Smise di cantare, neanche a farlo apposta, lasciando voce al pubblico.
Si guardarono entrambi con gli occhi sgranati, mentre il coro degli irlandesi risuonò a gran voce dentro al locale. Nessuno sembrò accorgersi del gelo che calò dentro al Lowri's Bar.
"Will I play the wild rover, no never, no more".


 

⸙⸙⸙
 

CAPITOLO 1
Drew Mamphies

 

Un forte scrosciare di applausi accompagnò il concludersi della canzone, ma il biondissimo musicista parve per qualche secondo intenzionato a concludere lì la sua esibizione.
Harry guardò la birra rovesciata ai propri piedi. Ne aveva bevuti poco più che tre sorsi, era impossibile che fosse ubriaco.
Eppure, a giudicare dall'aspetto che aveva assunto il ragazzo con la chitarra all'angolo del pub, era chiaro che avesse le traveggole. Harry chiuse gli occhi un paio di volte, ma lo scenario non cambiò.
Il musicista - il ragazzo impegnato a intrattenere il pubblico, il cantante con la voce graffiante e l'accento inglese che aveva sentito sin dalle scale - rispondeva al nome di Draco Lucius Malfoy.

E, a giudicare da come quel tizio stesse rispondendo al suo sguardo sgranato, era sicuro che fosse lui.
Fischi dal pubblico e voci concitate ricordarono al musicista che, volente o nolente, si trovasse nel bel mezzo di un'esibizione. Imbracciò più forte la chitarra – quasi come se la volesse utilizzare come una Passaporta e smaterializzarsi lontano – e, tremante, riprese a suonare con molto meno entusiasmo e il pallore sul volto di chi avesse appena visto un fantasma.
Harry, con la gola completamente secca e un nodo allo stomaco, si rese conto che gli fosse passata la fame non appena il gentile proprietario del pub gli porse il piatto. Ad ogni boccone fu come ingurgitare uno dei biscotti caserecci di Hagrid. Nemmeno la nuova pinta appena spillata sembrò aiutarlo e, quando a fatica riuscì a ingurgitare almeno metà della sua pietanza, Harry decretò che quello fosse il momento e l'occasione adatta per passare a qualcosa di più forte.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per un Whiskey Incendiario ma, in un pub Babbano, dubitava fortemente che avrebbe potuto trovare dell'Odgen Stravecchio.
Si accontentò di un Jameson di vecchia annata. Due Jameson di vecchia annata.
Ma nemmeno i due bicchieri di distillato sembrarono sciogliere il nodo in gola di Harry, tuttalpiù che, ogni qualvolta che si voltava in direzione del palchetto, la platinata ed esile figura del suo più acerrimo rivale scolastico risplendeva acclamata dal pubblico.

Cantò fino a mezzanotte passata, esibendosi in un vecchio repertorio di canzoni irlandesi e grandi classici Babbani anni ottanta e novanta. Harry proprio non riuscì a darsi alcuna spiegazione di come un mago purosangue del Wiltshire - ex Mangiamorte e avverso alle tradizioni Babbane - potesse trovarsi in un pub in un paesino sperduto tra le contee irlandesi a suonare la chitarra, a due anni dalla conclusione della più sanguinolenta Guerra Magica.
E, cosa non trascurabile, Harry non aveva neanche idea che Malfoy sapesse suonare e cantare - e molto bene, persino!
Doveva esserci uno sbaglio. Forse era un sogno. Forse era la maledizione di un Lepricano. Non appena Draco smise di suonare - prendendosi mance e applausi in abbondanza - Harry avvertì il bisogno impellente di una boccata d'aria. O di vomitare.

