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Autore: ChrisAndreini    29/07/2020    0 recensioni
[Storia partecipante al Contest "Villain’s Ballad" indetto da _Vintage_ sul forum di EFP]
Anahola, Kauai, metà Maggio. Una missione come le altre, o una vacanza inaspettata, che però porta con sé un profondo conflitto interiore e un incontro davvero singolare per May e le sue coinquiline.
DAL TESTO:
"Uno sparo.
Era da lì che cominciava sempre. L’impatto uditivo era stata la prima cosa che aveva sentito, mentre l’aria iniziava ad abbandonarle i polmoni, e gli occhi erano chiusi a metà e appannati dalle lacrime.
Era il terzo sparo che aveva sferzato l’aria quella calda notte di maggio, ma era l’unico che la bambina di sette anni premuta con forza nel pavimento ricordava. Forse perché era stato talmente vicino da assordarla qualche minuto. Forse perché le aveva cambiato la vita davanti agli occhi. O forse c’era un motivo più profondo che la portava a ricordare solo ed esclusivamente quello sparo"
Genere: Angst, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Anemone

 

 

May era riuscita a svegliarsi e tornare in possesso del corpo solo due giorni dopo aver riconosciuto Draven. Margo le aveva preso il posto quasi subito dopo le presentazioni, e May aveva cercato di riprendere il comando per chiamare Rachel, ma non ci era riuscita subito. 

Alla fine però ritornava sempre, era la sua natura di protettrice principale, e al momento stava aspettando che il capo le rispondesse per essere sicura sul da farsi. Non era stata informata precedentemente di essere in missione, e le dava fastidio che Rachel non l’avesse avvertita.

Nell’attesa, leggeva un biglietto di Sammy che era arrivato a Margo nel lasso di tempo che aveva passato addormentata, accompagnato da un enorme bouquet di fiori.

A May non stava simpatico il biondo, sia chiaro, ma aveva iniziato a considerarlo, questo sì. Un po’ come considerava Marika, Margo e le altre. Non è che avesse o volesse un rapporto stretto con loro, ma esistevano e avevano un contatto con lei, ed erano poche le persone ad essere arrivate a tanto. E la maggior parte di queste persone le considerava principalmente per necessità, e lavoro, perché erano un pericolo o un obiettivo.

Sammy era l’unica, oltre alle sue personalità, a Rachel e a sua sorella Martha, che considerasse in maniera non necessariamente negativa.

Sammy era quindi una peculiarità. Anche vagamente gradevole, a dirla tutta. Non le accadeva da molto tempo.

Era una delle poche persone che sembravano sorridere intendendolo davvero, non salutava solo perché era educato farlo, e parlava in un modo che non rendeva necessario anche agire. Una persona, quindi, affidabile, che forse non l’avrebbe pugnalata alle spalle. E molto ingenua, quindi per niente pericolosa.

-Margo, a cosa devo questa costosa chiamata internazionale?- la voce melliflua dall’altra parte del telefono che teneva appoggiato all’orecchio distolse May dai suoi pensieri, e la ragazza mise il biglietto in tasca, tornando concentrata sulla missione.

-Sono May, ho chiamato per chiederti informazioni- spiegò, prendendo in mano la pistola che aveva deciso di tenere accanto a sé almeno per un po’, e che l’aiutava sempre a restare del tutto concentrata. Era abituata a sentirsi chiamare Margo, ma non ne era una grande fan. Avrebbe voluto avere un telefono tutto suo così che Rachel esordisse con il suo vero nome, quando la chiamava. Ma sapeva che fosse un pensiero decisamente frivolo.

-Informazioni? Da quando sei così curiosa?- Rachel ridacchiò. Rideva spesso, quella donna. E sorrideva costantemente, anche nelle situazioni peggiori. May non la capiva, a volte la detestava pure, ma la ammirava, questo sì. Era una donna temibile, potente e carismatica. E le aveva salvato la vita, quindi non poteva che essere in debito con lei per il resto dei suoi giorni.

-Ho visto Draven il disertore- le comunicò, semplicemente.

La linea si fece per un attimo silenziosa.

-Quando?- chiese poi Rachel, ad un tratto con voce molto più seria.

-Due giorni fa, in un bar. È venuto a trovare il fratello minore, a quanto pare- May era ancora irritata per come era venuta a sapere di tutto quanto. Certo, lei non doveva avvicinarsi a Sammy in generale. Ma sapere che il tipo con il quale accidentalmente era entrata in contatto fosse una marionetta nelle mani di Rachel e Margo non la faceva impazzire. E non sapeva bene il perché.

