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Autore: Alexa_02    28/07/2020    0 recensioni
La vita di Violet King si capovolge e si frantuma nel giro di due minuti. Il tempo che il dottore ci mette ad aprire la cartella clinica e a pronunciare tre parole, che le restano tatuate sulla pelle in modo indelebile.
Malattia di Huntington.
Le basta sfogliare qualche pagina di Wikipedia per capire che lo sguardo addolorato del medico non è di circostanza, sua madre è gravemente malata.
Dopo mesi di ricerche e sconforto, il padre di Violet sradica famiglia King al completo dalla afosa Florida per raggiungere Honolulu, città in cui vive la nonna e sede di uno dei migliori ospedali specializzati in malattie neurodegenerative.
Tra tavole da surf e scatole di medicinali, Violet si imbatte nel suo imbronciato e scorbutico vicino di casa, Ashton Bennett. Il loro incontro non è dei migliori, i loro caratteri opposti cozzano dal primo istante in cui entrano in contatto.
Però, forse, la scorza dura e fredda di Ashton cela un cuore buono e un animo gentile.
E forse le risate e l’ottimismo incondizionato di Violet nascondono tanta paura e tristezza.
Che siano fatti l’uno per l’altra?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Chapter 1
Violet
 
«Allora?» sospira nonna al mio fianco «Cosa ne pensi?».
Accarezzo il legno bianco del parapetto. «Cosa ne penso?». Il sole delle due del pomeriggio inonda il balconcino, riscaldandomi la pelle. «È assolutamente mozzafiato».
L’oceano Pacifico si estende davanti a noi come una coperta limpida ed invitante. Le onde che si infrangono sulla sabbia dorata chiamano il mio nome a gran voce.
La casa della nonna si staglia tra arbusti bassi e palme dalle fronde ampie. Un sentiero di sassi e assi di legno collega la spiaggia al giardino sul retro. Il balcone della mia camera gode di una perfetta vista di tutto ciò che ci circonda e della piscina incastonata tra le mattonelle di marmo pallido.
«Questo posto sembra uscito da una rivista di ville di lusso» mormoro.
Lei ridacchia, aggiustandosi un ciuffo biondo e ribelle. «Divorziare da un ricco e fedifrago snob ha anche i suoi vantaggi».
La osservo mentre giocherella con un anello enorme. «Era il secondo o il terzo?».
«Il secondo dopo tuo nonno» precisa con un sorrisino.
La nonna si è sposata tre volte con tre uomini completamente diversi, ma tutti molti ricchi. La casa enorme in cui vivrò per il prossimo anno lo dimostra alla grande.
«Ti piace la tua stanza, stellina?» chiede, accarezzandomi l’avambraccio abbronzato.
Mi giro verso la portafinestra di vetro e osservo la mia nuova camera. Il letto a baldacchino di legno è sfatto e ricoperto di scatoloni e valige, il pavimento di parquet è così liscio e sgombro che mentre attraversavo la stanza ho rischiato di scivolare di spaccarmi la testa, mentre le pareti sono così asettiche che sembrano i muri di una stanza di ospedale. Tutto questo, però, può essere sistemato con una bella mano di vernice e dei mobili nuovi. La camera è ampia e ben illuminata, ha un sacco di potenziale.
«È meravigliosa, nonna» le assicuro.
Lei sorride con dolcezza. «So che è un po’ spoglia, ho pensato di lasciare a te il piacere di decorarla. Le serve un po’ della magia di Violet».
Annuisco con convinzione. «Come ogni posto del mondo».
«Vieni» mi fa cenno con la testa e apre la finestra «Non ti ho ancora fatto vedere la parte migliore». La seguo all’interno e verso una porta scorrevole. Tira la maniglia e l’anta di legno si raggomitola, aprendo i cancelli per il paradiso. La più bella cabina armadio del mondo mi osserva invitandomi a riempirla di tutti i vestiti e le scarpe che riesco a comprare.
