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Autore: EmsEms    27/07/2020    0 recensioni
Mentre osservava il suo agente ispezionare il borsone di fianco al comò, in cerca di una pomata per i lividi, Tsukishima si rese conto che erano già passati cinque anni. Mezzo decennio di medaglie incorniciate, di hotel lussuosi in giro per il mondo, di cene con la crème de la crème del pugilato. Eppure il suo cervello era quasi sempre impegnato a scattare istantanee di Tsurumi.
[TsuruTsuki] [Boxer AU] [commission for @farisaki]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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***



 

Tsukishima si precipitò nello spogliatoio con un impeto tale da rovesciare una panca. Il sudore gli appannava la vista e un’esplosione di luce al neon gli si impresse nella retina, disorientandolo per qualche istante. Cieco com’era, e per di più sordo a causa la pioggia di applausi che gli era scrosciata nelle orecchie nonostante il caschetto, si avventurò nei meandri dello spogliatoio con un’unica preoccupazione per la testa. Sputò il paradenti senza tante cerimonie e si sfilò i guanti come se di colpo fossero diventati incandescenti. All’uomo in piedi in mezzo alla stanza non diede nemmeno il tempo di aprire bocca. Tsurumi emise un sussulto quando la terra sparì da sotto i suoi piedi e fu stritolato in un abbraccio al colmo dell’entusiasmo. 

“Ho vinto,” ansimò Tsukishima, lasciandosi cullare da quell’odore di colonia a lui così familiare.

“Hai vinto!” 

Un’ondata incontenibile di risa travolse i due e li scosse fino alle lacrime. Con l’adrenalina che gli ruggiva nelle vene, Tsukishima sollevò Tsurumi da sotto le cosce e lo spinse contro il muro. Tentò inutilmente di trattenersi dal baciarlo, consapevole che così avrebbe infranto l’accordo che vietava amoreggiamenti sul posto di lavoro (in particolare col proprio agente), ma non seppe contenersi. Durante tutto il match era rimasto concentrato sull’avversario, per studiarne ogni movimento, ogni sguardo, ogni gioco di gambe, così da poterlo chiudere in una morsa simile a quella con cui adesso si teneva aggrappato a Tsurumi. Aveva fatto esperienza di un corpo che doveva sopraffare e ora lo aveva colto una smania d’altro tipo per un corpo ben diverso. Dal canto suo, Tsurumi non sembrava affatto disturbato da quell’abbraccio, nonostante il petto di Tsukishima, imperlato di sudore, gli stesse bagnando completamente la camicia. Le labbra si cercarono a lungo e si trovarono fra lievi testate e morbidi sorrisi. A nessuno dei due importava che potessero essere scoperti, perché nessuno dei due si sentiva più in sé dalla gioia. Erano svaniti e al loro posto era rimasto solo qualcosa di caldo e indefinibile. 

 

Tsurumi aveva uno stile tutto suo di baciare, stile che l’amante impaziente aveva ragione di condannare alla stregua di una tortura. Cominciava sempre in punta di labbra, con piccoli morsi e una profusione di sorrisi provocanti, da attorcigliare quei pochi organi interni rimasti illesi dopo un incontro di boxe. All’approfondirsi del bacio si accompagnavano il pungere dei baffi e il grattare del pizzetto, una combinazione letale per quei pochi centimetri di pelle ancora orfani di rossore. Dolce, insidiosa peluria, setole imbizzarrite di un pennello che dipinge sulla tela del viso. Per Tsukishima quelle arrossature erano naturali come i lividi che gli costellavano l’addome alla fine di ogni match. Sebbene i colpi incassati non l’avessero ridotto in ginocchio, gli bastò un solo round di baci per finire al tappeto. 

 

“Mettimi giù,” intimò con tenerezza Tsurumi, prendendo il volto di Tsukishima fra i palmi. Era gonfio. Le linee del caschetto gli solcavano le guance, rosse per l’emozione e per la fatica.

