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Autore: Lacus Clyne    20/07/2020    4 recensioni
Una notte d'inverno. La città che non dorme mai.
Un'ombra oscura al di là della strada, qualcosa di rosso. Rosso il sangue della piccola Daisy.
Kate Hastings si ritrova suo malgrado testimone di un efferato omicidio.
E la sua vita cambia per sempre, nel momento in cui la sua strada incrocia quella di Alexander Graham, detective capo del V Dipartimento, che ha giurato di catturare il Mago a qualunque costo.
Fino a che punto l'essere umano può spingersi per ottenere ciò che vuole? Dove ha inizio il male?
Per Kate, una sola consapevolezza: "Quella notte maledetta in cui la mia vita cambiò per sempre, compresi finalmente cosa fare di essa. Per la piccola Daisy. Per chi resta. Per sopravvivere al dolore."
Attenzione: Dark Circus è una storia originale pubblicata esclusivamente su EFP. Qualunque sottrazione e ripubblicazione su piattaforme differenti (compresi siti a pagamento) NON è mai stata autorizzata dall'autrice medesima e si considera illegale e passibile di denuncia presso autorità competenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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IV ◊

 

 

 

 

 

 

Ignorai, per tutto il giorno seguente, i messaggi continui di Lucy. Non che non volessi sentirla, ma immaginavo che si trattasse di un’apologia sull’amore a prima vista per Jace e a dirla tutta, ero abbastanza alterata per non essere stata messa a conoscenza dell’operazione di cattura di David Valance. Trevor, del canto suo, conoscendo il mio malumore, si era impegnato a farmi scaricare i nervi coinvolgendomi in un suo progetto sperimentale sui software di riconoscimento. Vedere la passione che metteva nel suo lavoro era meraviglioso. E serviva anche a me, per rimettermi in carreggiata. Se i miei colleghi mi avevano tenuta all’oscuro dei loro piani, allora dovevo dar loro prova che potevano fidarsi. Avrei atteso il momento giusto e intanto, un impegno che mi stava particolarmente a cuore, era ormai alle porte.

Fu l’agente Jones ad accompagnarmi a casa dei Dawson, il giorno seguente. Tra tutti, era per esperienza la persona più indicata. Ci ritrovammo a chiacchierare, durante il tragitto, della sua famiglia e scoprii quanto fosse legato ai suoi due bambini. Certo, un lavoro come il suo, in prima linea, aveva la sua buona dose di importanza, considerando la pericolosità. E Jones, ridacchiando, mi aveva confidato che spesso la moglie gli aveva chiesto di rinunciare all’essere un agente operativo in favore di un lavoro d’ufficio, più tranquillo.

– Perché non lo fa? La vedrei bene nella mediazione. – dissi, mentre imboccavamo il viale in cui risiedevano i Dawson.

– Cara Kate, quando ho intrapreso questa carriera sapevo bene a cosa andavo incontro. E so che sembra retorico, ma un giorno, quando avrai figli, capirai che saresti pronta a tutto pur di proteggere il mondo in cui vivono. Ho questo potere nelle mani. Posso far sì che i miei figli vivano in sicurezza. E poi… è anche per casi come questo. –

Strinsi le mani nelle tasche. Trevor e io non avevamo ancora parlato concretamente di avere figli, ma era qualcosa che desideravo, quando fosse stato il momento. Lui scherzava spesso, dicendo di volerne almeno due, magari gemelli, maschietto e femminuccia, per metterci in pari. Però, riuscivo a immaginare quanto profonda fosse la dedizione che l’agente Jones metteva nel lavoro. E la trovavo ammirevole.

– Pensa che lo cattureremo, prima o poi? – domandai, mentre parcheggiava. Il quartiere era South End, tranquillo, storico. Al sol pensiero che il male potesse esser passato da lì, rabbrividii. Guardai Jones, i cui lineamenti si erano induriti. L’espressione di chi era abituato a valutare con oggettività.

– Lo spero, Kate. Lo spero davvero. –

Fui d’accordo. Se volevamo catturare quel bastardo, dovevamo rimanere coi piedi per terra.

– Signor Jones… so di essere arrivata per ultima e di avere ancora molto da imparare, ma… grazie alla sua saggezza, sono sicura che la nostra squadra ha una marcia in più. – sorrisi.