«Quando l’ho vista ho subito pensato a te». La nonna mi scorta all’interno. «Tua madre mi ha parlato del tuo problemino di shopping compulsivo…».
Mi giro stizzita. «Non è un problema quando hai tutto sotto controllo».
Posa le mani sui fianchi. «Mi ha detto che stavi infilando i tuoi nuovi acquisti in camera di Garrett e Poppy».
Alzo le spalle con aria innocente. «Loro avevano un sacco di spazio inutilizzato».
Ride buttando la testa indietro, proprio come la mamma. «Garrett mi ha giurato che ti ha vista mettere le sue cose in un sacchetto di plastica e infilarle sotto il suo letto».
Sposto le grucce pregustando qualsiasi abito ci appenderò. «Garrett esagera sempre».
«Cerca di non finire subito lo spazio, non credo che l’architetto riuscirà a infilare un’altra cabina in questo posto» sospira guardandosi intorno.
C’è sempre la camera di Garrett nel caso
«Apri quell’anta» afferma indicando con l’indice un pannello di vetro satinato.
Faccio come dice e alzo il braccio, appena in tempo, per afferra una tavola shortboard che mira alla mia testa. La osservo preoccupata. «È il tuo metodo per impedirmi di fare compere?».
Sorride dispiaciuta. «Doveva essere una sorpresa carina, non pensavo potesse diventare un’arma. Scusa, stellina».
Tiro la tavola da surf fucsia fuori dall’armadio e la osservo. Accarezzo il poliuretano seguendo i contorni dei fiori bianchi e della grossa B che sono stampati sopra. «È stupenda, nonna, grazie» sospiro «Grazie davvero di tutto. Della casa, della tua ospitalità, dell’aiuto con le spese della mamma…».
Mi prende il viso tra le mani e mi accarezza le guance. «Violet non devi ringraziarmi di niente, farei di tutto per voi». Mi bacia la fronte con dolcezza. «Qualunque cosa». Sorrido, cercando di ingoiare il groppo che mi stringe la gola come una morsa. «Adesso perché non vai a provare la tua nuova tavola, più tardi andiamo in paese a comprare qualche mobile e della vernice per dare un tocco vissuto alla tua camera».
Annuisco. «Okay».
Infilo il bikini, la parte sopra della muta, afferro il surf e scendo i gradini che ci dividono dalla spiaggia. La sabbia calda mi solletica la pelle mentre corro verso l’oceano. Il contatto con l’acqua cristallina mi provoca un brivido all’altezza dello stomaco. Non c’è nulla di più bello del surf. Niente ti fa sentire libero e svuota la mente come cavalcare le onde in mezzo all’oceano.
Durante queste due settimane di preparativi non ho avuto nemmeno un secondo per fare surf, mi era mancato come respirare.
Lascio che l’acqua si porti via l’ansia e la preoccupazione, che mi liberi dall’opprimente senso di impotenza e che la linea dell’orizzonte mi distragga da tutto ciò che mi aspetta con trepidazione sulla riva. 
 
Nonna non sa guidare. Pensa di saperlo fare ma non è affatto così. Frena bruscamente, accelera di colpo e non rispetta nemmeno un cartello stradale.
Non so chi sia il pazzo che le ha dato la patente, ma di sicuro mi pagherà il conto del fisioterapista.
Mi massaggio la base del collo e chiudo la portiera. «Posso sapere chi ti ha insegnato a guidare?».
Si infila gli occhiali da sole. «Sono un’autodidatta, stellina».
Mi sistemo la borsa sulla spalla con un gemito. «Non faccio fatica a crederci».
Alza la testa con orgoglio. «Carl della motorizzazione dice che sono un talento naturale».
«Carl ti ha mai chiesto di uscire con lui?».
Scrolla le spalle con innocenza. «Può darsi, ma questo non vuol dire nulla. Chiunque vorrebbe un appuntamento con me».
