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Autore: ShanaStoryteller    20/07/2020    0 recensioni
[La Sirenetta]
La sirenetta è cresciuta.
Ma prendere il posto della strega del mare e diventare regina dettando le sue condizioni non era il modo in cui intendeva farlo.
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Note della traduttrice [DanceLikeAnHippogriff]: E dopo un periodo di silenzio causa sessione estiva... siamo tornate e portiamo doni! Insieme a Nereisi abbiamo deciso di lanciarci in un nuovo progetto (come se non bastassero le altre traduzioni a cui ci dedichiamo) ed ecco a voi la storia in 10 capitoli di Shana ispirata a La Sirenetta di Andersen.

Ringrazio moltissimo Nereisi, che si è offerta di betare la traduzione in mezzo al caos di traduzioni in cui si è infilata! Speriamo che vi piaccia! <3

Per aggiornamenti sui nuovi progetti di traduzione e sulle uscite dei capitoli (non solo di Shana) seguitela su Tumbrl (Nerewrites)! E non dimenticatevi di dare un'occhiata al suo profilo autore qui su EFP!

 


 

Non dovrebbero salvare nessuno. Se lo facevano, se proprio dovevano, potevano salvare solo le donne. Sua nonna aveva proibito loro di salvare gli uomini dalle onde dell’oceano.

Ma la regina piangeva e il principe era bello, le piaceva la tenerezza che c’era nei suoi occhi marroni perfino mentre l’acqua gli riempiva i polmoni. Cercava di nuotare verso di loro, di raggiungere sua madre, ma veniva costantemente risucchiato verso il fondo dal mare.

“Ti prego!” Singhiozzò la donna, tenendosi alle spalle di Tuyet. “Ti prego, va… Va da lui. Dovresti aiutarlo! Nei libri… nei libri si dice che dovreste aiutarci!”

Si domandò di che libri si trattasse. Le sirene di solito non aiutavano nessuno. Non dovrebbero aiutare nessuno.

Sua nonna si sarebbe infuriata con lei.

Tuyet guardò la regina negli occhi, esitò solo un momento e poi disse: “Morirai.” Non era abbastanza forte né veloce da poterli salvare entrambi. La regina sarebbe stata sommersa dai flutti prima che riuscisse a tornare da lei e non sarebbe riuscita a immergersi per cercarla senza trascinarsi dietro suo figlio.

“VA’!” Urlò lei, affondando le unghie ma incapace di ferire la pelle di Tuyet.

“Posso renderla veloce.” Disse Tuyet, perché quella era un’offerta che poteva fare a coloro che stavano per affogare.

Una morte dolce.

Affogare sembrava doloroso. Quando era una bambina, si copriva le branchie e tratteneva il fiato per provare la sensazione dei polmoni in fiamme e della vista che si oscurava lentamente dai bordi. Spezzare il collo agli umani le sembrava più dolce che osservarli mentre si dimenavano, sempre più lenti, per poi fermarsi; più dolce che guardare la vita che li abbandonava.

“Mio figlio.” Insisté la regina.

Tuyet si limitò a sospirare e poi le baciò la guancia, lasciandola andare. La donna sprofondò sotto le onde e Tuyet osservò la sua testa fare capolino in superficie, ma non perse tempo per vederla scomparire di nuovo.

Aveva un principe umano da salvare.

Lo trovò molto a fondo, i suoi polmoni si erano già riempiti d’acqua e lei non aveva più tempo.

“Non ancora.” Disse, e lo afferrò per l’avambraccio, tirandolo a sé, posando la propria bocca sulla sua. Fu semplice aspirare l’acqua dai suoi polmoni, inghiottirla e soffiare al suo posto l’aria. Gli coprì la bocca e le narici quando si scostò per prendere un altro respiro, in modo da non dover ripetere tutto d’accapo; poi, premettere la bocca sulla sua per riempirgli nuovamente i polmoni dell’aria di cui la sua specie sembrava avere un così disperato bisogno. Si passò il suo braccio attorno al collo e lo riportò in superficie, riaffiorando in modo che avesse tutta l’aria possibile per respirare.

La nave era in pezzi e dozzine di corpi galleggiavano sulla superficie dell’oceano. Si domandò dove fosse la regina, se fosse già morta o se avrebbe potuto lasciare il principe su un pezzo del relitto e andare a cercarla.

