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Autore: MauraLCohen    24/07/2020    1 recensioni
[La scelta della lunghezza dei componimenti non è precisa, poiché la raccolta conterrà: drabble, flashfic e one shots.]
Brevi momenti rubati dalla quotidianità dei Cohen a Berkeley.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kirsten Cohen, Sandy Cohen
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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#3

La raccolta partecipa alla #FlashWeekChallenge del gruppo Facebook Better than Canon.
Il prompt scelto è la parola scelte difficili. 
Totale parole: 1742.

––––––––––––––––––

 

Motori e Muscia 

 

Sandy sedeva comodamente nella poltrona della sua scrivania all’Università di Berkeley. Si era rinchiuso nel suo ufficio da quasi un’ora ormai, cercando disperatamente di rimettersi in pari con la pila di test da correggere; davanti a lui i fogli si susseguivano uno dietro l’altro e la sua mano li marcava con decisione con delle croci rosse accanto agli errori. Come professore non poteva che essere orgoglioso dei suoi studenti e non perché fossero tutti portarti per il diritto o perché non sbagliavano mai, ma perché c’era qualcosa in quei ragazzi che gli ricordava tanto i suoi giorni da studente; rivedeva in loro lo stesso entusiasmo, la stessa voglia di fare e la capacità di andare oltre una semplice lezione. Percorrendo le righe di ogni compito con gli occhi, Sandy poteva percepire le idee vive di quei giovani, futuri avvocati; ne sentiva l’essenza. Era davvero contento di aver accettato quel lavoro: non aveva mai pensato che insegnare potesse essere la sua strada, ma era proprio così. Quelle aule erano la sua linfa vitale, il suo modo di costruire un mondo migliore, e la cosa più buffa – che ora lo faceva sorridere, mentre prendeva in mano un altro esame svolto – era che Kirsten glielo aveva sempre detto, fin dai tempi del college; lei credeva fermamente che il posto di Sandy Cohen fosse in mezzo alle menti giovani, che avevano bisogno di una guida. Vedeva come, da ragazzo, riusciva a dispensare consigli e ad ascoltare tutti i suoi amici, indirizzandoli sempre nella direzione giusta; aveva visto, poi, con Seth, Ryan e adesso con Sophie Rose che padre incredibile fosse e come i suoi figli lo guardassero con gli occhi ricolmi di ammirazione. Sandy era nato per fare l’insegnante e solo lui ebbe bisogno di quarantatré anni per capirlo. 

Seduto alla sua scrivania, però, mentre rileggeva i pensieri dei suoi studenti, il professor Cohen era sicuro di ciò che era e del fatto che non voleva trovarsi altrove. Stava per prendere un altro foglio scritto sia sul davanti che sul retro, quando il suono di una nocca che batteva contro la porta lo distrasse, obbligandolo ad alzare lo sguardo in direzione del punto da cui proveniva il rumore. 

« Avanti! » disse, riportando gli occhi sul compito che aveva tra le mani, supponendo che a bussare fosse stato uno studente o una segretaria. 

« Sandy? » La voce femminile che lo chiamò non era quella di una segretaria e neanche di una sua studentessa, ma era sicuramente più famigliare di quanto non lo sarebbe stata se fosse appartenuta a una di loro. Riportò lo sguardo verso la porta e la vide lì, bellissima come sempre, con i capelli biondi che le ricadevano sulle spalle e un paio di semplici jeans e una maglia bianca a fasciarle il fisico tonico e slanciato. Stava appoggiata con una spalla allo stipite, tenendo le braccia incrociate sul petto, mentre il suo viso era illuminato da un ampio e dolce sorriso. 

« Ehi! » Sandy sorrise di rimando alla vista della moglie e si spinse all’indietro con la sedia, lasciandole lo spazio per raggiungerlo e sedersi su di lui. 