Una vena di stupore negli occhi scuri e poi si mise a ridere. – Tu sei davvero una ragazza ottimista, vero? –

– Ci provo. E adesso che ne dice di proseguire con la tabella di marcia? – proposi. Un occhiolino che ne rivelò una ruga intorno all’occhio fu la risposta.

Ad aprirci fu la signora Madeleine. Vederla sorridere nell’accoglierci fu probabilmente uno dei momenti da annotare tra le cose belle del nostro lavoro. Passata la tensione di giorni interminabili, scongiurato il peggio, non era altro che una mamma felice. Ci fece accomodare nel salotto di casa, insieme a Julie, impegnata a giocare con una bambola. Provai una meravigliosa sensazione di gioia nel vederla così attiva e concentrata nell’intrecciare i capelli sintetici del suo gioco, mentre i suoi ricadevano in morbide onde castane sulla piccola schiena. Quando la salutammo, si voltò a guardarci. Negli occhi grandi, non una traccia di paura. Mi chinai, mentre Madeleine e Jones chiacchieravano, per parlare con lei.

– Sei davvero brava, Julie. Mi insegni a fare le trecce? Perché io non son capace. –

La bambina sembrò stupita del mio commento, poi mi mostrò con orgoglio il frutto del suo impegno e lo disfece in pochi istanti. – È facile! Fai così, poi così e così! – mi spiegò, con voce e atteggiamento sicuri. Doveva aver avuto un’ottima maestra, anche se avrebbe ancora dovuto far pratica.

– Oh, mi lascerai provare, poi? – le chiesi, tendendole la mano. Inizialmente strinse a sé la bambola. Quell’immagine mi riportò alla mente con la rapidità di un flash l’immagine di Graham che teneva la piccola stretta a sé. – Scusami, Julie… non te la tolgo, tranquilla. Quando vorrai tu, ok? –

Madeleine intervenne nel vedere l’espressione combattuta della figlia. – Tesoro, la dottoressa Hastings è un’amica. Puoi fargliela vedere, te la ridarà subito. –

Guardai la donna, poi tornai a guardare Julie. – Non sta male… – commentò tra sé e sé, osservando la bambola. Sorrisi, pensando che in quel modo mi avrebbe scambiata per un medico.

– Che sbadata… non mi sono nemmeno presentata. Julie, io sono Kate, e ogni tanto curo… i capelli, sì! Ma non ho mai visto trecce così belle… e tu sei veramente una bravissima maestra. –

Un risolino dalle parti di Jones mi fece intendere che la mia presentazione era alquanto maldestra, tanto che fu lui a cavarmi d’impiccio, sedendosi all’indiana proprio accanto a me. Il papà che prendeva il posto del poliziotto.

– Ooooh. Ma guarda un po’. Signorinella bella, sai che pensavo? Secondo me, Kate ha bisogno che qualcuno le faccia le trecce, altro che. Vuoi provare? –

