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Autore: Erica la Yaya    23/07/2020    0 recensioni
//Inazuma Eleven//
Jude Sharp e Caleb Stonewall, dopo aver vinto il FFI, continuano a vedersi tra loro e con la squadra.
Il secondo non esita, in questi momenti, a infastidire e provocare il regista, mandando quest'ultimo in confusione.
Ovviamente non sanno che, dopo 10 anni, la loro relazione ha preso pieghe ben diverse da quelle che i due immaginano.
E, a causa di un'anomalia, avranno occasione loro stessi di vederle in prima persona.
Riusciranno a crederci?
Genere: Commedia, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Caleb/Akio, David/Jiro, Joe/Koujirou, Jude/Yuuto
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Futuro

~🕞

La macchina contenente le donne e Joe -conosciuto dalle due come Tyler- stava procedendo da quasi cinque minuti, i quali erano trascorsi in silenzio, con l'apprensiva Clory alla guida e Asami alla sua destra. Joe si limitava ad osservare il paesaggio fuori dal finestrino dai sedili posteriori, sempre tenendo avvolta con la destra la mano sinistra; ma questa continuava a perdere sangue così come tutte le altre ferite del ragazzino, seppur esse fossero molto meno ingenti della prima. I sedili sopra i quali era seduto, constatò lui, erano sporchi, e l'arancio si sentì in colpa per aver rovinato l'interno di una macchina così carina. Una nota positiva fu il fatto che Joe si fosse abituato rapidamente al dolore, per il quale, alla fine, non soffriva. Passò qualche altro minuto, in silenzio, quando, fermi ad un semaforo, Asami spezzò il silenzio.

"Ascolta Tyler, se non sono indiscreta...oh, perdona la mia curiosità, ma le persone mi incuriosiscono," ridacchiò lei, genuina "ti dispiacerebbe dire qualcosa su di te? Non so, cosa ti piace fare o studiare e cose così." concluse lei sorridendo, voltando lo sguardo su quello del quattordicenne che, a sua volta, sorrise, contagiato dall'allegria pacata della donna.

"Si, va bene. Vediamo..."

"Siamo tutte orecchi!" esclamò Clory, la quale, scattato il semaforo, imboccò il viale di destra; vedendo l'euforia dell'altra donna, a Joe scappò una risatina.

"In realtà non so bene cosa dire. Se faceste delle domande preferirei." disse il portiere, cercando di non risultare sgarbato.

"Oh cielo," ridacchiò Asami "così mi fai passare per una... com'è che dite voi giovani? Stalker?"

Clory ridacchiò, prendendo lei la parola.

"Se ce l'ha chiesto lui allora vuol dire che va bene! Dunque Tyler...qual è il tuo gusto di gelato preferito?"

"Clory!" la riprese l'amica, ridendo.

"Che c'è?," chiese lei "è una domanda lecita. Tutti hanno un gusto prediletto di gelato." concluse lei, sghignazzando tra sè e sè. Joe ridacchiò e si rilassò, a suo agio.

"Domanda più che giusta. In realtà non ne ho uno preferito, mi piacciono tutti. Sono un buongustaio." rispose lui, divertito.

"Oh andiamo, tutti hanno un gusto prediletto! Ma non solo per il sapore, anche per altro, come la consistenza, la fragranza, la freschezza...io, ad esempio, vado assolutamente pazza per la mandorla; e Asami ha un attaccamento per quello alla fragola." riprese Clory, bonariamente. L'amica scosse la testa e roteò gli occhi al cielo, divertita. Joe, invece, si fece più serio: pensando a quei concetti, l'unica cosa che la sua mente riuscì ad elaborare fu l'immagine di un certo ragazzo dai capelli azzurri con la benda e l'iride arancione. Joe provò un po' di nostalgia e si chiese come stesse David: anche lui si era trovato nella sua stessa situazione o stava vivendo la sua vita normalmente? Questa domanda scaturì un flusso di pensieri nella sua testa che, per qualche attimo, fece dimenticare al ragazzino la presenza delle due signore.

"Tyler? Tutto bene?"

Joe a quelle parole si riscosse, sollevando lo sguardo verso Asami, la quale era voltata verso di lui, che lo guardava con fare materno; e, nel constatare ciò, Joe si chiuse ancora di più in se stesso.

"Uh sì...certo. Stavo solo... pensando." rispose, con tono di voce rasente all'apatia. Le due donne si guardarono, preoccupate, e Clory si riconcentrò sulla guida, lasciando la situazione in mano ad Asami, la quale riprese parola.

