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Autore: _Agrifoglio_    22/07/2020    13 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tempio-di-Iside-a-Philae
 
 
Le insidie dell’Alto Egitto
 
La spedizione dei savants, cui Oscar e il seguito di lei erano stati aggregati a forza, partì da Il Cairo a metà agosto e raggiunse Syene, l’odierna Assuan, dopo dieci giorni di navigazione.
Fra gli studiosi, non c’erano soltanto archeologi e artisti, ma anche molti ingegneri, con il compito di studiare il regime idrico del Nilo a monte della prima cateratta e il sistema di irrigazione. Si scelse, perciò, come prima tappa del viaggio, il luogo che, pur essendo il più lontano, avrebbe consentito agli ingegneri di effettuare, con le forze fisiche e mentali ancora integre, le operazioni di livellazione della valle e di regimentazione del fiume.
Mentre un gruppo di studiosi era al lavoro con rilevazioni e analisi, un altro decise di perlustrare il territorio circostante, alla ricerca di informazioni sull’agricoltura, sulla storia naturale, sulle opere d’arte e sulle antichità di quella remota area del mondo.
Visitarono la prima cateratta del Nilo, un suggestivo insieme di rapide e di cascate, alternate a sporgenze rocciose dai bordi levigati dall’acqua e dal vento. Il fondale, lì, era talmente basso da consentire ai viaggiatori il guado, ma non la navigazione.
Venne, poi, la volta dell’isola di Elefantina che deve il suo nome alla particolare forma delle rocce che emergono dalle acque del fiume. Vi approdarono a bordo di agili feluche noleggiate sul posto, le cui vele erano gonfiate da un vento refrigeratore, accolto come provvidenziale alla fine di agosto.
Si trovavano appena settantadue chilometri sopra il Tropico del Cancro e il caldo era intenso, a volte torrido, ma Oscar lo sopportava bene, perché era magra, abituata ai rigori della vita militare e con la mente attraversata da mille preoccupazioni che la distoglievano dai fastidi climatici mentre i bambini erano distratti dall’eccitazione delle scoperte, di giorno in giorno sempre più strabilianti. Le uniche a lagnarsi di frequente erano Mademoiselle Saint Pierre e Mademoiselle Du Lac, le due governanti di Honoré e di Antigone, in ogni caso fermamente intenzionate a tenersi ben stretto il posto di lavoro.
Giunti sull’isola, gli ingegneri rimasero ammirati dalla scoperta del Nilometro, un’antica scala di pietra che giungeva fino al bacino del fiume, affiancata da pareti composte da blocchi di calcare su cui erano incise delle tacche orizzontali che servivano a misurare il livello delle piene del Nilo, così da prevedere l’entità dei futuri raccolti.
A Elefantina, si trovavano anche i resti di una piccola piramide dell’antico regno, un tempio dedicato al dio Khnum e un calendario plurimillenario.
I bambini esploravano attentissimi ogni angolo, sbucando fra blocchi di arenaria e arbusti verdeggianti o semi secchi mentre Oscar, appena poteva, chiedeva ai membri della spedizione notizie su André, ricevendo invariabilmente la stessa risposta: nessuno di loro lo conosceva né lo aveva mai visto.
Nei giorni seguenti, sempre tramite le feluche, raggiunsero l’isola di Philae, un luogo incantevole dove i templi sembravano essere stati creati insieme alle palme e agli arbusti, tanto erano bene incastonati nella natura circostante. Il giallo sabbia dei piloni e dei colonnati, bordato dal verde della vegetazione, proseguiva, senza soluzione di continuità, in quello della terra pietrosa per, poi, immergersi nel blu del fiume. Fu questo lo spettacolo che si offrì ai passeggeri delle feluche mentre, con la mano tesa a proteggersi gli occhi, scrutavano gli antichi templi che si avvicinavano.
Scesi a terra, i bambini si divertirono a stampare le loro impronte sulla rena e a lanciare i sassi, scommettendo su chi di loro ne avrebbe fatto arrivare uno più vicino a un ciuffo d’erba che avevano scelto quale bersaglio.
Visitarono, per primo, il piccolo tempio di Hathor, una struttura rettangolare e massiccia, semi diruta, fatta di blocchi enormi e di colonne tonde.
Passarono, subito dopo, al grande tempio di Iside, un complesso di piloni e di colonne che dominava l’intera isola. Questo tempio era più imponente e meglio conservato del precedente e colpì subito i viaggiatori per le altissime figure umane stilizzate che ne ornavano le pareti.
Dopo un lungo colonnato, semi diroccato su un lato, che costeggiava la via processionale, giunsero al primo pilone, costituito da due torri massicce, la cui larghezza quasi eguagliava l’altezza, unite nel mezzo da una porta decorata da cartigli e sormontata da un architrave.