Su questo non posso darle torto, Victoria Walker è la nonna più bella del pianeta. Un inflessibile regime di yogalates e beveroni detox ha scolpito il suo corpo alla perfezione, la genetica le ha donato un viso perfetto e il secondo marito ha contribuito con un ricco portafoglio a ritoccare qualunque minima imperfezione.
Tutto insieme le ha consentito di arrivare a settantadue anni con il botto e dimostrandone venti di meno. Mentre camminiamo tra i negozi, un numero considerevole di uomini si gira a guardarci e sono consapevole che stanno osservando tutti lei. I capelli biondi luccicano sotto il sole, gli occhiali scuri le nascondono gli occhi azzurri circondati da un ventaglio di ciglia kilometriche e il prendisole viola lascia davvero poco all’immaginazione.
Ogni tanto, non condividere i geni con lei mi fa rodere il fegato. Ereditare la struttura ossea dell’ex Miss Alabama non sarebbe poi una tragedia, ma in fin dei conti se lei fosse geneticamente mia nonna probabilmente ora sarebbe malata come la mamma o peggio, non sarebbe qui con me.
Forse, alla fine, aver adottato i suoi figli le ha evitato qualche proiettile.
O forse no.
«Quello è il mio negozio» esala indicandomi una vetrina sulla destra. L’insegna nera arzigogolata, America's Sweethearts, spicca tra due gelaterie. Nonna vende abiti da cerimonia davvero bellissimi. Li progetta lei e le sue collaboratrici li realizzano. I miei vestiti del ballo li ha ideati tutti lei. «Per il prossimo catalogo vorrei averti tra le modelle».
Scuoto la testa. «Non se ne parla, non voglio ritrovarmi a posare tra delle donne alte e bellissime e sembrare un hobbit».
Aggrotta le sopracciglia chiare. «Un cosa? Le mie modelle sono di tutte le taglie e le forme, Violet. Tu sei bellissima e non sei un bobbit».
«Hobbit» preciso «Non ho detto di non essere bellissima, ho solo detto che di fianco a delle modelle sembro un’oliva. Come vicino a te del resto».
Apre la porta di vetro di un negozio di mobili. «Hai preso l’altezza da tuo nonno, anche lui non era molto alto ma compensava con una personalità di fuoco» mi accarezza una guancia «Proprio come te, stellina».
Il suo ragionamento non sta in piedi e lei lo sa, ma lascio perdere lo stesso. «Se lo dici tu, nonna».
Scruta intorno guardinga e poi mi lancia un’occhiataccia. «Cosa avevamo detto?».
Sospiro cercando di non ridere. «Quando siamo tra le persone, nonna è una parola vietata. Scusami, Vic».
Me lo ricordavo, volevo solo farle cambiare argomento e magari infastidirla un pochino. Si sistema il prendisole. «Brava, stellina. La parola nonna mi rovina la piazza, lo sai».
No, non è vero, non basta così poco per rovinarle la piazza. «Cerchiamo qualche mobile?».
«Siamo qui apposta».
 
Con uno dei suoi trucchi voodoo, la nonna riesce ad incantare il commesso e a convincerlo a portarci tutti gli acquisti alla macchina. Mentre attraversiamo la piazza verso il parcheggio, la mia attenzione viene catturata da un enorme insegna hawaiana. Ka ‘ea o ka moana.
«Cosa vuol dire?».
Nonna segue il mio sguardo. «Il respiro dell’oceano» nei suoi occhi aleggia una strana luce «È il negozio di tavole da surf di un amico».
Una voce ci arriva alle spalle. «Signora Walker» la collaboratrice di nonna si sporge dalla porta del negozio «Può venire un secondo?».
«Arrivo subito, Alana» mi spinge in avanti «Entra a dare un’occhiata, ti raggiungo tra un attimo».
Si allontana rapidamente, lasciandomi da sola davanti all’insegna. Attirata da una forza che non so spiegare afferro la maniglia ed entro.
