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Autore: evelyn80    22/07/2020    7 recensioni
In un futuro post-apocalittico Evelyn, suo marito Luca e i loro figli possono finalmente uscire dal Bunker in cui hanno trascorso gli ultimi dieci anni della loro vita, in attesa che il mondo fosse di nuovo abitabile.
Giunti al loro nuovo paese di residenza, possono infine tornare alla normalità e, anche se può sembrare strano, la donna non ha più niente da desiderare perché ciò che voleva di più al mondo lei lo ha già ottenuto.
Spin-off della mia long "Il viaggio per il Bunker".
Quarta classificata al "Wish upon a star" contest indetto da inzaghina.EFP sul Forum di EFP, a parimerito con "Di desideri, cani e paure" di Kim WinterNight e "La storia di Telemaco" di Carme93
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Luca'
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L'alba di una nuova esistenza

 

Quando l'autobus si fermò, con un sibilo dei freni pneumatici, era ormai notte fonda. Andrea e Fausto, i miei figli minori, si erano addormentati sul sedile l'uno accanto all'altro, le teste poggiate insieme. Leonardo, il maggiore, invece era ancora sveglio e scrutava con attenzione fuori dal finestrino, come se cercasse di riconoscere qualche particolare che gli fosse stato familiare.
Presi a fatica Fausto tra le braccia e me lo issai contro il corpo. Il bambino mi mugolò qualcosa all'orecchio poi lasciò ricadere la testa sulla mia spalla, il respiro pesante di chi dorme profondamente. Luca, mio marito, cercò di fare altrettanto con Andrea ma non appena lo sfiorò il ragazzino si svegliò di soprassalto.
«Siamo arrivati?», chiese con la sua vocetta acuta, improvvisamente di nuovo attivo e pimpante.
«Sì, dobbiamo scendere dall'autobus», rispose suo padre, per poi bloccare il corridoio e permettere a me e ai nostri figli di muoverci con calma.
Una volta scesi a terra, in compagnia della famiglia di mio cognato e di qualche altro passeggero, ci guardammo attorno con occhi sognanti. L'aria ancora tiepida dell'estate appena iniziata profumava di erba e di fiori, di pulito. I dieci anni che erano trascorsi dalla caduta dell'asteroide H7-25 – che aveva sterminato buona parte della popolazione del bacino del Mediterraneo – avevano contribuito a ripulire l'atmosfera non soltanto dalle polveri stellari ma anche dall'inquinamento. Il mondo era cambiato notevolmente e, speravo, niente e nessuno avrebbe mai più potuto farlo tornare lo schifo che era prima.
Anche il cielo era limpido, nero e trapunto di stelle. Nonostante l'esercito si fosse dato molto da fare, negli ultimi tempi, i servizi primari non erano ancora stati ripristinati del tutto. In quella parte delle colline emiliane l'energia elettrica non era ancora tornata, quindi il chiarore di quei piccoli soli dispersi nella vastità dell'Universo era l'unica fonte di luce.
Alzai il viso e lo rivolsi a quella miriade di puntini luminosi che ci sovrastavano. Riconobbi alcune delle costellazioni: la W di Cassiopea, la croce del nord del Cigno, il grande carro dell'Orsa Maggiore. Mio figlio Andrea, che mi aveva imitato, ad un tratto mi tirò la manica della maglietta per attirare la mia attenzione.
«Mamma, è quella Rigel?», mi chiese, indicando un punto sopra le nostre teste.
Durante gli anni di permanenza nel Bunker mi ero divertita a parlargli delle stelle e delle costellazioni, mia grandissima passione sin da piccola, e avevo cercato di disegnargli quelle più famose e facili da riconoscere. Orione aveva colpito particolarmente la sua fantasia: il cacciatore stellare e i suoi cani, il Cane Maggiore e il Cane Minore, che inseguono la Lepre sulla volta celeste. Ricordai che aveva riso tantissimo quando gli avevo spiegato che Rigel, il nome della sua stella più luminosa, significava piede sinistro.
«No, tesoro», gli risposi. «Quella è Deneb, la coda del Cigno. Orione si vede soltanto in inverno».
Andrea ridacchiò ancora, forse al pensiero della coda, poi corse dal padre che, nel frattempo, si era messo a discutere con suo fratello Mirko. Entrambi indicavano delle costruzioni davanti a loro, quindi mi avvicinai anch'io, Fausto ancora abbandonato sulla spalla, per ascoltare le loro parole.
«Secondo me faremmo meglio a vivere tutti insieme», sentii dire da mio cognato mentre li raggiungevo. «Sarà più facile per tutti. I bambini cresceranno insieme e Elena potrà fare loro da maestra», aggiunse, riferendosi a sua moglie.
Mi voltai per un istante verso mia cognata e la vidi parlare sommessamente con Beatrice, la figlia di Andrea – uno dei nostri compagni di viaggio morto prima di raggiungere il Bunker e di cui mio figlio mezzano portava il nome. La ragazza stringeva tra le braccia Tobia, il vecchio cagnolino di Fausto, anche lui perito durante il viaggio. Avevo chiamato mio figlio minore come lui proprio in sua memoria. Mia nipote Aurora, invece, era appiccicata come una cozza a mio figlio maggiore.
La voce di Luca riportò la mia attenzione sui due uomini.
«Secondo me, invece, sarebbe meglio vivere sì vicini, ma in due case diverse. I bambini cresceranno insieme comunque, e Beatrice avrà bisogno di molto spazio. Ormai ha vent'anni, ed è giusto che si faccia una vita in compagnia di qualcuno che le voglia bene».
Mirko scosse la testa, poco convinto. Mi avvicinai e gli posai la mano libera sulla spalla.
«Tuo fratello ha ragione», dissi in tono sommesso. «Per quanto il mondo sia mutato dobbiamo comunque continuare a vivere le nostre vite nel modo migliore possibile, fingendo, per quanto possiamo, che non sia cambiato niente».
Mirko grugnì e scosse le spalle, poi richiamò la moglie, la figlia e Beatrice e si incamminò a passo svelto verso una delle case rimesse in sesto dall'esercito, trascinandosi dietro i loro bagagli.
Luca sospirò e si voltò verso di me. Me ne resi conto solo perché colsi il bagliore delle stelle riflesso nei suoi occhi grigio verdi.
«Spero che non se la sia presa troppo. A mio fratello non piace molto essere contraddetto».
Mi lasciai sfuggire uno sbuffo spazientito.
«Neanche a Fausto piaceva, ma ha imparato a conoscermi strada facendo. E ora che hai quarantun anni, spero proprio che tu non ti faccia spaventare da Mirko!». Mio marito scosse la testa e io mi addolcii. «Questa è l'alba di una nuova esistenza», ripresi in un sussurro. «Una nuova vita dopo l'asteroide. Non lasciamo che questi piccoli screzi rovinino ciò che deve ancora cominciare».
Luca annuì e poi, tutti insieme, raggiungemmo la casa di fianco a quella già occupata dai miei cognati.


