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Autore: Urban BlackWolf    20/07/2020    4 recensioni
Come la vite, ogni essere umano ha un lato esposto al sole ed uno all’ombra. Un lato più caldo ed uno più freddo, che non sempre riescono a convivere, anzi, che spesso e volentieri cozzano l’uno contro l’altro creando dissonanza, una profonda lacerazione interiore che rende tutto confuso e complicato.
Come la vite, ogni essere umano porta frutto e lo dona agli altri, ma a seconda delle stagioni e delle cure ricevute, lo fa generosamente o meno.
Come la vite, ogni essere umano ha bisogno di sentirsi amato, spronato e protetto per dare il meglio di se, senza soffocamenti o costrizioni.
E come la vite che allunga i tralci verso la pianta accanto, anche gli esseri umani sono alla costante ricerca dell’anima affine alla quale potersi tendere ed intrecciare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Starlights, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

In assenza di te

 

Per non gravarle troppo sul petto si spostò solo un poco, quanto basta per tuffare nuovamente le narici in quell’odore buono che ormai conosceva benissimo. Haruka era li, distesa accanto a lei. Un braccio dimenticato sul cuscino e l’altro ancora saldo a cingerle la vita. Il respiro regolare, le palpebre chiuse vinte dal sonno e il viso rilassato di uno spartano dopo uno scontro. Usando l’indice tornò ad accarezzare il velluto di quel seno tanto simile al suo, sorridendo alla velocità con la quale ci si era abituata. Rotondità talmente diverse se paragonate ai corpi dei partner con i quali fino a quel momento aveva giaciuto, eppure splendide attrazioni per le sue mani scopertesi improvvisamente implacabili e voraci. Michiru non soltanto aveva accettato quelle rotondità, ma a più riprese era addirittura arrivata a bramarle, a volerle addosso con tutta se stessa.

Vuoi l’eccitazione, la sapienza di Haruka e l’amore che sentiva sempre più forte per lei, non aveva avuto paure ne incertezze, ripensamenti o blocchi di alcun tipo. Non conoscendone i meandri, si era lasciata guidare all’interno di un mondo per lei nuovissimo ed affascinante, sapendo benissimo quanta ignoranza avesse e quanto ancora avrebbe dovuto applicarsi per cercare di soddisfare le esigenze dell’altra. Ma nonostante tutto, Michiru si sentiva intimamente soddisfatta per aver visto lo sguardo della bionda perdersi più volte nel piacere.

“Cosa c’è Michi?” La voce di Haruka uscì roca e profondissima provocandole un brivido.

“Pensavo stessi dormendo.”

“E come potrei? Mi tocchi in continuazione.” Se ne uscì sorniona stirando le labbra, ma continuando a tenere le palpebre chiuse.

“Mi piace farlo.”

“E a me piace che tu lo faccia. - In fin dei conti nei suoi sogni più perversi non avrebbe voluto essere il suo violino per essere sfiorata da quelle dita? - Perdonami. Credo di essermi assopita per qualche minuto.”

Svariati minuti, in realtà più di un’ora, dove anche Michiru aveva sonnecchiato, ma soprattutto aveva pensato, beandosi di quella pace fatta di stanchezza, consapevolezza e benessere fisico. Fuori dalla portafinestra, il mondo allagato dalla pioggia e dentro quella semplice stanza, loro due, il ritmo del respiro della bionda finalmente quietatosi dopo gli ansimi dell’amore e lei, conscia coprotagonista di quel meraviglioso spicchio di felicità.

“Non importa. Sei splendida quando dormi. Ma questo lo sapevo già.” Confessò candida facendo aprire le palpebre all’altra.

“Quando…? A si…, nel giardino d’inverno.” Ricordò mal celando imbarazzo.

Tornando ad accarezzarle il seno, Michiru si accoccolò ancora di più al suo fianco.

“Hai freddo?” Chiese Haruka abbracciandola anche con l’altro braccio.

“No, ma il tuo corpo è così caldo. Vorrei restare così… per sempre.”

“Oddio… Per sempre è un mucchio di tempo.” Disse in falsetto e ricordando il loro patto scoppiarono a ridere.

“A parte gli scherzi, Michi… Come ti senti?”

“Benissimo. E’ stato… stupefacente, se è questo che vuoi sapere.”

“In un letto non ho mai avuto bisogno di conferme, ma addirittura stupefacente…” Ghignò.

“Non sfottere e non lodarti troppo.”

“Ok, non sfotto, ma lodarmi è nella mia natura.”

“Questa volta te lo concedo, Tenou.”

“Ben gentile.” Disse baciandole la fronte.

“Non che non conoscessi già la mia intimità, ma sei riuscita a toccare punti, diciamo, inaspettati. Come dicevo ieri a Minako, non ero proprio ignorante in materia di amore fra donne, in più ultimamente ho letto molto, ma non avrei mai creduto potesse essere tanto intenso.”

Haruka si fece fintamente stupita. “Vuol dire che se andassi a guardare la cronologia dei siti sul PC dello studio troverei una bella sorpresa?”

Arrossendo e mollandole un pizzicotto allo sterno, Michiru si difese. “Non avrei mai usato il computer dello studio.”

“Uno della cantina?!”

“Tenou, smettila!”