La campanella di metallo suona sopra la mia testa e un leggero odore di legno misto a paraffina mi riempie le narici. Travi di legno turchese e luci a filo ricoprono il soffitto, mentre targhe, cartelli e strumenti nautici decorano le pareti bianche. Lunghe file di tavole da surf si estendono in ogni direzione e da dei ganci di metallo pendono mute e costumi di vario genere. Il bancone di vetro è sovrastato da un’enorme mascella di squalo e da un’insegna gialla al neon: Bennett’s Surf Shop.
Da dietro ad una tendina di perline, sbuca prima una longboard da sogno e, attaccata ad essa, un ragazzo anche lui da sogno. Regge la tavola con un braccio solo, mettendo in risalto il voluminoso bicipite abbronzato. La camicia dai toni scuri è sbottonata e mette in mostra degli addominali ben definiti e un torace ampio. I pantaloncini del costume gli calzano alla perfezione, soprattutto quando si piega per appoggiare la tavola. Quando si gira i nostri sguardi si incontrano, lasciandomi senza fiato. La mascella squadrata è ricoperta da un leggero velo di barba bionda; i capelli, del medesimo colore, sono corti sui lati e si infoltiscono sopra la testa; il naso dritto e le labbra piene completano un’opera già quasi al limite della perfezione. Il dettaglio che veramente cattura la mia attenzione, però, è il colore dei suoi occhi. Una tonalità incredibile di verde chiaro che si mischia all’azzurro del mare, creando una sfumatura che non ho mai visto prima.
Lo viviseziono con lo sguardo e lui sembra fare lo stesso. Io rimango senza fiato, mentre lui sembra solo infastidito. Quella bellissima sfumatura si rabbuia, incastonata in uno sguardo severo. «Posso aiutarti?».
Il suo aspetto da adone surfista mi ha seccato la bocca e ha rubato tutte le parole che ho imparato in diciassette anni di vita. Faccio un passo un po’ traballante in avanti, accorciando la distanza tra noi e rendendo più evidente la sua statura. È abbastanza alto da farmi sembrare un’oliva. O un hobbit.
«Se devi fare un regalo abbiamo un’ampia varietà di gift cards» mormora con voce profonda e con uno strano accento.
In qualche modo ritrovo la voce. «No». Non mi ricordavo di avere questo tono squittente. «Non voglio una gift cards».
Mi squadra, di nuovo, dall’alto al basso. «Il tuo ragazzo che tavola usa?» fa una pausa che non so come interpretare «Lunga o corta?».
Aspetta un secondo. Perché quel tono accondiscendente? «Il mio ragazzo non fa surf».
Si posiziona dietro il bancone e smette di guardarmi. «Il negozio di bikini è quello accanto». Con le lunghe dita, digita sulla cassa e apre il carrello con i soldi. «Oppure devo cambiarti dei soldi?».
Mi avvicino e, involontariamente, mi vedo riflessa in uno specchio ovale. Il miniabito smeraldo mi sfiora le cosce e mi lascia scoperta la schiena, i sandali con la zeppa mi alzano di qualche meraviglioso centimetro e la borsa di marca bianca mi dondola sull’avanbraccio. Ho legato i lunghi capelli castani in una treccia a spina di pesce, che mi scivola lungo la spalla e sul seno.
La ragazza che mi osserva di rimando mi indica l’ovvietà che sto cercando di non notare. «Questo è un negozio di tavole da surf».
Il bel ragazzo mi fissa sbattendo le ciglia chiare. «Sembra proprio di sì, quelle cose sugli stand dovevano fartelo intuire» agita la mano «Non preoccuparti, può capitare di non notarle».
Il suo sarcasmo mi fa stringere i denti. «Dovresti capire la mia confusione, da quando sono entrata non hai fatto nessuno sforzo per cercare di vendermi una tavola». La rabbia ha trovato le parole che il suo bellissimo viso aveva fatto evaporare. «Quello che mi chiedo è: sei un pessimo commesso o semplicemente un grandissimo stronzo?».
«Scusami?».
Inclino la testa e cerco di usare il suo stesso tono accondiscendente. «Fai bene a scusarti, il tuo servizio è pessimo. Cosa ti fa pensare che non so surfare?».
