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Autore: Ghostclimber    20/07/2020    8 recensioni
Rukawa sembra essere vittima di una crisi d'asma proprio nel bel mezzo di una partita contro il Kainan.
La sua determinazione lo porterà a continuare comunque a correre, e il successivo, prevedibile incidente lo metterà sulla strada di una sconvolgente presa di coscienza.
E delle sue conseguenze.
Warning: hanahaki
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciaossu!

Chiedo scusa per la pubblicazione a metà pomeriggio, volevo postare subito dopo la mia corsetta mattutina ma mentre cazzeggiavo con il caffè mi sono imbattuta in tipo la mia nuova ff preferita (ve la consiglierei ma è di un altro fandom; se seguite Katekyo Hitman Reborn fatemi sapere che ve la giro, merita) e l'ho finita tipo un'ora fa, al che mi sono cullata un po' nel loop delle canzoni d'amore più sbrodolose che ho trovato.

Finalmente /mugugni dalla regia/ rieccomi ad impelagarmi in una long. Se la cosa non vi dispiace, fate una bella ola a Ste_exLagu che ha il merito di averla sbloccata: il mio criceto del cervello, Teddy, corre meglio se il suo gli dà una spintarella. Grazie <3

Questo è solo l'inizio, sarò grata a chiunque vorrà affondare nei meandri della follia assieme a me, e vi dirò di più: baserò ogni capitolo su un fiore diverso basandomi sul suo significato, per cui se volete, nel limite delle capacità del povero Teddy, sentitevi liberi di proporre fiori nei commenti; vedrò cosa riesco a fare.

Ok, la smetto di sproloquiare e vi lascio al capitolo, fatemi sapere se gradite!

XOXO

 

 

 

 

 

-Ehi, Volpaccia, oggi sei un proprio una seghetta!- tuonò Sakuragi, superando di volata Rukawa; il moro era piegato in due, le mani sulle ginocchia, il fiato corto.

-Vaffanculo, Do'aho.- bofonchiò, poi cercò di prendere un bel respiro. L'aria riuscì in qualche modo a passare per la trachea, ma emise un sibilo poco incoraggiante. E i polmoni continuavano a sembrare disperatamente vuoti.

Rukawa decise di provarci lo stesso e scattò; giocavano contro il Kainan, non era proprio quello il momento di scoprirsi asmatico. Ordinò al proprio corpo di collaborare e si diresse verso Miyagi: più le cose cambiano e più restano le stesse, quindi poteva prevedere con relativa sicurezza che Sakuragi, in possesso di palla, l'avrebbe passata all'amico.

Così fu, e come da copione Miyagi, che era marcato così stretto da sembrare rinchiuso in una vergine di ferro, passò di nuovo a Rukawa, che corse a canestro ignorando gli improperi di Sakuragi per il supposto tradimento del playmaker.

Rukawa corse, saltò; Kiyota gli si parò davanti, ma non fu abbastanza pronto da reagire quando Rukawa abbassò la mano e gli passò sotto al braccio con un tiro della plebe della solita eleganza.

Canestro.

Kiyota imprecò ad alta voce. Da qualche parte nell'iperspazio Sakuragi accusò Rukawa di avergli rubato la gloria e Miyagi di essere un traditore e complice di volpi esibizioniste.

Come facesse ad avere tutto quel fiato era un bel mistero: erano ormai oltre la mezz'ora di gioco, e lui era stato in campo dal primo minuto e nell'intervallo aveva anche trovato il tempo di mettersi a fare ad urlacci con i suoi amici sugli spalti.

A proposito di fiato, Rukawa si rese conto che il suo era ancora latitante. Sembrava che i polmoni si fossero messi in sciopero, e anche il battito cardiaco sembrava fuori ritmo.

Si sforzò comunque di correre: il Kainan era in possesso di palla e stava scendendo a canestro. La vista gli si annebbiò, come se migliaia di moschini neri si fossero improvvisamente messi d'accordo per invadere la palestra. Dall'ultimo residuo di quella stravagante e spaventosa visuale a tunnel vide Sakuragi stoppare alla perfezione un tentativo di tiro di Jin e appropriarsi della palla; come se il suo corpo avesse deciso che ormai lui non serviva più, i suoi piedi si incastrarono l'uno nell'altro e Rukawa cadde di faccia, lungo e disteso, come una marionetta a cui fossero improvvisamente stati tagliati i fili.