“No, dai, è divertente. Allora scommetto il tuo cellulare.”

“Te lo dissi già una volta, seduta con le mani sul volante del Landini; tu hai un’idea di divertimento tutta tua!”

Strapazzandola in una vigorosa stretta, Haruka le catturò le labbra. “Ti adoro, lo sai? Riesci a sorprendermi… Sempre.”

“Mi dispiace solo che abbia fatto quasi tutto tu.”

“Di questo non ti devi preoccupare. Sei tu l’allieva, ricordi? - Tornò a ridacchiare forte della sua posizione dinsegnante. - Ci sarà tempo e modo d’affinare questa deliziosa conoscenza.”

Entrambe sapevano che una volta capito cosa l’una desiderava dall’altra non ci sarebbe voluto nient’altro per raggiungere e superare l’apice della complicità di coppia.

“Piove ancora. Che ore saranno?”

Haruka si alzò un poco per guardare la sveglia posta sul comodino alle spalle della violinista. “Ancora notte fonda. Le tre e mezza.” Disse sentendola sospirare stancamente.

“Stai pensando alla partenza?”

“Si.”

“A che ora hai il volo?”

“Ho il check alle dieci.”

“Vuoi che ti accompagni all’aeroporto? Poi posso farmi venire a prendere da Giovanna.”

“No. Non sopporto lo strazio dei saluti e poi devo prima portare la Mercedes al concessionario. Il compratore la verrà a prendere tra qualche giorno.”

“Mmmm… Ok. Come vuoi.” Ma la sentì stringersi, se possibile ancora di più.

“Quello che vorrei sarebbe non andare via.”

“Lo so, ma devi.”

“… Devo.” Rimarcò poco convinta.

“Michiru…, quando ti ho sentito suonare sulla spiaggia ho capito una cosa; tu sei nata per la musica e sarebbe delittuoso non renderne partecipe il mondo. Anche se mi fa fatica ammetterlo, anche se vorrei tenerti stretta a me per tutto il resto dei miei giorni, non posso essere egoista. E non puoi esserlo neanche tu.”

Alla luce di quella confessione, Michiru si tirò su puntellando i palmi delle mani al materasso e guardandola intensamente tra l’oscurità della stanza, fu diretta come al solito. “Ma Haruka, io non smetterò di suonare. A non sopportare più sono lo stress e i ritmi assurdi che detta lo spettacolo. Sono le persone viscide appartenenti ad un mondo ormai corrotto dal business, quelle che non voglio più assecondare. Ma la musica…, lei è e rimarrà sempre una parte del mio essere, il modo che ho per esprimermi. - Cavalcandola sorrise finalmente conscia della strada scelta. - Voglio comporre! Voglio poter suonare a modo mio, con il mio stile e con i miei tempi e per farlo non mi serve che un violino ed una piccola sala di registrazione.”

“Vuoi diventare un’autrice?!”

“Si! In fin dei conti è sempre stato questo il mio grande sogno, sin da ragazzina e per assurdo, ad impedirmelo fu proprio il successo che ebbi con la mia prima pubblicazione. Ora non ho più vent’anni e sono più forte. Ora conosco come aggirare gli ostacoli della ribalta. Ora posso impormi con i producer e se non dovessi venire ascoltata dalle case discografiche, allora vorrà dire che mi aggancerò ad un’etichetta indipendente o ne creerò una mia.”

Arpionandole i fianchi, Haruka ammise che fosse molto ambiziosa.

“Tu non hai un’azienda tutta tua che punta ad una produzione D.O.P.?”

“Bè, in verità ne ho solo un quarto e grazie a te.” Disse iniziando a toccarle l’esterno del seno.

Era bella da far paura e adesso che l’aveva avuta sentiva di volerla ancora di più. Tirandosi su avvertì il calore dell’intimità di Michiru su parte della sua.

“Tenou, basta con questa storia. Non parliamo più dei tuoi terreni, d’accordo?”

“Va bene. Ma solo per un po’.” Rispose iniziando ad assaporarle avidamente il collo.

E fu in quel momento, prima di perdere nuovamente il controllo e ribaltare Michiru sulla schiena per coprirla parzialmente con il calore del proprio corpo, che Haruka si ripromise che avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarla a realizzare il suo sogno. Un’etichetta indipendente ed un’azienda vinicola? Perché no? Due cose a primo sguardo totalmente differenti, ma che nel profondo portavano amore, dedizione e umiltà nel perseverare.

“Michi il tuo sogno mi piace.”

“Lo immaginavo. Ma…”

“Ma?” Chiese continuando a sfiorarle con le labbra la pelle delle scapole.

“Ma ora vorrei che svestissi i panni dell’imprenditrice ed indossassi quelli … dell’insegnante.”

Fermandosi un istante Haruka la guardò, poi sorridendo sardonica, le afferrò una mano guidandola verso le zone più nascoste della sua femminilità.

 

 

Si alzò all’alba di una giornata livida ed improvvisamente fredda, si docciò e si preparò con cura, lentamente e con pesantezza d’animo. Lei era li, addormentata nel letto che fino a poche ore prima le aveva viste fondersi insieme, felici e finalmente libere da paure o insicurezze. Lei era li, tra le lenzuola, nuda e splendente come una dea di un cielo ventoso e proprio così voleva ricordarla ora che era costretta a spezzare l’incanto di in amore che nasce.