Arrivati davanti alla scalinata prospicente la porta, sorvegliata da due leoni di granito, i bambini – e non soltanto loro – rimasero estasiati ad ammirare i giganteschi bassorilievi raffiguranti la dea, filiforme ed elegante, fermata in un’innaturale posa fra il frontale e il profilo e con il capo sormontato dal disco solare.
Superato il primo pilone, si immisero nel cortile interno, delimitato, nella parte occidentale, dal Mammisi di Horus, un porticato formato da sette colonne tonde, culminanti in capitelli papiriformi e sormontate da un architrave.
Attraversato anche il secondo pilone che, per struttura, ricordava il primo, entrarono all’interno del tempio, passando per una sala ipostila, composta da dieci colonne istoriate con bassorilievi, che immetteva in una camera dalla quale si accedeva al santuario.
Colpiva la freschezza e la brillantezza dei colori che ricoprivano le pareti e le colonne. Qua è là, però, i muri erano ricoperti da strati di fango sui quali erano stati disegnati dei soggetti religiosi dai cristiani copti, ma, dove il fango era caduto, i geroglifici erano tornati a risplendere nella loro magnificenza.
Superata la prima fase di stupore, i savants cominciarono a ispezionare, descrivere e catalogare. Édouard de Villiers du Terrage e Jean-Baptiste Prosper Jollois, ingegneri prestati all’archeologia e due delle figure di maggiore spicco della spedizione, presero i loro quaderni e iniziarono a disegnarvi dentro tutto quello che vedevano.
Honoré, Antigone e Bernadette presero a correre sia nel cortile sia all’interno della sala ipostila, salendo sui basamenti degli obelischi crollati e saltando giù a ripetizione. Oscar li rimproverò, nel timore che dessero fastidio agli scienziati, ma de Villiers e Jollois la rassicurarono che i bambini non costituivano un impaccio. Fu, quindi, tentata di domandare ai due ingegneri – archeologi notizie su André, ma si trattenne, nel timore di essere lei, questa volta, inopportuna.
Presa dal desiderio di stare sola, varcò la porta del primo pilone e girò un poco in lungo e in largo per l’isola, dirigendosi, infine, verso il chiosco di Traiano, un monumento quadrangolare, situato vicino al tempio di Iside, composto, nella parte inferiore, da blocchi di arenaria e, in quella superiore, da tonde colonne, culminanti in capitelli papiriformi e sormontate da architravi. L’edificio, ormai privo del soffitto, era circondato dalla terra dello stesso colore, dal blu del cielo e del fiume e dalla vegetazione spontanea, costituita da basse palme e da arbusti, ora verdi, ora ricoperti da inflorescenze scarlatte o rosa scuro.
Camminando, ebbe la sensazione di essere osservata e che qualcosa scricchiolasse fra la terra sabbiosa e i sassi che la ricoprivano. Si guardò intorno, fissò i suoi stivali impolverati e le acque lente del fiume, lievemente increspate dal vento che si era appena alzato e proseguì verso ciò che restava del monumento.
Mentre le folate facevano frusciare le palme e gli arbusti, Oscar avvertì un suono simile a un sibilo che si mischiava ai fruscii e, di nuovo, ebbe la sensazione di essere osservata e che qualcuno l’avesse preceduta all’interno del chiosco. Fu subito colta dall’impulso di andarsene, ma la curiosità ebbe il sopravvento e la sospinse verso il rudere.
Appena fu entrata, udì ancora più nettamente i sibili che, questa volta, erano ben distinti dai fruscii della vegetazione. Diresse lo sguardo verso il punto da cui proveniva il rumore e, accanto a delle pietre ammonticchiate, in un angolo, vide dei serpenti, striscianti nelle loro spire, che allungavano e ritraevano le lingue biforcute e nervose. All’udire la nuova arrivata, i rettili si voltarono di scatto, ergendosi sui loro corpi agili e muscolosi e facendo dei balzi fulminei in avanti. Oscar, d’istinto, mise mano all’elsa della spada, ma, proprio in quell’istante, fu raggiunta sul braccio da un altro serpente che era stato gettato all’interno del chiosco al di sopra della parete di arenaria, attraverso lo spazio che si apriva fra una colonna e l’altra. Con un movimento repentino, scagliò prontamente l’animale lontano da sé, prima che questi la pungesse. Senza porre tempo in mezzo, guadagnò l’uscita con un agile salto in lungo che la fece planare all’esterno, distesa per tutta la lunghezza del corpo sulla terra brulla. Si rialzò con destrezza, dopo avere udito nitidamente i passi di almeno due uomini che si allontanavano, correndo. Lì sentì tuffarsi nel fiume e, poi, tutto si rimmerse nel silenzio. Gettate su un lato del chiosco, c’erano alcune basse e tonde ceste di vimini.
