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Autore: Nao Yoshikawa    21/07/2020    6 recensioni
[Reylo Modern!AU]
Ben e Rey sono stati insieme. Si sono amati, hanno avuto una famiglia. Ma quello era il primo. Adesso si sono separati, eppure qualcosa aleggia tra di loro. Forse non hanno mai smesso di amarsi e forse non si sono mai persi per davvero.
Rey distolse lo sguardo.
Lo pensava anche lei.
Sì, quello doveva essere pentimento. Sapeva che se fosse tornata indietro, avrebbe agito diversamente. Forse lei e Ben erano stati impulsivi? Avevano rovinato tutto a causa dell’esasperazione? Rey non faceva altro che domandarselo, perché da quando avevano divorziato non faceva che avvertire un peso lì, sullo stomaco.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Finn, Nuovo personaggio, Poe Dameron, Rey
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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This is us, again
Parte seconda
 
 
La morte era quella cosa a cui non ci si preparava mai, pur sapendo che prima o poi arrivava per tutti. Così era stato per Ben, il quale non sapeva come fosse opportuno sentirsi: aveva perso suo padre dopo che quest’ultimo aveva lottato per mesi contro il cancro. Aveva creduto che quella potesse essere una buona occasione per riavvicinarsi, eppure le cose non erano andate come previste. Essere il figlio di Han Solo non era facile e adesso Ben si sentiva arrabbiato, in colpa, perché aveva creduto di avere tutto il tempo del mondo, si era illuso ed ora ecco che tutto gli scivolava dalle dita.
Suo figlio, sette anni appena, gli si era avvicinato in punta di piedi e allora lo aveva abbracciato.
Era sempre stato un bambino sensibile e molto attento ai sentimenti altrui.
Lo aveva abbracciato e Ben aveva ricambiato la stretta, lasciandosi andare alle lacrime, perché non avrebbe potuto trattenersi. Rey invece non si era avvicinata, se n’era rimasta in disparte a parlare con Leia e Luke.
«Sono preoccupata per Ben», ammise Leia guardando suo figlio struggersi.
«Ben se la caverà, andrà avanti, sa che non può lasciarsi abbattere», l’aveva subito tranquillizzata suo fratello. Rey sapeva che suo marito sarebbe andato avanti, ma era strano vederlo soffrire. Strano, spaventoso ed estraniante.
«Vado da lui…» bisbigliò, avvicinandosi e sorridendo in maniera dolce. «Noa, vai un attimo con nonna e lo zio Luke?»
Il bambino annuì, trascinandosi dietro il suo orsacchiotto. E Rey si sedette accanto a Ben, accarezzandogli piano una gamba, non era un lutto facile da affrontare, poteva immaginarlo.
«Ben, se stai male va bene. Se vuoi disperarti va bene, ma ti prego, non hai detto una parola.»
Suo marito si portò una mano sul viso arrossato, gli occhi bruciavano e la testa faceva così male.
«Non so cosa dire, Rey. Mi sento patetico. E sono arrabbiato, anche con me stesso. La verità è che non so farmi amare e prima o poi tutti finiscono con il lasciarmi.»
Lei si fece più vicina, accarezzandogli i capelli.
«Questo non è vero. E non è colpa tua, lo sai.»
Era davvero estraniante, orribile. Ben era forte, ma anche così fragile.
«Non posso pensare che un giorno io e Noa potremmo fare la stessa fine», confidò poi. Come figlio non era sempre stato perfetto, magari sarebbe potuto essere un buon padre? Avrebbe potuto evitare certi errori, certi atteggiamenti? Rey prese le sue mani tra le proprie, stringendole.
«Questo non accadrà, Ben Solo. Te lo garantisco. Lo so che adesso stai male, ma la supereremo insieme», glielo promise, guardandolo negli occhi. Ben sapeva che Rey non stava mentendo. Lei non mentiva mai, lei c’era sempre.
 
«Non posso credere che abbiate finito con il litigare.»