Seduta sulla sedia accanto alla portafinestra, Michiru sospirò nel silenzio. Neanche i primi uccelli erano ancora usciti spinti dalla pioggia a rimanersene al coperto di un riparo. Invece per lei era arrivato il momento di lasciare il suo nido caldo ed accogliente e chissà quando avrebbe potuto fare ritorno. Certamente non per le vacanze natalizie, uno dei periodi più fruttuosi per la concertistica. Men che mai per la primavera successiva, visto che Seiya le aveva già comunicato un blocco di turnè da fare per la U.A.F. in Asia e Russia. Portandosi una mano al viso si coprì gli occhi concedendosi qualche secondo. Forza. Aveva bisogno di forza e di coraggio per uscire da quella stanza, da quella casa, da quella vita e ne avrebbe dovuta averne ancora di più per rimanerne lontana un anno intero.

Michiru non aveva paura di ricadere preda delle vecchie abitudini. Gli applausi, l’idolatria della gente, le lusinghe degli sponsor, erano ormai solo un ricordo che presto sarebbe tornato attuale, ma estremamente fastidioso. Così come non aveva paura delle tentazioni di nuovi contratti milionari o del fascino di ammiratori maschili. Non aveva neanche paura dello spirito da Don Giovanni che alle volte guizzava fuori dal pur nobilissimo animo di Haruka, perché ormai aveva capito quanto quel comportamento rasentasse il semplice gioco. E non aveva paura dell’amore che sentiva di provare per quella dea del vento che, sfinita e ora addormentata, le aveva consegnato in mano le chiavi del suo cuore arrendendosi all’evidenza di un legame ormai fortissimo, così come non aveva paura di fare outing con i suoi o con chiunque altro le avesse chiesto di chi fosse attualmente innamorata.

“Ho solo paura di uscire da questa stanza.” Soffiò leggerissima nell’aria.

Ora aveva una famiglia, una stabilità, un amore ed avrebbe sofferto a restarne lontana per così tanto tempo. E sarebbe stato difficoltoso anche mettersi in contatto con Haruka visto i rispettivi impegni e i fusi orari. Ecco, ora che aveva scoperto come potesse essere avere delle radici forti, Michiru aveva paura di non poterne più fare a meno come prima.

Alzandosi andò al cassetto del comodino dove sapeva avrebbe trovato carta e penna. Non poteva dirle addio, ma non poteva neanche lasciarla senza il conforto di due righe di commiato. Così, vestita solamente di una camicia e squassata dai brividi, buttò giù due righe, di cuore ed anima, sperando che Haruka capisse ed accettasse.

Una volta finito di comporre l’ultimo pensiero, firmò richiudendo la penna. Lasciò il foglietto sopra al contratto che avevano stipulato la sera precedente e come ultimo gesto, si slacciò la catenina dal tridente d’oro che portava al collo da una vita, abbandonandola poi su quelle righe eleganti. Infine terminò di vestirsi, afferrò la cinghia della borsa, quella più rozza del borsone e guardando un’ultima volta la bellezza straordinaria di quel nuovo amore, uscì dalla stanza richiudendo pianissimo l’anta.

Giovanna, già in piedi per preparare la colazione, la vide con già il soprabito addosso e capì. “Non la vuoi neanche salutare?” Disse intuendo l’idea avuta dalla violinista per la mancanza di Haruka al suo fianco.

“Ti prego…, cerca di non giudicarmi.”

“Non lo sto facendo.”

“Io si. Ma…”

“Proprio non ce la fai.”

“Già.” Disse chinando la testa mortificata.

Prendendo la custodia del violino abbandonata sul mobile dell’ingresso, Giovanna le sorrise avvicinandosi. “Non credere che non sappia cosa voglia dire lasciare questa casa. Ci vuole uno sforzo enorme per restarne lontani, perciò non soltanto ti appoggiamo tutte, ma saremo sempre qui se ne avrai bisogno e quando Haruka finirà di sbraitare al cielo il fatto di non averti potuto salutare, sarà la prima a spalleggiarti.” Disse porgendole la custodia.

“Lo so che non è uno Stradivari, ma portalo con te. Magari non sarà all’altezza di suonare alla Conserts Halls di Vienna, ma ti farà sentire meno sola.”

Trattenendo un groppo in gola, Michiru si mise la cinghia del borsone in spalla afferrando la maniglia d’ottone.

“Grazie.” Riuscì ad articolare.

“Ti chiamo un taxi o vuoi che ti accompagni?”

“No, non serve. Vado con la mia macchina.”

“Va bene.”

Aprendole il portone di casa Giovanna si lasciò abbracciare rimanendo poi ferma sulla soglia. Seguendo con lo sguardo quella che era stata una straniera prima, un’amica con il passare del tempo, ed un membro della sua famiglia ora, la vide aprire le due ante del silos e dopo qualche secondo il rombo della Mercedes invase lo spazio. Sporgendosi all’interno raggiunse con una mano il citofono sbloccandole il cancello che s’intravedeva in lontananza, poi, alzando il braccio, la salutò mentre si allontanava piano.

“Torna presto.” Disse a mezza voce.

Rientrando e richiudendo il portoncino scosse la testa pensando alla reazione che presto avrebbe avuto Haruka.

