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Autore: Miss Ravenclaw    27/07/2020    1 recensioni
Lo osservò giocare distrattamente con il percing al labbro inferiore, gli occhi fissi nel vuoto e le mani infilate nelle tasche della felpa.
Era così diverso rispetto ai ragazzi che quella sera aveva visto in discoteca da sembrare quasi alieno.
I fari dell’autobus illuminarono per un attimo la panchina dove erano seduti e lui sembrò riscuotersi dai suoi pensieri.
Si voltò verso Gigi, essendosi reso conto solo in quel momento di non essere solo, la scrutò solo per qualche istante prima di far scivolare via dalle sue orecchie le cuffiette.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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È passato probabilmente più di un anno da quando ho aggiornato questa storia, mi scuso davvero tantissimo.
La verità è che non avevo più ispirazione, ogni cosa che buttavo giù sembrava essere forzata, non mi piaceva la piega che stava prendendo tutta la storia.
Ho deciso, quindi, di cancellare alcuni capitoli già pubblicati, cambiare qualcosina e ritornare sulla retta via, sperando che questa volta sia quella giusta.
Spero che il capitolo vi piaccia, sarei contenta di sapere il vostro parere.
A presto. xx

 




 
 
Capitolo 3
 


Meet me at the corner
 


La Sterling Memorial Library si ergeva maestosa di fronte ai suoi occhi.
Per quanto ci fosse abituata, la sua vista la lasciava sempre a bocca aperta: ogni volta che la guardava scopriva sempre un ulteriore dettaglio, un posto nuovo, una statua che fino a quel momento non aveva notato.
Era un edificio in pietra, in pieno stile gotico, con due portoni d’ingresso in legno massiccio e un’enorme vetrata ad arco ogivale al centro.
Amava camminare per i suoi corridoi, perdersi nella contemplazione dei quadri che li decoravano, immaginare quante persone illustri avevano fatto il suo stesso percorso.
Le era sempre piaciuto il profumo di libri che si respirava in biblioteca: vecchi e nuovi che fossero, aveva sempre avuto lo strano impulso di spalancarli per sprofondarci dentro.
Amava l’odore pungente della carta consumata, voltare con delicatezza le pagine con la punta delle dita, leggere le scritte sbiadite.
Abbassò la maniglia ed entrò, stando attenta a richiudere la porta alle sue spalle: la stanza era quasi vuota; poche persone si svegliavano così presto di sabato mattina per andare in biblioteca.
Le scrivanie in mogano massiccio erano quasi sgombre e solo di rado si udiva il rumore della frizione della penna sul foglio.
Era un suono rilassante, che contribuiva a diffondere nell’aria un’atmosfera onirica.
Si abituò quasi subito alla luce artificiale dei lampadari.
Raggiunse la scrivania della bibliotecaria; era una donna sulla sessantina, tutto nella sua figura trasmetteva un senso di stanchezza e trascuratezza: le grosse occhiaie scure che le contornavano gli occhi, la pelle pallida raggrinzita per l’età, i capelli spettinati e l’insopportabile odore di cipolla che alleggiava intorno a lei.
«Buongiorno – sussurrò, aggrappandosi con le dita alla scrivania – vorrei sapere qual è lo scaffale dedicato alle opere teatrali».
La donna la squadrò per qualche secondo, abbassando con le sue unghie sbeccate gli occhiali dalla montatura da gatta color magenta.
«Scaffale 10» borbottò per poi spostare di nuovo la sua attenzione sul libro che aveva davanti.
«Sa se c’è una sezione dedicata ai monologhi?» chiese ancora Gigi.
La vide sbuffare e reprimere il desiderio di mandarla al diavolo prima di guardarla di nuovo.
Le rivolse un sorriso lezioso e strizzò gli occhi, non riuscendo a controllare del tutto il moto di stizza.
«Scaffale 10» ripetette, appoggiando il mento sulla mano raggrinzita.
«Quindi non sa se ci sono libri dedicati ai monologhi?» insistette Gigi, non riuscendo a capacitarsi dell’incompetenza e della supponenza della donna.
«Se ci sono non ne ho idea ma l’unico scaffale dedicato al teatro è il 10» le rispose, stringendo i denti.