Rey si era aspettata un commento del genere da parte di Finn, ma aveva ragione, d’altronde nemmeno lei poteva crederci. Guardava la sua tazza di tè senza però toccarla, aveva la testa troppo piena di pensieri. Tutti non facevano altro che ripeterle che Ben l’amasse ancora e ormai ne era convinta anche lei. Di questo e di amarlo a sua volta, ma come poter tornare indietro? Ci avevano già provato una volta e avevano fallito, a che sarebbe servito riprovarci?
«Ci sarà un motivo se ci siamo lasciati», sospirò, ma Finn scosse il capo.
«Conservi ancora la fede, se non ti importasse l’avresti già gettata via. E poi anche Noa la pensa come me, voi dovreste tornare insieme.»
«Noa?» Rey sollevò lo sguardo verso Finn, seduto davanti a lei. «Te l’ha detto lui?»
«Amh… sì», ammise posando la tazza. «Ma non dire che te l’ho detto.»
Rey si scostò una ciocca di capelli dal viso. Era assolutamente normale che suo figlio sperasse in un loro eventuale ritorno insieme, ma non sarebbe stato giusto illuderlo  e poi deluderlo. Poe entrò in quel momento senza maglietta, dirigendosi verso il frigo per prendere dell’acqua.
«Poe, ma ti sembra il modo?» lo rimproverò Finn.
«Cosa? Sono fuori in giardino a curare le piante e fa un caldo atroce, tu te ne stai qui a spettegolare», sbuffò lui, per poi sorridere. «Scommetto che state parlando sempre dello stesso argomento: Ben Solo. Ah, l’amore…»
Rey si alzò, rossa in viso.
«Va bene, d’accordo. Adesso, se non vi dispiace, ho bisogno di usare il bagno e poi devo sbrigare delle commissioni. Con permesso.»
Finn e Poe non le dissero nulla, ma fu poi il secondo a parlare.
«Io credo che quei due abbiano bisogno di una mano.»
 
A Rey mancava Ben. Le mancava sempre in verità, ma da quando avevano discusso le mancava ancora di più. Avrebbe voluto chiamarlo, chiedergli scusa e poi? Poi cosa sarebbe successo? Non stavano insieme, non avevano bisogno di questo.
Pensava ciò mentre guidava, pensierosa. All’improvviso però l’auto fece un rumore strano e assai poco rassicurante. Poco dopo il motore parve morire all’’istante, lasciando Rey nel bel mezzo della strada.
«Accidenti! Un meccanico a cui si rompe l’auto, magnifico!» si lamentò, uscendo fuori e avvertendo un certo odore di pioggia. Bene, perfetto, non aveva nemmeno un ombrello. Si avvicinò al cofano dell’auto, aprendolo, per cercare di capire quale fosse il problema, ma non aveva i suoi attrezzi con sé, forse avrebbe dovuto telefonare a Finn?
E poi arrivò la pioggia. Piccole goccioline leggere che le ricadevano addosso, bagnandola.
«Oh, ti prego!» esclamò esasperata. «Può andare peggio di così?»
Quelle erano le ultime parole famose che mai nessuno avrebbe dovuto pronunciare. Dall’altro lato della strada si accostò un’altra auto di colore nero, a cui Rey non fece tanto caso, fin quando non ne uscì fuori Ben.
«Cosa stai combinando?» le domandò. Rey sollevò lo sguardo. E lo vide, bagnato di pioggia esattamente come lei. Ed ebbe come istinto quello di abbracciarlo.
 
Era un po’ di tempo che Rey era spenta e silenziosa. Non rideva più, né giocava con Noa, passava il suo tempo a dormire o semplicemente a guardare il soffitto. E Ben la capiva, la capiva perfettamente perché dopotutto quello era un dolore che stavano vivendo entrambi. Ci aveva pensato lui a preparare la cena per Noa, poi aveva sparecchiato, lasciando da parte un piatto per Rey, la quale non aveva intenzione di mangiare, ma a costo di imboccarla a forza doveva farla mangiare. Bussò alla porta della propria camera da letto e nonostante il silenzio, Ben entrò lo stesso.
Rey se ne stava distesa su un fianco, ma non stava dormendo.
«Rey, ti prego… qualcosa devi mangiare, stai perdendo le forze.»