« Ehi! » rispose lei, assecondando l’invito del marito. Si sistemò meglio sulle sue ginocchia, portandogli le braccia al collo per accarezzargli la nuca, mentre si avvicinava al suo viso per baciarlo. 

Era appena passata l’ora di pranzo, ciò significava che non si erano visti per tutta la mattina. Sandy usciva appena sorgevano le prime luci dell’alba per dedicarsi al surf e quando tornava, aveva poco tempo da passare da solo con la moglie, impegnata a preparare la piccola Sophie Rose per la scuola. Così, non potendo stare insieme al mattino, si ritagliavano qualche momento durante la pausa pranzo, proprio come avevano sempre fatto anche a Newport. Fortunatamente, però, a Berkeley non rischiavano di essere interrotti: non c’era il Newport Group, non c’erano lo studio legale e i clienti invadenti, le pettegole e i drammi consueti di Orange County. Apparentemente la vita di Sandy e Kirsten non era cambiata dopo il trasferimento: stessi ritmi, stessi orari, stessa routine di sempre, eppure, se anche la forma era rimasta uguale, la sostanza era cambiata radicalmente, in meglio. 

« Ho fatto un po’ tardi, oggi. Scusa. Sono sommerso dagli esami » disse Sandy, spostando una ciocca di capelli dietro l’orecchio di Kirsten. « La tua giornata, invece? » 

Lei gli sorrise, poggiando la propria testa sulla sua spalla con un lento sospiro. 

« Nulla di entusiasmante. Dovevo vedere qualche cliente, ci è voluto un po’. Hai fame? »

« Da morire. » 

Kirsten scoppiò a ridere, vedendo negli occhi del marito la sincerità di quelle ultime due parole. Gli accarezzò la fronte con l’indice, spostando di lato qualche ciocca ribelle che vi ricadeva sopra, facendogli il solletico. 

« Allora sei fortunato! » esclamò, con un filo di compiacimento nella voce. Sapeva come alleggerire la giornata di Sandy. Ruotò il busto leggermente verso la scrivania in cui aveva poggiato l’ampia borsa, armeggiò per qualche secondo per spostare alcune cose da un lato all’altro, così da poter estrarre con facilità la busta di carta su cui si leggeva chiaramente: Asador.  Lo sguardo di Sandy si illuminò appena vide la scritta dorata a caratteri cubitali che poteva significare solo una cosa: tacos ai gamberetti, i suoi preferiti. 

L’Asador era un locale carino, piccolo ma confortevole, che lui e Kirsten avevano scoperto nei primi mesi dopo il loro ritorno a Berkeley. Si ritrovarono una sera, da soli, a passeggiare nella zona del porticciolo alla ricerca del vecchio fast food in cui andavano a mangiare dopo ogni esame, quando ancora frequentavano il college. Era un’idea banale, ma erano entrambi entusiasti di passare una delle loro prime nuove serate a Berkeley celebrando i vecchi tempi, però quel piano era fallito appena trovarono un ristorante appena aperto al posto del loro locale preferito. Fu così che si imbatterono nell’Asador: vagando alla cieca cercando di trovare qualcosa che potesse ricordare loro la vecchia città in cui si erano innamorati. 

« Quanto ti amo! » disse Sandy, sfoderando uno dei suoi sorrisi migliori mentre affondava le dita nella pastella del tacos per portare quella bontà fumante alla bocca, sotto gli occhi di Kirsten che lo guardava ridacchiando. Lei inarcò un sopracciglio, assumendo un’espressione dubbiosa. 

« Farò finta che tu stia parlando con me! » protestò fingendo di essere seria. 

« Ooh ma io sto parlando con te! » bofonchiò Sandy, portandosi una mano davanti alla bocca per pulirsi gli angoli, mentre  masticava con gusto quel mix di gamberetti e avocado.

Lo sguardo innocente che le rivolse rischiò di farle andare di traverso il sorso d’acqua che stava prendendo. « Uh - uhm » si limitò a rispondergli, ridendo. 