 
Chiosco-di-Traiano-a-Philae
 
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Occhi nocciola scintillanti di emozione e di felicità, gote rosse, sorriso accattivante, Joséphine de Beauharnais stava in fila, insieme ad altri aristocratici, nel Salone degli Specchi, alla reggia di Versailles.
Il Generale de Jarjayes e il Generale de Girodel erano riusciti a procurarle la presentazione a corte e lei non stava più nella pelle all’idea di vedere realizzato uno dei più ambiziosi fra i suoi sogni. Sempre molto sicura negli ambienti mondani, adesso era in ansia, tanto da tormentare inconsapevolmente, con la mano inanellata, uno dei bordi del sontuoso abito di seta bianca che si era fatta confezionare da Mademoiselle Bertin, spendendo un occhio della testa. Guardava i gioielli delle altre dame, al confronto dei quali i propri le apparivano ben misera cosa, ma non doveva perdersi d’animo! Non erano quelli i dettagli che facevano di una donna una signora e lei se l’era sempre cavata. Avrebbe fatto un’ottima figura davanti a Sua Maestà la Regina, prendendosi la rivincita sia contro quell’essere abietto di suo marito che l’aveva sempre disprezzata e mortificata sia nei confronti di Madame Bonaparte che l’aveva trattata come la peggiore delle cortigiane.
Vide la Regina avvicinarsi al punto dove era lei ed accennò un tenue sorriso.
Udì il cerimoniere presentare alla Sovrana la Marchesa che le stava a fianco e trattenne il fiato.
E’ fatta, fra poco sarà il mio turno.
Fece appello a tutta la sua calma e al suo proverbiale charme, ostentando una tranquillità che già l’aveva abbandonata.
– La Viscontessa Marie Josèphe Rose de Beauharnais, moglie del Visconte Alexandre François Marie de Beauharnais – la annunciò il cerimoniere.
Si profuse in un elegante inchino e rimase in attesa, col cuore in gola e le gote in fiamme.
Maria Antonietta guardò la graziosa Viscontessa con aria cortese, ma distaccata. Il Generale de Jarjayes, il Generale de Girodel e anche il Vescovo de Talleyrand l’avevano messa in guardia sull’importanza di mantenere dei buoni rapporti, almeno sul piano formale, con tutte le persone contigue a Napoleone Bonaparte e lei stava ottemperando. Era stata informata della discussa reputazione del Visconte e della Viscontessa de Beauharnais e di quale fosse il tipo di contiguità che c’era fra lei e Bonaparte. Ciò nonostante, dall’epoca del suo arrivo in Francia, era trascorsa una vita intera e non aveva più la voglia né la forza di impelagarsi in un’altra disputa come quella che era intercorsa fra lei e la Contessa du Barry. Molo diversi, del resto, erano il ruolo e il passato della Viscontessa de Beauharnais. Bastava essere cortese e accogliente con una donna che, molto probabilmente, non avrebbe mai più rivisto e tutto sarebbe finito nel giro di pochi istanti.  
– Sono lieta di fare la Vostra conoscenza, Viscontessa de Beauharnais. Spero che Vi troverete a Vostro agio alla reggia – e, con un sorriso, passò oltre.
Joséphine de Beauharnais si rialzò e, con la coda dell’occhio, vide la Sovrana rivolgersi al Conte che veniva subito dopo di lei.
La Regina era stata educata e cortese eppure quell’incontro le aveva lasciato un senso di incompiutezza. Non si aspettava certo di essere nominata dama di corte e neppure di essere invitata ad accompagnare la Sovrana in una passeggiata nei giardini della reggia, ma quella breve frase di circostanza l’aveva intiepidita e, dentro di sé, iniziò a provare l’amaro e malinconico sapore della delusione.
 
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Intorno alla metà di ottobre, dopo circa due mesi di permanenza a Syene, la compagnia dei savants decise di ridiscendere il Nilo, per proseguire gli studi e le ricerche a Luxor, una città che sorge sulla riva destra del fiume, sul sito dell’antica Tebe che fu capitale d’Egitto ai tempi del Medio Regno.
Prima di giungere a destinazione, fecero tappa a Esna, dove si trovavano un altro Nilometro e l’antico tempio di Khnum, un imponente edificio esastilo, molto ben conservato, ma in parte invaso, sia dentro sia fuori, dalla sabbia del deserto, inconveniente che lo accomunava a quasi tutti i monumenti egiziani.