Mi squadra di nuovo. I suoi occhi si soffermano sullo smalto rosa, sulla borsetta e sulle zeppe. «Diciamo che è un po’ tutto l’insieme che me lo ha fatto capire».
Schiocco la lingua. «Mi dispiace sgonfiare la tua bolla misogina ma anche le donne sanno fare surf».
Si sporge in avanti. «Non ho mai detto il contrario, tesoro, l’ho pensato solo di te».
Stringo le mani lungo i fianchi, cercando di non alzare la voce e di non sbattere i piedi a terra per la frustrazione. «Sei uno stronzo, te lo hanno mai detto?».
Alza le spalle. «Molte più volte di quante pensi».
Il campanello trilla di nuovo e nonna irrompe nel locale come un tornado. «Violet, stellina, hai trovato qualcosa che ti piace?» mi affianca e mi stringe le spalle con un braccio «Oh, ciao, Ashton! Come va, caro? Tuo nonno?».
Lui sforna un sorriso da capogiro che lancia altra benzina sul fuoco. Non si può essere così belli e così stronzi allo stesso tempo. «Aloha, signora Walker. Sto bene, grazie e lei? Mio nonno è alla clinica come al solito».
Lei mi accarezza la spalla. «Vedo che hai conosciuto mia nipote, Violet. Si è appena trasferita qui dalla Florida, vivrà a casa mia insieme alla sua famiglia». Nonna abbassa lo sguardo su di me «La tavola che ti ho regalato qualche ora fa l’ho presa qui, le fa Ashton».
Oh, meraviglioso. La stupenda shortboard proviene dalle stupende mani dello stronzo galattico. «Ora capisco come mai non mi ci trovo» sospiro. Nonna mi guarda confusa quando la tiro verso la porta. «Andiamocene, non voglio niente che è qui dentro».
 
Con ancora i capelli umidi e un po’ di sabbia nel costume, tiro fuori le padelle e le pentole. La cucina della nonna è così ampia e ha così tanti armadietti che non sono sicura se riuscirò mai a provare ogni utensile che è stipato qui dentro.
«Dammi una buona ragione» sospira mentre cerco la pasta.
«Perché non ne abbiamo bisogno» brontolo aprendo un pacco di spaghetti.
Appoggia le mani sui fianchi. «Sì, invece. Stephanie si limiterebbe a fare le pulizie, a cucinare, a lavare…».
«No, nonna» ribatto interrompendola «Non ci serve una domestica, possiamo occuparci di tutto da soli».
«Tua madre…».
Mi giro di scatto, lanciando spaghetti su tutta l’isola di marmo. «Lo so! Lo so. Tra pochi giorni inizierà il trattamento e sappiamo quanto è costoso. Tutta la fisioterapia, i bastoni per camminare e l’infermiera che le servirà più avanti costeranno davvero tanto, non voglio sperperare soldi in qualcosa che Garrett, papà e io possiamo fare gratis».
«Stellina» pigola «Non devi occuparti di tutto tu».
Raccolgo la pasta. «Sì, invece. Non devi preoccuparti, abbiamo tutto sotto controllo. Papà inizia il nuovo lavoro domani mattina, tra una settimana la scuola e l’asilo di Poppy, mentre Garrett rientra all’università tra due. Abbiamo fatto tutti i nostri piani, nonna, è tutto già organizzato».
I suoi occhi azzurri si fanno tristi. «Siete solo due ragazzi, dovreste vivere con meno peso sulle spalle. Io voglio aiutarvi».
Non ha idea di quanto vorrei togliermi tutti i macigni che mi schiacciano il petto. «Vuoi aiutarmi? Vieni a tagliare la cipolla».


Nonna non sa cucinare. Proprio per nulla. Ho il sospetto che questa sia davvero la prima volta che taglia una verdura che non è stata già cucinata da qualcuno. Ho seriamente paura che insieme ad un pezzo di cipolla tagli via anche un pezzo di dito. Cerco di lanciarle un’occhiata ogni tanto, ma la mia concentrazione si divide tra i fornelli e Poppy seduta al tavolo.