Ma le onde erano violente e i suoi sforzi sarebbero stati vani se il principe fosse morto.

In realtà, se l’avesse lasciato lì a morire non avrebbe disubbidito a sua nonna, non avrebbe dovuto affrontare suo padre e dirgli che aveva infranto una delle poche regole che le erano state imposte.

La testa del principe ciondolò contro la sua spalla e le sue ciglia scure si appiccicarono alla pelle abbronzata delle sue guance. Aveva le labbra morsicate e Tuyet sollevò una mano per toccare quella pelle screpolata, sentendo il ruvido delle sue labbra con il cuscinetto del pollice.

Lui aprì gli occhi di scatto e lei scostò la testa all’indietro sentendo il volto in fiamme. Si sentì come quando da piccola sua nonna la scopriva a fare qualcosa che non avrebbe dovuto fare. “Ma-” Iniziò, poi tossì, premendo il volto contro il suo collo, come un bambino.

Qualcosa di tenero, ma non materno, si risvegliò nel suo cuore e si sentì colpire da un’acuta fitta di gratitudine verso la regina, per aver scelto suo figlio, per aver donato a Tuyet quel momento, quel sentimento di tenerezza.

Se avesse potuto scegliere, sua madre sarebbe morta per lei? Se ne era pentita quando, con Tuyet appena adagiata sul petto, la vita l’aveva abbandonata – qual era stato l’ultimo pensiero di sua madre, maledire la figlia per cui era morta, mettendola alla luce, o felicità? Era stata triste di andarsene, ma felice di vedere sua figlia al mondo?

Il principe svenne di nuovo, il suo respiro caldo contro le sue clavicole, e lei lo strinse ancora di più a sé, giurando che l’avrebbe riportato a casa. Sua madre era morta per salvarlo proprio come sua madre era morta mettendola al mondo e Tuyet non avrebbe reso vano quel sacrificio.

Era più difficile nuotare a quel modo, tenendo un umano tra le braccia, impossibilitata a immergersi al disotto della superficie increspata dalle onde, dove il mare era più calmo, ma riuscì a raggiungere la terraferma proprio quando il sole iniziò a fare capolino all’orizzonte, mentre il torbido grigio dell’alba si striava di sgargianti macchie arancio.

Lo trascinò a riva e digrignò i denti alla sensazione della sabbia asciutta che le grattava le scaglie. Doveva lasciarlo abbastanza in là, in modo che la marea non lo trascinasse via, e le sembrò che a destreggiarsi goffamente sulla terraferma ci avesse impiegato tanto quanto l’intera nuotata e il sole era alto nel cielo, abbagliante e arancione e così terribilmente caldo. Si sentiva cuocere e si umettò le labbra, trovando niente più che cristalli di sale sulla sua pelle screpolata.

Udì qualcosa e sollevò la testa di scatto con sforzo.

“Principe Elias!” Udì della gente gridare. “Principe Elias, dove siete?”

“Elias.” Ripeté lei, guardando l’uomo che aveva salvato. Si piegò su di lui e premette le sue labbra screpolate e incrostate di sale sulla sua guancia; poi, rotolando, tornò nel mare e lasciò che le onde la sommergessero, trascinandola sempre più lontano.

Rimase rannicchiata nell’insenatura fino a quando le voci non si fecero più vicine, fino a quando gli umani non corsero lungo la spiaggia verso il principe. Sapeva che avrebbe dovuto andarsene, ma non lo fece; e aspettò e li osservò mentre trascinavano il principe Elias lontano dalla costa, fino a quando non divenne un puntino in lontananza e poi ancora fino a quando non scorse più nulla di lui.

In quel momento, Tuyet seppe che se mai qualcuno le avesse chiesto qualcosa, se le avessero chiesto cos’aveva fatto e dove era stata, avrebbe fatto qualcosa che non aveva mai fatto prima.

Mentire.

***

“La mia voce?” Tuyet si portò una mano alla gola. Si immaginava che la strega del mare le avrebbe chiesto la conchiglia della sua famiglia, che l’avrebbe usata per controllare tutte le creature del mare, ed era pronta a rifiutare se il potere e la sicurezza della sua famiglia fossero stati messi a repentaglio, rinunciando alla possibilità di camminare sulla terraferma. In quel momento, quella grotta le sembrava molto più fredda e piccola. “Ma ne ho bisogno. Non- il principe non mi ha vista, se non potremo parlare lui non saprà chi sono!”