Rabbrividii di colpo mentre Jones mi consegnava al nemico con aria paciona. Non amavo particolarmente farmi toccare i capelli, considerando che era la parte di me che più mi piaceva, ma per conquistare la fiducia di Julie, capii che avrei dovuto sacrificarmi. Posai la borsa a terra e mi voltai appena, per permetterle di darsi da fare. La vidi cercare l’approvazione della mamma, che sorrideva con un filo di imbarazzo negli occhi e poi posare la bambola per fiondarsi letteralmente sulla mia testa. Quando sentii le sue manine armeggiare con le mie ciocche, sperai di non dover aver bisogno per davvero di un dottore per i capelli, ma le dita di Julie erano curiose e nonostante l’irruenza della sua età, erano pur sempre le dita di una bambina, tanto che la sentii spesso armeggiare concentrata. Solo dopo una buona decina di minuti, mi ritrovai con una specie di treccia sicuramente unica nel suo genere, ripagata dal sorriso entusiasta della bimba, che ringraziammo con un battimano collettivo. E così, ottenutane la fiducia, potemmo chiacchierare di ciò che era successo. Madeleine ci rassicurò sul fatto che Julie non sembrava ricordare nulla dei giorni in cui era stata via. Effettivamente, la piccola era piuttosto serena e giocava tranquillamente sia con noi che con i suoi giochi. Addirittura, mentre bevevamo una tazza di cioccolata calda, si era seduta tra noi, con la scusa di controllare che la treccia fosse al suo posto. Poi, parlammo del momento del rapimento. Fu difficile per Madeleine ricordare quei momenti. Il suo sguardo si era fatto più spaventato, tanto che sia Jones che io ci prodigammo per rassicurarla sul fatto che non c’erano pericoli. Ci raccontò di un pomeriggio al parco, della madre, la nonna di Julie, che aveva portato con sé la bambina. Un’uscita come tante, senza impegno. E per un solo attimo di distrazione, la tragedia. Immaginai come dovevano essersi sentiti. Cos’aveva provato la madre di Madeleine nel vedere sparire la nipotina così? E cos’aveva sentito Madeleine nel vedersi arrivare a casa la polizia che l’avvisava della scomparsa? Non riuscivo ad arrivare così in profondità. Forse, se ci fosse stato Graham… scacciai dalla mente quel pensiero. Ciò che era successo alla famiglia Dawson era accaduto anche a lui, sei anni prima. E si era concluso nel peggiore dei modi, come per la famiglia Ross. Presi la mano di Madeleine, che aveva gli occhi lucidi, mentre ci diceva che da allora, non riusciva a dormire bene, che ogni singola ombra sembrava una minaccia. La paura: tornerà? Tornerà ancora per finire il suo lavoro? La verità era che non potevamo saperlo. Il Mago poteva anche decidere di tornare, quindi il rischio in realtà sussisteva. Ma poteva anche accontentarsi di averci dato prova di ciò di cui era capace. Aveva lanciato un guanto di sfida al Dipartimento. Ce l’aveva con noi, per qualche ragione. Chissà, forse in passato aveva avuto scontri con la Polizia e desiderava vendetta. Aveva colpito la famiglia di Graham e ora eravamo il suo bersaglio. Non ci era dato di dirlo: era troppo presto per formulare ipotesi. Ma ciò che sapevamo era che una bambina era scampata al suo gioco di morte. La osservai, innocente e assorta di nuovo nel suo acconciare i capelli. Chiacchierava con la bambola come la mamma faceva con lei.

– Noi la proteggeremo, Madeleine. Prenderemo il Mago. – dissi, sentendo la mano della mamma di Julie stringersi intorno alla mia. Mi guardò speranzosa.

– Ma abbiamo bisogno anche del suo aiuto e di quello dei suoi familiari. Se ricordate qualcosa, qualunque cosa, ditecelo. – continuò Jones. Quelle parole mi ricordarono le stesse che sia Graham che Wheeler mi avevano rivolto durante il nostro primo incontro. Ma quella volta, le indagini si erano concluse con un nulla di fatto. Adesso, ero sicura che il Mago non avrebbe tardato a farsi vivo di nuovo. Julie corse da noi nel vedere la mamma con gli occhi lucidi e le si arrampicò addosso, accoccolandosi addosso a lei.

– Piccola mia… – mormorò Madeleine, intenerita. Sorrisi e scambiai uno sguardo con Jones. Era ora di andare. Era bello tuttavia andar via con quell’immagine così dolce negli occhi. Sapevamo che fino a che ci fossero state scene del genere, non c’era motivo di temere. Chiesi a Madeleine di essere forte per Julie, così come salutai la piccina con la promessa di fare le trecce la prossima volta che ci saremmo incontrate. Julie sorrise, annuendo.

– Katie è bella con le trecce! – esclamò, tanto che rimasi sorpresa del complimento e le accarezzai i capelli. – Julie lo è di più. – dissi, per poi congedarci da loro.

Rivolsi un ultimo sguardo a quella zona tranquilla, alla famiglia Dawson, ritrovandomi a pregare che quella fosse stata l’ultima volta che avremmo parlato del Mago.

 

Durante il tragitto per tornare in Dipartimento, chiesi a Jones che idea si fosse fatto.

– Julie ha carriera come acconciatrice? – mi canzonò, mentre cercavo di disfare la treccia non senza difficoltà a causa di alcuni nodi inaspettati.

– Se pensa di prendermi in giro sappia che avrebbe dovuto almeno scattarmi una foto. – protestai, sciogliendo l’ultimo nodo e risistemandomi i capelli.