Uscì dalla porta appannata e si ritrovò con il fiato corto sotto il porticato del Lowri's. Pioveva ancora, una pioggerellina fitta e fastidiosa di metà aprile. Si passò una mano tra i capelli in un gesto consueto, domandandosi come il destino potesse aver giocato in quel modo con la sua sanità mentale.
Nella stradina del centro si riversarono decine di persone barcollanti, comitive allegre e vecchi ubriachi intenti a tornarsene nelle loro case. Anche negli altri pub le serate stavano volgendo alla conclusione.
Harry guardò il cielo supplicando qualcuno di dargli la forza per entrare di nuovo lì dentro, parlare con il suo vecchio rivale scolastico e chiedergli delle spiegazioni ma, non appena riuscì a racimolare sufficiente coraggio per rientrare nel pub, nessuna persona con le sembianze di Draco Malfoy si aggirava tra i pochi rimasti.
Possibile che fosse uscito e lui non l'avesse visto? Harry si squadrò intorno, allibito. E se invece si fosse immaginato tutto per davvero? O peggio, se fosse stato qualcuno sotto pozione Polisucco?
Fece per salire in camera, ancora con la gola arsa e gli occhi sgranati, quando la scritta sulla lavagnetta vicino al palchetto attirò la sua attenzione.

 

Live Shows
18.00: Glenn and the Dolphin
21.00: Drew Mamphies

 

Drew. Draco? Impossibile!
Harry scosse la testa, con l'estrema convinzione che di lì a poco avrebbe dato di matto. Si avviò quindi verso la propria stanza con la seria intenzione di vomitare la cena, prendere una pozione soporifera e sperare di dimenticare ogni cosa ma, naturalmente, le sue intenzioni vennero schiacciate da un'esile ma oltremodo ingombrante presenza all'interno della camerata.
Una figura che confermò ogni ipotesi nell'esatto istante in cui i loro occhi si incrociarono di nuovo. Quelli grigi del musicista si alzarono al cielo con uno sbuffo appena trattenuto.

«Oh, vuoi scherzare!?» sibilò lui, stizzito, richiudendo con un gesto secco la chitarra in mogano nella custodia in pelle nera.
Tono strascicato, capelli biondissimi persino nella penombra di una luce di cortesia, ostentata maleducazione. Indubbio, a quel punto, che fosse esattamente lui.
«Pensavo di essermi sognato tutto» rispose Harry, bloccato sulla soglia della porta con il cuore in gola e le gambe tremanti.
Draco Malfoy grugnì indispettito, arraffando poi qualche effetto personale e ficcandolo nello zaino. Non si sforzò nemmeno di non fare rumore, e uno degli altri tre ospiti dell'ostello si rigirò nel letto con un borbottio infastidito.
«Si può sapere cosa cazzo ci fai qui?» domando Draco con fare esasperato, mentre si infilava il parka verde senza nemmeno guardarlo in faccia.
«Potrei farti la stessa domanda. Anzi, di domande ne avrei a centinaia, a dire il vero» rispose Harry. Si avvicinò di un passo per poter parlare più sottovoce ma Draco, con prontezza di riflessi, si allontanò ulteriormente.
Imbracciò la chitarra e lo zaino, si tirò il cappuccio del parka fino alle sopracciglia e poi sorpassò Harry evitandolo come il Vaiolo di Drago. Al contrario di come avrebbe fatto a scuola, non gli riservò alcuna spallata.
«E, pensa un po', non ho intenzione di rispondere ad alcuna di esse. Addio, Potter».
«Ma dove vai?»
Harry lo inseguì oltre la porta e lo osservò precipitarsi giù dalle scale scricchiolanti, senza guardarsi indietro.
«Lontano da qui, lontano da te. Non ho intenzione di rimanere».

Harry alzò la testa, maledicendosi in tutte le lingue conosciute quando – chissà perché – decise di lanciarsi all'inseguimento.
«Sta piovendo! E non troverai nessun ostello pronto ad ospitarti a quest'ora».
Draco si voltò di scatto in fondo alle scale, ringhiando addosso a Harry con frustrazione.
«Vorrà dire che dormirò per strada».
«Malfoy, non essere idiota» lo redarguì Harry, allargando le braccia. Peccato che fare l'idiota fosse una pessima abitudine consolidata, per quel ragazzo.
Gli occhi di Draco si fecero stretti, l'espressione sul volto ancor più sprezzante. Era cambiato dall'ultima volta che l'aveva visto, ma il viso appuntito non aveva perso il vizio di trasudare disprezzo nei suoi confronti. Come ai bei tempi.
Eppure... eppure in quegli occhi grigi c'era qualcosa di differente. Paura, forse?