Continuarono a consumare il loro pranzo tranquillamente, aggiornandosi sul lavoro e sulle novità che riguardavano i figli; scherzavano e ridevano, ridevano tanto, come due ragazzini al loro primo appuntamento ed era esattamente così che si sentivano, da quasi trent’anni ormai. Avevano tre figli, un carico infinito di responsabilità sulle spalle con cui spesso era difficile convivere, dovevano preoccuparsi dei rispettivi lavori, dei problemi quotidiani che la vita adulta comportava, ma quando si ritrovavano solo loro due, lontani dal resto del mondo, era come se il tempo non fosse mai passato e loro fossero ancora gli stessi Sandy e Kirsten che vivevano nel furgone postale. 

« Sai a che pensavo stamattina? » La voce di lei ruppe il silenzio. 

Sandy alzò lo sguardo dagli ultimi morsi di tacos che mancavano e lo portò sulla moglie, che stava ancora comodamente seduta su di lui, con la schiena contro il suo petto. Da quella posizione, senza voltarsi, non poteva vedere l’espressione curiosa che era comparsa sul viso del marito, perciò lui dovette esortarla esplicitamente per farla continuare.  

Kirsten prese un altro sorso d’acqua, che le pulì la bocca e la gola, schiarendosi la voce. 

Allungò la mano nuovamente verso la borsa tirando fuori un catalogo grosso qualche centimetro e dal quale spuntava un piccolo pezzo di carta che fungeva da segnalibro. 

Kirsten lo aprì senza perdere tempo, mostrando così a Sandy una bellissima BMW serie sei color catrame metallizzato. 

« Seicentoquaranta cavalli, otto cilindri, benzina. La versione full optional costicchia, ma guardala! Vale ogni dollaro. » Il tono con cui lo disse suonò eccessivamente eccitato anche per una bambina a Natale e quell’entusiasmo impedì a Sandy di trovare la forza di dissentire. 

Non avevano bisogno di una macchina nuova, e ancora meno di una macchina così costosa; ma in fin dei conti i soldi a loro non mancavano e lui non aveva bisogno di comprare un set di mazze da golf nuovo ogni due mesi, ma lo faceva comunque, perché gli andava di farlo. Kirsten non comprava mazze da golf né tavole da surf, quando le andava di fare compere folli che non riguardassero scarpe e vestiti, si dava alle automobili. Secondo Sandy lei era la donna che aveva cambiato più macchine in assoluto e non perché le distruggeva. Era un’ottima guidatrice, brava nei parcheggi, anche nei più difficili e le piacevano le auto sportive. Se non avesse avuto pessimi gusti in fatto di musica, sarebbe stata lei la guidatrice designata per ogni loro viaggio, ma visto che Sandy non apprezzava particolarmente i gusti musicali della moglie, negli anni aveva sempre rivendicato il controllo sia del volante sia dello stereo. 

« Hai già parlato con il concessionario, non è vero? » le domandò, facendola ruotare di pochi gradi verso di lui. 

Lei annuì con un sorrisino colpevole dipinto sulle labbra. 

« E…? » Stavolta fu Sandy ad inarcare un sopracciglio. 

« Ed ho prenotato il test drive per domani. Vieni? » Kirsten sfoderò i suoi due occhioni azzurri a cui sapeva che il marito non riusciva a dire no. 

« Posso guidare io? » domandò lui, prima di rispondere. 

Lei lo guardò impassibile. « No » disse decisa e senza possibilità di replica. 

Sandy scoppiò a ridere. « Perfida! » 

Kirsten arricciò il naso. « Lo so » 

Entrambi risero ancora, mentre lui si avvicinava alle sue labbra per  baciarla. Sapeva che avrebbe adorato quella macchina, Kirsten non faceva mai scelte sbagliate quando si trattava di motori; erano i CD che metteva dentro il suo problema, ma della musica si sarebbe occupato lui. Quello era l’accordo che siglarono prima di tornare a mangiare. 

   
 
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