Caligula le girò intorno e Tuyet non poté trattenere una fitta di gelosia. La strega del mare camminava su due piedi, muovendosi nell’acqua come se si trovasse sulla terraferma, la pelle pallida e i capelli chiari che brillavano nella luce fioca dei coralli bioluminescenti. I suoi occhi blu, assottigliati, erano dello stesso colore del cielo sopra il mare e la rete da pesca attorcigliata al suo corpo era annerita e incrostata, ma il tridente contorto che teneva in mano era alto e slanciato, anche se sembrava meno potente di quello che doveva essere stato un tempo. Anche suo padre aveva un tridente, ma il suo era luccicante e d’argento e sembrava emettere una luce fioca. Quello, invece, era coperto da uno spesso strato di ruggine e lerciume.

“Beh, se sei così affezionata alla tua lingua,” disse, e la sua voce graffiante fece correre un brivido lungo la schiena di Tuyet, “c’è un’altra cosa di valore che potresti darmi in cambio.”

“Ho delle perle!” Disse, porgendole un sacchetto sformato di iuta che aveva portato con sé in quell’angolo dell’oceano. Lo aprì, rivelando una fortuna in perle nere e rosa.

Caligula fece una smorfia e lo fece cadere dalla sua mano con uno schiaffo. Il sacchetto cadde a terra e le perle dal valore incalcolabile rotolarono dappertutto. Tuyet sobbalzò e fece per raccoglierle, ma la strega le afferrò il polso abbastanza forte da spezzarglielo e la strattonò, tirandola così vicina a sé che Tuyet avrebbe potuto contarle i denti spezzati uno a uno. “Che me ne faccio delle perle, ragazzina?” Sogghignò. “Non mi interessano i proventi dei tuoi furtarelli al tesoro reale.” Tuyet avvampò. Caligula avvicinò il polso alla bocca e la ragazza trasalì quando i denti della strega le perforarono la pelle, facendo uscire un sottile ricciolo di sangue. Caligula lo inspirò e qualcosa di simile all’euforia le attraversò il volto.

“Vuoi- vuoi il mio sangue?” Le chiese Tuyet, cercando di nascondere quanto tremava, e si allontanò da lei quanto poteva senza metterla in allarme.

L’espressione della strega cambiò e sbatté Tuyet a terra; la ragazza si contorse e trascinò dolorosamente la coda sul pavimento,  il terreno sconnesso che le pizzicava e tirava le scaglie. Avrebbe voluto recuperare le perle, ma non osava muoversi con la strega del mare che torreggiava sopra di lei. “Stupida ragazza! Sei la figlia del re del mare. La magia scorre nel tuo sangue, generata nel tuo piccolo e freddo cuore.” Passò il tridente in quello che rimaneva della nuvola di sangue e, dove quello si poggiava, la ruggine si scrostava. “Sono diventata vecchia e debole.” Tuyet non la percepiva affatto come debole e sicuramente non lo sembrava. “Coltiva la magia nel tuo cuore e riporta il mio tridente a quello che era un tempo. Quando mi avrai fornito abbastanza magia, una volta che sarò di nuovo in forze, ti darò le gambe che tanto desideri.”

“Quanto- quanto ci vorrà?” Sussurrò. Il pensiero di trascorrere anche solo un altro minuto in presenza della strega del mare la terrorizzava. Forse non avrebbe dovuto andarci, forse era stato tutto uno sbaglio.

Se lo era, non importava. Era già lì, pronta.

Caligula la squadrò dall’alto e cambiò tra un respiro e l’altro, dominandosi fino a quando non fu più spaventosa, fino a quando non sembrò una vecchia avvolta da reti da pesca, fino a quando i suoi lunghi capelli bianchi non le ricaddero attorno alle spalle, non più sollevati attorno al capo come una medusa. Le porse una mano e Tuyet esitò solo un momento prima di posare la sua in quella della strega del mare, riuscendo a malapena a trattenere uno scatto al contatto con la sua pelle gelida. “Beh, mia cara, questo dipende solamente da te e da quanto lavorerai sodo.”