«... nessuna domanda, te lo garantisco. Farò finta che tu non ci sia, ok?» promise Harry, domandandosi però cosa lo spingesse a preoccuparsi tanto. A Draco non l'avrebbe certo ucciso dormire all'addiaccio per una notte. Però pioveva. E la temperatura notturna in Irlanda a metà aprile non superava i dodici gradi.
Draco, di tutta risposta, sbuffò pesantemente e sganciò un destro al muro, poggiandosi poi sopra con la fronte e gli occhi chiusi di chi vuol pensare ma non ne ha le facoltà.
«Ma che razza di problema hai?!» domandò Harry, retorico, di fronte quella reazione tanto spropositata.
«Tu!» tuonò poi Malfoy con un ringhio, puntandogli un dito contro. «Tu sei il mio problema! Dannazione, tra tutti i posti nel mondo, proprio qui!»
«Mi togli le parole di bocca».

Si fissarono entrambi in cagnesco. Harry non avrebbe potuto certo dargli torto: in cinque continenti e infiniti luoghi, quante probabilità c'erano che loro due si ritrovassero nello stesso fottuto pub in un paese dimenticato nella fottuta Irlanda?
Non si vedevano da quasi due anni e Harry avrebbe giurato che non si sarebbero mai più rivisti in vita loro, dopo la battaglia di Hogwarts. Non avevano niente, assolutamente più niente da spartire. Draco l'aveva salvato al Maniero, Harry l'aveva salvato dalle fiamme dell'Ardemonio.
Ogni debito era stato estinto, fine dei giochi.
E invece erano lì, nella più strampalata delle improbabilità.

L'assurdità della situazione li colse in quel momento, in quello stretto e impolverato corridoio, ai piedi di una rampa di scale in legno pieno di termiti e nell'odore di fritto proveniente dal pub.
Draco aprì la tendina della finestrella per spiare accigliato la pioggia battente sui ciottoli della via. Sbuffò sonoramente nel momento in cui si rese conto che non sarebbe stata una grande idea quella di dormire di fuori e poi, con evidente malavoglia, scansò Harry di lato e si inerpicò sulle scale.
E Harry, chissà perché rincuorato, lo seguì fino alla camerata con miliardi di pensieri e domande che non avrebbero mai lasciato la sua testa.
«Non una parola, Potter. Mettiti a dormire e domani mattina fingi che tutto ciò non sia mai accaduto» sibilò Draco arrampicandosi sul letto a castello. Sembrò notare con estremo disappunto che il letto di Harry fosse proprio quello adiacente al suo. Giusto perché il destino aveva dovuto fare il bastardo fino alla fine.
«Oh, vorrei davvero che fosse così» borbottò Harry, infilandosi sotto le coperte in lana beige. Il suo cuscino era a malapena a mezzo metro da quello di Malfoy.
Egli si girò contro il muro e sospirò.
«Bene. Allora chiudi il becco».

Harry storse il naso, infastidito dai modi bruschi del suo vecchio rivale. Non che potesse aspettarsi niente di diverso, da quella serpe! Certo, non si sarebbe neanche mai aspettato di vederlo cantare in un locale circondato da Babbani ma, come aveva promesso, si sarebbe dovuto tenere ogni domanda tra i denti e tentare di dormire.
Naturalmente dormire sembrò ciò che di più utopico potessero chiedergli in un momento come quello. Il soffitto assunse sembianze interessanti almeno quanto quello zampettante ragnetto sfocato sull'angolo. Lo soprannominò Amilcare.
Si rigirò più volte tra le coperte, sospirando e maledicendosi per non averla assunta per davvero, quella pozione soporifera.

Dopo un tempo che parve interminabile, Harry si ritrovò con il letto completamente sfatto e un gran mal di testa.
«Potter, diamine. Sento gli ingranaggi arrugginiti del tuo cervello cigolare insieme alle molle del tuo fottuto materasso» lo ammonì Malfoy con un sibilo irritato, all'ennesimo cambio di posizione di Harry.
«Perché non dormi, allora?» grugnì quest'ultimo, esasperato dall'insonnia e dalla voce che per lungo tempo aveva ritenuto tra le più petulanti in circolazione.
«Probabilmente per lo stesso motivo per il quale non lo stai facendo tu, no?» rispose la voce petulante, e Harry si voltò prono per sollevare la testa e osservare il volto appuntito di Malfoy.
Nel buio, i suoi occhi lo fissarono stanchi. Sembrava quasi... rassegnato.
Tenere a freno la lingua, a quel punto, risultò impossibile.