Jones si mise a ridere. – Mi dai un po’ troppi suggerimenti. Dovrebbero essere tutti così gli indizi. Invece ci tocca spremere le meningi per capire i collegamenti tra le cose. –

Sistemai una ciocca dietro l’orecchio. – Effettivamente… –

– Ad ogni modo, penso che il Mago non li prenderà più di mira. È vero che ha lasciato vivere Julie, ma penso che se l’ha fatto c’è un motivo. Ci ha detto qualcosa e non se la rimangerà finendo un lavoro che sin dall’inizio, è stato condotto con la volontà di non uccidere. –

Aggrottai le sopracciglia. – In che senso? –

Le mani di Jones strinsero più forte il volante, mentre svoltavamo.

– Hai letto i casi precedenti? Il modus operandi è cambiato. –

Deglutii sentendo la gola secca. – Non li ho letti… non ne ho avuto il coraggio ancora, soprattutto dopo aver saputo di Lily Graham… però sì, so che ha cambiato le cose… dalla morte di Daisy Ross. Fu lo stesso capitano Graham a notarlo. –

– Secondo Graham aveva preso sicurezza. Di certo, è stato più spavaldo, ma ha avuto più di un intero anno tra un rapimento e l’altro e pensiamo che ne abbia avuto il tempo. –

– Ma perché uccidere e poi non più? E perché questa cadenza? –

Mi rivolse un’occhiata di sbieco. – Oh cara, non sei tu a doverci dare delle risposte? –

Arrossii. Lo ero, certo, ma dovevo ammettere che quel caso mi rendeva insicura, avendolo vissuto in prima persona come testimone. Appoggiai la testa allo schienale, volgendo lo sguardo fuori dal finestrino. Quanta gente per strada. La città pullulava di persone ignare della malvagità che si nascondeva tra di esse. Come si poteva restringere il cerchio? Ciò che avevo visto era davvero così o avevo solo immaginato certi particolari, complice la tensione inenarrabile di quei momenti? Forse era per questo che le indagini erano a un punto morto? Sentii la frustrazione farsi strada nei miei pensieri.

– Vorrei potervele dare, agente Jones, mi creda. Ma la verità è che mi spaventa l’idea di entrare nella testa di quell’uomo… è come dover guardare nel buco che porta al Paese delle Meraviglie e rischiare di caderci per arrivare all’inferno, invece… –

Jones aveva dovuto allentare la presa sulla frizione, considerando la variazione nell’andatura della macchina. Mi voltai di nuovo verso di lui, che sospirò.

– Cosa collega le due cose? – mi domandò.

Sbattei le palpebre, stupita. – Non saprei… forse perché mi ha sempre fatto impressione l’idea... 

          – Del Paese delle Meraviglie? –

– No, è l’oscurità che mi spaventa. –

– Allora forse non hai scelto un lavoro adatto, Kate… –

Distolsi lo sguardo, poi sospirai. – Me lo faccio notare spesso, ma poi penso che se rinunciassi e altre bambine fossero uccise, la colpa sarebbe mia… e sa, vedere prima Julie abbracciata alla sua mamma, mi ha fatto riflettere sul fatto che le nostre azioni possono far sì che accadano anche cose come queste. E io voglio che continuino ad accadere. –

Mi sorrise, finalmente, parcheggiando davanti al Dipartimento. – In fin dei conti, son d’accordo con te. –

– Mi fa piacere. – risposi, concludendo la nostra uscita con l’accordo sul darci da fare per catturare il Mago.

 


Quando rientrammo, pensai di andare direttamente in ufficio, ma trovai la porta chiusa e cosa non meno importante, un assembramento. Jace, nervoso come non mai. Alexis incuriosita. Persino Selina era salita dal seminterrato e camminava su e giù in attesa. A dirla tutta, sembravano un misto tra un gruppo di studenti in attesa di giudizio e un gruppo di familiari in attesa dell’uscita del medico dalla sala operatoria.

– Ragazzi, che state facendo? Graham è stato convocato di nuovo dal dottor Howell? – domandai, sperando in una risposta di Selina, essendo la compagna del Procuratore. Certo era che considerando la preoccupazione generale, doveva essere un colloquio importante.