Oscar era stupita dalla costanza e dalla precisione con la quale gli scienziati eseguivano le loro rilevazioni e riproducevano, nei loro quaderni, interi monumenti o singoli dettagli. I templi, specialmente all’interno, conservavano i loro antichi colori, soprattutto se non erano stati riconvertiti in chiese cristiane. In questo secondo caso, la furia iconoclasta o la necessità di adattare gli edifici alle esigenze del nuovo culto avevano prodotto dei danni non sempre reversibili.
Malgrado l’ammirazione per l’antica civiltà di cui, in precedenza, ben poco sapeva e per la tenacia degli scienziati, l’incidente dei serpenti aveva risvegliato in lei un’inquietudine crescente, non soltanto per le sorti di André, ma anche per l’incolumità sua e dei bambini. Qualche giorno prima, aveva manifestato l’intenzione di abbandonare la spedizione e di ritornare ad Alessandria con le imbarcazioni che aveva noleggiato ai tempi del suo arrivo in Egitto, ma il Comandante della guarnigione cui era stato affidato il compito di proteggere gli scienziati si era opposto, sostenendo che non avrebbe potuto smembrare la truppa, già esigua, per assegnarle una scorta e che andarsene via da sola sarebbe stato un azzardo, a causa delle bande di predoni che spadroneggiavano nel deserto e delle orde di mamelucchi infuriati e desiderosi di rivincita. Oscar si era arresa all’evidenza, non volendo mettere a repentaglio le vite dei membri del suo seguito, ma scalpitava anche perché si era accorta che i due soldati che stazionavano in pianta stabile sulla nave da lei occupata, più che proteggerla, la spiavano.
Giunti a Luxor, i capi della spedizione decisero di eleggere la città, più grande e meglio fornita dei villaggi da loro fino a quel momento visitati, a base cui fare ritorno dopo le varie escursioni.
Uno dei primi viaggi fu organizzato a Dendera, dove sorgeva uno splendido tempio di epoca greco-romana, dedicato alla dea Hathor. Il monumento era molto ben conservato, ma ciò che lasciò tutti stupefatti fu un imponente bassorilievo raffigurante lo zodiaco, situato sul soffitto del pronao della cappella di Osiride. Jollois e de Villiers, si distesero supini sul pavimento e, da quell’insolita e scomoda posizione, iniziarono a copiarlo minuziosamente.
– Guardate, Madre, disegnano coricati, io non ci riuscirei mai! – si lasciò sfuggire Antigone.
– Taci, non disturbare gli scienziati! – le ingiunse Oscar che, per evitare ulteriori interruzioni, portò all’aperto i tre bambini.
Mentre attraversavano i colonnati, la donna udì distintamente dei passi e si voltò di scatto, ma non vide alcuno. Ebbe, di nuovo, la spiacevole sensazione di essere osservata e pedinata.
Le disavventure di Oscar erano, però, soltanto agli inizi.
Dopo alcuni giorni di permanenza a Luxor, de Villiers e Jollois decisero di rilevare, descrivere e disegnare le piante dei monumenti dell’antica Tebe. Si recarono più volte sul sito archeologico e in quelli vicini, ma ciò che successe fra le rovine del grande tempio di Amon a Karnak Oscar lo ricordò per il resto della vita.
Il lungo viale di accesso al tempio era costeggiato, su ambo i lati, da due file di statue col corpo di sfinge e la testa di ariete. Il sole vi batteva sopra, accentuandone l’imponenza millenaria mentre un alito di vento agitava le foglie degli alberi, rendendo piacevole quella giornata di inizio novembre.
Oscar camminava in mezzo a de Villiers e a Jollois e tutti commentavano, con sincero entusiasmo, ciò che avevano finora visto. Quando il dialogo era già avviato, Oscar pose la domanda che più le stava a cuore.
– Mi rincresce, Generale de Jarjayes, ma io non ho mai incontrato il Conte di Lille e ignoro persino che aspetto abbia – rispose de Villiers, mandando in frantumi le già scarse speranze di Oscar.
– Lo stesso vale per me, Generale – fece eco Jollois – Noi, del resto, lasciammo Alessandria alla volta de Il Cairo proprio nei giorni in cui il Conte di Lille avrebbe dovuto farvi rientro.
Oscar non poté che concordare con la logica di quel ragionamento e, a malincuore, si arrese all’evidenza che anche gli altri studiosi si trovavano nella stessa situazione.
– A parer mio, Generale – aggiunse de Villiers – Una volta giunto ad Alessandria, il Conte di Lille si è trovato di fronte a un’alternativa: rientrare in Francia o tornare indietro e mettersi sulle Vostre tracce.
Già! – pensò Oscar, che ignorava le disavventure e la prigionia di André – E se André, consegnate le lettere all’Ambasciatore, avesse deciso di raggiungerci? Se così fosse, adesso, si troverebbe solo in questa scatola di sabbia infestata dai predoni e dai mamelucchi umiliati da Bonaparte!