«Non può controllare sul computer?» le chiese ancora, reprimendo l’impulso di prenderla a sberle.
«No, non posso, adesso sparisci, mi hai già scocciata abbastanza» le disse, ritornando al suo libro.
«Ma che razza di bibliotecaria è lei, mi scusi?» borbottò Gigi, scuotendo la testa e voltandosi dell’altra parte.
Ignorò la risposta contrariata della donna e cominciò a camminare per la stanza, osservando i numeri con cui gli scaffali in legno scuro erano stati contrassegnati.
Lo scaffale 10 si trovava in fondo, in una zona isolata rispetto alle altre.
Impiegò una buona mezz’ora prima di trovare il libro giusto.
Erano passati tre giorni da quando il professor Williams aveva detto loro della rappresentazione teatrale e Gigi non aveva la benché minima idea di cosa fare.
Aveva scartato subito a priori Giulietta e Ofelia, consapevole che molte delle sue compagne di corso avrebbero scelto quei monologhi.
Per quanto avesse amato alla follia leggere “Romeo e Giulietta” e “l’Amleto” sapeva che sarebbero stati testi scontati.
Il professor Williams le era sembrato così singolare che l’unico obiettivo che si era prefissata in quel momento era quello pensare quanto il più possibile fuori dagli schemi.
All’inizio aveva soppesato l’idea di portare il suo cavallo di battaglia, quello recitato per ottenere il ruolo da protagonista nel dramma messo in scena dalla scuola di teatro della sua città.
La sua interpretazione di Salomè di Oscar Wilde aveva riscosso un successo clamoroso; Gigi ricordava le lunghe notti passate a ripetere sempre le stesse battute, il sapore della vittoria sulle labbra quando il suo professore alla fine le aveva detto di essere riuscita a ottenere il ruolo da protagonista.
Aveva scartato quasi subito quell’opzione, non volendo che il risultato finale di un evento così importante dipendesse da un qualcosa già fatto.
Quindi, aveva capito di essere in estremo ritardo con la sua scelta quella mattina, quando Gabriel l’aveva avvisata con un messaggio di essere riuscito a trovare il monologo giusto.
Ed era questo il motivo per cui in quel momento si trovava lì, alle otto di mattina di un sabato bellissimo, a cercare di recuperare ciò che non era riuscita a fare nei giorni precedenti.
Con la coda dell’occhio percepì un movimento e alzò lo sguardo.
Matthew si trovava di fronte a lei, le braccia stracolme di libri, gli occhi stanchi e infossati di chi aveva trascorso una notte insonne.
Prestò di nuovo attenzione al suo libro, preferendo ignorare il ragazzo e sperando che avesse il buonsenso di sedersi quanto il più possibile lontano da lei.
Lo stridio di una sedia spostata e il tonfo di un peso morto sulla scrivania le fecero capire che, come aveva già appurato molto tempo prima, le sue preghiere non venivano mai esaudite.
Sospirò affranta, girando una pagina.
Matthew si schiarì la voce e cercò di afferrarle una mano ma Gigi si scostò, voltandosi nella direzione opposta.
«Lasciami in pace» sussurrò tra i denti, restando con lo sguardo fisso sul suo libro.
«Sono stato uno stronzo» le disse, piegandosi sulla scrivania per avvicinare il viso al suo.
Non rispose.
«Lo so che sei arrabbiata con me per quello che ti ho detto e per come ti ho trattata – continuò imperterrito Matthew – ma anche io sono rimasto alquanto scosso da ciò che è successo nel parco».
Gigi si girò verso di lui, gli occhi socchiusi in un’espressione infuriata.
«Hai la minima idea di come mi sono sentita quel pomeriggio?» ringhiò indignata.
«Non era mia intenzione offenderti, Gigi, sono state cose dette in un impeto di rabbia» le rispose e vide il suo sguardo accigliarsi sempre di più.
La bocca sottile era piegata verso il basso, la mascella contratta.
Gigi lo osservò per qualche secondo, sorprendendosi sempre di più nel constatare quanto Matthew si stesse trattenendo in quel momento.
«Possiamo uscire fuori per parlare?» le chiese alla fine, avvicinando di nuovo le mani alle sue per poi stringerle a pugno, come se si stesse trattenendo dall’afferrarla e portarla fuori.