“Non la prenderà per niente bene. Sarà un inferno.”

 

 

Si, al risveglio della bionda si scatenò un inferno in terra e si, il gesto di Michiru non fu ne capito, ne tanto meno accettato fino alla prima telefonata che la musicista riuscì a farle quella sera stessa da una stanza d’albergo. Fino a quel momento Haruka fu intrattabile. Ostile, contro tutto e tutti. Visto il tempo orribile e l’allentamento del lavoro dovuto all’inizio della stagione fredda, se ne stette rintanata nella stanza al piano terra per tutto il santo giorno, uscendo solo per razziare qualcosa in cucina.

Ringhiò Haruka, sbraitò e tirò sfondoni al cielo e al suo farsi fregare il cuore da quella donna. E pianse. Raggomitolata sul letto, pianse stringendosi al petto quelle quattro righe piene d’amore, sapendo perfettamente che il gesto di Michiru era stato pensato e compiuto solo per evitare uno strazio maggiore. Pianse e lo fece in silenzio, lontano dal pietismo che avrebbe suscitato nelle sorelle, lei, sempre così forte e fiera, indipendente ed immune a quell’umana fragilità che questa volta era arrivata addirittura a gonfiarle gli occhi e a squassarle la pelle.

Ma anche Michiru aveva pianto per tutto il tragitto che la portò al concessionario vicino all’aeroporto. Asciugandosi gli occhi con il dorso della mano aveva iniziato a farlo non appena uscita dal cancello della tenuta, mentre i ricordi, le immagini degli ultimi due mesi prendevano ad affastellarle la mente.

Lei, immersa fino alla vita nelle acque del laghetto artificiale, vinta, spezzata fino alla resa e due braccia venute da chissà dove a riportarla alla luce. I loro sguardi che s’incrociano una prima volta e la sua conseguente richiesta di rimanere alla masseria Tenou. L’ostilità di Minako, l’affetto di Usagi, il ritorno di Giovanna e il capire che quella famiglia aveva molte più cicatrici di quel che poteva immaginare. Il lavoro duro e lo scoprirsi brava anche lontana dal mondo della musica. La faccia tosta di Seiya e quella ancora più subdola di Bravery. La corsa clandestina e la paura di sapere Haruka in pericolo. Il capire di esserne pazzamente attratta, fino ad anteporre la libertà dalla Union Artists Foundation e dalla Filarmonica, in cambio della sua felicità. E l’amore. Le sue mani addosso, il suo fiato caldo ad esplorarle il corpo, la sua voce a sussurrarle all’orecchio parole irripetibili.

Abbandonando la vista delle piante sempre più dormienti, i panorami aperti, i ruderi delle vecchie cascine abbandonate e i filari arborei ordinati, gli occhi di Michiru avevano continuato a lacrimare smettendo solo in prossimità del rivenditore con il quale aveva appuntamento. Immobile al posto di guida, si era ricomposta dandosi una truccata riuscendo così a nascondere al mondo la sua tristezza. Firmato il contratto di compravendita con l’acquirente, consegnate le chiavi e presa la navetta per gli scali internazionali, Michiru Kaiou si era così imbarcata per la sua vecchia vita due ore dopo.

Arrivata a Vienna, ritirato il bagaglio e preso un taxi per l’hotel che sarebbe stata la sua casa per parecchie settimane avvenire, chiamò il signor Stërn ed il Direttore della Filarmonica avvertendoli del suo arrivo. Poi, già stanca, si registrò alla reception, si fece consegnare la chiave magnetica e salì all'ultimo piano. Entrata in quelle quattro mura sconosciute, si spogliò del soprabito, si lavò le mani, si sedette sul letto e crollò in un pianto disperato molto più violento del precedente.

 

 

Riuscì a chiamarla in tarda serata, dopo un’interminabile cena con la dirigenza della Filarmonica, presenziata da tutti i suoi membri, gente più che attempata dai nomi antisonanti, che non avevano dimostrato per lei e la sua stanchezza, il ben che minimo riguardo. Riuscì a chiamarla e la sua voce le sembrò la melodia più caleidoscopica del mondo.

“Sei in collera?” Chiese una volta riconosciutala in un anonimo pronto.

“Si.- Le rispose la bionda. - No. .. Non più…“

“Scusa. E’ stata una vigliaccata, lo so, ma proprio no ce la facevo a guardare i tuoi occhi allontanarsi dallo specchietto retrovisore.”

Haruka sorrise immersa nella penombra dello studio. “Poetica.”

“E’ la verità.”

“Lo so.” Ammise per poi chiederle dove fosse.

“A Vienna. In una suite di un albergo del centro storico.”

Ancora un po’ sulle sue, Haruka emise un fischio complimentandosi. “A però! La signora Kaiou si tratta bene.”

“Smettila. Non sono stata io a sceglierla e se conti che per i prossimi mesi dovrò considerarla come casa mia, non è il caso che tu faccia dello spirito.”

Capendo di essere stata pessima, la bionda si diede una calmata. “ Hai ragione. Anche io da ragazza sono stata spesso fuori casa, ma allora con un padre ed una sorella al seguito non ero certo sola.”

“Grazie della comprensione.”

Mmmmm.”