Ma Rey non voleva mangiare, non voleva fare nulla. Si sentiva fortemente depressa e non capiva perché la vita con lei, con loro, avesse deciso di essere ad un tratto così crudele. Si strinse con una mano il ventre oramai vuoto da cui era stata strappata la vita. Lei e Ben avevano voluto un altro figlio ed era rimasta incinta subito, come la prima volta. Ma arrivata alla dodicesima settimana, più nulla.
Nessun battito. L’avevano perso e nessuno capiva il perché.
Erano cose che capitavano, certo, ma adesso era capitato a lei.
«Ben, vattene», voleva solo essere lasciata in pace. Ma Ben era paziente, Ben sopportava nonostante il dolore, Ben stringeva i denti, perché avrebbe fatto di tutto per farla stare meglio.
«Ti lascio il piatto sul comodino. Comunque credo che… sai no, dovremmo andare da uno psicologo… male non ci farebbe.»
A quelle parole Rey si voltò, guardandolo con gli occhi lucidi. Era ferita e arrabbiata, avvertiva un dolore così grande che non era certo potesse essere superabile.
«Io non voglio parlare con nessuno. Nessuno capisce, nessuno. Ho perso un figlio, posso avere il diritto di piangere la sua morte?»
Ben abbassò lo sguardo. E chi avrebbe pensato al suo di dolore? Anche lui aveva perso un figlio, dopotutto. Ma al suo di dolore non ci stava pensando, lo avrebbe sopportato per lei.
Anche se era difficile. Anche se adesso Rey sembrava guardarlo con odio.
«Sì che ne hai diritto. Ma Rey, era anche mio figlio e…» la voce si spezzò appena. «Almeno aiutami ad aiutarti.»
Rey si lasciò cadere di nuovo a letto e questa volta tirò su le coperte per coprirsi e lasciarsi andare alle lacrime. Lei, che aveva sempre reagito, adesso si sentiva debole e impotente, perché di fatto nessuno le avrebbe ridato ciò che aveva perso. Nemmeno Ben. E suo marito non insistette. Si sarebbe anche accontentato di soffrire in silenzio. E sopportare e far marcire quel dolore.
 
Noa aveva raggiunto casa di Finn e Poe e tutti e tre se ne stavano seduti aspettando chissà quale segno divino.
«Rey ci ammazza», sussurrò Finn, con sguardo attonito.
«Ma smettila, ci sarà grata invece», lo rimbeccò Poe, rivolgendosi poi a Noa. «Hai chiamato tuo padre, giusto?»
«Sì, l’ho fatto», annuì lui. «Gli ho detto di sbrigarsi a venire qui perché c’era un’emergenza, si saranno già incontrati a metà strada.»
Udirono poi lo scrociare della pioggia, una vera e propria tempesta.
«Ora è sicuro che Rey ci ammazza! Mi ammazza, anzi! Le ho manomesso la macchina, questa cosa non è legale né morale. E la colpa è tutta tua, Poe. Io che ti ho anche ascoltato!»
«Non la penserai allo stesso modo quando quei due torneranno insieme. Andiamo, la pioggia è romantica, abbi un po’ di fede!»
Noa sorrise, sollevando lo sguardo verso la finestra, intravedendo il cielo scuro.
Lui di fede ne aveva eccome.
 
Rey non era riuscita ad abbracciarlo. Piuttosto se n’era rimasta immobile e a bocca aperta, lasciandosi bagnare, oramai doveva essere fradicia.
«Amh… io… mi si è… rotta l’auto», riuscì solo a balbettare, domandandosi come osasse Ben essere così bello anche sotto la pioggia.
«E  non sai cosa fare? Sei un meccanico!» le fece notare lui. Rey aggrottò la fronte.
«E infatti non ho bisogno del tuo aiuto. Vattene.»
«Non posso andarmene, oramai sono qui. Almeno lasciati aiutare», le si avvicinò, sfiorandole una spalla e provocandole un brivido che di certo non era dovuto al freddo. Rey si scostò, provata.
«Ben, ti prego. Io non mi controllo, non so cosa potrei fare», sospirò, con lo sguardo rivolto verso il cofano.
Ben però non si allontanò, anzi. Aveva bisogno di capire, altrimenti sarebbe impazzito. C’era una forte tensione tra loro.