Sbuffa per la terza volta di fila. «Perché?».
Il foglio che le ho messo davanti dieci minuti fa è ancora intonso. «La scuola materna vuole che ti presenti alla maestra e alla classe. Devi scrivere il tuo nome, da dove vieni e cosa ti piace».
Inclina la testolina e i codini castani dondolano. «Perché?».
Alzo lo sguardo verso il soffitto bianco e conto fino a tre. «La maestra vuole conoscerti così può capire che sei una bambina stupenda e così potrai farti tanti amici nuovi».
Allontana il foglio. «Mi piacevano gli amici di prima».
Sì, anche a me. «Cosa dice sempre la mamma?».
«Un amico è la cosa più preziosa che tu possa avere, e la cosa migliore che tu possa essere» cantilena.
Giro il sugo con la paletta di plastica. «Esattamente, quindi fallo».
Si alza in piedi sulla sedia guardandosi intorno. «Dov’è papi?».
«Anche lui sta facendo i suoi compiti per il lavoro» spiego.
Scende dalla sedia e zampetta fino alla porta che conduce al salotto. «Poppy dove pensi di andare? Non hai finito».
Garrett la intercetta prima che possa darsi alla fuga. La prende in braccio e se la appoggia sulla spalla come se fosse un boccione dell’acqua. «Dove scappi, scimmietta?». Lei ridacchia come una delle ochette con cui di solito Garrett esce. «Ti lascio al comando dieci minuti e questo è il risultato?». I suoi occhi castani scandagliano la stanza mentre posa il vassoio sul bancone della cucina. «Poppy non ha scritto niente e hai dato un arma da taglio alla nonna».
Lei gli lancia un’occhiataccia. «Ehi!».
Il suo tono da saputello mi irrita il sistema nervoso. «Voleva dare una mano».
Rimette Poppy sulla sedia. «Volevi fargliela aggiungere al sugo?» mi sposta lontano dall’angolo cottura «Aiuta Poppy, alla cena ci penso io».
Faccio come dice, cercando di non sembrare offesa. «Mettici il sale questa volta».
Scuote la testa e i riccioli scuri ondeggiano. «Il sale stringe le arterie, vuoi morire giovane?».
Essendo stata degradata, mi siedo vicino a mia sorella. «Il sale da sapore alla vita»
Fa saltare le verdure come un cuoco provetto. «Ne riparleremo quando avrai le coronarie raggrinzite». Osservo la sua schiena ampia mentre si muove con maestria tra i fornelli. Con delicatezza accompagna la nonna verso una sedia e si impadronisce completamente della cucina. Con lui è sempre così, Super Garrett sa fare tutto e lo sa fare alla perfezione. Studente modello, figlio modello e noioso modello.
Non è sempre stato così, una volta sorrideva molto di più. Era divertente e un gran combina guai. Dalla diagnosi della mamma sembra aver perso completamente il senso dell’umorismo.
Non che sia colpa sua, essendo il più grande papà lo ha caricato di molte responsabilità e di doveri. Ha abbandonato il suo sogno di diventare un giocatore di football professionista e si è messo a studiare infermieristica.
Il suo nuovo piano? Diventare un infermiere e aiutare la famiglia ad affrontare tutto ciò che verrà.
«Vee» Poppy mi tira il braccio «Ho scritto bene?».
Smetto di fissare mio fratello e prendo il foglio. «Mi chiamo Pearl King, per gli amici Poppy. Ho cinque anni e mezzo. Vivevo a Orlando, in Florida. Mi piacciono i coccodrilli e le caramelle» la sua calligrafia disordinata e storta mi fa sorride «Direi che è perfetto, che ne dici di farci un bel disegno di un alligatore? Così la maestra saprà che hai un sacco di talento artistico».
Afferra un pastello verde. «Come lo faccio? Mentre mangia qualcuno?».