L'ultima cosa che riuscì a percepire prima di troncare ogni comunicazione con il mondo reale fu il crack del setto nasale che si rompeva; accolse la perdita di conoscenza quasi con sollievo.

 

Si risvegliò in un letto bianco, coperto da lenzuola bianche, in una stanza bianca.

Era tutto così candido, comprese le luci, che per un istante si chiese se non fosse morto.

Poi, il dolore al naso lo convinse del contrario: va bene che la vita è ingiusta, ma sperava davvero che da morto avrebbe smesso di provare dolore.

-Kaede, sei sveglio!- disse la voce di sua madre, -Come ti senti?

-Naso.- rispose Rukawa, come sempre espansivo ed esplicativo. Almeno, il respiro sembrava aver ritrovato una certa qual normalità.

-Te lo sei rotto, piccolo mio, ma non è niente di grave. Andrà a posto in poco tempo.

-Nh.- Rukawa distolse lo sguardo dalla madre e guardò verso il comodino: una vaga chiazza di colori gli disturbava la coda dell'occhio, e voltandosi scoprì che il mobiletto era ricoperto da uno strato di fiori, bigliettini di pronta guarigione e paccottiglia varia alto almeno mezzo metro.

-Non è meraviglioso, Kae kun? Tutti i tuoi amici ti hanno mandato biglietti e regalini!- Rukawa schioccò le labbra. Sarebbe stato intrigante cercare di scoprire come mai sua madre fosse convinta che lui avesse degli amici, quando lui non aveva mai portato a casa anima viva e non usciva mai se non per andare a scuola e agli allenamenti.

Un grosso biglietto con il brutto disegno del logo di Michael Jordan attrasse la sua attenzione: Rukawa lo sfilò dal monte di cagate, sapendo che aveva almeno una vaga possibilità di essere un augurio da parte di gente che quantomeno lo conosceva di persona.

Infatti, come volevasi dimostrare, era un biglietto della squadra: varie firme, disegnini ancora più brutti sparsi qui e là, la frase scritta chiaramente da Ayako “Guarisci presto, Campione!”. Rukawa guardò a lungo il biglietto. In un certo senso, essere nella squadra di basket era un po' come avere degli amici: gente che invece di svenire al suo cospetto parlava, persone che ricercavano quel minimo di contatto che lui concedeva e che solo di rado infrangevano i limiti della sua comfort zone. Rukawa non era una persona difficile con cui interagire: non era uno di quei logorroici che ti impediscono con la loro parlantina di inserirti nel discorso, non aveva abitudini troppo fastidiose, seguiva dei ritmi ben precisi e fin quando nessuno poneva ostacoli tra lui e il campo da basket lui era più che disposto a farsi rivolgere la parola.

Si accorse che in un certo qual modo teneva ai ragazzi della squadra perché loro erano riusciti a capire che il suo silenzio non era scortesia, ma semplice timidezza: con pazienza, avevano poco a poco scavato dentro di lui per cercare di capirlo, e che i Kami li avessero in gloria, c'erano anche riusciti in qualche maniera.

Rukawa odiava i fiori recisi. Non aveva un particolare amore verso i pupazzi, che a suo dire erano un'inutile spreco di spazio. Detestava con tutte le sue forze i palloncini, che in primo luogo gli ricordavano It, il primo film da cui era rimasto traumatizzato, e in secondo luogo tendevano subito a sgonfiarsi e a pendere mosci come teste di impiccati dal loro stupido filo.

Invece, i biglietti senza troppi fronzoli, senza profumi e poemi, senza foto di brutti cagnetti con il sombrero, erano bene accetti. Quello non faceva eccezione.

Rukawa si concesse di sorridere internamente, sapendo che di certo c'era lo zampino di Ayako: quella ragazza aveva un intuito strepitoso, e le volte che si erano trovati a parlare faccia a faccia Rukawa si era reso conto che la manager era anche molto intelligente e disposta a mettere il basket di fronte ad ogni altra cosa, il che la rendeva un'amica perfetta. Per dirne una, gli aveva confessato di essere perdutamente innamorata di Ryota Miyagi, e che le sue scenette con gli occhi a cuore e la voce da deficiente la facevano impazzire, ma che non cedeva alle sue lusinghe perché sapeva che l'avrebbe distratto dal basket. Con un sorriso tremulo, aveva confessato di essere terrorizzata all'idea che lui si disamorasse prima della fine del campionato: aveva posto come data in cui confessargli i propri sentimenti quella del primo settembre, quando avrebbe avuto la certezza che non avrebbe partecipato ai campionati invernali. Torcendosi le mani, aveva detto: “Lo so che detto così fa brutto, e sembro una strega calcolatrice, ma non voglio essere io la responsabile di una sconfitta. So che se si guardasse indietro e si accorgesse di non aver dato il meglio potrebbe rimpiangere di essersi messo con me... quindi adesso posso solo sperare che non trovi un'altra prima di settembre.”