***

Tuyet sapeva di essere fortunata, di avere quello che altri non avevano. La sua vita non era perfetta, certo, sua madre era morta e lei era la più giovane di sei sorelle: aveva cinque sorelle maggiori che sicuramente la amavano, ma la prendevano anche in giro, le facevano i dispetti e facevano un sacco di cose senza di lei. Aveva una nonna che si era presa cura di lei e delle sue sorelle per tutta la sua vita, raccontandole della superficie negli anni che avevano preceduto il suo sedicesimo compleanno, quando poté andare a vederla di persona. L’aveva anche presa per un orecchio e sgridata per aver trascurato il suo giardino e le aveva strappato le scaglie morte con così tanta forza da farla sanguinare, ma, beh, niente e nessuno è perfetto.

Le sue sorelle erano andate in superficie una volta ciascuna. Erano affiorate sul pelo dell’acqua il giorno del loro compleanno e quella era stata la loro unica volta; sembravano tutte soddisfatte dell’occhiata che avevano dato al mondo degli umani.

Tuyet non si era mai accontentata di niente. Forse era quello il suo problema.

Non era contenta di essere una sirena, di vivere secoli più a lungo di un qualunque umano, di far parte della famiglia reale, amata e piena di privilegi, di essere la figlia del re del mare.

No, era una creatura bramosa, e quella brama l’aveva guidata fin lì, a eseguire gli ordini della strega del mare.

Sapeva di possedere la magia, certo; era quello che le garantiva una vita lunga, che le permetteva di nuotare nelle più oscure profondità dell’oceano, dove la pressione e il freddo avrebbero ucciso qualunque sirenide non di sangue reale.

Ma Tuyet aveva sedici anni, era impulsiva e talmente piena di bramosia da lasciarsi trascinare in situazioni come quella, cercando l’impossibile anche quando non c’erano zone del mare che le erano proibite.

Beh, una zona c’era, ma quella regola l’aveva già infranta seduta com’era proprio nelle grotte che suo padre e sua nonna le avevano sempre detto di evitare.

“Non so come usarla.” Disse a Caligula, lanciando un’occhiata alle sue unghie acuminate, unghie che sembravano più artigli, e sperò che la strega le tenesse lontane da lei. “Succede e basta.”

“Lo so.” Mormorò Caligula, arricciando le labbra in quello che avrebbe potuto essere un ghigno o un sorriso. “Per te è facile come respirare, non è vero, principessa?

Era perfino più facile. Poteva trattenere il fiato, ma non sapeva come fermare il flusso di potere che le scorreva sottopelle.

Non disse niente. Caligula sbuffò col naso, voltandosi, e disse: “Non importa. Non mi è utile in questo stato, compiacente e placida. Dovrai allenarti fino a quando non sarà forte abbastanza da aggiustare il mio tridente.”

Tuyet lanciò uno sguardo al tridente arrugginito nell’angolo. Il minuscolo punto che il suo sangue aveva ripulito brillava così intensamente da sembrare un diamante incastonato.

Avrebbe potuto scappare, no? Suo padre e sua nonna sarebbero stati furiosi e per lei sarebbero stati guai, ma sicuramente meno di quelli in cui era in quel momento. Meno pericoloso che i guai in cui si sarebbe cacciata legandosi alla strega del mare. Ma l’avrebbero rinchiusa, messa in punizione per anni, se non decadi.

Quando le avrebbero permesso di risalire in superficie per vederlo di nuovo, il suo umano sarebbe stato un vecchio e non poteva… non voleva che accadesse. Doveva rivederlo. Se voleva rivedere il suo principe, avrebbe dovuto restare.

Caligula si voltò, tenendo qualcosa di rosso e luminoso tra le mani, e Tuyet non comprese che era bollente se non quando lo sentì premuto contro la pelle del braccio. Lanciò un urlo e tentò di nuotare via, ma Caligula la afferrò per i capelli e la tenne ferma. “Prima impari a controllare il tuo potere e prima finirà.” Disse, fredda.

Tredici ore dopo, con il corpo coperto di vesciche e bruciature sanguinanti, Tuyet era esausta e con la pelle coperta di ferite grondanti. Pensava che avrebbe provato sollievo quando Caligula esaurì ogni lembo di pelle da bruciare, ma la strega si limitò a guarirne una parte e ricominciò di nuovo.