«Perché dici questo? Ce l’hai ancora con me? Dimmi la verità? Mi odi, Rey?»
Mi odi, Rey?
Quella era la domanda più stupida che potesse fargli. No che non lo odiava e il problema era proprio questo. L’amava ancora.
Si voltò a guardarlo, furiosa.
«Ben Solo, tu sei un idiota! Ho la faccia di una che ti odia? No, ovviamente no! Questa è una condanna. Noi non stiamo più insieme, eppure guardaci! Se continuiamo a litigare, tanto valeva rimanere insieme!»
Era una fortuna che non ci fosse nessuno in strada, chiunque avrebbe pensato che fosse pazza. Ben non parlò, perché sapeva che Rey non aveva ancora finito. Quest’ultima infatti si portò le man sui fianchi.
«Io non ti sopporto più. Tormenti i miei sogni e i miei pensieri. E la fede! Non riesco a gettarla, è in un cassetto, vicino al mio letto. Questo è patetico, non è vero? Non è giusto! Non capisco come sia potuto succedere, come siamo diventati così? E perché non parli? Mi irriti così tanto…!»
Ben di fatto non parlò, fece una cosa migliore. La strinse a sé, come non faceva da anni, respirò il suo profumo misto a quello della pioggia. E lo amò, amò sfiorare la sua guancia con la punta del naso e le labbra, il suo corpo esile, la pelle attraverso i vestiti bagnati.
«Ben…?» sussurrò Rey, immobile tra le sue braccia. E il cuore, il suo e quello di Ben, battevano veloci allo stesso ritmo.
«Non ho mai smesso di amarti, Rey.»
Mai.
 
Ben aveva, come tutti, occhi per guardare. Vedeva come Rey fosse diversa, tanto per cominciare aveva preso ad uscire la sera. Non ogni sera, ma tre volte a settimana e ciò non era da lei.
Rey non era tipo da uscite, vestiti eleganti e ore piccole, eppure adesso eccola lì, mentre si passava un rossetto sulle labbra. E lui la guardava. Guardava e pensava che non era così ingenuo, che se si stava comportando in questo modo, era perché forse doveva esserci un altro.
No, non Rey. Lei non lo avrebbe mai tradito. D’accordo, le cose ultimamente tra di loro non andavano alla grande, Ben era stato molto preso dal suo lavoro, oramai era un insegnante a tutti gli effetti e turni di lavoro più lunghi, ma non poteva essere semplicemente questo. Anche se la sera tornava stanco, a volte di cattivo umore, Rey non poteva averlo tradito per così poco, e nemmeno per il fatto che parlassero poco o perché la loro vita sessuale andasse un po’ a rilento.
Era solo un periodo, oramai aveva imparato che di alti e di bassi ce n’erano in tutte le coppie.
«Rey, questo non è da te», commentò ad alta voce, pentendosene subito. Avrebbe preferito tacere, piuttosto che scatenare un litigio. Rey smise si guardarsi allo specchio per rivolgere a lui le attenzioni.
«Cosa? Mi sto solo truccando un po’, ogni tanto fa bene anche a me cambiare.»
Ben però non le credette nemmeno un istante. In cuor era sicuro, davvero tanto, che Rey gli nascondesse qualcosa. Se era stato tradito, voleva saperlo, meritava i saperlo.
«Rey, dimmi la verità. Per caso c’è un altro?»
Lei temporeggiò qualche istante prima di rispondere, avvertendo un profondo senso di nausea. Come poteva anche solo pensare Ben che ci fosse un altro? Non lo aveva mai tradito, né mai lo avrebbe fatto.
«Stai scherzando, spero! È questa la fiducia nei miei confronti? Non c’è nessun altro, Ben, che diamine!» sbottò nervosa, perché la situazione era già abbastanza difficile così. Era orribile la sensazione che si stessero perdendo inesorabilmente senza capire il perché. Forse l’amore era semplicemente finito senza che nemmeno se ne accorgessero, era possibile, l’amore finiva, ma non il loro.
Ben indietreggiò.
«Mi spiace, ma non posso non farmi delle domande, ti comporti in modo strano ultimamente.»