Rukawa ripensò alla pacata risposta di approvazione che le aveva dato mentre esaminava le firme: anche lui era dell'idea che, lungi dall'usare la propria felicità come sprone a migliorare, Miyagi non avrebbe fatto altro che distrarsi. E rendersene conto un domani, magari dopo anni e in un momento in cui le cose non vanno per il verso giusto, sembrava proprio una di quelle cose per cui anche le storie migliori finiscono per sfasciarsi.

Rukawa notò alla lontana che la firma di Sakuragi non c'era. In effetti, lo sospettava da quando non l'aveva vista a colpo d'occhio: quel montato era il tipo da fare un autografo di mezza pagina per fare in modo che fosse il primo ad essere notato, ma tutti i gruppetti di kanji erano grossomodo delle stesse dimensioni. Si disse che non era una sorpresa: di certo il rosso non si sarebbe abbassato a firmare e approvare una qualsiasi cosa che definisse Rukawa “Campione”. Fosse stato anche il suo certificato di morte.

Improvvisamente, Rukawa avvertì un lieve pizzicore in gola, come se del polline gli fosse entrato in bocca e si fosse appiccicato da qualche parte. Si ricordò allora che la reale causa della sua caduta e della successiva frattura del setto nasale era la fatica a respirare, ma non tenne la questione in gran conto: pur non essendo propriamente un soggetto allergico e non avendo mai fatto alcun test, in primavera gli capitava spesso di avere un po' di rinite o prurito da qualche parte, come quasi tutti. E quell'anno, c'era da ammetterlo, la natura sembrava essere fiorita in maniera davvero intensa.

Si schiarì la gola per liberarsi del lieve fastidio, sempre con il bigliettino in mano, ma questo invece di sfumare aumentò. Rukawa si schiarì la gola con più decisione, e l'impercettibile pizzicore diventò un intenso prurito all'interno della trachea.

-Acqua?- chiese, stavolta monosillabico non per posa o per poca voglia di parlare, ma perché far uscire la voce gli sembrava davvero molto, molto difficile. Solo quelle poche sillabe gli procurarono infatti un dolore atroce alla gola, come se qualcosa si fosse rotto: ripensò vagamente al racconto di Ozzy Osbourne su come si era rotto lo ioide a furia di tirare su con il naso per la cocaina e sperò che non fosse successo anche a lui, anche se presumeva che gli mancasse qualche causa scatenante, come ad esempio una grave tossicodipendenza.

Sua madre gli porse un bicchiere d'acqua, la solita espressione svampita stampata in volto, e Rukawa lo prese mentre cominciava a tossire, non volontariamente come a volte si cerca di fare per liberarsi di qualcosa in gola, ma senza il minimo sforzo. I colpi di tosse erano così forti che la mano con cui prese il bicchiere era scossa dallo sforzo, e Rukawa rovesciò un bel po' d'acqua prima di arrivare alla bocca. Con il braccio e il petto bagnati, cercò di sorbire quel poco che ne restava, mentre con un angolo del cervello registrava sua madre che esalava un dubbioso: -Kae kun?-.

Bere l'acqua peggiorò ulteriormente la situazione. Sembrava essere diventato del tutto incapace di fare quel famoso switch nella trachea, quello che fa andare il cibo nell'esofago e l'aria nei polmoni. Si piegò in avanti tossendo con violenza, sentendosi i colpi che gli martellavano i polmoni, come se qualcuno gli stesse battendo vigorosamente i pugni sulla schiena, sputacchiando goccioline di quell'acqua che aveva preso la strada sbagliata.

-Dottore! Serve un dottore!- chiamò sua madre, da qualche parte nell'iperspazio. Rukawa cominciò ad aver paura: stava tossendo così forte da avvertire i primi spasmi all'ugola. Ricordava con vaghezza una brutta influenza stagionale, anni ed anni prima, che l'aveva fatto tossire tanto da vomitare, e non ci teneva per nulla a ripetere l'esperienza.