-Strano, Margo non mi ha informata- commentò Rachel, sospettosa.

-Sono stata io a vederlo, non lei. E poi non mi sono più svegliata fino ad ora- May cercò di difendere la personalità dominante, pur consapevole che Margo aveva visto benissimo Draven. Chissà perché non aveva informato Rachel. Non importava, in fondo. L’importante era che Rachel non la punisse.

-Capisco. Sono felice che si sia presentato. Iniziavo a temere che aveste fatto un viaggio a vuoto. Dovevi restare ancora qualche giorno, ma occupati del disertore oggi stesso e prendi il primo volo per Los Angeles. Ti attenderò lì- ordinò Rachel, secca e decisa.

-Check in, lavoro e aereo, come al solito?- chiese May, segnando mentalmente di ricordarsi di far hackerare da Margo l’ora del check in per crearsi un buon alibi.

-Sì, come sempre- il tono di Rachel era di congedo, ma May non aveva ancora finito.

-Perché non mi hai informata prima di partire?- chiese in fretta, prima di pentirsi della propria domanda, e prima che Rachel chiudesse la chiamata.

La donna fu presa in contropiede. Non si aspettava che May continuasse la conversazione.

-Non ero certa che avresti lavorato, non pensavo fosse importante- disse con semplicità. Lei aveva sempre una risposta pronta. E nessuno doveva permettersi di mettere in dubbio i suoi piani.

-Vuoi forse dirmi che è stato solo un caso?- May era scettica. Aveva imparato in fretta che le coincidenze non esistevano. 

-Stai questionando i miei metodi?- il tono di Rachel si fece pericoloso. Non conveniva contraddirla.

-Dico solo che dovrei essere informata su ogni missione, tutto qui- era sempre stato così. Era anomalo che Rachel avesse cambiato il modus operandi.

-Era una semplice missione alla ricerca di informazioni. Margo era l’unica a conoscenza dei dettagli, dato che l’avevo messa a fraternizzare con il fratello dell’obiettivo. Non mi sembrava il caso di coinvolgere anche te, fine della storia- la donna dall’altra parte usò un tono freddo e di congedo. Non sarebbe stata indulgente ancora per molto.

Ma May aveva altre domande. Di solito era Marika a cercare informazioni. Seduceva gli uomini e si faceva dire tutto quello che sapeva. Margo si occupava di ricerca informatica, non sul campo. E May era il braccio violento che si occupava del lavoro sporco. Insieme erano il pacchetto completo per ogni organizzazione criminale. Tre in una, un vero affare. Un’ottima arma.

May combatté con forza l’istinto di chiedere perché Marika non fosse scesa in campo, perché sapeva che se l’avesse fatto sarebbe stato pericoloso, ma ci pensò la diretta interessata a chiederlo per lei.

Era quasi sveglia da un po’, e probabilmente aveva sentito gran parte della conversazione. La voce di Rachel era un trigger per lei. Tendeva sempre a venire fuori o essere almeno in co-coscienza quando la sentiva. May non capiva perché le fosse così devota. Ma bisognava ammettere che May non sapeva quasi nulla del rapporto di Marika e Rachel. Non era presente, dopotutto, alla maggior parte delle loro conversazioni.

-Racchy! Perché non hai chiesto a me?! Avrei ottenuto tantissime informazioni!- obiettò, prendendo il controllo, e spingendo May nel sedile del passeggero della loro mente.

-Marika, cara. Non ne dubito, ma Margo ha un approccio più discreto. Dovevamo cuocerlo a fuoco lento, non spremerlo in una notte- spiegò Rachel, facendosi leggermente più comprensiva, ma ancora parecchio irritata.

Marika non apprezzò particolarmente quello che sentì.

-Sono capace di cuocere un uomo a fuoco lento. Devi solo darmene l’occasione!- obiettò, facendo il muso, e allontanando da sé la pistola, per evitare che May prendesse il controllo. May non ne aveva la minima intenzione, anche se era sempre pronta a farlo.

Rachel scoppiò a ridere, fredda e spietata. Marika si strinse nelle spalle, un po’ a disagio.

-Tesoro, di questo dubito fortemente- il tono era crudele e malevolmente divertito -Il giorno in cui non salterai addosso alla prima persona che vedi sarà lo stesso in cui gli asini inizieranno a volare- aggiunse poi, molto più tra sé, ma facendosi comunque udire.