"Scusaci Tyler."

Queste parole fecero sollevare la testa al ragazzino, che guardò la donna interrogativamente.

"Non dovete scusar-"

"E invece sì," lo interruppe Asami, gentilmente "in qualche modo ti abbiamo fatto venire in mente qualcosa che ti ha tolto il sorriso. Quindi ti chiediamo scusa." concluse lei, sorridendo dolcemente. Joe scosse la testa, deciso a chiarire quell'equivoco.

"No, lei non c'entra nulla, e la sua amica neppure. Lei-"

"Dammi pure del tu, Tyler. Non serve essere così formali."

"Va bene. Lei, cioè, tu...insomma, non hai fatto nulla. Solo che..." si interruppe, esitante se esternare i suoi pensieri o no; ma tanto, si disse, cosa aveva da perdere?

"... è che lei mi ha fatto venire in mente mia madre."

Asami sbarrò gli occhi, incredula, mentre Clory si concentrò più sull'ascoltare la conversazione che sulla guida vera e propria. Joe si morse la lingua, arrossendo un poco; dire ad un'estranea che assomigliasse alla propria madre avrebbe messo in imbarazzo chiunque. Asami stette comunque in silenzio, per permettere a Joe di spiegarsi.

"Il fatto è.." riprese l'arancio "che in realtà non so bene cosa voglia dire avere una madre. Sono cresciuto in una casa per orfani, e ho pochissimi ricordi di lei." disse lui, senza più riuscire a trattenersi dal parlare. Egli aveva tenuto così sigillati quei pensieri dentro di lui, senza mai esporli a nessuno, che a quel punto lo sfogo era inevitabile. Aveva sempre pensato che sarebbe risultato ridicolo, se si fosse saputo che il feroce portiere della Royal Academy si faceva prendere dall'emozioni. Joe si tratteneva persino con i suoi amici, persone con le quali in teoria avrebbe dovuto essere se stesso, ma ormai non riusciva più a scomporsi molto, in quanto ci aveva fatto l'abitudine, l'arancio, a segregare in sè i suoi pensieri e problemi. Le uniche persone alle quali avesse mai accennato qualcosa erano state Jude e Caleb, ma neanche loro sapevano molto; e non voleva che David ne venisse a conoscenza, in quanto l'azzurro, gli aveva confessato, era vissuto con i suoi genitori fino alla loro morte, e Joe non voleva causargli ulteriore dolore esponendogli i suoi ricordi. Al pensiero di David il flusso di pensieri ritornò più forte che mai; solo che, questa volta, Joe era intenzionato a tirarli fuori. Scosse la testa un paio di volte, per riprendersi. Si era bloccato ancora e, nonostante ciò, Asami l'aveva aspettato, paziente; fu per questo, forse, che il ragazzino sentì calore al petto.

"Quello che stavo dicendo è che sei dolce; e gentile, e paziente, e forse è per questo che ti vedo un po' come una figura materna. Sembra ridicolo detto così, ci conosciamo da pochissimo, eppure... non riesco ad evitarlo." disse il quattordicenne, tutto d'un fiato. Asami si commosse e non osò dire nulla, aspettando che continuasse; Clory cercò, in qualche modo, di non singhiozzare per la gioia e concentrarsi a guidare.

"Anche la tua amica è molto gentile," riprese il portiere "e se devo essere sincero, è simpatica, esuberante. Sembra quasi una sorella maggiore." concluse lui, intenzionato a dire la verità. Clory stava per dire qualcosa quando fu interrotta da un gesto della mano dell'amica; se l'avesse interrotto, infatti, l'arancio non avrebbe più continuato il suo discorso.

"E a dirla tutta non mi chiamo neanche Tyler, sono Joe; ma ho mentito perchè, essendo estranee, non sapevo se fidarmi di voi. Ora credo di non avere nulla da perdere," disse lui, guardando negli occhi Asami e sorridendo "ho finito." La donna gli sorrise calorosamente e Clory singhiozzò, con qualche lacrima che sfuggì al suo controllo.

"Sei un ragazzino così dolce-!," esclamò lei, asciugandosi le lacrime con una mano "un ragazzino d'oro-!" riuscì a dire, prendendo con entrambe le mani un fazzoletto al fine di soffiarsi rumorosamente il naso.