Sentì due mani che gli sollevavano la maglietta e qualcosa di freddo (lo stetoscopio, riuscì a pensare, e si stupì di ricordare persino il nome dello strumento) che si posava sulla sua schiena, poi la voce di un uomo disse: -Il ragazzo ha un attacco d'asma. Infermiera! Porti un inalatore di cortisone! Signora, suo figlio è allergico a qualcosa?

-No, io... non credo, non è mai...- qualcosa cedette all'interno della gola di Rukawa, poco sotto al pomo d'Adamo. Il moro si sentì gelare e si chiese se la tosse potesse squarciare la gola, o spaccare qualche vena per lo sforzo. Prese un lungo, faticosissimo respiro tremolante e lo avvertì pizzicare dentro di sé. Il prurito gli scatenò un altro colpo di tosse, ma stavolta il fastidio cessò, sostituito invece dalla sensazione che qualcosa di morbido e viscido si fosse posato sulla sua lingua.

Pensando che fosse qualcosa che gli era rimasto in gola e che finalmente si era deciso a levarsi dalle scatole, magari un pezzetto della buccia di quella nespola un po' acerba che aveva mangiato per merenda, Rukawa se la rigirò in bocca e se la sputò in mano.

-Eccomi, dottore.- disse una voce femminile, e le mani del medico presero Rukawa per la spalla e il gomito, nel tentativo di farlo adagiare di nuovo sui cuscini.

Rukawa oppose un'istintiva resistenza: quello che era risalito dalla sua gola era qualcosa che non avrebbe mai potuto esserci. -Forza, ragazzo... signora, mi ricorda il nome?

-Kaede. Kae kun.- rispose la madre di Rukawa con voce tremante.

-Kaede, appoggiati. Metti questo in bocca e tira un bel respiro quando ti dico “ora”.

-Dottore...- disse Rukawa, alzando la mano verso di lui, -Cos'è?

-Un fiore, suppongo.- rispose l'uomo, -Magari è quello che ti ha causato la crisi d'asma. Ti conviene buttarlo via, prima di avere un altro attacco.

-Ma dottore,- chiese la signora Rukawa, -Lui non è mai stato allergico a niente, come può essere?

-L'adolescenza è un periodo molto delicato, signora,- rispose il medico, alzando il cestino della spazzatura per permettere a Rukawa di gettare il fiore.

-Dottore...- chiamò Rukawa a bassa voce. Il medico lo ignorò e proseguì: -Spesso, con gli sbalzi ormonali possono emergere nuove sensibilità. Allergie con sintomi respiratori, intolleranze alimentari, ipersensibilità dermatologica a certe sostanze...

-Dottore...

-Faremo delle analisi, in ogni caso. Ragazzo, sdraiati. Identificheremo la sostanza a cui suo figlio è diventato suscettibile e la...

-Dottore!- Rukawa, stavolta, quasi urlò. Il medico lo guardò con astio, evidentemente irritato per essere stato interrotto da un ragazzino. Rukawa alzò la mano e gli mostrò il fiore da vicino: una piccola pallina di un bel viola intenso, sembrava un batuffolino di lana di quelli che a volte decorano i bordi dei guanti femminili; era bagnato e aveva un'aria piuttosto triste, come tutti i fiori dopo un'intensa giornata di pioggia.

-Non l'ho preso dal comodino, mi è uscito dalla gola. Era incastrato lì.- il medico gli rivolse un sorriso condiscendente: -Kaede, questo non è possibile. Può capitare con i pollini di dimensioni più grandi, come quelli dei pioppi o delle betulle, ma di certo non con un fiore intero. Avresti faticato ad ingoiarlo, innanzitutto, e poi non poteva certo volarti in bocca.

-Ma è così!- protestò Rukawa, spaventato e arrabbiato per il comportamento negazionista del medico. Uno schiocco di lattice contro pelle lo fece voltare; l'infermiera si era messa un guanto e stava protendendo la mano verso la sua: -Dammi qui, fa' vedere.- disse.

-Sawada san, non sia ridicola.- disse il medico. L'infermiera annusò il fiore e ne palpò i piccolissimi petali, poi disse: -Ha l'odore di acido gastrico. Ed è viscido. Credo che Kaede stia dicendo la verità.

-Sawada san, la prego, come potrebbe mai essere pos...

-E poi guardi.- aggiunse l'infermiera, mostrandogli il fiore, -Questo è un amaranto. Lì sul comodino vedo le solite rose e margherite, nessun amaranto e neanche niente che gli somigli.- il medico si voltò ed esaminò la pigna di tributi sul mobiletto. Spostò pupazzi, scartabellò tra i fiori, scavò sotto a bigliettini vari, poi cedette: -In effetti, ha ragione.