«Sei scomparso un anno e mezzo fa, Malfoy. Dopo i processi nessuno ha avuto tue notizie, alcuni ti credono morto!» sussurrò Harry, concitato.
«E tu fa' finta che io lo sia» borbottò Draco, dopo un lungo sospiro.
I processi per la famiglia Malfoy erano avvenuti due settimane dopo la fine della guerra, intorno a metà luglio. Nonostante le testimonianze positive – tra le quali quelle di Harry – il giudizio della corte suprema non aveva risparmiato Lucius dal bacio e l'ergastolo per Narcissa. Draco, invece, si era visto togliere la bacchetta a tempo indeterminato.
Da allora nessuno aveva saputo più nulla di lui. Zabini aveva messo in giro la voce che fosse in Francia, da lontani parenti. La Parkinson si era convinta che prima o poi l'avrebbero trovato in qualche canale di Londra.
Harry aveva perso speranze di ricevere notizie veritiere il giorno in cui Finnegan giurò di averlo visto in un quartiere Babbano a vendere mele. Non che si fosse mai interessato troppo alle sorti di Malfoy, ma si erano comunque salvati la vita a vicenda e gli sarebbe dispiaciuto saperlo morto.

Harry si rese conto, invece, che in quel momento avrebbe pagato fior di Galeoni pur di entrargli nella testa e capire cosa diamine ci facesse a fare il musicista in Irlanda.
«Drew Mamphies. Ti sei creato un nome Babbano?» domandò dopo qualche secondo, stando ben attento a tenere la voce bassa nel pronunciare l'ultimo termine.
I loro compagni di stanza sembravano russare della grossa, ma le precauzioni non erano mai troppe.
«Avevi detto niente domande» gli rammentò Malfoy, lapidario.
«Oh, già, scusami se sono completamente sconvolto» pronunciò Harry, sarcastico.
Ben presto si ritrovò faccia a faccia con il suo vecchio rivale scolastico il quale, con un gesto rapido, si posizionò prono.
«Ascoltami bene, Potter. Io voglio solo che domani mattina tu esca di qui e finga di non avermi mai visto. Io tornerò al mio lavoro, tu tornerai a... cos'è che stai facendo, esattamente?» domandò infine Draco, gli occhi stretti e la testa lievemente inclinata. Poca barba incolta riempiva il volto scavato, i capelli corti erano ben più spettinati di come li portava ai tempi d'oro nella sua nobile casata.

Harry ghignò.
«Io non posso far domande a te, ma tu ne puoi fare a me?»
Una ruga di espressione tagliò il volto stanco di Malfoy il quale, con il consueto menefreghismo, si riposizionò su un fianco facendo spallucce.
«Hai ragione. Non me ne può fregare di meno. Buonanotte».
Harry sbuffò e si rese conto che non avrebbe ottenuto proprio un bel niente. Nessuna risposta, nessuna spiegazione, e forse andava anche bene così. L'indomani ognuno avrebbe preso la propria strada e non si sarebbero rivisti mai più nella vita.
«Buonanotte, Mamphies».
«Impiccati».

 

 

Quando Harry aprì gli occhi, la mattina successiva, non realizzò veramente quanto fosse successo. E, anzi, si auto-convinse che fosse stato tutto un bizzarro incubo frutto delle sei ore di cammino del giorno precedente. Tuttalpiù che, non appena si voltò per controllare la branda accanto alla sua, la trovò vuota e con le coperte messe in ordine. Amilcare, invece, era ancora lì nell'angolo. 
Con la bocca impastata di sonno e la sensazione di aver dormito sui sassi, si vestì con la lentezza di un bradipo e sistemò il proprio bagaglio con altrettanta malavoglia.
Lo specchio, nel piccolo bagno in piastrelle di ceramica lilla, rifletté un volto stanco e sciupato. Barba scura incolta e capelli arruffati. Quelli, nel corso degli anni, non erano mai cambiati.
Dal lucernario, Harry riuscì a intravedere con disappunto che il maltempo non avesse dato tregua al Connemara. Sbuffò con l'alito fresco di dentifricio al mentolo, poi si ritrovò a osservare la mappa con uno sbadiglio.
Il suo programma non era affatto quello di rimanere a Clifden più di una notte, non in quel momento che si trovava vicino a una delle tappe principali del suo viaggio.
Non che avesse delle scadenze, naturalmente, ma moriva davvero dalla voglia di raggiungere la meta prefissata.