Gigi scosse la testa.
«Mi dispiace, Matt, non ho niente da dirti» gli rispose, non staccando nemmeno per un attimo lo sguardo dal suo.
Colpiti dai raggi del sole che penetravano dalle vetrate, gli occhi castani di Matthew sembravano essere più chiari, quasi velati da una patina acquosa.
Lo vide sbatterli più volte, come se fosse sorpreso da quella risposta, come se non si aspettasse che Gigi fosse così sicura della sua decisione.
Le nocche delle sue mani si contrassero sulla scrivania, poi lo sentì sbuffare spazientito.
Matthew era un agglomerato mortale di orgoglio e dignità ferita che Gigi aveva imparato a capire dopo molto tempo.
Ormai, però, riusciva ad accorgersi ei suoi cambiamenti d’umore, del suo nervosismo: le mani strette a pugno, un leggero tic all’occhio, gli occhi sempre rivolti verso il cielo.
Per quanto cercasse di mascherare i suoi sentimenti dietro dimostrazioni di sarcasmo e cinismo, Gigi lo capiva, forse come non era mai riuscita a fare con nessuno.
«Ti prego» quella preghiera sussurrata in tono roco la sorprese.
Matthew che capitolava al suo cospetto era una scena che aveva sempre immaginato solo nelle sue più fervide fantasie.
Perché si lasciava ancora manipolare in quel modo da lui?
Soppesò per un attimo le due opzioni: seguirlo o non seguirlo, lasciare che anche quella volta l’avesse vinta oppure no.
Come sempre, quando si trattava di Matthew, era un debole.
Si limitò ad annuire, chiudendo con un tonfo il libro di testo per seguirlo fuori dalla biblioteca.
Quella mattina il sole scottava come una calda giornata di giugno e non come se l’inverno si stesse avvicinando sempre di più.
Si sedettero in silenzio sui gradini di pietra dell’entrata.
Matthew tirò fuori dalla tasca dei suoi pantaloni neri un pacchetto di Marlboro rosse e ne pescò due sigarette.
Gliene porse una e Gigi l’afferrò, poi le avvicinò l’accendino al viso.
Tirò una lunga boccata di fumo.
Matthew la osservava tra le ciglia, fumando in silenzio, con i gomiti appoggiati ai gradini e le gambe distese.
Ricordava come fosse facile nei primi tempi parlare con lui, come i discorsi uscissero spontanei, come si sentisse fiera di camminare nel paco del campus con lui e sentire gli sguardi invidiosi di tutte le ragazze.
Com’erano arrivati a quel punto?
In quel momento, per quanto s’impegnasse, non riusciva a trovare nulla da dire per spezzare quel silenzio.
Matthew non sembrava imbarazzato, era a suo agio come se fosse normale per loro fumare una sigaretta insieme.
Un lungo brivido le percorse la schiena.
«Allora?» borbottò alla fine, spostando lo sguardo sulla distesa di alberi che li circondavano.
«Io ti piaccio – esordì Matthew con semplicità – lo capisco dal fatto che tu non riesca a guardarmi, da come tremi quando sei accanto a me».
Non si voltò a guardarlo: le guance le stavano andando a fuoco, le mani non riuscivano a stare ferme.
«Tu mi piaci – il ragazzo parlava con naturalezza, percepiva la sua mano giocare distrattamente con le sue lunghe ciocche di capelli scuri – così tanto che quando sono con te tutto il mondo scompare. Ci sei solo tu, capisci? Questa cosa non mi fa affatto bene, soprattutto se penso che non sei mia».
Gigi sbuffò.
«Non puoi dire certe cose di me la settimana prima per poi pensare che io creda a queste stronzate, Matthew» la voce le uscì bassa, incastrata in gola.
«All’inizio pensavo di riuscire ad averti subito, per questo mi sono avvicinato a te.  Ti vedevo così presa, guardavi solo me, quando eravamo insieme gli altri non esistevano, eri così impacciata da farmi tenerezza – le sorrise e Gigi percepì in quelle sue parole una struggente dolcezza - Però, la verità è che subito dopo ho capito di non poter ottenere ciò che volevo da te, almeno non facilmente come pensavo».
Avrebbe desiderato trovarsi in tutt’altro posto in quel momento, correre via per nascondersi da qualche parte e non incontrarlo mai più.