-Dottore, che cos'ha mio figlio?

-Signora, dovrò chiedere un consulto. L'apparato respiratorio non è il mio campo, sono un medico di pronto soccorso. E onestamente non ho mai...

-Vado a chiamare il dottor Yamamoto!- lo interruppe l'infermiera, ma ormai il danno era fatto: Rukawa aveva capito che ciò che stava per dire era che non aveva mai visto nulla di simile. E obiettivamente, dopo tutte le puntate di Dottor House che aveva visto, Rukawa pensava di non potersi più stupire di nulla, ma non si era mai sentito di qualcuno che di punto in bianco si mettesse a tossire fiori.

Il medico alzò di nuovo la maglietta di Rukawa e gli auscultò i polmoni: -Il respiro è ancora sibilante. Sentiamo cosa avrà da dire il dottor Yamamoto. Intanto, Kaede, appoggiati e cerca di distenderti un po'.- Rukawa, più calmo ora che era stato ascoltato, obbedì. Una porzione del letto era stata alzata e il moro affondò in un morbido mare di cuscini; chiuse gli occhi.

Sentì che qualcuno gli rimboccava le coperte, poi gli passarono un panno umido e fresco sul viso. Spossato dal brutto attacco di tosse, Rukawa si appisolò.

 

-Kae kun.- lo richiamò la voce di sua madre che lo scuoteva, -Il dottor Yamamoto è qui, tesoro.

-Nh.

-Ciao, Kaede. Diamo un'occhiata a questi polmoni, vuoi?- Rukawa si sollevò con fatica dai cuscini. Subì senza fiatare una nuova auscultazione, più precisa e accurata, poi un'altra e un'altra ancora. Infine, il medico si sedette sul bordo del suo letto e disse: -I polmoni sono liberi, ma i tuoi bronchi sono un po' contratti. Vorrei che tu utilizzassi questo inalatore.- in parole semplici ma non condiscendenti, il dottor Yamamoto spiegò a Rukawa come usare l'inalatore. Lo tranquillizzò quando tossì, spiegandogli che era una reazione normale per i primi utilizzi, perché non si è abituati alla sensazione. Gli disse che avrebbe potuto avere un po' di batticuore, ma aggiunse che anche quello era del tutto nella norma. Poi, parlando al contempo con lui e con sua madre, disse: -Vorrei tenerti in osservazione per stanotte, Kaede. Il dottor Hosaka ha detto che hai avuto una crisi piuttosto brutta, e se dovesse ripetersi vorrei che tu fossi aiutato subito. Domani ti faremo degli esami per capire esattamente che cosa ti è successo.- Rukawa annuì, e lo stesso fece sua madre. Il medico gli rivolse un sorriso gentile, gli batté una pacca sul ginocchio e uscì.

 

-Nakamura.- chiamò il dottor Yamamoto entrando nel laboratorio delle analisi.

-Dottore. Cosa posso fare per lei?- rispose il tecnico, staccando gli occhi dal microscopio.

-Voglio che tu analizzi questo. Qualsiasi cosa, composizione chimica, veleni, sostanze intossicanti... tutto quello che ti viene in mente.

-Un fiore?

-Sì. L'ha tossito un ragazzino, di là.- Nakamura prese il vasetto contenente il fiorellino.

-In che senso, “l'ha tossito”? Gli è finito in gola?

-Sembra che l'abbia espulso dai polmoni. Devo capire cosa diavolo è.- disse Yamamoto. Il sorriso gentile da “don't worry, be happy” che aveva mostrato a Rukawa era sparito, lasciando il posto ad un cipiglio preoccupato e deciso. Nakamura si tolse gli occhiali e disse: -Woah. Proprio quando pensi di averle sentite tutte...

-Potresti sequenziare il dna?- lo interruppe Yamamoto.

-Uhm... certo, sì, comincio subito. Ha qualche idea?

-Una sola. Ma troppo assurda per essere plausibile. Grazie, Nakamura, a buon rendere.- il dottor Yamamoto tornò in corridoio e rivolse un altro sorriso allegro a Kaede Rukawa, che veniva trasportato sul suo lettino verso il reparto di otorinolaringoiatria. Il ragazzo rispose con un impercettibile incurvarsi delle labbra e un cenno della mano.

 

 

 

 

Amaranto:

simbolo di amore immortale.

 
   
 
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