Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |      
Autore: Kerberos 1001    19/07/2020    0 recensioni
Vendetta.
Caldo o freddo che sia, la vendetta è comunque un piatto che va consumato, non credete anche voi?
Altrimenti, rimane unicamente una chimera, qualcosa che inasprisce l'esistenza sino a rovinarla del tutto.
Per alcune persone, il torto subito - o presunto tale - assume una tale importanza che il venirne ripagati, la succitata vendetta, per l'appunto, sostituisce la scintilla stessa della vita, diviene il motore primario che li spinge a brigare, a lottare e conquistare, sino a fondare un impero.
Per poi attendere, inerti.
Attendere cosa, chiederete voi?
Una risposta che, purtroppo per loro, mai arriverà.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
«Entra! Il capo ti aspetta! Cosa ci trovi in te, proprio non riesco a capirlo!»
La guardia mi fece entrare in una sala buia, drappeggiata di prezioso velluto blu; dappertutto, lo scorpione, in tutte le pose e di tutte le dimensioni, segno che quello che si raccontava sul Gran Maestro della Corporazione dei Ladri e degli Assassini, che fosse addirittura ossessionato da quell’animaletto, era vero.
Ed eccolo lì, l’essere più potente, temuto e rispettato della regione: un halfling decrepito, cieco da un occhio, che sedeva rannicchiato sul suo trono, dirigendo a gesti e mugugni un’organizzazione che espandeva la sua influenza da Causilos a nord fino al Muro a sud, giù, oltre Bardias.
«Benvenuto! E grazie per aver accettato il mio invito con tanta sollecitudine!»
«Come se avessi avuto altra scelta!»
«Intendi forse dire che sei stato costretto a venire fin qui?»
«Se per voi trovarsi alla porta di casa quindici mercenari della stazza media di un troll è solamente un cortese invito, allora no, non sono stato costretto!»
Misurare le parole con lui, a quel punto, non avrebbe sortito alcun vantaggio per me: se mi avesse voluto morto, probabilmente non sarei mai neppure stato introdotto alla sua presenza; quindi, tanto valeva togliermi qualche soddisfazione...
«In effetti, io avevo ordinato al mio messo di fiducia di consegnarvi una pergamena scritta di mio pugno con l’invito a presentarvi a me, oggi.» L’unico occhio rimastogli mi si puntò addosso, come se volesse sfidarmi a contraddirlo di nuovo, mentre mi prendeva in giro a quel modo. «Evidentemente, considerando la vostra fama, messere, il mio uomo avrà pensato bene di cautelarsi...» Si versò una coppa di vino, la trangugiò in fretta: «L’importante, ad ogni modo, è che tu sia qui. Ma prego, accomodati pure!»
L’unica altra sedia presente si trovava esattamente al centro della stanza ed era stata accuratamente inchiodata al pavimento, di modo che non potesse venire spostata od usata a mo’ di scudo; sedendomici, mi chiesi quanti tra arcieri e balestrieri stessero puntandomi contro le loro armi in quel preciso momento.
«Posso sapere di che si tratta? Perché sono stato invitato al vostro cospetto?»
Il Gran Maestro – tutti lo conoscevano unicamente con quell’appellativo, tanto che la maggior parte della gente dubitava che egli stesso si ricordasse ancora il proprio nome, posto che ne avesse mai avuto uno! – ridacchiò: «Risparmiati il sarcasmo: sei qui perché ho raccolto informazioni sul tuo conto e, dopo averle attentamente valutate, ho ritenuto opportuno concederti la possibilità di diventare ricco. Ti alletta l’idea?»
«Se sopravvivrò...»
«Se sopravvivrai, certo.» Non cercò neppure di nascondere il fatto che mi stesse proponendo una missione altamente rischiosa: per lui, era un fatto naturale, quasi come respirare. «Accetti?» mi chiese, senza preamboli.
«Senza neppure sapere di che si tratta? Mi ha preso per matto?»
«Converrai con me che uno come te, che ha inseguito per tanti anni la gloria e la ricchezza su di innumerevoli campi di battaglia, tanto sano di mente non è!» Ridacchiò di nuovo, più a lungo: «Dunque? Accetti oppure no?»
Che fare?
«Sì» bofonchiai di mala voglia; ma, del resto, che altra scelta avevo? «Accetto! Di che si tratta?»
Prima di rispondere, il Gran Maestro fece un cenno appena percettibile con la destra ed io avvertii una debole corrente d’aria nella schiena: gli arcieri se n’erano andati.