Dopo aver deposto i bagagli – la “Stratosambora”, l'ormai storica chitarra – appoggiata con devozione sopra a tutto il resto, e aver messo a letto i ragazzi, Luca e io tornammo di nuovo fuori e ci inerpicammo lungo il fianco della collina che sovrastava il piccolo paese in cui ci avevano lasciato. Non era il paese di origine di Luca, ma non era comunque molto diverso da quello dove era nato e cresciuto.
Ne avevamo parlato a lungo: non avrebbe avuto alcun senso scendere dall'altra parte dell'Appennino, verso il Mar Tirreno. Laggiù i danni dell'asteroide erano stati immani e non era rimasto quasi niente di recuperabile, e la mia casa ormai non esisteva più. Meglio fermarsi lì e ricominciare da capo tra quelle colline verdi e profumate di nuovo.
Guidati dalla luce delle stelle camminammo fino a raggiungere il margine del bosco e lì ci sedemmo.
Luca mi prese la mano destra e la strinse delicatamente tra le sue.
«L'alba di una nuova esistenza...», mormorò, ripetendo le mie parole di poco prima. «Davvero credi che sia questo che stiamo vivendo, Evelyn?».
«Certo... dentro il Bunker abbiamo vissuto come in una specie di capsula del tempo, in fase di stasi. Ora possiamo davvero cominciare di nuovo a vivere».
Mi sporsi verso di lui e catturai le sue labbra con le mie. Mio marito rispose con passione al bacio, stringendomi tra le braccia e issandomi sul suo corpo magro. Passai le dita tra i suoi capelli e con un grugnito divertito mi ricordai che, ormai, il suo caschetto biondo non esisteva più. Aveva iniziato a perdere i capelli poco dopo il nostro ingresso nel Bunker, e ben presto aveva iniziato a rasarsi per non essere costretto a vedere la piazza d'armi allargarsi sempre più dalla fronte verso la nuca.
Consapevole di aver perso una delle fonti della sua bellezza, e consapevole anche delle mie reiterate prese in giro, con un movimento rapido invertì le nostre posizioni e mi sovrastò, per poi riprendere a baciarmi con più foga e passione di prima, quasi fosse una sorta di punizione.
Con il ginocchio iniziò a fare pressione tra le mie cosce, obbligandomi ad aprirle. Mi staccai a fatica dalle sue labbra.
«Luca, ma cosa fai?», sussurrai, trattenendo a stento un risolino.
«Beh, se questo è un nuovo inizio... allora dobbiamo cominciare nel migliore dei modi», rispose mio marito sorridendo a sua volta.
«Come posso dirti di no?», domandai in un soffio.
Riprendemmo a baciarci mentre ci spogliavamo rapidamente. E lì, nel silenzio della notte che piano piano si tingeva di rosa verso est, ci amammo come una volta, quando eravamo ancora giovani e nel bel mezzo del nostro viaggio per il Bunker. Quando l'adrenalina non faceva che scorrere nelle vene e il nostro unico desiderio era quello di ricongiungerci ai nostri cari già al sicuro sotto il Cervino.
Ora che quel desiderio si era realizzato, tutto ciò che potevo desiderare ancora era vivere una vita lunga e felice accanto all'uomo che amavo e ai miei figli. E anche una buona parte di ciò si era già avverata.