“Hai nulla da dirmi sul messaggio che ti ho lasciato?” Michiru aveva scritto quelle poche righe come se fossero state note sgorgate direttamente dal suo cuore.

“Posso solo dirti che io non avrei mai saputo esprimermi così.”

Tutto qui? La violinista sembrò un po’ delusa. “Tu sai esprimerti in altri modi.”

“Ci provo.” Rispose, ma evitò di confessarle quanto quello scritto, in un primo momento addirittura odiato, l’avesse poi sorretta in quelle prime ore senza lei.

Sentendola ancora un po’ sulle sue, Michiru cambiò radicalmente discorso. “Hai cenato?”

“No, non avevo fame. Ma ora va molto meglio. Tu?”

“Una cena interminabile con la dirigenza della Filarmonica.”

“Senza pietà! Sei appena arrivata.”

“Domani tocca alla U.A.F.. Questo è il business.”

“Questo è uno schifo!” Rettificò.

A quelle parole l’altra provò una strana sensazione di calore. “Mi stai forse difendendo?” Chiese sapendo già la risposta.

“Sei tu la star! Facessero poco i bulli!”

“Altrimenti?”

“Altrimenti vengo li e gli spacco la faccia!”

“Ecco la mia Haruka!” Esplose divertita sentendo finalmente dissolversi la tensione scaturita dal distacco.

Anche la bionda sorrise sedendosi comodamente sulla poltrona della scrivania. “Il fatto che tu abbia voluto prenderti una pausa di riflessione avrebbe dovuto far capire qualcosa a quelle teste di legno; tipo che bisogna coccolarle le persone di valore, non spremerle.”

“E invece no, anzi, da ora in avanti mi aspettano giorni di svariate rappresaglie. Agli occhi dei vertici della Filarmonica e a quelli della U.A.F., sono passata dall’essere una professionista esemplare ad un’artistoide pazza.”

Haruka sbiascicò un idioti che mise fine al discorso.

“E la catenina? Spero che per uno spirito libero come il tuo non sia stato un gesto troppo soffocante.”

“Assolutamente no. La terrò con cura fino al tuo ritorno.” Non era certo un anello, che sarebbe stata lei un giorno a donare, ma Haruka aveva comunque letto in quel gesto la voglia di Kaiou d’istaurare un legame duraturo.

Michiru teneva molto a quell’oggetto. Non rappresentava nulla di speciale, non le ricordava alcun evento o persone care da onorare, ma, proprio perché sceltolo da lei e per lei, si poteva tranquillamente dire che rappresentasse il suo io; un spirito acquatico libero ed indipendente.

“Sono contenta. Sai, lo porto al collo da anni e non avrei mai pensato che un giorno lo avrei affidato a qualcuno.”

No, Haruka proprio non ce lo vedeva il Seiya di turno con al collo un oggetto tanto delicato.

Mossa ancora da una cocente gelosia per gli uomini che prima di lei avevano toccato e posseduto la perfezione carnale di quella dea, si astenne da qualsiasi tipo di commento avesse potuto rovinare quella conversazione. In fin dei conti anche Haruka aveva un passato fatto di esperienze, anzi, a dirla tutta, con molte probabilità molto più numerose e spinte delle sue.

“Pensavo fosse un tritone.”

“Chi?” La bionda si ridestò senza capire.

“Mio padre. Il mio vero padre. Quando scoprii di essere stata adottata, per molto tempo la mia mente di bambina volle immaginarsi scenari marini e principesse disperse. Mi sarebbe piaciuto che mio padre fosse stato un tritone o addirittura il dio Nettuno in persona. Lo so, è una sciocchezza, ma avevo solo sette anni. - Cercò di scusarsi anche se non c’era proprio nulla di male nella dolcezza di quella fantasia. - E’ stata una fantasia che mi ha aiutata ad andare avanti. Così qualche anno fa, quando ho visto quel ciondolo esposto in una vetrina di un orefice, l’ho acquistato subito.”

Nel sentirla raccontare di quell’ennesimo pezzettino di vita, Haruka corse con le dita al tridente che portava al collo. Quanto doveva essersi sentita sola la sua Michiru e non soltanto da piccola.

“Sai Michi, ti confesso che quella sera, dopo essere scemata l’adrenalina per il tuo salvataggio ed aver visto che stavi bene, con il tuo vestito bagnato appiccicato alle tue forme, i tuoi occhi blu incorniciati dai capelli ancora sgocciolanti, mi sei sembrata una sirena, un po’ frastornata forse, ma bellissima ed eterea come in un quadro fiammingo.”

“E poi dici di non essere romantica!”

“Non è romanticismo, ma quello che ho pensato e che penso tutt’ora.”

“Grazie…”Rispose lusingata.

“E di che?! - Esplose l’altra sentendosi più appiccicosa di un barattolo di melassa. - “Allora…, dimmi. Quali progetti hai per domani?”

“Dunque…, sveglia all’alba e un messaggino da inviarti prima che il tuo cellulare perda il segnale in qualche punto della tenuta, poi doccia, colazione e via alla sede della Fisarmonica per le prove.” E distendendosi sul letto proseguì con il ruolino pseudo tedesco che da li in avanti avrebbe dovuto seguire con diligenza e costanza, che poi era la stessa che la contraddistingueva da sempre.