Dopo aver impacchettato tutti i suoi effetti nello zaino ed essersi conferito un aspetto decente, Harry lasciò l'alloggio con l'intenzione di prendere il primo autobus per Mannin's Bay, infilarsi in un pub ed evitarsi così la pioggia della mattinata.
Si trangugiò una tazza di caffè americano bollente al pub, salutò l'oste con cortesia e si avviò oltre la via del centro, diretto alla pensilina che aveva intravisto il giorno prima accanto alla chiesa.
La fitta pioggerella gli appannò gli occhiali mentre corse sul vialetto e, dopo tre minuti, si ritrovò con i capelli già inzuppati. Raggiunse con il fiatone la banchina, rifugiandosi sotto di tutta fretta.
Si accorse solo in quel momento di chi ci fosse già sotto, seduto sulla panchina in metallo con la custodia della chitarra tra le gambe.
Evidentemente quello della sera prima non era stato un sogno. Eppure fu come vederlo per la prima volta.

Draco Malfoy lo fissò incredulo e Harry, incapace di proferire verbo, si ritrovò sull'orlo di una risata nevrotica.
«Ok, mi stai perseguitando» convenne, indignato.
Harry alzò gli occhi al cielo, esterrefatto da quanto il signorino potesse essere egocentrico.
«No, semplicemente anche io sto cercando il modo di andarmene da questo posto senza prendermi un accidente».
«Tira fuori la bacchetta e sparisci, allora! Tu che puoi!» suggerì Draco, prima di incrociare le braccia al petto e abbassare il capo, risentito.
«Non sto utilizzando la Smaterializzazione per spostarmi» spiegò Harry senza degnarlo di uno sguardo, percorrendo col dito il calendario e l'orario dell'autobus alla ricerca di informazioni. Erano le nove del mattino e, con tutta probabilità, il numero tre sarebbe passato da lì in una manciata di minuti.
«E perché mai? Non avrai di certo una Traccia addosso» domandò sprezzante Draco, facendo dondolare con impazienza un piede. Era strano, per Harry, vederlo in abiti Babbani.
Scarpe da basket, pantaloni neri strappati, un grosso zaino e un lungo parka verde militare.
Non molto diverso da com'era solito vestirsi lui ultimamente.
«Semplicemente non è il mio modo di viaggiare. Problemi?»

Draco sbuffò con spregio e aprì la bocca come per controbattere e inondarlo di altre parole velenose ma, prima che potesse farlo, un anziano signore con una camicia a quadri si rivolse loro, intento ad aprire le serrande del suo negozio di articoli di pesca.
«Folks! Potete stare lì tutto il giorno, ma la domenica è raro che passi la corriera. Il vecchio Martin sarà ancora riverso di fianco al pontile» ridacchiò lui e, con un lamento di fatica, issò una saracinesca cigolante.
Harry cacciò indietro la testa, Draco si alzò di scatto con gesti nervosi.
«Fantastico...» sibilò quest'ultimo, nevrotico. Recuperò la chitarra e lo zaino, si cacciò il cappuccio fino agli occhi e, aprendo un ombrello mezzo rotto, si incamminò per la salita tra vari borbottii. «Dannata pioggia. Dannati irlandesi sempre ubriachi. Dannato me».