“Che cosa vuoi?” Singhiozzò, tentando inutilmente di contorcere il suo corpo lontano dal ferro rovente.

Caligula lo premette nella pelle delle clavicole, incurante dell’urlo gutturale che le aveva strappato. “Non ti piace? Fermami, allora. Sei la figlia di Proteus, nato da Pallas. Il potere del mare scorre nel tuo sangue, eppure non riesci a rubare il calore dalla mia mano?” La colpì come a tirarle uno schiaffo e a Tuyet quasi si annebbiò la vista per il dolore, sentendo la terribile sensazione del suo volto sfregiato e bruciato da quel singolo colpo.

“Basta!” Urlò, solo che quella volta non si ritrasse e si buttò in avanti. Afferrò il ferro rovente; anche se le avrebbe bruciato le mani, era meglio che lasciare che la riducesse a brandelli.

Sulle prime, pensò di essersi spostata male e di essersi spezzata la spina dorsale. La sua schiena scrocchiò così forte da mozzarle il fiato, come se avesse passato ore ingobbita e le sue vertebre si fossero improvvisamente mosse in una posizione diversa. Poi, il ferro fu tra le sue mani invece che in quelle di Caligula, freddo come il fondale dell’oceano dove lo toccava ma rosso e rovente lì dove affondava nella coscia della strega.

Caligula non sembrava più brutta, non sembrava malvagia né arrabbiata, e non allungò la mano per afferrarla o farle del male. Afferrò il ferro e lo scostò dal suo corpo, indifferente alla nuvola del suo stesso sangue che le turbinava intorno tanto quanto lo era stata di fronte al dolore di Tuyet.

“Scusami!” Urlò Tuyet, e lasciò cadere il ferro nella sabbia, spalancando gli occhi. “Scusa, mi dispiace così tanto-”

“Brava.” Mormorò Caligula, trascinando un dito freddo come il ghiaccio lungo la guancia di Tuyet che lei stessa aveva martoriato. Tuyet percepì un’ondata di sollievo ricoprirle il corpo, generata da una magia curativa. Quando svanì, il suo corpo era intatto e illeso come quando era entrata nella caverna.

Tuyet allungò una mano verso la ferita che aveva inferto alla coscia di Caligula, verso la pelle annerita e incrostata che circondava la ferita da cui colava lento il sangue. “Scusami.” Caligula aveva guarito le sue ferite, ma lei non poteva fare altrettanto.

“Non importa.” Disse, passandole le dita tra i capelli come faceva sua nonna. Come avrebbe fatto un tempo.

Non ci sarebbero più state le sgridate di nonna, il suo affetto, le sue storie o la sua vergogna. Tuyet aveva rinunciato a tutto per la possibilità di tornare in superficie, per avere una possibilità con il suo principe.

La momentanea dolcezza di Caligula svanì e la strega la afferrò per i capelli, tirandola a sé. Nei suoi pallidi occhi blu brillava l’avarizia. “Sei stata brava, molto brava. Molto più di quanto mi aspettassi. Continua così e presto avrai le tue gambe e il tuo umano.”

Lo sguardo di Tuyet saettò verso le pallide gambe umane della strega e soffocò proteste e paura.

Prima aggiustava il tridente di Caligula e prima poteva andarsene.

***

La maggior parte delle persone non era abbastanza coraggiosa da cercare la strega del mare, non si avvicinava al suo covo. Molti non potevano. Era così vicino al fondale oceanico da non poter resistere alla pressione; li avrebbe uccisi il viaggio e non la destinazione.

La evocavano, piuttosto.

Mescolando insieme acqua salata e sangue salato e lacrime salate dentro una conchiglia, versandoli poi nelle onde. Se voleva, Caligula poteva resistere alle evocazioni e Tuyet non pensava che potesse essere possibile per lei, ma i poteri della strega non erano uno scherzo. Poteva anche non avere la magia innata di una sirena di sangue reale, ma riusciva a fare cose che Tuyet non avrebbe neanche mai sognato, che non avrebbe mai potuto fare neanche se ci fosse la sua vita in gioco.

Era il motivo per cui si trovava lì, dopotutto.

“Mi piace quando mi evocano.” Le confidò Caligula poco prima di uscire picchiettandole il naso, stranamente di buonumore. Forse era stata evocata da qualcuno di importante. “Mi dà un vantaggio.”