“Naso?”

“Inesistente.”

“Dico sul serio.”

“Integro.”

“Bene,” sorrise sollevato Tsurumi, posandoci un bacio lievissimo. 

“Va’, ti aspettano.”

“Devo proprio? Non c’è qualche postilla sul contratto che mi esenta dalle interviste in caso di vittoria schiacciante?” 

“No.”

“Possiamo aggiungerla adesso?”

Tsurumi tossì una risata e si chinò per un altro bacio, uno di quelli espressamente vietati dal famoso accordo. Questo rientrava nella peggiore di tutte le categorie, con stretta della cravatta e abuso di lingua.  

“Se vuoi tagliarmi lo stipendio, accomodati. Da domani lavoro pure gratis, ma intanto fammi questa intervista.”

Tsukishima si attaccò al collo della borraccia e se la scolò fino all’ultima goccia. Non accennò nemmeno per un secondo a fare stretching: non voleva scoprire nuove ossa rotte. Una volta sulla porta, agitò un dito ammonitore al suo agente. 

“Guai a te se mi organizzi un’altra festa.”

“Niente festa, ordiniamo in camera davanti a un noiosissimo film, come desidera il mio campione di pesi medi preferito.”

“Sarà meglio,” bofonchiò Tsukishima, chiudendo la porta.

Tsurumi frugò nell’armadietto del suo cliente in cerca di un cambio, ma non trovò niente della sua taglia. Per le macchie c’era l’asciugamani elettrico del bagno, ma per l’odore era sicuro che nessuna lavatrice sarebbe riuscita nell’impresa di far risorgere la camicia a nuova vita. Se Tsukishima intendeva veramente piantare ogni intervista e mandarlo in rovina, Tsurumi avrebbe posto un veto sugli abbracci post campionato. Le camicie costano.

 

***

 

Quando bussarono alla porta, Tsukishima non si prese nemmeno la briga di indossare i pantaloni. L’intervista lo aveva sfiancato più dell’incontro stesso e ora che l’adrenalina lo stava abbandonando, non riusciva a muovere un singolo muscolo senza procurarsi un crampo. Tsurumi scivolò nella stanza con un gran fruscio di plastica. Su ciascun braccio erano appesi sacchetti che, a giudicare dall’odore, promettevano cibo cinese. 

“Mi sono detto, perché no? Avrà una fame da lupi e gli alberghi a cinque stelle non ce l’hanno nemmeno, la friggitrice.”

“Così mi vizi,” rise Tsukishima, prendendo in consegna una dozzina di sacchetti.

“Ho portato pure qualcosa per fare aperitivo,” aggiunse Tsurumi, frugandosi le tasche della giacca. Quando ebbe riempito due bicchieri da cocktail, raggiunse Tsukishima sul letto. 

“Cos’è?” 

“Acqua,” lo rassicurò Tsurumi, armeggiando col blister di un antidolorifico. 

“Apri.”

La pillola prese a frizzare quando Tsurumi gliela appoggiò sulla lingua. 

“Al miglior pugile di tutto il Giappone! Kanpai!” 

I bicchieri tintinnarono e si svuotarono subito nelle pance dei loro rispettivi padroni. L’aperitivo non era proprio il massimo, in termini di drink, sapore un po’ blando per la verità, ma Tsukishima non poteva lamentarsi del buffet: la sua bocca si stava dando un gran da fare. Ignorarono il bussare concitato alla porta finché non la sentirono girare sui cardini. 

“DOV’E’ IL MIO CAMPIONE?!” tuonò una voce nell’anticamera della suite. Le ruote di un carrello gli cigolavano appresso, accompagnate dal balbettare sconclusionato di un’altra voce maschile.

Tsurumi schizzò via dall’abbraccio e rotolò giù dal letto come un soldato che, nel battere la ritirata, se ne striscia lesto in trincea.