Proprio in quel momento, l’attenzione di tutti fu catturata da voci e risa infantili, festose e argentine. Antigone era riuscita a salire sul dorso di una delle sfingi cinocefale e l’esempio di lei era stato ben presto seguito da Honoré e da Bernadette. I tre si divertivano moltissimo e facevano un gran baccano.
– Scendete immediatamente da lì! – tuonò Oscar.
– Generale – la interruppe Jollois – Siamo giunti al primo pilone!
Entrati nel complesso monumentale, molte antiche costruzioni si offrirono alla loro vista: il grande cortile, le due colossali statue in granito rosa effigianti Ramsete II, gli obelischi di Thutmose IV e della Regina – Faraone Hatshepsut, il santuario di Thutmose III che, un tempo, custodiva la barca sacra di Amon e la grande sala ipostila. Quest’ultima, ormai a cielo aperto dopo il crollo del soffitto, era costituita da una folta schiera di colonne decorate, sormontate da capitelli papiriformi. Tali colonne, in tutto ben centotrentaquattro, erano disposte su sedici file ed erano talmente ravvicinate fra loro da dare l’impressione di formare una foresta di pietra e, precisamente, la foresta di papiro primordiale.
Mentre si aggirava fra le massicce e colossali colonne insieme ai due scienziati, Oscar si accorse di una polvere sottile che pioveva copiosamente dall’alto. Levati gli occhi al cielo, vide, con orrore e sgomento, un grandissimo macigno di pietra che stava crollando, a gran velocità, sulle loro teste. Con uno scatto repentino, figlio dalla forza della disperazione, si lanciò in avanti, spingendo con sé de Villiers e Jollois. I tre caddero riversi al suolo mentre l’immenso blocco di granito si schiantò, con grande trambusto, a pochi piedi da loro.
Dalle molteplici file di colonne, accorsero, ben presto, tutti gli scienziati e anche i tre bambini con le loro governanti. Ammutoliti, fissavano con gli occhi sgranati la scena surreale appena conclusasi a pochi passi da loro mentre Oscar e i due savants si rialzavano a fatica, scuotendo le mani sui vestiti impolverati e massaggiandosi le contusioni.
 
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Nei giardini della reggia, dove, dal giorno della sua presentazione a corte, si recava frequentemente nella speranza di rivedere la Regina, Joséphine de Beauharnais, una mattina, fece un incontro che di piacevole ebbe ben poco.
Dalla direzione opposta alla sua, in compagnia di due giovani dame a lei sconosciute, vide arrivare Paolina Bonaparte, la più giovane delle sorelle di Napoleone.
Le era stata presentata a una festa in casa del Visconte de Barras e, fra le due, l’antipatia era stata reciproca e immediata. Tutti i Bonaparte, del resto, vedevano male la relazione che si era instaurata fra il loro congiunto e “la vecchia” e non perdevano occasione per osteggiarla e metterla in imbarazzo. Lei, di rimando, dopo i primi tentativi di renderseli amici, aveva desistito, ben conscia dell’inutilità di ogni approccio e del fatto che la passione di Bonaparte per lei non transitava attraverso la loro approvazione.
Anche Paolina Bonaparte vide la Viscontessa e il viso di lei assunse un’espressione dispettosa e sfacciata.
– Cosa facciamo, allora? – domandò una delle amiche – Restiamo qui a passeggiare o ci andiamo a informare, presso il nipote della Baronessa de Jossigny, sui prossimi spettacoli al Théâtre de la Porte Saint-Martin?
– Andiamo senz’altro dal nipote della Baronessa che è pure un bel giovane! – cinguettò Paolina Bonaparte – Al Théâtre de la Porte Saint-Martin, mettono sempre in scena spettacoli nuovi e interessanti mentre, qui, c’è aria di vecchio!
Le tre ragazze se ne andarono via ridendo mentre Josèphine de Beauharnais le scrutava con livore.
 
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Oscar continuava a riflettere sugli strani eventi che le erano capitati, dall’agguato dei serpenti nell’isola di Philae alla caduta del masso nel tempio di Amon mentre, in groppa alla sua giumenta, percorreva il tratto di strada che separava la riva occidentale del Nilo dalla Valle dei Re.
Indossavano tutti degli ampi mantelli, dei grossi turbanti sulla testa e delle bende intorno agli occhi per proteggersi dalle oftalmie causate dal vento del deserto carico di sabbia.