Dopo esserci rivestiti ci accoccolammo l'una accanto all'altro, i respiri ancora corti per l'amore appena consumato. L'alba del nuovo giorno si stava avvicinando da oriente, ma dall'altra parte il cielo era ancora nero e fitto di stelle. Ad occhi socchiusi pensavo a ciò che avrei dovuto fare da quel momento in avanti quando la voce di Luca mi riscosse.
«Guarda Eve, una stella cadente! Dobbiamo esprimere un desiderio!».
Mi strinsi nelle spalle. «Non ho nulla da desiderare. Tutto ciò che volevo ce l'ho già: dei figli meravigliosi, una nuova casa in un mondo nuovo...», mi interruppi per un istante mentre un ghigno mi compariva in faccia, «e un marito sempre pronto a soddisfare ogni mio piccolo bisogno», conclusi, sfiorandogli maliziosamente l'inguine e facendolo sobbalzare per la sorpresa.
«Se non hai niente da desiderare, allora dovrebbero farti santa! Io ho chiesto un sacco di cose a quella stella».
«Non posso farmi santa perché ho sempre in mano l'arma del desiderio», replicai, strizzando lievemente il suo membro che già ricominciava a indurirsi.
Luca fece per abbrancarmi di nuovo ma io mi alzai in piedi di scatto e gli sfuggii con una risatina.
«No, per adesso basta. Ora dobbiamo tornare a casa: va a finire che i ragazzi si svegliano e non ci trovano! Non ho proprio voglia di sentirli urlare...».
Il viso di mio marito si era illuminato di un sorriso solare mentre parlavo, tanto ampio da scoprire i suoi enormi incisivi centrali da scoiattolo.
«Beh? Che c'è da ridere?», chiesi, stupita. «Cosa ho detto di strano?».
«Hai detto: andiamo a casa...».
«Certo, perché noi adesso siamo a casa. È l'alba di una nuova esistenza, ricordi?», dissi, indicando col braccio il chiarore rosato verso est.
Luca annuì. «L'alba di una nuova esistenza», ripeté.
Ci prendemmo per mano e ci incamminammo verso la nostra nuova dimora.