Rey gli fece segno di tacere, mentre respirava fino in fondo per non perdere il controllo.
«Vuoi sapere perché ultimamente esco spesso? Perché starti accanto è diventato pesante. Sei stanco, stressato, lo capisco bene, ma se c’è una cosa che non capisco è perché tu debba darmi per scontata.»
Quelle parole ferirono Ben. Lui non avrebbe mai dato Rey per scontata, ma come tutti era umano – un umano molto insicuro – e  forse aveva sbagliato in qualcosa, senza nemmeno rendersene conto?
«Io non ti do per scontata. Io faccio del mio meglio.»
«Lo so, Ben. Ma non mi dai alcuna sicurezza. Non mi pesa essere la colonna portante di questa famiglia, è solo che a volte avrei bisogno di essere rassicurata a mia volta. Sono tua moglie, non posso farti da madre e stare accanto a te per assicurarti ogni istante. Vorrei che ti facessi carico dei miei tormenti, ogni tanto», sospirò, abbassando lo sguardo. Lo sapeva, Ben non era cattivo, ma era una persona difficile con cui avere a che fare. Ciò però non l’era mai pesato, eppure adesso qualcosa sembrava essersi incrinato. Ben si sedette, non riuscendo a trovare qualcosa di sensato da dire.
Rey non aveva torto. Era lui quello “debole” della coppia, forse era addirittura un peso. In fondo era sempre stato un peso per tutti, perché con lei sarebbe dovuto essere diversa?
Sua moglie sperò tanto di sentirlo reagire, di sentirgli dire qualsiasi cosa, si sarebbe accontentata anche della sua rabbia, ma in cambio ottenne solo il silenzio. Afferrò la borsa. Anche se non amava uscire la sera, aveva bisogno di staccare da quella situazione che stava sfuggendo al suo controllo, tanto quanto quello di Ben.
«Ci vediamo dopo», mormorò con voce spezzata. Lui la lasciò andare e per qualche attimo si perse a pensare. Ai bei tempi andati, a quando tutto andava ancora bene.
 
Non ho mai smesso di amarti.
Rey le riconobbe, le sue braccia, il suo respiro, il tono tremulo della sua voce, le mani che la stringevano, la cercavano. Un’assurda malinconia mista ad eccitazione.
Ben, nemmeno io ho mai smesso di amarti.
Voleva dirlo, ma tremava, per il freddo e l’emozione.
«Ben, no… noi… noi…»
Noi ci siamo lasciati troppo in fretta, credendo che fosse la cosa più giusta. Ma non c’è giorno in cui io non mi penta di averti lasciato andare.
Per te è lo stesso, eh?
Ben le strinse i capelli con una mano. Nelle cose ci aveva sempre rimuginato un po’ troppo, insicuro, ansioso, apprensivo, esagerato. Ma qualche certezza l’aveva, come quella di aver sbagliato, come quella di volerla, ora, ieri e per sempre. Era sempre stato anche timido, ma quella volta non gli importò. La baciò, sentendo subito il sapore della pioggia, il suo sapore che amava e che non avrebbe mai dimenticato.
Rey gemette, gli si aggrappò addosso, maledicendolo, stringendolo a sé. Com’era successo? Ah, sì. Di comune accordo, in modo civile, avevano deciso di divorziare senza lotte né guerre, senza struggimenti e lacrime. Avevano creduto che l’amore fosse finito, perché era naturale che a volte accadesse, ma in verità nessuno dei due ci aveva mai creduto veramente.
«Perché… perché…?» ansimò Rey, a pochi centimetri dalle sue labbra. «Perché ci siamo fatti questo? Perché non riusciamo a stare separati?»
«Perché evidentemente è insieme che dobbiamo stare», sospirò sui suoi capelli, sentendola tremare per il freddo. «Rey, andiamo in auto, rischi di beccarti una polmonite.»
Lei però aveva sprofondato il viso sul suo petto, scuotendo il capo, non le importava di nient’altro oramai. Erano due adulti che in fondo erano sempre rimasti bambini, innamorati, insicuri.
«La fede», sussurrò ad un tratto Ben. «Anche io la conservo ancora.»