La permanenza nell’Alto Egitto stava diventando sempre più insopportabile e irta di pericoli, ma tornare ad Alessandria le sembrava impossibile. Il Comandante della guarnigione non le avrebbe mai consentito di allontanarsi in nave e una partenza in carovana con tre bambini le sembrava inattuabile, visti i disagi che un semplice spostamento dalla riva occidentale del Nilo al luogo della sepoltura dei faraoni stava causando a tutti. Una traversata nel deserto a dorso di cammello o di mulo, con viveri e scorte d’acqua contingentati e la forte escursione termica fra giorno e notte, sarebbe stata massacrante per lei, figurarsi per tre bambini e, poi, dove trovare le bestie, le scorte e una guida affidabile, in tutta segretezza e con l’ostacolo della lingua straniera?
Mentre era immersa in questi pensieri, la guida annunciò che erano arrivati a destinazione.
La Valle dei Re era un’ampia conca di terra brulla, una scatola di sabbia riarsa dal sole, con pareti strapiombanti e gole scavate dal vento del deserto. Qua e là, fra le rocce calcaree e la sabbia, spuntavano delle collinette attraversate da fessure rettangolari simili a bocche scure, aperte nel ventre della terra.
I savants decisero di accamparsi lì per alcuni giorni, al fine di rilevare a mappare alcune tombe rupestri già note dall’antichità, come quelle di Meremptah, di Tausert, di Ramsete X, di Tuthmose I e di altri notabili.
Se, fuori, il paesaggio era desolato, all’interno, invece, i tumuli erano magnifici e imponenti, con i loro cunicoli zigzaganti, le pareti e i soffitti istoriati, gli affreschi raffinati e i sarcofagi posti al centro di stanze maestose. Si narrava che altrettanto spettacolari erano i pochi tesori ritrovati nelle sale e i gioielli avvolti fra le bende delle mummie, sfuggiti alle mani razziatrici dei profanatori di tombe.
Mentre gli scienziati catalogavano, mappavano e disegnavano, Oscar e i bambini osservavano stupiti e ammirati.
Una mattina, mentre trasportava viveri all’accampamento, un mulattiere scorse una fessura che si apriva a strapiombo su un rigonfiamento della roccia. Gli scienziati accorsero e compresero che si trattava di una tomba rimasta fino a quel momento inviolata. Era la sepoltura che, in seguito, sarebbe stata catalogata KV22 e attribuita al Faraone Amenofi III.
Puntellate le parti più pericolanti, un gruppo di persone, fra cui Oscar, vi si addentrò.
Accortasi che alcuni punti del soffitto, malgrado la puntellatura, continuavano a non essere sicuri, Oscar proibì ai bambini di accedere e questi reagirono con proteste e musi lunghi a non finire.
Scesero attraverso una rampa di scale che immetteva in un corridoio cui seguivano altre scale e altri corridoi, ma, dopo un breve tratto, i visitatori furono costretti a desistere, a causa dei detriti che ostruivano il passaggio.
Due giorni dopo, mentre gli scienziati erano intenti a ispezionare altre tombe, Oscar si accorse che i bambini erano spariti. Chiese in giro notizie su di loro, finché un inserviente egiziano, in un pessimo francese, le disse che i tre bambini si erano recati nella tomba appena scoperta. Oscar trovò plausibile il racconto, date le proteste che avevano accompagnato il divieto di addentrarsi nel tumulo pericolante e si diresse di corsa verso la sepoltura.
Varcata la soglia, iniziò a scendere le scale, finché non udì, alle sue spalle, un boato seguito da un crollo e da una pioggia di polvere e di detriti. Si voltò di scatto, ma davanti a lei c’era soltanto il buio: la parte di soffitto pericolante era franata e l’ingresso era ostruito.
La donna si mise a scavare a mani nude come una forsennata e a urlare a squarciagola, ma nessuno poteva udirla, perché il luogo era alquanto discosto dai siti dove sorgevano le altre tombe rupestri.
Per fortuna di Oscar e purtroppo per chi ne aveva progettato la morte, il giorno seguente, de Villiers e Jollois si recarono alla nuova tomba per eseguire le rilevazioni e le mappature. Vedendo che una parete era crollata e che l’ingresso era ostruito e udendo le urla di Oscar, chiamarono i soccorsi e, in alcune ore di lavoro, la donna, ricoperta di terra e con i polpastrelli sanguinanti, fu tirata fuori. Gli inservienti locali, alquanto superstiziosi, all’udire i richiami provenienti dall’interno della tomba, lavorarono controvoglia e con sacro terrore e, quando videro Oscar spuntare fuori dai detriti, più simile a un cadavere riemerso dal sepolcro che a una creatura vivente, assunsero lo stesso colore delle rupi e delle sabbie della Valle dei Re.