«Non ci ho mai provato per davvero perché, per quanto ti dimostrassi interessata, eri sempre così distante, seduta sul tuo stupido piedistallo di superiorità, guardando tutti come se non fossero degni di parlare al tuo cospetto – Gigi aprì la bocca per protestare ma Matthew alzò la mano, in una muta richiesta di silenzio – solo dopo ho capito che la tua era semplice timidezza. Nonostante tutto, non sono riuscito ad abbattere il tuo muro. Dimmi, Gigi, cosa devo fare per scalfirti?».
Quando smise di parlare, la sigaretta gli si era quasi consumata del tutto tra le dita e aveva il fiato corto, come se avesse corso una maratona.
Negli occhi riusciva a leggere tutta la sua tensione.
Le risultò difficile incrociare il suo sguardo.
«Non sono seduta su nessun piedistallo – sussurrò alla fine, spostandosi una ciocca di capelli dagli occhi – la sola idea che tu possa aver pensato questo dopo tutti i discorsi che abbiamo fatto mi irrita».
Matthew sbuffò e scosse la testa.
«Ti ho appena detto che non riesco a stare senza di te e l’unica cosa a cui ti appigli è il fatto che io ti abbia definita snob?» le chiese, per nulla incredulo.
Gigi scosse la testa.
«Mi appiglio a tutto ciò che mi hai detto da quando ci conosciamo: che sono un’insicura patologica, che non merito la tua considerazione – elencava tutte le offese con le dita, il sopracciglio che si alzava progressivamente – che mi vieni dietro solo perché sono innamorata di te. Oggi poi, ho scoperto che oltretutto mi consideri una snob del cazzo, che guarda le persone dall’alto in…».
Questa volta, quando la baciò, fu più preparata della sera in discoteca: le braccia di Matthew la circondarono, la sua bocca raggiunse in una frazione di secondo quella di Gigi.
Si sorprese a ricambiare quel bacio; la parte razionale del suo cervello le stava urlando di scappare.
Sapeva quanto la situazione fosse sbagliata, quanto lo fosse sempre stata, ma, contro ogni sua aspettativa, ancora una volta, lasciò che il momento fluisse; non seppe spiegarsi razionalmente perché: forse tutte le loro vite erano già state prestabilite e le loro azioni dovevano essere considerato solo come parte integrante di un piano cosmico a loro sconosciuto, come il moto prestabilito dei pianeti, l’esplosione di una stella, la traiettoria di una cometa.
Le labbra carnose di Matthew erano morbide, calde, invitanti; avevano il sapore del caffè amaro che il ragazzo beveva prima di entrare in aula.
Giocò, mordicchiò e torturò quella bocca con dedizione, come se il suo obiettivo principale fosse sempre stato quello.
La lingua di Matthew le accarezzò il labbro inferiore, in una muta richiesta di accesso che Gigi non gli negò.
Si baciarono ancora a lungo, stringendosi e aggrappandosi l’uno all’altra come se la loro vita dipendesse da questo.
Si allontanarono, forse troppo presto, controvoglia.
«Ammetto quanto fosse squallido il contesto in cui ho provato a baciarti per la prima volta – le sussurrò a pochi millimetri di distanza da lei, tanto che, a quelle parole, le loro labbra si sfiorarono di nuovo – se avessi saputo prima che sarebbe stato così bello baciarti lo avrei fatto molto tempo fa».
Gigi sbuffò una risata per poi abbassare lo sguardo sulle loro mani intrecciate.
In quel momento, riusciva solo a pensare quanto fosse bello stare così accanto a lui, senza alcun pensiero che le ronzasse per la testa.
«Guardami» le sussurrò piano Matthew, accostando la sua bocca all’orecchio e facendola rabbrividire.
Il ragazzo sciolse il contatto tra le loro mani, per far passare le sue braccia intorno alla vita di Gigi.
La strinse a sé e il suo profumo le penetrò quasi fin dentro i pensieri, imprimendosi per sempre nella sua memoria.
Matthew profumava di pulito, di dopobarba e di menta.
«Mi farò perdonare per ciò che ho detto, lo prometto» le baciò la cima della testa, stringendola ancora di più.