Harry, il quale perse ogni speranza di poter compiere un viaggio asciutto per quel giorno, estrasse un K-way blu notte e se lo infilò prima di proseguire per la stessa via di Draco, ancora intento a imprecare a bassa voce.
«Dove sei diretto?» domandò raggiungendo Malfoy senza fatica. Il peso della chitarra, lo zaino e in più l'ombrello rendevano Draco meno agile. Non gli era più consentito compiere incantesimi e, tra questi, anche quello di estensione per viaggiare meno impacciato.
«Da nessuna parte».
«Se hai così tanta fretta ti posso creare una Passaporta» sbuffò Harry all'ennesima occhiataccia.
All'udire della sua proposta, Draco interruppe il suo camminare per puntargli il dito contro. Per la seconda volta in meno di dodici ore.
«Punto primo: non accetterei di farmi aiutare da te neanche se mi trovassi di fronte a un'Acrumantula gigante. Punto secondo: non ho alcuna destinazione urgente, vorrei solo andarmene da qui senza prendermi un accidente, per l'appunto, ma è un lusso che il cielo non sembra volermi concedere» illustrò Malfoy prima di riprendere il cammino in direzione sud, oltrepassando così il cartello "Arrivederci" di Clifden.

Il verde li avvolse in un fresco abbraccio.
«Già, anche io. Ad ogni modo, a giudicare dalle nuvole, penso che smetterà di piovere in un paio d'ore. Forse meno» spiegò Harry volgendo lo sguardo verso l'alto, parandosi dalla pioggia con il dorso della mano.
Lontano, oltre le verdi colline, uno squarcio tra le nuvole lasciava cadere un raggio di sole sulla baia.
«Sei diventato un veggente?» domandò Malfoy sarcastico, muovendo un passo dopo l'altro sulla strada che, man mano che si allontanavano dal paese, si trasformava in un timido sentiero. I due maghi camminarono ognuno all'antipodo dell'altro sulla via, senza guardarsi in volto.
«No, semplicemente sto vagando per queste terre da due mesi e ho imparato a leggere il cielo».
«Hah! Il cielo d'Irlanda è più imprevedibile di uno Snaso, io che vagabondo qua in giro da nove mesi penso di poterne sapere giusto un pochettino più di te» gracchiò Malfoy, mentre annoiato calciava un sasso sul selciato.

Dalla lontananza si scorse un bivio e un vecchio cartello in legno con le scritte sbiadite.
Harry storse la bocca a quanto detto da Draco, ma convenne che fosse giusto non contraddirlo - sebbene fosse convinto di avere ragione, per quanto riguardasse il cielo. Ciò che lo stupì, invece, fu apprendere che stesse viaggiando da così tanto tempo.
«Nove mesi? Da dove arrivi? Non ti ho mai incontrato per strada» domandò Harry poco prima del bivio.
«E sia lodato Salazar. Comunque arrivo da nord, da Belfast» disse Draco con la consueta voce strascicata, deliziandolo chissà come di una risposta che non comprendesse un "fatti gli affari tuoi".
«Io da est. Sono partito da Dublino e sono diretto alla baia di Galway, per ora. Poi, chi lo sa» parlò Harry, e dopo qualche secondo realizzò che Draco si fosse fermato in mezzo alla strada, con il viso rivolto verso il cielo e una risata nevrotica soffocata nel naso.
«Che ti prende, adesso?» domandò Harry, sconcertato.
«A Galway. Non ci posso credere» soffiò flebilmente.
Harry capì chiaramente quale fosse il problema e sì, decisamente il destino stava facendo loro uno scherzo molto ilare.
«È lì che devi andare?»
«Il programma era quello, ma credo che cambierò direzione».

Il bivio della strada, appena di fronte a loro, parve dare a Malfoy l'opportunità di fare quanto appena millantato. Eppure, a giudicare dai suoi occhi incerti e a tratti persino spaventati, egli non sembrava proprio dell'idea di volerlo fare per davvero.
«Oh, Malfoy, per amor di Merlino, non ho mai mangiato nessuno e credo non inizierò a farlo adesso» ringhiò Harry dopo qualche secondo di indecisione.
Viaggiare in direzione sud con il suo vecchio rivale scolastico non era stato contemplato nei suoi piani, quando aveva iniziato quel viaggio. Ma Malfoy non era più nella posizione di poterlo schernire come in passato e, soprattutto, i tempi erano cambiati. La Guerra era finita, i loro conflitti adolescenziali non contavano più un bel niente. E Harry non aveva niente da nascondere, riguardo al suo viaggio.