I bambini, in realtà, non si erano mai avventurati nel sito della sepoltura. Non sopportando più l’afa di quella conca desertica, avevano deciso di tornare sulla riva del Nilo con le loro governanti e con alcuni servitori e di fare un bagno. L’inserviente egiziano aveva approfittato della loro assenza per attirare Oscar nella trappola mortale e, poi, si era dileguato, tanto che nessun uomo corrispondente alla descrizione fornita da Oscar fu ritrovato fra le maestranze.
Tornata a Luxor, Oscar, come prima cosa, andò a parlare col Comandante della guarnigione, dicendo che la misura era colma e che, se non l’avesse lasciata partire, avrebbe scaraventato nel Nilo i due soldati di stanza sulla sua nave e sarebbe salpata alla volta di Alessandria.
In quel frangente, le vennero in soccorso de Villiers e Jollois, ormai stanchi, provati nel corpo e nello spirito e intristiti a causa del clima torrido e del duro lavoro. I due scienziati dissero che, per loro, la spedizione poteva dirsi conclusa, avendo raccolto reperti ed eseguito rilevazioni a sufficienza e che, la prossima settimana, sarebbero salpati per Alessandria.
 
Grande-sala-ipostila-Karnak
 
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– Dovreste farmi un grande favore, Conte di Fersen – disse il Generale de Jarjayes, appoggiato allo schienale di seta damascata di una delle poltrone del salotto azzurro di Palazzo Jarjayes.
– Farò per Voi tutto ciò che è in mio potere fare, Signor Generale – rispose il nobiluomo svedese, con un rassicurante sorriso.
– Sono mesi, ormai, che non ho più notizie certe di mia figlia. Temo che qualche pericolo incomba sul capo di lei, di André e dei loro ragazzi. Vi prego di andare ad Alessandria d’Egitto per sincerarVi che tutto vada bene e per scoprire le ragioni di questo perdurante silenzio.
– Contate su di me, Generale! Andrò in Egitto e mi rivolgerò all’Ambasciatore francese. Verrò a capo di tutto e diraderò le nebbie della Vostra angoscia. Recandomi ad Alessandria, inoltre, potrò fornire alla Regina notizie fresche sui movimenti di Bonaparte. Dicono che, dopo la sconfitta della flotta francese nella baia di Abukir, stia pianificando nuove mosse non ancora del tutto chiare.
Vedendo, poi, il volto preoccupato di Rosalie, entrata in salotto a portare del cognac, disse:
– Non preoccupateVi, Rosalie, Vi recherò presto buone nuove sulla Vostra Bernadette!
– Oh! Signor Conte, Vi ringrazio! Oh! Oh! Oh!
 
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Giunta ad Alessandria agli inizi di gennaio del 1799, Oscar, come prima cosa, si recò nel palazzo dell’Ambasciatore dove non trovò l’anziano diplomatico né André. Il primo, si era recato fuori città per affari urgenti e il secondo nessuno lo aveva mai visto.
La donna si diresse, quindi, al quartier generale di Napoleone, nel frattempo ritornato ad Alessandria per fronteggiare il pericolo dei turchi, che, dopo la disfatta navale di Abukir, si stavano organizzando contro di lui. Bonaparte, indaffarato in mille faccende e con l’umore nero, non la ricevette. In compenso, Oscar incontrò Alain, al quale spiegò la situazione, chiedendogli di organizzare delle ricerche nella città e nei villaggi vicini.
Tornata al palazzo dell’Ambasciatore, vi incontrò il Conte di Fersen, appena giunto in suolo egiziano per accertarsi che lei stesse bene. Neppure lui aveva visto André che, quindi, almeno fino al giorno della partenza del Conte, non si trovava in Francia.
Due giorni dopo l’arrivo di Oscar ad Alessandria, alcuni soldati trasportarono nel palazzo dell’Ambasciatore una stele di granodiorite, scoperta dal Capitano Pierre François Bouchard durante i lavori di riparazione di Fort Julien, nella città di Rosetta.
La notizia del ritrovamento della pietra scura richiamò nel palazzo dell’Ambasciatore gli scienziati che, appena videro il reperto, proruppero in mille esclamazioni.
– Questa stele riporta, una di seguito all’altra, tre iscrizioni – spiegò de Villiers – una in geroglifico, una in demotico e un’altra in greco antico. Se, come penso, si tratta dello stesso testo, tradotto in tre lingue diverse, potremmo decifrare la scrittura geroglifica!
– Sarà un lavoro lungo e impegnativo – chiosò Jollois – ma, adesso, abbiamo un’importante chiave di decifrazione!
Oscar, malgrado tutto, non riuscì ad appassionarsi al ritrovamento, essendo presa da angoscianti pensieri sulla sorte di André. La faccenda della stele ebbe, però, l’effetto di fare tornare in città l’Ambasciatore prima del previsto.