Gigi si scostò dal suo abbraccio per guardarlo negli occhi, un sopracciglio sollevato in un evidente espressione sarcastica.
«Non fare promesse che poi non riesci a mantenere» lo sfidò con lo sguardo, tamburellando sulle sue spalle con le dita.
Matthew le sfiorò con la punta delle dita una guancia poi le afferrò una ciocca di capelli e cominciò a giocarci.
«Lo vedrai» le disse alla fine, non distogliendo nemmeno per un attimo lo sguardo dal suo.
Gigi sospirò, non sapendo cosa dire, sperando che Matthew le avesse detto la verità: che ci avrebbe provato per davvero, che quella volta sarebbe stato diverso.
«Stasera hanno organizzato una festa strepitosa – quando parlò, la voce del ragazzo era ritornata quella di sempre, ogni traccia dell’emozione percepita poco prima sembrava essere sparita – vieni anche tu, no?»
Soppesò quella proposta: cosa intendeva? Verrai con me oppure ci becchiamo lì?
«Chiederò a Tessa» gli rispose, guardandolo con timidezza.
Le sembrò di essere ritornata ai primi tempi, quando aveva ancora timore di guardarlo negli occhi per paura di balbettare.
Matthew le sorrise prima di avvicinarsi per darle un bacio a stampo.
«Perfetto, allora. Ci vediamo lì, d’accordo?» si alzò e cominciò ad allontanarsi con il suo solito passo spavaldo.
Quello era decisamente un “ci becchiamo lì”.
 
Gigi si osservava dall’unico specchio della stanza, sfiorando con le dita il tessuto nero elasticizzato.
Si guardava, non riuscendo a capire perché si sentisse così nervosa: non era la prima volta che Matthew la invitava a qualche festa della confraternita: allora perché quello strano senso di inquietudine non l’abbandonava?
«Forse a te va un po’ più stretto perché ho il seno più piccolo del tuo» Tessa la guardava dall’entrata del bagno, la spalla appoggiata all’asse della porta e un tubetto di mascara stretto tra le mani.
Aveva interpretato il suo sguardo spaventato come una reazione al vestito da lei prestatole.
Gigi avrebbe tanto voluto che quella inquietudine fosse motivata dal vestito e non da una paura ben più radicata e profonda in lei.
«Però stai molto bene. Sei davvero sexy questa sera - le sorrise maliziosa, cercando di calmarla – sicuramente quando Matthew ti vedrà non desidererà altro toglierlo a morsi quel vestito, per vedere cosa c’è sotto».
«Non risulto ridicola?» le chiese senza staccare lo sguardo dallo specchio.
«Sei ridicola se continui con queste seghe mentali, Gigi – il suo tono era diventato serio – sei pronta, no? Andiamocene prima che tu decida di cambiarti».
Indossò in fretta i sandali alti, pescò dall’armadio il suo giubbotto di jeans e si guardò un’ultima volta allo specchio prima di uscire insieme a Tessa dalla stanza.
Nei corridoi c’era il tumulto: ragazze in reggiseno che parlavano a telefono, vestiti abbandonati sul pavimento, musica a palla.
Camminarono per un po’ in silenzio, troppo intontite dal frastuono nei corridoi per riuscire a parlare.
Fu un sollievo uscire finalmente dal dormitorio.
L’aria quella sera era fresca ma non fredda.
Raggiunsero in fretta la casa dove si sarebbe tenuta la festa.
La confraternita si era impegnata tanto per far capire agli studenti quale fosse il punto di ritrovo: le porte dell’edificio erano spalancate e si riusciva a sentire anche da parecchi metri di distanza la musica sparata a tutto volume.
Era una di quelle classiche feste dove quegli scimmioni dei giocatori di football giocavano a beer pong e le ragazze si ubriacavano come se non ci fosse un domani.
Se per i primi due anni l’idea di partecipare a quegli eventi l’aveva esaltata, in quel momento sentiva il netto bisogno di darci un taglio.
Si avvicinarono all’entrata: seduti sul porticato della casa, due ragazzi stavano facendo a gare a chi terminasse di bere più velocemente una bottiglia di birra da un litro; la gara, come di consueto, era accompagnata da grotteschi cori di incitamento per entrambi i malcapitati.
In casa la musica era assordante, tanto da non permetterle di sentire ciò che le stesse dicendo Tessa.