Tuyet si chiese se significava che aveva  avuto un vantaggio quando era entrata nella sua caverna. Di certo non le era sembrato così.

Quei momenti, quando evocavano Caligula, erano una benedizione per lei. A volte, la strega si assentava per un paio d’ore. Altre, per giorni. Tuyet avrebbe dovuto rimanere nella caverna, praticando gli incantesimi e gli esercizi che Caligula le aveva insegnato per accrescere il suo potere.

E lo faceva.

A volte.

Addirittura il più delle volte. Ne comprendeva l’importanza, sapeva che prima riusciva ad aggiustare il tridente e prima avrebbe ottenuto le sue gambe.

Però, a volte aveva bisogno di ricordarsi perché voleva quelle gambe.

E il principe Elias era di ronda ogni tre mattine.

Era un equilibrio delicato, avvicinarsi alla riva abbastanza da poter vedere e rimanere al tempo stesso abbastanza lontana da non farsi catturare. La barca del principe era piccola e agile, per essere una barca, e fendeva l’acqua con la bandiera battente al vento. Elias stava sempre al timone, anche se era pericoloso, visto che volevano ucciderlo in molti. Tuyet aveva udito i suoi consiglieri urlargli che era un incosciente, che metteva in pericolo la loro piccola nazione. Il parco del suo castello era più grande dell’intera isola del principe ma, in ogni caso, non era quello il motivo per cui era interessata a lui. Non le sarebbe importato se fosse stato un povero pescatore. L’avrebbe addirittura preferito, perché in quel caso non avrebbe avuto bisogno di gambe per prenderlo. Avrebbe potuto rovesciare la sua barca e tagliare le sue reti e renderlo suo.

Ma non poteva farlo. Anche se fosse riuscita ad afferrarlo non l’avrebbe riconosciuta e, anche se l’avesse riconosciuta, non avrebbe potuto seguirla. Era un uomo troppo buono per abbandonare il suo paese in un momento simile.

Erano in guerra, dopotutto.

Tuyet non era granché interessata a quello che gli umani facevano in superficie, ma spiando Elias non aveva potuto fare a meno di notarlo. Sembrava che tutti i pirati del mare si fossero concentrati lì, in quella piccola isola-nazione, intenzionati a reclamarla come loro.

Era strano, se non altro, come trovare un branco di squali stretti insieme come sardine, visto che gli squali non si comportavano a quel modo. Non erano creature sociali.

Beh, uno squalo sì, ma immaginava che non fosse ben disposto nei suoi confronti in quel momento. Suo padre le aveva sguinzagliato alle calcagna gli squali goblin più di una volta quando tardava a tornare a casa, ma per il momento non l’avevano ancora trovata. Non sapeva cosa avrebbe fatto se l’avessero trovata.

Non potevano farle del male. Poteva anche non avere la conchiglia che la sua famiglia usava per controllare tutte le creature marine, ma era comunque di sangue reale. Quando parlava, dovevano obbedirle. Le sue sorelle non avevano ancora scoperto quel trucco. Venivano sempre scoperte quando tentavano di sgattaiolare via, mentre a lei non accadeva quasi mai.

Forse sarebbe stato meglio se l’avessero scoperta. Non si sarebbe indebitata con Caligula, non starebbe scambiando il potere del suo sangue per delle gambe; invece sarebbe nelle profondità dell’oceano, in un castello grande quanto l’intera isola del suo principe. La nave di Elias non era neanche delle dimensioni della sua pupilla quando nuotava rasente al fondale dell’oceano. Era più facile resistere alla pressione quando era grande quanto il vuoto che la circondava, quindi più andava in profondità e più si ingigantiva.

Una volta gli umani avevano fatto una statua di suo nonno e l’avevano laminata d’oro, chiamandolo Collases. Nessuna sirena riusciva ad aumentare la sua stazza sopra la superficie dell’acqua. Erano troppo grandi e pesanti. Senza il favore dell’acqua i loro corpi collassavano a terra. Probabilmente suo nonno li aveva portati in profondità, aveva salvato un marinaio o rapito una moglie umana che poi aveva riportato in superficie.