Durante un incontro, l’anziano diplomatico confermò di non avere più visto André dalla loro partenza per Il Cairo e di non essere a conoscenza della questione delle lettere.
Il giorno successivo, Alain le riferì di avere rivoltato come un calzino Alessandria e i villaggi vicini, ma che di André si erano perse le tracce.
– Voglio un incontro col Generale Bonaparte, Alain – ingiunse Oscar, la cui indole di leonessa le impediva di cedere allo sconforto, finché ci fosse stato anche un solo barlume di speranza e un qualsivoglia margine di manovra – Mi ha palesemente mentito! Se c’è uno che sa dov’è André, quello è lui!
– Comandante, non credo che il Generale Bonaparte Vi riceverà – rispose Alain – Dopo la distruzione della flotta nella baia di Abukir, i turchi si sono rinforzati e stanno preparando due offensive contro di noi: una dalla Siria, attraverso il deserto e un’altra da Rodi, via mare. Il Generale Bonaparte sa bene che, fra questi due fuochi, soccomberebbe e sta, quindi, organizzando una sortita in Siria, per sorprendere l’esercito turco, sconfiggerlo e avere più tempo per affrontare il contingente di Rodi.
– Alain, devo vederlo!
La determinazione di Oscar colpì il soldato che, come sempre, non seppe dirle di no.
– Il Generale Bonaparte conferirà con l’Ambasciatore questo pomeriggio, alle quattro. FateVi trovare all’ingresso del palazzo e non potrà ignorarVi.
Oscar fece proprio così e, alle quattro meno dieci, vedendo Napoleone Bonaparte giungere a palazzo, gli andò incontro.
– Mi avete mentito, Generale Bonaparte – gli disse, con aria corrucciata, senza neanche salutarlo – Mio marito non è mai giunto ad Alessandria e, tanto meno, in questo palazzo.
– Sono stato male informato, mi rincresce – tagliò corto Napoleone.
– Qualcosa mi dice che è da Voi e dai Vostri soldati che apprenderò di più sulla sorte di André e, per questa ragione, Vi seguirò in Siria.
– Questo non è un tour formativo e nemmeno un luogo dove fare l’inquisitore dilettante – le rispose Napoleone, guardandola con freddezza mista a sarcasmo – Questa è la guerra.
– Sono un soldato e la so affrontare. Meglio la guerra dei sotterfugi – e lo guardò duramente.
– Tornate in Francia, Ve lo consiglio. E’ facile che Vostro marito abbia avuto più giudizio di Voi e che, ora, sia già a casa ad aspettarVi.
– Sono andata, per cinque mesi, dove volevate Voi e, ora, andrò dove dico io.
Detto questo, gli voltò le spalle e se ne andò.
La sera stessa, si recò a trovare il Conte di Fersen.
– Siete, dunque, decisa? Cosa devo riferire al Generale Vostro padre? – le domandò Fersen, con sollecitudine mista ad apprensione.
– Che sto bene e che porterò a compimento la mia missione di pedinare Bonaparte. Non dimenticate di riferire nei dettagli alla Regina la faccenda delle lettere sottratte dalla tenda del Generale.
– Sarà fatto, non temete.
– Conte di Fersen, Vi affido i miei figli e Mademoiselle Bernadette Châtelet. Riportateli con Voi in Francia, che almeno loro stiano al sicuro!
– Sarà fatto anche questo, Madame Oscar… Abbiate cura di Voi…
E si accomiatò da lei con mestizia.

 
Viale-degli-arieti






Questo capitolo presenta delle differenze rispetto alla storia vera, in quanto il viaggio dei savants nell’Alto Egitto ebbe luogo in altri mesi e con modalità parzialmente diverse. Esso, infatti, fu più articolato di come l’ho descritto io e avvenne, in parte, via fiume e, in parte, via terra. Ho modificato la tempistica per raccordarla alle esigenze della mia storia e ho anche fatto svolgere tutto il viaggio in barca, a parte qualche breve escursione via terra, ritenendo che tre bambini non avrebbero potuto viaggiare nel deserto, a dorso di cammello o di mulo, per intere giornate. Jollois e de Villiers, uomini adulti, furono molto provati da una traversata del deserto durata alcuni giorni.
La stele di Rosetta fu ritrovata nelle circostanze da me descritte, ma il 15 luglio 1799 e non nei primi giorni di gennaio del 1799, ma, anche qui, ho dovuto raccordare la tempistica alle esigenze della mia storia.
Gli appassionati dell’Egitto si saranno accorti che, fra le escursioni compiute a Syene (l’attuale Assuan), manca quella al tempio di Abu Symbel, ma quel sito archeologico fu scoperto più tardi.
Come sempre, grazie a chi vorrà leggere e recensire!
   
 
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