Quello era il simbolo che lo univa a Rey, un cerchio infinito e perfetto, non ne aveva avuto il coraggio. «Allora mi ami ancora, Rey?»
Lo amava sì. Lo amava così tanto da odiare visceralmente la sua essenza, il suo non riuscire a legarsi a nessun altro.
«Ti amo ancora. Ma io non so se… abbiamo sbagliato tutto. Non avremmo dovuto lasciarci. Forse non possiamo tornare indietro…?»
«Non dire così. Siamo ancora noi…Dimmi che vuoi provarci. Devi, perché in ogni caso non so se potrò lasciarti andare.»
Non lasciarmi andare.
Ma aveva paura, Rey. L’avevano entrambi, paura di soffrire, paura di non riuscire, di perdersi. Ma si erano persi già una volta, ritrovandosi. Non sarebbe servito accampare scusa, del tipo “E gli altri cosa diranno?”, perché era chiaro che tutti li rivolessero insieme, il loro amore sarebbe stato palese anche ad un estraneo.
Compì un sospiro profondo. Si erano sempre aiutati. E amati. E feriti, avevano sbagliato, sofferto insieme, il separarsi del tutto era stato solo l’ennesimo errore.
Eppure erano lì, di nuovo.
«Facciamolo», sussurrò, guardandolo negli occhi. «Però forse è meglio se Noa per adesso non ne sa nulla.»
Ben non le diede il tempo di aggiungere altro, perché l’afferrò tra le braccia, sollevandola. Voleva essere una persona migliore per lei e Rey voleva altrettanto, ciò non c’era stato bisogno di specificarlo.
«Ben! Ben, ma insomma!» esclamò, ridendo, di cuore come non le capitava da tempo.
Contro tutto e tutti, ma questa volta non commetteremo più gli errori che abbiamo commesso. Ben non la udiva, sembrava troppo felice, come se gli fosse stata restituita una vita nuova.
Come fosse tornato a respirare.
«Noa!» esclamò ad un tratto mettendola giù. «Sono abbastanza sicuro che ci sia il suo zampino in tutto ciò. E anche quello di Finn e Poe. Qualcosa mi dice che si sono messi d’accordo.»
Rey sollevò le sopracciglia: quei tre gliel’avrebbero pagata, ma magari un altro giorno.
«Ucciderò Finn per avermi manomessa l’auto. Ma immagino io debba essergli grata», chiuse gli occhi e li riaprì, rendendosi conto che aveva smesso di piovere. Ben le accarezzò la testa e – oramai fradicio – sollevò lo sguardo: all’orizzonte vi erano Finn, Pe e Noa che si stavano sbracciando.
«Ho portato i rinforzi! Cioè, io di auto non ne capisco nulla, quindi ho portato Finn!» esclamò tirandolo per un braccio.
«Poe, no! Tu vuoi farmi ammazzare!» si lamentò. Noa invece corse incontro ai suoi genitori, facendo un sorrisetto.
«Sono nei guai?»
Rey e Ben si guardarono, per poi sorridersi.
«No, non sei nei guai», lo rassicurò, accarezzandogli i capelli. «Ma qualcun altro sì. Finn, puoi venire qui solo un momento? Giuro che non ti faccio niente!»
Ben rise, poggiando una mano sulla spalla di Noa, mentre osservava Rey che inseguiva Finn sicuramente con cattive intenzioni.
E si domandò come avessero fatto fino a quel momento, per tre anni, senza nulla di tutto ciò.
Ma oramai non sarebbe più stata una domanda da porsi.



Nota dell'autrice
Ed ecco qui l'altra parte della storia, per alcuni versi più allegra, per alcuni versi non tanto. Ho voluto inserire dei flashback (uno particolarmente pesante dove Rey ha un aborto spontaneo), per raccontare alcuni episodi (non gli unici naturalmente) che hanno portato Rey e Ben a separarsi inevitabilmente. Il finale si può considerare semi-aperto [?] visto che alla fine decidono sì di tornare insieme, ma ho voluto lasciare all'immaginario ciò che viene dopo. Un ringraziamento speciale a Finn, Rey e Noa che con i loro casini sono riusciti a farli incontrare. Spero vi sia piaciuta :)
   
 
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