“AH-AH! VEDO CHE CI STIAMO RIFOCILLANDO! BRAVO FIGLIOLO, TI VOGLIO ESPLOSIVO DOMANI!” esclamò Arisaka, lanciando un’occhiata ai sacchetti colmi di cibo cinese. 

“Come sei entrato?”

“QUESTO GAGLIARDO GIOVINOTTO MI HA DATO LA CHIAVE!”

“N-non… non è così! Me l’ha sottrat-”

“E’ UN CARO RAGAZZO,” aggiunse Arisaka, infilando una banconota nel taschino del cameriere, “SCOMMETTO CHE HA DEI BEI MUSCOLI SOTTO LA DIVISA! PASSA ALLA MIA PALESTRA, FARO’ DI TE UN CAMPIONE, IL NOSTRO AMICO HAJIME QUI NE E’ LA PROVA VIVENTE! AH AH!”

Una risata soffocata si levò da sotto il letto. Tsukishima si astenne dall’intimare al proprio amante di fare silenzio: entrambi sapevano che coach Arisaka era sordo come una campana. Tsurumi avrebbe potuto cantare l’inno giapponese a squarciagola e Arisaka non ne avrebbe colto nemmeno una sillaba. Il cameriere, un giovane alto, abbronzato, con i capelli laccati e le sopracciglia dal taglio singolare, si rigirò fra le dita il biglietto da visita che gli era appena stato cacciato in tasca insieme ad una banconota da cento dollari.  

“HO INCONTRATO GANSOKU NELLA HALL. MI HA CHIESTO DI FARTI I COMPLIMENTI, E’ STATO UN MATCH MEMORABILE!! ALLORA, PER QUANTO RIGUARDA DOMANI...”

“Coach, è mezzanotte. Possiamo parlarne domattina?”

“VOLEVO ORGANIZZARTI UN’AMICHEVOLE CON YAMADA, MA NON TROVO QUEL GRAN BEL PEZZO D’UOMO DEL TUO AGENTE!!”

“Sarà nella lobby. E’ sempre lì ad adocchiare potenziali sponsor. Ti accompagnerei alla porta, ma sono K.O.” 

Quella di Tsukishima non era una vera e propria menzogna, visto che Tsurumi passava la giornata al bar dell’albergo facendo finta di bere martini per attirare l’attenzione di uomini dal portafoglio pesante e bisognoso d’essere alleggerito. Questo, s’intende, quando non era impegnato a prendersi cura del suo cliente.

“BEH, SE TI CHIAMA DIGLI CHE VOGLIO UN INCONTRO CON YAMADA DOMANI POMERIGGIO,” concluse il coach, prendendo sottobraccio il cameriere e assordandolo con promesse di una brillante carriera qualora avesse messo quei muscoli sotto contratto. 

 

Al click della porta, chiaro segnale di cessato pericolo, Tsurumi riemerse da sotto il letto.

“A che ora te lo fisso?” chiese con nonchalance, sistemandosi i capelli scompigliati. 

“Quando avrò finito con te,” sorrise Tsukishima, tirandolo per la cravatta. Era arrivato il momento della giornata, o meglio, della nottata, che anelava più di tutti, quello di avvolgersi nella sua coperta preferita, profumata di colonia e dotata di appendici coccolanti. 

“Oh, quindi dovrà aspettare molto, temo,” sorrise Tsurumi, “vediamo… possiamo fare le due? O preferisci le tre? Per le quattro saresti libero?” 

Tsukishima lo avrebbe zittito se si fosse trattato di un vero meeting, ma l’oggetto della discussione in quel momento non era tanto la sua tabella di marcia, quanto il tempo che avrebbe impiegato il suo agente a scalare giù dal plateu dei suoi pettorali. Tsukishima tirò un sospiro di sollievo quando le labbra di Tsurumi si posarono sul suo petto per un duplice bacio. Ne seguì un triplice, un quadruplice, un...

“Ahi” sibilò Tsukishima, il viso contratto in una smorfia di dolore.