"Clory il volante! Metti le mani sul volante!" esclamò Asami, prendendo lei, in un gesto istintivo, il controllo del veicolo, facendo sì che evitassero di schiantarsi contro un palo.

"Scalmanata, invece di piangere guida!" la sgridò Asami, severa. Clory riprese il volante e, con gli occhi lucidi e il naso leggermente umido, ubbedì, limitandosi a versare lacrime di coccodrillo, in silenzio, per ciò che aveva detto Joe.

"Un ragazzino così d'oro-!" sussurrò, emozionata. Asami sospirò e l'arancio, a quella scena, non potè fare altro che scoppiare a ridere.




 

"Siamo arrivati."

Joe annuì e si inchinò, seppur da seduto, ringraziandole di cuore; nonostante la guida leggermente spericolata di Clory, infatti, erano arrivati a destinazione senza problemi.

"Vi ringrazio davvero molto." disse Joe, inchinandosi.

"Joe, è la terza volta che ti inchini; stai esagerando," ridacchiò Asami, mettendogli una mano tra i capelli e arruffandoglieli "siamo noi a doverti ringraziare, hai reso questa giornata indimenticabile. Ora va', a casa dovranno essere molto preoccupati." concluse lei, sorridendo.

"Mi raccomando," si intromise Clory "se mai dovessi andare da qualche parte, chiamaci! Tieni il numero, ecco." e gli passò un bigliettino di carta con su scritto i rispettivi numeri.

"Clory!"

"Che c'è? Anche solo se vuole chiamarci può farlo!"

L'amica scosse la testa, borbottando qualcosa; la scenetta fece ridacchiare l'arancio che, con la mano sana, prese il biglietto.

"Non me ne dimenticherò." disse, sorridendo a Clory che, per risposta, sghignazzò. Il ragazzino allora scese dalla macchina e si incamminò verso la porta con insolito buonumore. Schiacciò il campanello tre volte ed aspettò. In seguito King sentì dei passi avvicinarsi e una voce incredibilmente familiare lamentarsi da dietro la porta; seppur ovattata, Joe la riconobbe e sbarrò gli occhi, incredulo. Come era possibile?

"Arrivo, arrivo! Kami, che rottura."

La porta si aprì e, alla vista di chi ci fosse dall'altra parte, Joe non riuscì a modificare la sua faccia sorpresa. Caleb sgranò a sua volta gli occhi, interrompendo il suo sproloquio.

"Non ci credo. Joe, sei veramente tu? Ma che ci fai qui?!," esclamò il ragazzino, sorpreso, e si prese qualche secondo per squadrarlo "e perchè sei sporco di san-

"É una storia lunga," lo interruppe l'arancio "ma credo sia meglio se entriamo." concluse lui. Caleb era ancora intento a realizzare la situazione che si accorse solo in seguito della macchina a qualche metro da loro.

"Intendi per quella macchina che sembra ti stia pedinando? E- oh Kami, ma quella al volante sta piangendo?"

Joe a quelle parole si voltò per guardare e vide, attraverso il finestrino dell'auto, Clory che si soffiava il naso e Asami che le dava qualche pacca sulla spalla, probabilmente per rincuorarla; in seguito la donna si girò nella sua direzione e gli fece il pollice in su, sorridendo. Joe sorrise a sua volta e gli rispose con lo stesso segno, mimando anche con le labbra un "okay". Allora Asami annuì e disse qualcosa all'amica che, voltatasi, lo salutò con enfasi frattanto che accendeva il motore. In seguito la macchina partì, e Joe, tranquillo, si volse verso l'amico, intento a guardarlo stranito.

"E quello cos'era?," gli chiese, facendo una smorfia "non dirmi che ti metti a corteggiare le donne adulte ora." lo prese in giro, ghignando. Joe scosse la testa, divertito.

"Finiscila," gli rispose "te l'ho detto, è una storia lunga. Ora-"

"Caleb, qualcosa non va?"

Il dialogo tra i due fu interrotto da un uomo sui vent'anni che, incredibilmente, constatò Joe, somigliava molto a Jude. Questi, una volta visto l'ospite, sgranò gli occhi rubino e guardò il crestuto, come a chiedergli spiegazioni, ma il preso in causa scosse la spalle, alzando le braccia.