Garrett scola la pasta. «Qualcosa di meno cruento? Magari mentre sorride».
Lei lo guarda come se fosse scemo. «I coccodrilli non sorridono».
«Non ha tutti i torti» esalo con un sorrisino.
Garrett mi guarda storto. «Continui dopo, Poppy. Apparecchiate».
 
Busso sullo stipite di legno dello studio. Papà siede curvo davanti al computer e si massaggia il viso. I capelli neri e mossi si ingrigiscono lungo le basette, ha un leggero velo di barba incolta e gli scuri sono opacizzati da un velo di stanchezza.
«Ehi, mi amor» sospira.
Avanzo verso la scrivania e gli appoggio il vassoio sul tavolo. «Garrett ha fatto la pasta con le verdure».
Annusa l’aria che proviene dal piatto. «Ha cucinato lui? Niente sale, quindi».
Da dietro la schiena tiro fuori un bustina. «Ho dovuto fare un incredibile gioco di mano per riuscire a rubarlo».
Si posa una mano sul petto. «Sei la mia salvatrice».
Ridacchio. «Puoi venire a mangiarla di là, Poppy vuole farti vedere il coccodrillo che ha disegnato. Garrett pensa che sia un po’ cruento, io lo trovo molto verosimile».
Scuote lentamente la testa e indica il computer. «Ho un sacco di cose da fare, mi amor, scusami».
«Tranquillo» sospiro.
Prende un forchettata e continua a schiacciare i tasti. «Tua madre ha mangiato?».
Annuisco. «Garrett le ha portato qualcosa prima di cucinare per noi, ora sta riposando. Il viaggio in aereo l’ha un po’ scombussolata».
Annuisce, ma dal modo in cui fissa lo schermo so di aver perso completamente la sua attenzione. «Bene».
Papà è un avvocato e il cambio di studio lo ha riempito di lavoro, oltretutto il trasferimento ha portato con sé un sacco di documenti e di cose di cui vuole occuparsi solo lui. Non è la prima volta che mangia da solo davanti al computer e non sarà di certo l’ultima.
Mi allontano silenziosamente e mi chiudo la porta alle spalle. Nonna e Poppy siedono sul divano intente a mettersi lo smalto a vicenda, mentre Garrett fissa il telegiornale con la fronte corrugata.
Il campanello rimbomba prima che possa sedermi accanto a loro. «Ti dispiace vedere chi è, stellina?» domanda nonna.
Mi appresto al portone di legno e lo spalanco. Mi ci vuole qualche secondo per rendermi conto che in piedi sullo zerbino c’è lo stronzo del negozio di surf. Ci fissiamo come la prima volta che ci siamo visti. «Oh!» mormoro «Pensavo di aver aperto la porta di casa, non quella che conduce all’inferno. Colpa mia». Prima che possa dire qualsiasi cosa, gliela sbatto in faccia con un sonoro tonfo.  
Faccio per andarmene, ma il campanello suona di nuovo. Afferro di nuovo la maniglia e riapro la porta. «Si può sapere cosa vuoi?».
La ragazza davanti a me sobbalza come se le avessi sparato. «S-scusami».
«Scusami tu» biascico «Pensavo fossi un'altra persona, di solito non sono così scorbutica».
Si sposta una ciocca bionda dietro l’orecchio e arrossisce. «Lo avevo intuito» con il pollice indica il ragazzo che le sta a qualche passo di distanza «Mio fratello mi ha detto che vi siete già conosciuti». Lei mi porge la mano «Mi chiamo Kylie Bennett e lui è Ashton, viviamo nella casa qui accanto».
È proprio vero quello che dicono, le sfighe non vengono mai da sole. Le stringo la mano. «Io sono Violet, piacere».
I suoi occhioni verdi mi scandagliano, proprio nello stesso modo in cui ha fatto suo fratello. Ma invece del disgusto, lei sorride in modo adorabile. «Nostro nonno ci aveva avvisato che sarebbero arrivati i nipoti della signora Walker ma non mi aspettavo che fossi tu».