Lui sorrise, vedendo che mi rilassavo: «Bene! Molto bene, direi!» applaudì, ironico: «Quello che sto per raccontarti non l’ho mai detto a nessun altro... e nessun altro dovrà saperlo mai, a costo della tua stessa vita! Sono stato chiaro?»
«Cristallino! Vogliamo venire al sodo?»
«Certamente! Mi pare giusto!» Tossicchiò, probabilmente per darsi un tono: «Molti anni fa, quand’ero giovane, venni accolto in un gruppo di... cacciatori di tesori, se mi passi la metafora!»
«Avventurieri e grassatori, dico bene?»
«Più o meno: in realtà, non eravamo che un’accozzaglia disorganizzata di criminali e reietti, ma a quell’epoca, ci sentivamo quasi dei virtuosi monaci, in confronto a quanto girovagava per le foreste e le strade dell’ex impero!»
«Di quanti anni fa stiamo parlando?» 
Il Gran Maestro sorrise, poi ridacchiò di gusto: «Sei sveglio! Esattamente come mi avevano riferito: era appena trascorsa l’Anarchia, con tutto ciò che aveva portato, nel bene e nel male!»
Attese un mio commento, che non arrivò, così riprese a narrare: «Un giorno, passando per una cittadina del nord-est, sull’altro versante delle Braccia, udimmo un vecchio che parlava di una misteriosa fortezza, disabitata da almeno cent’anni, probabilmente di più, cui nessuno osava avvicinarsi...»
«Un vecchio presidio della Guardia di I’Sha, di prima che fondassero le Sette Perle?!» Feci un fischio. «Ed era ancora in piedi dopo quanti, seimila anni?»
«Oh! Vedo che sei molto ferrato nella storia antica! Complimenti! Io queste cose le scoprii solo in seguito, molti anni più tardi, dopo estenuanti ricerche, svolte qui e altrove. Comunque, hai ragione: quella è una delle ipotesi più probabili, anche se non l’unica che abbia vagliato con attenzione nel corso degli anni!»
Accantonai il complimento con un cenno: «Così siete andati all’assalto, nella speranza di caricarvi di tesori...» suggerii.
«Non subito: non eravamo... com’è che hai detto prima? Ah! Sì! Non eravamo così matti come credi: si trattava pur sempre di un’intera fortezza da esplorare, un luogo sconosciuto e irto di pericoli; studiammo a lungo e bene il terreno circostante; assoldammo dell’utile manovalanza, con la promessa di una ragionevole percentuale del bottino; ci allenammo per l’impresa...»
Si interruppe, un’espressione sorpresa dipinta sul volto: «Ora che ci penso, si può quasi affermare che pianificammo a lungo termine le nostre azioni, per la prima volta da quando la compagnia era stata fondata! Divertente, non trovi?»
«Esilarante!» commentai, prima di chiedere ciò che mi stava ben più a cuore, in quel momento: «Cosa andò storto? Perché qualcosa andò storto, giusto?»
Lui annuì, triste: «Non subito: all’inizio, tutto andò per il meglio – fin troppo, col senno di poi! – e noi ci rilassammo; quando accadde quella cosa...»
Si zittì, come se persino il ricordo potesse essere ancora pericoloso.
«...Non eravate pronti.» conclusi per lui.
Scosse la testa: «No, non lo eravamo. Per niente! Morirono tutti, uno dopo l’altro, nei cunicoli del labirinto sotterraneo. Io riuscii a scampare per miracolo, sbucando da un pertugio al centro del cortile esterno... Solo che LUI era là ad attendermi!»
L’ultima frase l’aveva urlata, colmo d’odio e furore represso.
«Lui... chi?»
«Lo scorpione! Lo splendido, meraviglioso scorpione che ornava – ed allo stesso tempo difendeva! – il cancello principale!» Furioso, il Gran Maestro spruzzava saliva ogni volta che parlava, adesso «Un enorme golem animato da una volontà beffarda e malvagia, la stessa che dominava sull’intera fortezza!»
Il minuscolo corpo rattrappito fremeva d’ira impotente: per un attimo, uno solo, provai pena per lui.
«Ma voi riusciste a sfuggirgli.» constatai.
«Ovvio! Dopo ore e ore di lotta, correndo qua e là fino a farmi scoppiare il cuore, rincantucciandomi in ogni possibile, sordido buco che riuscissi a scovare per poter riprendere fiato, riuscii finalmente a raggiungere il cancello: mi infilai nel solco che il palo centrale aveva scavato nella roccia dopo innumerevoli aperture e chiusure e passai dall’altra parte... non prima, però, che quel bastardo riuscisse a cavarmi un occhio col suo maledetto aculeo!» Si toccò la benda ingioiellata che copriva l’orbita vuota «A compenso della vostra sfacciata intrusione,
messer ladro!» pronunciò in un pesante falsetto: «Questo mi disse, con quella sua voce sibilante, l’unica volta che parlò! Capisci?! Capisci che significa? Eravamo stati solamente un fastidio per lui! Dei giocattoli! Tutti quanti...»