 

 

Spazio autrice:

La storia che avete appena letto è un piccolo spin-off di una mia long di qualche anno fa, intitolata “Il viaggio per il Bunker” e, nello specifico, del suo “Happy Ending”.
Naturalmente devo lasciare alcune spiegazioni, perché ho cercato di rendere la storia il più leggibile possibile, ma ci sono troppe informazioni che devo per forza riportare qui.
Dunque:
Evelyn è una “ragazza madre” di trentasei anni. Suo figlio Leonardo ne ha quattro, e insieme vivono in un paesino della costa tirrenica. Una sera, una notizia sconvolge per sempre le loro esistenze: un asteroide sta per cadere nel bacino del Mediterraneo con conseguenze disastrose. Il governo italiano sta costruendo un Bunker sotto il Cervino per salvare almeno una parte della popolazione, principalmente giovani e famiglie con figli per consentire la “sopravvivenza della specie”. Evelyn e suo figlio sono tra i pochi fortunati a ricevere la lettera di ammissione ma, mentre si trova sull'aereo militare che la porterà in salvo, la donna cede il suo posto a un altro bambino, lasciando Leonardo a una sua conoscente. Riesce a sopravvivere all'impatto grazie a un gruppo di persone, che la accolgono nel loro rifugio ricavato nelle grotte profonde che perforano le montagne della zona e, non appena possibile, Evelyn parte per raggiungere il Bunker a piedi e ricongiungersi con suo figlio, la lettera ricevuta dal governo al sicuro nello zaino, come lasciapassare per garantirsi l'ingresso alla struttura.
Durante il viaggio incontra tre uomini, anche loro diretti al Bunker per riunirsi alle loro famiglie: Luca – che nel rifugio ha il fratello maggiore, la cognata e la nipote Aurora – e i suoi amici e compagni di band Andrea – che ha la figlia nel Bunker – e Fausto con il suo cagnolino Tobia. Quest'ultimo in realtà non ha nessuno nel rifugio, ma considera i suoi amici come la sua famiglia, visto che non ha nessuno neanche al di fuori.
Nel corso del lungo e pericoloso viaggio, Andrea – già ferito a una gamba – prima e Fausto poi moriranno: il primo assalito da un branco di cani inselvatichiti (e poi finito da Fausto su sua esplicita richiesta); il secondo travolto dalle acque turbinose del Po.
Luca e Evelyn, insieme a Tobia, alla fine riusciranno a raggiungere il Bunker tra mille difficoltà, per poi ricongiungersi con le rispettive famiglie. Durante il viaggio la donna è rimasta incinta di Luca e il suo secondogenito, Andrea, nascerà qualche mese dopo il suo ingresso nel rifugio. Una volta dentro lei e Luca si sposeranno ed avranno un altro figlio, Fausto. Entrambi i bambini portano il nome degli amici defunti durante il viaggio.
Dieci anni dopo il loro ingresso il governo darà il via libera per il ritorno alla normalità, dopo che l'esercito ha ripristinato i collegamenti viari e le abitazioni ancora salvabili. E in questa piccola shot ho appunto raccontato il momento in cui i nostri amici arrivano alla loro ultima destinazione: la loro nuova casa.
E dopo questo “riassunto delle puntate precedenti”, passo alla spiegazione del pacchetto.
Ho inserito la stella del mio pacchetto, “Rigel”, facendola nominare dal piccolo Andrea che si sbaglia sulla sua posizione, perché la storia si svolge in estate mentre Rigel e la costellazione di cui fa parte, Orione, sono visibili solo in inverno nel nostro emisfero. Come detto nel testo, secondo la mitologia Orione è un cacciatore che, con i suoi cani, segue la lepre sulla volta celeste. Rigel è una stella variabile, la più luminosa della costellazione, (nonostante sia classificata come “beta”, quindi seconda in luminosità, perché al momento della classificazione della stella la sua luminosità era minima, essendo variabile, e Betelgeuse era più luminosa di lei in quel momento) e il suo nome è un'abbreviazione del nome arabo che significa, appunto, piede sinistro in quanto corrisponde al piede sinistro del cacciatore.
La frase: “
Non posso farmi santa perché ho sempre in mano l'arma del desiderio” è una citazione di Alda Merini, tra quelle lasciate a disposizione dalla giudice come utilizzabili a scelta.
Spero che sia tutto chiaro e di non avervi annoiato. Forse la storia non sarà granché, anche per quanto riguarda i parametri del contest, ma sono stata comunque contentissima di poter scrivere di nuovo uno spin-off sulla mia long, perché è la storia a cui tengo di più in assoluto.
Grazie per essere arrivati sin qui!

 

  
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