Ma, a giudicare dal volto risentito, non valeva lo stesso per Draco.
«Sentimi bene, Potter, perché non te lo ripeterò un'altra volta: non mi interessa per quale motivo tu sia qui a fare la vita del vagabondo, ma ciò di cui sono certo è che l'Eroe del Mondo Magico attira più giornalisti che le mosche sul letame. E io non voglio per nessun motivo averci niente a che fare. Ergo, di grazia, adesso porta le tue eroiche chiappe lontane da me. Vorrei dirti che è stato un piacere ma, beh, mi risulterebbe difficile mentire!» concluse Draco con un sorrisetto sarcastico, riprendendo poi il suo cammino in direzione sud. Evidentemente andare a est non era proprio nei suoi programmi.
«Strano, visto che l'hai fatto per tutta la vita e continui a farlo, Mamphies» lo punzecchio Harry, beccandosi un'occhiataccia. Se solo Malfoy non avesse avuto entrambe le mani occupate da ombrello e chitarra, era certo che l'avrebbe deliziato di un dito medio.

«E comunque,» continuò Harry, «è proprio per stare lontano dalla stampa che sono venuto qui, in questi posti dimenticati da Merlino. Dubito fortemente che i giornalisti inglesi vogliano sporcarsi le loro scarpette laccate per inseguirmi nei campi di torba e rischiare un attacco dei Lepricani».
«Perché diamine stai ancora parlando? E perché diamine mi stai seguendo?» sbuffò Draco, esasperato.
«Non sto seguendo te, sto seguendo la mia direzione. E si dà il caso che la strada percorribile a piedi per Galway al momento sia una sola. Non voglio provare a entrare nelle proprietà private degli allevatori e tagliare dai campi, sai com'è, ci tengo alla mia vita» controbatté Harry mentre indicava i campi arati e i greggi di pecore poco distanti. I contadini irlandesi sono uomini assai gentili e cordiali... fino a che non gli si invade la proprietà.
«Se veramente ci tieni alla tua vita, ti consiglio di stare in silenzio e stare almeno a tre metri da me. Queste sono le mie condizioni per arrivarci vivo a Galway, Potter» concluse Draco, lapidario, scoccandogli uno sguardo gelido in attesa di conferma.
«E così sia».

Incredibile a dirsi, per una volta nella loro vita avrebbero percorso lo stesso cammino, sulla stessa strada.
La lecita domanda, a quel punto, era se sarebbero giunti tutti e due vivi e interi a destinazione.


 

Continua...


[1] Sky Road: una meraviglia panoramica, consigliatissima anche da percorrere in macchina.
[2] The Wild Rover: tradotto letteralmente “il vagabondo selvaggio”, una canzone tradizionale irlandese che però vede le sue origini in Scozia. L'hanno interpretata tanti gruppi famosi, tra i quali i The Dubliners, i Metallica ed altri. Ecco a voi il link: https://www.youtube.com/watch?v=_jgd07Ica5s 



ANGOLO DI EEVAA:
Ehm, ehm. Buongiorno? Quanto tempo!? Ragazzi, ditemelo se vi ho frantumato i tre quarti con queste repentine pubblicazioni xD
Che dire... anche questa volta non mi sono risparmiata in stranezze! Spero che, nonostante questo Draco decisamente singolare, questo inizio vi abbia incuriositi. Un Draco che prende anche un po' di ispirazione a Tom Felton, direi, con questa chitarra :)
Ci tengo davvero tanto a questa storia, che è nata in un periodo molto difficile per me, ma credo anche per tutti voi. Durante la quarantena, in particolar modo, ho sentito la mancanza di viaggiare, di uscire, di suonare... e quindi è nata The Wild Rover. 
Chi mi conosce già sa che l'Irlanda è nel mio cuore da anni. Spero, con questa storia, di potervi portare un po' dell'amore e della bellezza che quella terra mi ha regalato. 
Lascerò a fine capitolo qualche immagine rappresentativa dei luoghi di questo viaggio. 
Nulla... spero davvero che questo nuovo esperimento possa piacervi! Un abbraccio e a domenica prossima con il secondo capitolo!
Eevaa

 


Sky Road, Connemara.


Clifden, Connemara.

  
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