– Una volta tanto non è stato Marcus. – rispose invece Jace. Prima o poi mi sarei fatta raccontare come mai fosse così informale col gran capo. Jones grattò il collo.

– E quindi? Aspettate, è un caso? Sta interrogando qualcuno? Voglio vedere! – dissi, ma fui fermata da Alexis e Jace prima che potessi incamminarmi.

– Al tuo posto non lo farei, Kate. – rispose la prima.

– Decisamente. Potrebbe non essere in grado di controllarsi. – continuò il secondo.

– Controllarsi? E chi è, Mr. Hyde? –

– Peggio. È oltre un'ora che sono dentro e tutto tace. –

Guardai Jace perplessa. – Sono dentro… quindi c’è qualcuno. –

– Però, un'ora e mezzo… non pensavo durasse tanto, stavolta. – insinuò il mio collega, con un sogghigno che mi fece pensare ad altri, non esattamente consoni, scenari.

– È con una donna? Graham? –

Alexis annuì, sospirando. – In genere ci mettono di meno, ma stavolta… –

Annuii di rimando, imbarazzata. – N-Non è che usano il divanetto, vero? Non per niente, ma là mi ci siedo… e sinceramente non è molto carino sapere che qualcuno ci ha fatto sesso sopra… –

Notai d’improvviso gli occhi di quattro persone puntati su di me e tenendo conto dell’espressione alquanto raggelata, mi resi conto di aver preso un imbarazzante abbaglio. Nell’istante in cui Jace fece per dire qualcosa, la porta alle nostre spalle si aprì e uscì una donna che puntò dritto verso l’uscita. Bella, elegante, con i capelli castano chiaro lunghi fino a metà collo, mossi. Ciò che mi sorprese di più, fu vedere gli occhi azzurri, lucidi, ma soprattutto, tristi oltre ogni misura, quando incrociai il suo sguardo. L’avevo visto in Madeleine, quando aveva ripensato ai giorni in cui pensava che Julie fosse morta. E quando vidi Selina correrle dietro, chiamando il nome di Elizabeth, ebbi la conferma. Quella donna doveva essere la madre di Lily. La donna di Graham.

Per fortuna, il mio commento infelice passò in secondo piano, tanto che sia Jace che Alexis si premurarono di raggiungere il capo. Guardai Jones, che fece spallucce, poi li raggiunsi a mia volta.

Nel nostro ufficio, il profumo delicato di Elizabeth faceva da contrasto all’atmosfera pesante che si era creata. Graham guardava fuori dalla finestra, un avambraccio poggiato al muro.

– Capo, come stai? – la domanda di Jace. Era evidente che non stava bene. Aveva l’espressione dura di chi si era ostinato a lottare.

– Vuoi un caffè? – la proposta di Alexis. Come se bastasse. Probabilmente la cosa che voleva in quel momento era spaccare il vetro davanti a sé.

– Ragazzi. – la voce perentoria e paterna di Jones. Gli avrebbe fatto bene rimanere da solo? Guardai l’uomo sconfitto, immobile come una statua. Jace mi dette una pacca sulla spalla e pensai alla richiesta che mi aveva fatto, tempo prima. Ma io potevo davvero aiutarlo? Mi feci animo e mi sedetti alla mia postazione, riordinando le idee, mentre rimanevamo soli.

– Com’è andata? – mi domandò, dopo alcuni interminabili minuti. Aveva la voce più roca del solito.

– Julie sta bene. – dissi, ripetendogli le parole che mi aveva detto quando l’avevamo salvata, con una piccola modifica. Graham assentì, poi tornò alla sua scrivania e si mise al lavoro. Non parlammo d’altro, per il resto del tempo. Qualunque cosa fosse accaduta, non era affar mio, evidentemente e non volevo correre il rischio di peggiorare la situazione. Se avesse voluto parlare, l’avrebbe fatto lui.

 

 

 

 

***********************************************

Buon inizio di settimana e ben trovati a coloro che stanno continuando a leggere. :) Prima parte del quarto capitolo, con qualche nota in più sulla piccola vittima scampata e non solo. Spero abbiate trovato il capitolo di vostro gradimento. Come sempre, mi auguro di leggere qualche parere. :) Grazie e alla prossima settimana col seguito!

 

  
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