Le luci erano soffuse, una quantità spropositata di bicchieri di carta giaceva sul pavimento.
Gigi si guardò intorno: la situazione era già fuori controllo; delle coppiette limonavano sulle scale di legno, palpeggiandosi insistentemente, rendendo quello spettacolo non adatto ai minori; dei ragazzi in mutande correvano per i corridoi, tenendo sollevate le braccia e stringendo tra le mani una bottiglia di vodka ciascuno.
Si addentrarono nella casa, in una zona che sembrava ancora non essere stata devastata: le luci erano più nitide rispetto all’ingresso e si respirava un forte odore di deodorante per ambienti evidentemente spruzzato per cercare invano di coprire la puzza di fumo che impregnava l’aria.
Un lungo biliardo era posto al centro della stanza; intorno ad esso dei ragazzi erano intenti a organizzare una partita.
Matthew era lì, lo vide all’improvviso, seduto sul bordo del tavolo da biliardo.
Sembrava rilassato: la schiena un po’ incurvata, il gomito appoggiato alla stecca, il braccio lasciato penzolare.
Era bello da toglierle il fiato.
Gigi si girò in direzione di Tessa, tutt’a un tratto a disagio.
E se avesse cambiato idea?
«Che aspetti ad andare da lui?» le domandò, osservandola con disappunto.
Gigi scosse la testa: le mille paranoie che l’avevano tormentata fino a quel momento si ripresentarono più forti di prima, sommergendola come un fiume in piena.
«Mi sento inadeguata» le confessò, non osando girare la testa in direzione del tavolo da biliardo.
Come poteva un ragazzo renderla così insicura?
«Penso che dovrebbe essere lui a sentirsi inadeguato – borbottò Tessa – insomma sei uno schianto questa sera e, anche se devo ammettere che non è per niente male anche lui, tu sei decisamente due spanne sopra».
Gigi sorrise, grata alla sua amica per quelle parole.
Ma come poteva crederle per davvero? Insomma, era evidente quanto fosse di parte.
Sbuffò, stringendo i pugni lungo i fianchi prima di girarsi di nuovo in direzione del tavolo da biliardo.
Dalla posizione in cui si trovava riusciva a vedere benissimo Matthew, pur sapendo di risultare nascosta ai suoi occhi.
Si era raddrizzato e messo di lato, in attesa del suo turno.
Tessa le diede una leggera spintarella con il fianco poi le sorrise.
«Vado a cercare John, ci vediamo dopo».
Era sola.
Prese coraggio, se avesse potuto sarebbe rimasta lì, sull’uscio della porta, parzialmente nascosta, per tutta la serata; la prospettiva di essere vista, però, l’aveva dissuasa da tale intento.
Appena entrò nella stanza, Matthew si girò nella sua direzione, quasi come se il suo corpo fosse attratto da quello di Gigi, probabilmente mosso da quella stessa alchimia che aveva sentito scorrere nelle sue vene quando quella mattina si erano scambiato quel bacio appassionato sulle scale della biblioteca.
Il percorso che la divideva da Matthew le sembrò durate una vita; quando alla fine lo raggiunse aveva gli occhi di tutti i suoi amici puntati addosso.
Si erano fermati tutti, forse pronti a vedere la solita scena vissuto ad ogni festa: Matthew che rimorchiava una ragazzina per poi prenderla in giro.
Ma lui le circondò le spalle con un braccio, attirandola e stringendola al suo fianco.
Il tempo sembrò bloccarsi per secondi che le parvero interminabili: gli amici la guardavano, quasi senza capire cosa stesse succedendo, poi decisero che il fatto che il loro amico avesse finalmente messo la testa a posto non fosse un evento di grande importanza e ritornarono a prestare attenzione alla partita.
Meglio di niente.
«Pensavo che non venissi più» le sussurrò all’orecchio.
«La serata è appena iniziata» lo prese in giro, decidendo che forse non era il caso di raccontargli del buon quarto d’ora speso sull’uscio a decidere se fosse meglio scappare oppure affrontare la sua vita.
Lo sentì sorridere tra i capelli e la sensazione di malessere che fino a quel momento aveva provato in un attimo sparì, relegata nei recessi della sua mente.
Non c’era niente da temere.
   
 
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