“E tu Haru, mi scriverai?”

“Certo, anche se non sono brava con queste cose.”

Parlarono del più e del meno per un’altra mezz’ora, fameliche di parole e vogliose di quei baci che per adesso avrebbero potuto solo ricordare, poi, una volta sentito il sonno troppo pesante, a malincuore si salutarono. Haruka non le chiese quando si sarebbero potute risentire, non sarebbe stato da lei, ma si ripromise che la sera non sarebbe più uscita di casa.

Una volta messa giù la cornetta e perso gli occhi al chiaro scuro che avvolgeva lo studio, la bionda sospirò alzandosi lentamente. Avvertiva un vuoto enorme, ma ancor più lo sentiva Michiru, sola, in una suite di un albergo di Vienna, senza sorelle, senza amici. Senza lei.

Uscita alla luce del soggiorno, Haruka trovò Usagi appoggiata al bordo del tavolo. “Ti ho fatto saltare la tua solita telefonata serale.” Disse.

“Non importa. Come sta?”

“Sta!” Rispose grattandole la testa.

Mi dispiace, ma adesso sai cosa vuol dire aspettare davanti ad una cornetta, pensò la biondina guardandola entrare in cucina.

Così passarono i giorni. Michiru riuscì a farsi sentire in maniera costante fino all’inizio della stagione concertistica, poi diventò sempre più difficile ritagliarsi un po’ di tempo tutto per se e la sua bionda. Haruka le mancava da morire, tanto che solo con il lavoro riusciva a mitigare un po’ quel senso di vuoto.

Da un lato fu quasi felice quando dovette imbarcarsi per Mosca. Un’altra aria, altra gente, altri ritmi, l’avrebbero senz’altro aiutata a non pensare troppo al sole, al vento tra le viti, alle risate delle persone alle quali voleva bene e che aveva dovuto per forza di cose lasciare. Il freddo russo, i colori accesi delle cupole del Cremlino, le energie spese tra un evento e l’altro stemperarono leggermente la voglia di lei, del suo sguardo, delle sue mani, del timbro profondissimo della sua voce, dei suoi rari, ma intensissimi sorrisi.

Fu così per qualche settimana, poi, una volta trovata la routine delle giornate, tutto tornò ad essere pesante, con l’aggravante di un fuso orario allucinante.

Era infatti sempre più complicato il chiamarsi. Haruka le aveva garantito che per lei non sarebbe stato un problema dormire sul divano dello studio nell’attesa di un suo squillo a notte fonda, ma Michiru sapeva che, anche se in inverno le aziende vinicole tendevano a rallentare i ritmi lavorativi, anche la sua indomita bionda aveva bisogno di riposo. Così, forse scioccamente, Michiru si ritrovò a limitarsi pur di lasciarla dormire. Naturalmente questo mandò la bionda in paranoia e la sua latente convinzione che prima o poi le luci della ribalta avrebbero impedito alla sua dea di tornare da lei, crebbe a dismisura giorno dopo giorno. Un loop vizioso che Kaiou riuscì a capire e spezzare alla vigilia di Natale, quando mandandole un sms, chiese a tutta la famiglia Tenou di seguire il concerto di beneficienza che si sarebbe tenuto alla Royal Opera House di Londra e al quale lei avrebbe partecipato come rappresentante della Union Artists Fondation..

Immerse nel clima festivo fatto di luci alle finestre e un vistoso abete comparso qualche giorno prima tra le scale ed il camino del soggiorno, le quattro ragazze, Yaten e Mamoru, invitato per l’occasione con un grugnito anche troppo eloquente di Haruka, si gustarono l’esibizione di una Michiru radiosa. Per l’occasione aveva scelto d’indossare un abito da sera nero d’alta sartoria, un paio di guanti del medesimo colore a coprire tutto l’avambraccio ed un collier ad impreziosirne il collo sottile.

“Bella lo è sempre stata, ma questa sera è raggiante. - Disse Minako guardando di soppiatto Haruka. - Tu lo sai per chi è tanto elegante, non è vero sorella?”

“Piantala!” Ordinò l’altra non riuscendo a staccare lo sguardo dallo schermo dove la sua dea stava iniziando l’inedito che aveva preannunciato di voler regalare ai suoi fans per Natale.

Haruka lo riconobbe subito. Era la melodia che Michiru le aveva fatto ascoltare la sera del pic-nic sulla spiaggia. Allora l’aveva terminata!

Non sono solita far sentire a nessuno un brano non ancora finito, ma non trovo situazione migliore di questa per fartelo ascoltare. Ma mentre lo eseguo ti chiedo di fare una cosa. Vorrei che tu pensassi alla tua famiglia, alla tua terra e alla tua macchina. In quest’ordine. In realtà ci sarebbe anche un ultima cosa, ma è il pezzo che devo ancora comporre e ti chiederò d’immaginarla solo dopo che avrò ben capito come fare intrecciare alcune note.”

E Tenou obbedì nuovamente. Chiudendo gli occhi ripensò a parte della sua vita; i suoi genitori, il suo peugiuottino, la corsa. Ma Kaiou aveva compiuto la sua opera inserendo in quella vita parte della sua. Il suo cuore. All’inizio timido, poi via via sempre più netto e maturo. Le frasi azzardate, i primi baci, le paure che si azzerano.