Dovette interrompersi per calmarsi. Quando riprese a parlare, la sua voce era tornata ad essere posata, ironica e controllata come era stata all’inizio: «Da quel giorno, ho vissuto unicamente per vederlo distrutto! Tutto questo...» spiegò, indicando la sala e, con essa, tutto il suo innegabile potere, «tutto ciò che ho fatto, tutto ciò che ho ottenuto, è stato in funzione di quel sublime momento in cui mi verrà recata la notizia della sua avvenuta totale distruzione! Solo allora potrò anch’io finalmente cedere le armi e morire in pace!»
«Deduco allora che vogliate udire da me quella notizia.»
«Bravo! Ma non subito! Sai, ho imparato molto da quel bastardo: prima occorre essere sicuri di poter sconfiggere il nemico... C’era un’arma, da qualche parte, in quella fortezza – ne sono sicuro! – che può sconfiggerlo: nessuno sarebbe stato tanto pazzo da scegliere un simile guardiano senza dotarsi della possibilità di liberarsene in caso  di bisogno!»
«C’era? Significa che non è più là?»
«No! Abbiamo rivoltato anche le pietre, là dentro, in cerca di tesori, ma non trovammo nulla che potesse anche solo assomigliarle, me ne ricordo bene!»
«Come fate ad esserne sicuro?» obbiettai «Magari non l’avete trovata perché non esiste!»
«Esiste!» rispose, con la certezza che solo l’odio più puro, più radicato e profondo, covato e distillato per una vita intera, può dare. Prima di proseguire, il Gran Maestro si girò per versarsi un secondo calice di vino, facendo poi roteare adagio il liquido denso e profumato per assaporarne l’aroma: «Quando fuggii per il rotto della cuffia dalla fortezza, arrancai giù per il sentiero – nascosto, maledizione a loro! Con la magia! – che conduceva dai cancelli fino al più vicino villaggio, dove stramazzai delirante; dagli abiti sporchi e laceri e dalle ferite che avevo subito su tutto il corpo, gli abitanti dedussero che fossi stato assalito dai banditi, derubato e lasciato per morto nei boschi là intorno.» Buttò giù un sorso, schioccando le labbra soddisfatto: «Furono gentili, mi curarono
e quando ritrovai alcune monete d’oro scampate ai rocamboleschi eventi della mia fuga, volli ripagarli, ma loro rifiutarono.» Lo sguardo gli si addolcì, al ricordo, dando l’impressione che fosse quasi umano anche lui. 
Quasi: «Trovai anche dell’altro, tra i miei stracci: un rotolo di pergamena consunta che non ricordavo neppure di aver raccolto, coperto di caratteri che non conoscevo, minuscoli caratteri vergati in inchiostro rosso. In un angolo, era raffigurata una spada di splendida e ricca fattura la cui lama trafiggeva uno scorpione dello stesso colore dei caratteri...» Ghignò con fare cattivo: «Voglio quella spada!»
«Ad ogni costo?»
«Ad ogni costo!»
«D’accordo! Però, pagamento in contanti e pronta cassa!»
«Mi sta bene: metà ora e metà quando mi porterai la spada.»
«Andata!»
 
Me ne andai senza voltarmi indietro, facendo tintinnare il sacchetto di finissimo cuoio contenente la prima metà del compenso pattuito... in realtà, l’unica metà del compenso che avrei mai ricevuto: povero vecchio!
Temo proprio che dovrà aspettare ancora a lungo la notizia che brama di ricevere!
Il mio timore era che avesse davvero trovato Kuusahy, la spada dei Creatori, un timore che pendeva sul mio capo come la mannaia del boia fa su quello di un condannato a morte: invece, per mia fortuna, non è così!
Non ricorda di aver raccolto quella pergamena, alla fortezza di Lakshim? Per forza: gliela infilai io in tasca, quando fuggì, per divertirmi ancora un po’ con lui, per far sì che non mi dimenticasse...
Solo quando fui ben distante dalla città, dove nessuno poteva vedermi, tornai ad assumere la mia forma originale: se si deve intraprendere un lungo viaggio, otto zampe sono molto meglio di due, non trovate?
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Kerberos 1001