Si strinse alla roccia dietro la quale si stava nascondendo e appoggiò il capo contro la sua superficie dura, concentrandosi sulla bella figura in piedi sul bordo della barca.

Il principe Elias non era qualcuno che poteva rapire o prendere in prestito.

Gli aveva salvato la vita e aveva deciso che, dunque, apparteneva a lei o che perlomeno aveva il diritto di tentare di renderlo suo ma… come avrebbe potuto amare un disertore, un traditore, come avrebbe potuto amare un uomo che avrebbe abbandonato il suo stesso regno?

Per lei era diverso. Era la più giovane di sei sorelle, suo padre aveva le sue cinque zelanti sorelle tra cui scegliere per farne la futura regina. Ma l’isola del suo principe non aveva nessun’altro.

Neanche più un re o una regina.

Il principe Elias era solo con le speranze di un’intera isola che poggiava sulle sue spalle e, anche se lo avesse trascinato nel mare con lei, se si fosse presa un marito umano, non lo avrebbe amato se avesse deciso di restare. Se avesse scelto lei piuttosto che il suo regno, Tuyet non l’avrebbe più desiderato.

Era impossibile che lui andasse da lei, anche se l’avesse voluto, anche se avesse saputo della sua esistenza.

Dunque, sarebbe stata lei ad andare da lui.

Le sue incursioni segrete per vedere il principe erano costruttive. In un certo senso, beneficiavano anche la strega del mare dopotutto.

Rinforzavano la sua convinzione, le ricordavano cosa voleva e la riempivano di determinazione per portare a termine il suo compito, per aggiustare il tridente in modo da poter ricevere le sue gambe, posare i piedi sulla sabbia soffice e camminare verso il suo principe.

***

Dopo un paio di cicli di luna, non era più così sicura che ne valesse la pena.

“Di nuovo.” Ordinò Caligula.

Tuyet digrignò i denti, sapendo bene che alla strega non sarebbe importato delle sue suppliche o del suo dolore. Si guardò le mani, al modo in cui non riusciva a impedire alle dita di contrarsi e tremare. Le braccia dal gomito in giù le sembravano di gelatina. Alzarle era faticoso e usarle neanche a parlarne.

“Se sbaglio, siamo morte.” Sottolineò. Appellarsi alle tendenze egoistiche di Caligula era l’unico modo di ottenere qualcosa.

Aveva smesso di guarire bene Tuyet, dicendo che era uno spreco di magia, ad esempio. La ragazza era coperta di cicatrici frastagliate, la pallida pelle delle ferite che contrastava con il resto della sua pelle.

Al suo principe non sarebbero importate un paio di cicatrici, giusto?

 A una parte di lei non importava neanche più del principe, non in quel momento. Voleva solo andarsene, correre il più lontano possibile da Caligula. Voleva le gambe per poter correre.

Non c’era più posto per lei in quell’oceano. Non riusciva a convincersi a tornare a casa e non poteva rimanere lì. Non era neanche sicura di riuscire ad andare dal suo principe. Come poteva incontrarlo dopo quello che aveva fatto Caligula? Dopo quello che lei aveva lasciato fare a Caligula?

Erano stati due mesi lunghi e dolorosi.

L’unica cosa che desiderava era di andare in un posto dove suo padre non avrebbe potuto trovarla, dove Caligula non avrebbe potuto trovarla. Voleva strisciare sulla terraferma e non fermarsi fino a quando non avrebbe trovato intorno a sé acqua fresca di fiume, fino a quando il sale e il sangue e il dolore non avrebbero potuto raggiungerla.

Caligula la afferrò per la mascella, affondando il pollice e l’indice nelle gengive. Tuyet non si accorse del sangue che aveva in bocca se non quando la pressione delle dita della strega ne spinse un fiotto giù per la sua gola e lei tossì, soffocando nel suo stesso sangue.

La strega del mare non allentò la presa e si limitò a dire: “Se sbagli, sarai tu a morire. Quindi non sbagliare. Ho sprecato fin troppo tempo con te perché sia stato tutto vano.”

Tuyet sospirò e si guardò le mani, osservando gli anfratti rocciosi che giacevano in rovina intorno a lei. Prese un respiro profondo e posò le mani sulla parete di roccia, sentendone la ruvidità contro i palmi delle mani, cercando, sentendo.

“Perché ci metti tanto?” Sbottò Caligula.