Le labbra della bionda s’incurvarono un poco all’insù quando il cambio di ritmo si fece più morbido e sensuale. La loro prima notte e per adesso anche l’unica, si affacciò ai sensi di Haruka. Note estremamente carnali, che gli altri apprezzarono solo come un ottimo inedito, ma che per lei rappresentavano una dichiarazione di voglia cieca.

Sei una donna incredibile, si disse mentre i primi piani televisivi le rimandavano l’immagine di Michiru.

Quando la performance finì, nel soggiorno ci fu un tripudio generale, molto simile alla standing ovation del pubblico in sala.

“Non ne capisco un tubo, ma a me è piaciuto!” Disse uno Yaten entusiasta abbracciando da dietro Minako, che avvertendo i suoi palmi sul ventre sorrise dolcemente di rimando.

Anche Mamoru, di umore nerissimo per via dei sigilli apposti alla cantina di famiglia che di fatto stroncavano tutta la stagione, sembrò rischiararsi un po’. Almeno per quella sera, una delle più importanti dell’anno, non avrebbe pensato a come pagare i fornitori dell’azienda Kiba e a mandare avanti la sua piccola vigna.

Dopo il baciamano di rito e le congratulazioni degli organizzatori dell’evento, a Michiru fu data la parola per un breve scambio di battute.

“Non ci aspettavamo un inedito. Ci ha piacevolmente sorpresi signora Kaiou.”

“Sono felice che la Union Artists Fondation mi abbia dato l’opportunità di farvelo ascoltare. E’ un’opera alla quale tengo molto e che ritengo essere una delle mie composizioni meglio riuscite.”

“Era da qualche anno che non ci regalava una sua opera. Stavamo iniziando a disperare.”

E per l’esattezza da quando aveva iniziato a tenere il piede in due scomodissime staffe; ovvero la Filarmonica di Vienna e la U.A.F.. Non era certo stata colpa sua se non aveva potuto concentrarsi sulla sua musica, ma naturalmente Michiru si astenne da qualsiasi tipo di commento che avrebbe potuto dar fastidio ai vertici dell’uno o dell’altro colosso. Aveva ancora da onorare parecchi mesi di contratto e non si sarebbe persa in sciocche ripicche interne. Perciò glissò con un bel sorriso dicendo solo che le dispiaceva di aver trascurato i suoi fans confidando nel loro buon cuore.

“Visto l’entusiasmo che c’è in sala, credo proprio che non debba preoccuparsi. Vorrei farle solo due ultime domande signora Kaiou; qual è il titolo della sua composizione e se in questa notte magica, ha una dedica particolare da fare.”

“La dedica è per tutti coloro che mi amano e che credono in me.” Confessò angelica, ma estremamente sicura.

“Una persona in particolare?” Chiese improvvisamente il conduttore con malizia.

“Birichino …, ma le domande non dovevano essere due?” Rispose lei creando ilarità in tutta la sala.

“Sono stato scoperto…”

Allora sorridendo ancora, Michiru confessò che in effetti una dedica speciale c’era e che la persona in questione non soltanto l’aveva ispirata, ma le aveva involontariamente suggerito anche il titolo del brano.

Spostando il microfono dalla bocca della donna alla sua, l’uomo in frac le chiese perciò quale fosse il titolo.

“Sguardo di smeraldo.” Disse lei dopo qualche secondo fissando l’obbiettivo del cameraman che la stava inquadrando.

In casa Tenou tutti si voltarono all’unisono verso Haruka, che staccando lentamente il dito che aveva continuato a tenere premuto alle labbra per tutto il tempo, li guardò ad uno ad uno. “Bè! Che vi prende?!”

“Sguardo di smeraldo?” Gongolò Giovanna innescando la presa per i fondelli.

“Hai capito la nostra Haru…” Si accodò Yaten piazzandole una manata sulla spalla.

“Ma che fai?! Che cos’è tutta questa confidenza?!”

“Le hanno addirittura intitolato un’opera classica!” Rincarò Minako seguita a ruota dalla piccola Usagi, che stringendo forte la bionda le piazzò un bacio sulla guancia.

“Ma che siete scemi?! Finitela!”

Così, vista l’inferiorità numerica e prima che quella massa di cretini potesse metterla con le spalle al muro, Haruka si alzò e con fare strafottente se ne andò in cucina. “Io me ne vado! Ho voglia di bollicine!”

“Anch’io, anch’io” Me ne porti un bicchiere anche a me?” Chiese Yaten alzando il braccio come a scuola.

“Ti è forse diventato il culo di piombo? Prenditelo da solo!” Urlò lei dall’ingresso facendo ridere tutti.

Alla luce del frigorifero aperto, la bionda afferrò il collo di una bottiglia scuotendo la testa. Molto presto la sua povera casa sarebbe stata invasa da due uomini e già se ne avvertivano i danni.

Chiudendo lo sportello si avvicinò al piano del lavabo in cerca di un bicchiere dimenticando le mani poggiate al bordo di porcellana.

Sguardo di smeraldo, soffiò piano all’ambiente volutamente lasciato nell’oscurità.

“O Michiru…, quanto mi manchi.”

 

 

Albeggiava già quando Michiru, scortata a forza da un euforico Seiya, riuscì a mettere piede nell’ascensore del suo Hotel.