"Ah no, non mi guardare così, io non c'entro nulla." gli disse, discolpandosi. Senza dire una parola di più Jude prese per il braccio il punk e lo spinse dentro casa, ignorando le proteste che quello esclamò -sbraitò- e fece la stessa cosa con Joe, borbottando maledizioni. Dire che l'arancio non stesse capendo la situazione, in quel momento, era un eufemismo.

 

° mezz'ora prima °

 

Il Caleb quattordicenne sbuffò, stanco di quella situazione: dopo la colazione e l'aver sparecchiato il rasta l'aveva trascinato in sala -non che avesse avuto altra scelta- e aveva iniziato a lavorare al portatile, sotto lo sguardo confuso del ragazzino che, di tutti quei numeri presenti sullo schermo, ne capiva sì e no la metà. L'ex-regista ovviamente gli teneva compagnia dialogando, ma il quattordicenne avrebbe voluto uscire per fare un giro e godersi quella giornata; invece doveva rimanere a casa in quanto, nel caso qualcuno dei loro amici o conoscenti lo avesse visto, avrebbe sollevato domande alle quali i due non avrebbero potuto rispondere, per il semplice fatto che neppure loro conoscevano le risposte. Caleb allora pensò che quella situazione non fosse molto diversa da una condizione di prigionia e quando, in un moto di noia, lo aveva riferito al ventiquattrenne, questi gli aveva risposto che stava esagerando.

"Se fossi davvero mio prigioniero, dovrei tenerti legato da qualche parte," gli disse l'adulto, prendendolo in giro "forse sotto il tavolo?"

Il crestuto fece una smorfia, sdraiandosi sul divano a pancia in giù; Jude era seduto su una sedia lì vicino con il portatile poggiato sul tavolino.

"I tuoi tentativi di fare battute sono pessimi," lo riprese, schernendolo "non ne hai l'umorismo, quattrocchi."

Jude scosse la testa e non rispose, ignorandolo e continuando a lavorare. Il ragazzino roteò gli occhi al cielo e cacciò fuori un verso di lamento, girandosi nuovamente sul divano e posizionandosi a pancia in su, le braccia distese.

"Mi sto annoiando."

"Ho quasi finito."

"Guarda che mi annoierei anche se tu non stessi lavorando." replicò il punk ghignando, sperando che quell'affermazione avrebbe innescato una serie di risposte taglienti; in quel modo, almeno, il quattordicenne si sarebbe potuto divertire; ma Jude non gli diede quella soddisfazione. Corruciando la fronte Caleb reclinò il collo per poterlo guardare anche da sdraiato e, seppur lo vedesse al contrario, egli si stupì di come l'altro risultasse praticamente perfetto. Il ragazzino, in seguito, focalizzò lo sguardo su un particolare, assottigliando gli occhi: Jude li aveva indossati prima di iniziare a lavorare e Caleb già non ne poteva più sopportare la vista. Allungò un braccio nel tentativo di prenderglieli, ma il ventiquattrenne si spostò quel poco che bastò per non farglielo fare. Il crestuto sospirò, frustrato.

"Mi spieghi a cosa ti servono? Sono utili solo perchè ti nascondono gli occhi e, diamine, sono verdi! Davvero, spiegami cosa c'è di così interessante nell'indossare degli occhiali verdi, perchè io non lo trovo! Hai intenzione di diventare un vegetale?" gli disse, girandosi nuovamente a pancia in giù e guardandolo male. Jude si girò e, sospirando, chiuse il portatile, per poi, sotto lo sguardo sorpreso del più piccolo, togliersi con delicatezza le lenti e poggiarle sul dispositivo elettronico.

"Ah," esclamò il ragazzino "molto meglio. Adesso sì che va bene."

Jude sorrise enigmatico.

"Ti piacciono così tanto?" gli chiese, lievemente ironico.

"E perchè mai non dovrebbero? Sono così-" Caleb si arrestò; stava per fargli un complimento?

"Continua, prego." lo incalzò l'adulto, sorridendo bonariamente. Una volta capita la presa in giro attuata con successo da parte del ventiquattrenne, il punk distolse lo sguardo e arrossì un poco, borbottando insulti.

"Andiamo, ti stavo prendendo in giro. Ti ringrazio comunque, ma ora devo chiamare una persona."

Il crestuto lo trucidò con lo sguardo.

"Ancora? Ma non avevi mica finito di lavorare?"

"Infatti non è lavoro," rispose il rasta, prendendo il cellulare e cercando tra i contatti "è un amico." concluse lui, aspettando a cliccare sul tasto della chiamata. Caleb ragionò su chi potesse essere e provò ad indovinare.