Sbatto le palpebre confusa. «Ehm?».
«Sei UltraViolet» squittisce «Ho visto quasi tutti i tuoi contest». Oh. Sa chi sono. «Sei una delle migliori surfiste sotto i diciotto anni di tutta la Florida e ora che sei qui sbaraglierai la concorrenza come nulla».
«Io non partecipo più ai contest» borbotto.
Kylie sembra non sentirmi. «È vero che alle Hawaii ci sono i migliori surfisti del mondo ma tu sei tra di loro e sei qui, è meraviglioso!».
Ashton si avvicina e le da un colpetto. «Okay, Kylie, smettila di mitragliarla. Non vedi che non ti sta dietro?».
Pensa che io sia stupida? Perché ha la faccia così bella? E perché è così arrogante?
«Ky? Ashton?» un signore si avvicina seguendo il sentiero di sassi.
«Siamo qui, nonno» risponde Ashton.
Un uomo dell’età della nonna si appresta ai nipoti. La barba bianca e lunga e incolta, i capelli grigi gli arrivano fino alle spalle e ha il viso segnato dal sole.
Nonna mi arriva alle spalle. «Violet perché sei ancora sulla porta? Ti stanno tenendo in ostaggio?» incontra gli occhi verdi dell’uomo e sorride. «Silas, che bella sorpresa. Cosa fate qui?».
L’uomo le porge una pirofila di ceramica. «I ragazzi e io vi abbiamo fatto una torta. In realtà è stata principalmente Kylie, ma noi abbiamo aiutato. Volevamo dare il benvenuto sull’isola alla tua famiglia».
Nonna mi spinge dentro casa. «Entrate, forza».
La famiglia Bennett si inoltra nell’ingresso sontuoso e strabuzza gli occhi. I loro sguardi viaggiano dal soggiorno moderno, al soffitto alto, fino alla scalinata di legno.
Poppy e Garrett si alzano e si presentano. Dopo il solito convenevoli ci sediamo tutti sul divano con una fetta di torta all’ananas in mano. Io mi ritrovo incastrata tra Ashton e mia nonna. Lei non fa altro che snocciolare informazioni inutili sui suoi nipoti adorati e lui fissa la casa con quel suo cipiglio critico.
«Garrett andrà alla Hawaii Pacific University, è al secondo anno di infermieristica» cinguetta «Poppy è all’ultimo anno di asilo, mentre Violet verrà nella vostra stessa scuola».
Kylie si illumina. «Lunedì prossimo posso farti fare un tour della struttura, se vuoi».
Le sorrido. «Sarebbe magnifico».
Nonna mi da un colpetto sulla spalla. «E tu che avevi paura di non conoscere nessuno. Ora ci sono due visi familiari e amichevoli in mezzo alla folla».
Solo uno mi sembra amichevole.
Nonna mi stringe la gamba con impeto. «Mi è venuta un’idea straordinaria!». Oddio, ti prego, no. «Domani avevi in programma dipingere la stanza e di montare i mobili, vero?». Annuisco lentamente. «Ashton potrebbe aiutarti».
«No!». Ashton e io sbottiamo nello stesso istante. Almeno su qualcosa abbiamo lo stesso parere.
«Non ho bisogno di aiuto» ribatto più piano «So arrangiarmi».
Nonna non desiste. «È lui che fa tutte le tavole del negozio. È un tuttofare eccezionale, ci sa proprio fare con le mani».
Spero che tutte le immagini colorite che mi sono saltate in mente non abbiamo fatto arrossire come suppongo. «Davvero non serve».
Silas si schiera dalla parte sbagliata. «Io penso sia un’idea magnifica». Lancia un’occhiata strana verso il nipote che dopo un lungo sospiro sofferente, annuisce. «Va bene».
Ormai in minoranza, non posso far altro che acconsentire.
È proprio vero, la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo. E prende la mira anche con il buio.    

 
   
 
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