Tuyet la ignorò. La strega del mare le avrebbe imposto di far esplodere quelle rocce fino a quando non sarebbe stata soddisfatta, fino a quando l’esplosione non sarebbe stata abbastanza potente da convincerla che i suoi poteri stavano crescendo a un ritmo accettabile.

Ma era esausta e tremava ed era terribilmente stanca del fatto che Caligula la squarciasse solo per vederla sanguinare.

Quindi cercò qualcosa da poter sfruttare, qualcosa che c’era già, invece di dover far affiorare il suo potere alla cieca.

Le ci volle un altro mezzo minuto per trovarla, una crepa che si snodava all’interno della roccia, troppo stretta perché anche il più minuscolo dei pesci potesse infilarcisi dentro, appena percepibile. Ma si trovava proprio al centro ed era proprio quello di cui aveva bisogno.

“Principessa.” Ringhiò Caligula, affondando gli artigli nel muscolo della sua spalla.

“Afiago!” Urlò all’improvviso, spingendo la sua magia dentro quella crepa e forzandola per aprirla.

Ebbe salva la vita solo perché Caligula la trascinò lontano, solo perché i poteri della strega del mare le allontanarono entrambe abbastanza da non farle finire impalate dalla scheggia di roccia.

Il fondale tremò e collassò. Ma non solo. Tuyet vide come il fondale soffriva e cambiava, vide gli effetti del suo incantesimo saettare attraverso l’oceano come un’onda sulla riva.

“Molto bene.” Mormorò Caligula con la mano ancora sulla sua spalla, con gli artigli ancora nella sua spalla.

Tuyet si portò una mano alla bocca, incurante della fatica che richiese alla sua spalla, e non si preoccupò più del dolore e dell’intorpidimento che pulsavano nel suo corpo. “No- devi- ti prego, devi fermarlo! La gente morirà!”

Già vedeva uno tsunami formarsi all’orizzonte e gli effetti di quello che aveva fatto. Non aveva capito…. Non sapeva che avrebbe raggiunto le grandi placche che si spostavano sottoterra, altrimenti non l’avrebbe fatto.

“Sì.” Disse Caligula, e Tuyet si spostò con uno scatto al sentire il piacere che c’era nella sua voce. “Moriranno.”

“Ti prego, fermalo.” La supplicò Tuyet. “Farò tutto, qualunque cosa tu voglia, ma- ti prego!”

“Fai già tutto quello che voglio.” Disse con distacco Caligula, divertita. “Ma mi duole ammettere che, anche se volessi, non potrei.”

Tuyet sbatté le palpebre. “C-che cosa?”

“Congratulazioni, cara.” Mormorò, con la gioia che le brillava negli occhi. “Hai fatto quello che io non posso fare. Presto, tutta questa tua deliziosa magia sarà mia.”

Per la prima volta, a Tuyet venne in mente che non le aveva mai chiesto perché volesse tutto quel potere. La strega non aveva mai fatto nulla di veramente terribile, isolata ed emarginata com’era ai limiti della società. Certo, aveva commesso atti oscuri e viscidi e vili, ma niente di così orribile da costringere suo padre a intervenire.

E se non fosse stato mancanza di intento, ma di potere?

E se aggiustare il tridente avesse dato a Caligula i poteri di cui necessitava per spargere distruzione nel mare? E se Tuyet le stesse consegnando le chiavi del palazzo, della propria cosa?

“Guarda cos’hai fatto.” Disse Caligula, e la sua presenza era fredda al suo fianco. “Non potrai più tornare a casa ora. Guarda che disastro hai combinato.”

Le lacrime di Tuyet non erano dense quanto l’acqua che la circondava e galleggiarono verso la superficie, piccole sacche di acqua dolce che trasportavano la sua tristezza dove desiderava così tanto andare. Crepe si diramavano nel terreno, espandendosi più lontano di quanto potesse vedere.

La distruzione che aveva causato… era immensa. Era più che un qualcosa di potente. Era pericoloso e sarebbero morte delle persone, la sua gente sarebbe morta. Gli abitanti del suo oceano, che avrebbe dovuto proteggere, sarebbero stati colpiti da quello che aveva fatto. Caligula aveva ragione.

Non poteva più tornare a casa.

 


 

Note dell’autrice:

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