"É David?"

Jude annuì, sorridendo.

"Indovinato. Lo sto invitando per pranzo."

"Tu cosa?!" esclamò il crestuto, sollevandosi dal divano con entrambe le braccia "sei forse impazzito? Non mi può vedere così! Lo dirà in giro!"

Sharp assottigliò gli occhi, rimproverandolo.

"Bada a come parli, è il mio migliore amico; e se ho deciso di farlo venire qui è perchè so che di lui mi posso fidare. Forse, poi, troveremo una soluzione." disse l'ex regista con convinzione. A quell'affermazione l'espressione di Caleb si tramutò in una smorfia e, con un gesto di stizza, si mise a sedere sul divano a gambe e braccia incrociate, voltando il capo dall'altra parte e borbottando tra sè e sè. Al sentire quei lamenti, Jude sollevò un sopracciglio e si girò verso di lui, cercando contatto visivo.

"Cosa c'è?"

"Niente." rispose il crestuto, secco.

"Dimmi cosa c'è e finiamo questa sceneggiata. Ti stai comportando in modo infantile." replicò l'adulto, severo. Vedendo che non funzionava, Jude roteò gli occhi e, delicatamente, preso il mento del più piccolo con due dita, lo obbligò a guardarlo negli occhi.

"Per favore." aggiunse Sharp, ottenendo, alla fine, l'effetto desiderato. Caleb sbuffò e cacciò con una mano le dita del rasta sotto il suo mento, voltandosi di nuovo col capo.

"Mi dà fastidio."

Jude corrugò la fronte. "Che cosa?"

"Il fatto che lo nomini sempre! Prima a colazione, poi per lavoro e adesso lo vuoi pure invitare qui!" sbottò il ragazzino, sussurrando in seguito un: "Grazie della considerazione."

Il rasta a quella scena sgranò leggermente gli occhi, per poi, divertito, ghignare.

"Sei geloso?" gli chiese, sedendosi di fianco a lui sul divano. Caleb arrossì e distolse lo sguardo.

"Non sono geloso! Sono- infastidito!"

"Da lui?"

"Si!"

"Sai che si chiama esser gelosi, vero?" lo schernì l'adulto, frattanto che, piano piano, gli si avvicinava. Il punk allora sbuffò e, buttando le mani al cielo, lo ammise.

"Sono geloso!, Va bene?, sono geloso! Non è strano che lo sia!" disse infine, praticamente urlando, ma non riuscì ad aggiungere altro che il rasta lo abbracciò stretto a sè, senza dire niente, lasciando che fossero le azioni a parlare per lui. Caleb si addolcì e, dopo un po' di resistenza, lo abbracciò a sua volta, senza lasciarlo andare. Sciolto l'abbraccio i due battibeccarono ancora un po' e, fatta pace, Jude chiamò David, anche se la conversazione non andò come si era immaginato.

"Senti... ti richiamo, mi hanno appena sfondato la finestra."

"Hanno preso qualcosa?" chiese Jude, apprensivo, mentre Caleb ascoltava attentamente la conversazione.

"No, non hanno preso nulla."

"Devo chiamare la polizia, i carabinieri o qualcuno?"

"Tranquillo, non ce n'è bisogno."

"Ma sei sicuro? Guarda che potrebbe essere pericoloso se ritornano e-"

"Finiscila di fare l'apprensivo, sei insopportabile!"

"Guarda che devi venire qui il prima possibile."

"Si, si, a dopo."

"Ma tu stai bene, vero?"

"Si, sto bene, basta dai."

"Va bene, allora a dopo."

"Ciao, ciao."

Jude sospirò e chiuse la chiamata, venendo subito dopo preso in giro da Caleb per quanto fosse stato esageratamente apprensivo con il pinguino. I due allora iniziarono a battibeccare e cucinare e David, dopo aver rimirato per bene il danno alla finestra, si chiese chi mai avrebbe potuto essere così forte da rompere una finestra a doppio strato di vetro.

~🕓


 

Autrice's space:

Scusate per il capitolo di passaggio, mi rendo conto che sia davvero lungo e che ci sia un sacco di roba dentro -forse anche troppa-

Vabbè, spero comunque che vi sia piaciuto! Onestamente ho trovato molto interessante scrivere la parte introspettica di Joe, ma tant'è. Ci vediamo al prossimo capitolo!

 
 
 
   
 
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