La mano con cui Tsurumi gli stava carezzando i fianchi s’imbattè in un arcipelago di lividi di considerevoli dimensioni. Cerei lidi a picco su pozze di porpora, dove il dito rischia di sdrucciolare per sbaglio. 

“Vado a prendere il lasonil,” avvertì Tsurumi, alzandosi dal letto, non senza prima avergli sfiorato la fronte con le labbra. Un gesto impercettibile che restituì a Tsukishima tutta la serenità di cui aveva bisogno.

 

Mentre osservava il suo agente ispezionare il borsone di fianco al comò, in cerca di una pomata per i lividi, Tsukishima si rese conto che erano già passati cinque anni. Mezzo decennio di medaglie incorniciate, di hotel lussuosi in giro per il mondo, di cene con la crème de la crème del pugilato. Eppure il suo cervello era quasi sempre impegnato a scattare istantanee di Tsurumi. Poteva vantare un intero album dedicato al suo agente, con foto tratte da ogni angolazione. Dal basso, quando Tsurumi gli rasava i capelli alla mattina; dall’alto, quando Tsukishima si trovava sul ring con l’arbitro appeso al braccio levato in segno di vittoria; di lato, quando sedevano accanto sull’aereo, con i riflessi del tramonto sul viso. 

 

“Sto pigiando troppo?” chiese Tsurumi, preoccupato. Era seduto sul bordo del letto, una mano che spalmava la crema sui lividi e l’altra intenta a stringere quella di Tsukishima. “Hai una faccia strana.”

Per la maggior parte delle persone, ammettere che si è perdutamente innamorati è facile come respirare. Per Tsukishima era come doversi rialzare dopo una scarica di ganci sui padiglioni auricolari. In passato gli era capitato di nutrire sentimenti simili per qualcuno, ma mai al punto di volerlo abbracciare in barba ai lividi, ai dolori muscolari e alla stanchezza indotta dagli antidolorifici. 

“No,” mormorò Tsukishima, portandosi alle labbra le loro mani incatenate e baciando ogni nocca. 

Rimasero in silenzio per un po’, Tsukishima assorto nei suoi pensieri e Tsurumi intento a svuotare un intero tubetto di crema. Le sue dita erano così leggere, da far dubitare che fossero lì. Si soffermavano su ogni livido, massaggiando lievemente così da permettere alla pelle di assorbire. Tsukishima si sentiva già meglio, anche se dubitava che questo improvviso sollievo avesse qualcosa a che fare con la pomata. Il principale responsabile era senz’altro il tocco di Tsurumi, famoso per il suo effetto placebo. Tsukishima aveva la sensazione che i lividi sarebbero guariti anche se si fosse limitato a baciarli. Era così concentrato a seguire i disegni che Tsurumi stava realizzando sulla sua pelle, che non si accorse nemmeno di essere scivolato in uno stato di dormiveglia. A scuoterlo del tutto da quel torpore fu una carezza sulla guancia. Tsurumi si era accoccolato con lui sul letto e stava reclamando un giusto compenso per il suo servizio di fisioterapista non certificato. 

“Scusa, mi sono addormentato.”

“Già. Dev’essere stato stancante, dirmi quelle due paroline.”

Tsukishima saltò su come se si fosse appena svegliato da un incubo. Non ci poteva credere! Con tutti gli scenari romantici che si erano presentati in quei cinque anni, aveva confessato il suo amore in uno stato catatonico che al confronto avrebbe fatto impallidire uno zombie? 

“Rilassati, Hajime. Hai detto ‘ho fame’.”

Tsukishima si lasciò cadere a peso morto sul materasso e pregò di riaddormentarsi subito per sfuggire all’imbarazzo. 

“Sai,” bisbigliò Tsurumi direttamente nel suo orecchio, “anche io ho fame.”

Tsukishima era sicuro che nessuno avesse mai suggerito di mettere qualcosa sotto i denti con tanto pathos.

 
  
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