“Sei stanca?” Chiese lui forzando l’indice sull’ultimo bottone della pulsantiera.

“Esausta. Non sono più abituata a certi ritmi. Tu invece sembri ancora sprizzare energia da tutti i pori.”

“Sono stato soverchiato da ottime proposte.”

“Lo sai che il farci vedere ancora assieme è solo una facciata che sul piano lavorativo non potrà mai più avere un seguito.”

“Certo che lo so. In merito sei stata molto chiara. Ma vedi, non sempre tutto gira in torno a Michiru Kaiou. Le proposte sono per me!”

Guardandolo leggermente stupita le venne spontaneo alzare le sopraciglia. “Per te?”

“Ben gentile…”

“Non fraintendermi, lo sai che ti considero uno dei migliori manager in circolazione. E’ solo che mi sorprende con quanta disinvoltura tu te ne sia uscito.”

“Questa estate fosti anche troppo esplicita nel non volermi più fra i piedi e perciò mentre giocavi a fare la vignaia, mi sono dato uno sguardo in giro.”

Il sottile astio che Seiya usò non la toccò affatto, anzi quasi ne sorrise. “Allora… buon per te.”

Il ding dell’arrivo al piano le fece emettere un gemito di sollievo. I tacchi la stavano uccidendo e non vedeva l’ora di gettarsi sul letto.

“Torneremo a Vienna fra un paio di giorni. Sei pronta per il concerto del primo dell’anno?”

“Certamente. Come l’anno scorso e quello prima. Una volta tanto vorrei passare le festività natalizie lontano dagli eventi.” Non era sua intenzione lamentarsi, ma si sentiva sola e Seiya, nel bene e nel male, era stato per anni il suo punto di riferimento.

Arrivata alla porta della sua stanza, cercò la chiave nella borsetta a mano inserendola poi nella toppa sotto la maniglia. “Arrivata sana e salva. Sarebbero d’obbligo gli auguri, ma so che non ti è mai piaciuta questa ricorrenza.”

“Se ben ricordo… neanche a te. Ora invece scopro che vorresti passarla in famiglia. Come se noi due non lo fossimo mai stati.”

“Ho detto lontano dagli eventi. Comunque, buon Natale Saiya. Ci vediamo a cena.” E fece per aprire quando la mano dell’uomo le bloccò il braccio.

“Sguardo di smeraldo?” Inquisì facendola irrigidire, sia per il tocco che per l’ovvia provocazione.

Non avevano detto a nessuno del divorzio artistico che si sarebbe consumato alla scadenza dei contratti con la Filarmonica e la U.A.F., ma era lampante che, nonostante una recitazione esemplare, qualcosa nel loro rapporto fosse cambiato anche dal punto di vista strettamente personale, tanto che alcuni giornalisti avevano già iniziato a ricamarci su. Con l’ammissione da parte della violinista di una persona speciale pronta addirittura ad ispirarla, presto si sarebbe aperta la caccia al nuovo amore di Michiru Kaiou.

“Seiya lasciami. Sono troppo stanca per discutere o spiegarti cose che francamente non ti riguardano.”

“Conosco solo una persona con gli occhi di quel colore e che ultimamente potresti aver conosciuto stando rintanata in casa Tenou.”

“E allora?”

Avvicinandosi lui fu quasi brutale. “Anch’io sono un musicista e quella che hai eseguito è stata una melodia d’amore… Sei forse impazzita?!”

Spostando il braccio lei lo fulminò scattando sulla difensiva. “Non mi aspetto che tu capisca, ma non permetterti di giudicarmi.”

“Ascolta Kaiou, non mi frega niente se tu stia provando attrazione verso una donna, volesse il cielo che durante il nostro rapporto ogni tanto mi avessi proposto una cosa simile, ma quella non va bene per te, lo capisci?!”

“Dio del cielo, quanto sei volgare!” Ma non appena fece per entrare nella stanza lui la bloccò nuovamente.

“Michiru, lo sai che mia sorella è stata con quella donna?!”

“Certo che lo so. Stella non ha orgogliosamente mancato di farmelo sapere e comunque piantala di chiamarla quella donna. Ha un nome!”

“E allora saprai anche quanto Haruka non sia fatta per un rapporto stabile.”

Lei quasi gli rise in faccia. “Ma sentite da che pulpito viene la predica.”

“Michiru…”

Sentendolo avvicinarsi troppo lei lo respinse spingendolo lontano. Aveva uno sguardo che non le piaceva affatto. “Seiya, hai bevuto troppo. E’ meglio che tu vada.”

“Scappi?”

“Da cosa? Da te?”

“Da me e dalla verità!” E tornò alla carica cercando di baciarla.

“Ho detto BASTA! Non renderti ridicolo!” Un nuovo spintone e questa volta lui sembrò cedere.

Ritraendosi di qualche passo lui si portò una mano tra i capelli prima di ribadire con forza il suo pensiero. “Siete troppo diverse Michiru e spero per te che tu lo capisca presto.”

Lo vide allontanarsi entrando poi nella sua camera. Poggiando le spalle all’anta ormai chiusa a chiave, restò volutamente al buoi per qualche minuto mentre fuori iniziava a nevicare.

   
 
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