“Beh, non ha torto” commentò May, rivolgendosi però solo a Marika, e non facendosi sentire da Rachel. 

-Io sono in gamba…- sussurrò Marika, iniziando a giocherellare con un fiore dorato presente nel bouquet di Sammy.

-Certo, cara. In gamba nel conquistare le persone. In questo sei perfetta, lo sai. Ma necessitavo di un approccio più delicato, e sai bene che Margo è perfetta in questo- Rachel tornò più comprensiva, e Marika si risollevò leggermente.

-Certamente, ma, visto che siamo in argomento, posso rendermi utile in altri modi, sai? Hai detto che sono aggressiva, posso esserlo anche in ambiti diversi. Perché non affidi a me il disertore? Non ti deluderei, e May si è affezionata al fratello, è diventata inaffidabile!- Marika cercò di conquistarsi ulteriore favore dalla donna, che però iniziò ad irritarsi sul serio.

-Non è il tuo compito, Marika. Una volta a casa ci saranno altre missioni più adatte a te. Ora lascia le redini a May e torna a dormire- ordinò, in tono fermo che non ammetteva repliche.

E lentamente May sentì Marika farsi da parte.

Finalmente.

-Concludo la missione- disse a Rachel, dopo qualche secondo speso a prendere del tutto il controllo, professionale nonostante il mal di testa. Era sfiancante girare nella mente in modo così mutevole. Come se ci fosse un tornado interno.

-Bene. Non lasciare tracce- concluse Rachel, chiudendo la chiamata senza salutare.

May intascò il telefono, facendo cadere inavvertitamente il biglietto di Sammy, poi iniziò a preparare l’occorrente, sperando di togliersi dai piedi il lavoro il prima possibile. Almeno poteva tornare a casa. Improvvisamente era più concentrata, e anche più indispettita, anche se non ne sapeva il motivo. Probabilmente non le piaceva assistere alle diatribe tra Rachel e Marika, perché non amava le diatribe in generale soprattutto quando coinvolgevano due persone che sotto sotto detestava. 

“Io non sono una prostituta” sentì una lamentela nella testa, e sbuffò, seccata.

-Certo che non lo sei- disse sarcastica, per niente decisa ad avere una conversazione mentale con Marika in quello stato e con quello che doveva fare. 

“No, non lo sono! Essere un alter sessuale non mi rende una prostituta. Voglio solo…” Marika si interruppe, e May sperò non continuasse. Speranza vana “…Io sono più di questo. E voglio solo che, una volta tanto, mi venga riconosciuto”.

-Marika, siamo nate per uno scopo, e il tuo scopo è impedire che Margo viva momenti traumatizzanti di genere sessuale. E il pacchetto sembra comprendere anche essere fin troppo piena di te e non accorgerti di non essere altro che un oggetto creato per uno scopo- May iniziava a non sopportare più le uscite esagerate e melodrammatiche di Marika. E sperava che si arrabbiasse al punto da tornare per un po’ a dormire nel palazzo mentale.

-Io non sono un oggetto!- esclamò invece Marika, fisicamente, e facendo piangere il corpo.

May riuscì a prendere la pistola e tornò in pieno controllo.

-Puoi avere una crisi esistenziale nel bagno dell’aereo, nel palazzo mentale o che so io e lasciarmi lavorare, adesso?!- chiese, sbattendo il pugno contro il tavolo.

Marika si ritirò suo malgrado.

“Vorrei che tu non fossi mai nata” disse a denti stretti. Erano in due a pensarla così, ma May non le avrebbe mai dato la soddisfazione di ammetterlo. May era una combattente, una che sopravviveva ad ogni costo, e non poteva permettersi di apparire debole e incerta sulla propria vita. 

-Sareste morte, probabilmente- le fece notare. 

Era la protettrice, dopotutto. Era il suo preciso dovere mantenerle in vita.

“Meglio morta che invisibile” borbottò Marika, facendo fare al corpo una linguaccia.

-Melodrammatica-

“Assassina”

May sospirò, e prese la testa tra le mani, aspettando che se ne andasse prima di continuare con i preparativi. 

Sapeva che il commento di Marika era serio. Avrebbe preferito morire che essere invisibile, ma non voleva soltanto attirare l’attenzione. Voleva l’unica cosa che mai aveva potuto avere: essere libera. Unica, non vincolata in un corpo che possedeva solo qualche ora al giorno, se tutto andava bene. Dove era mora anziché bionda, dove era costretta a tenere i capelli lunghi perché Margo voleva così, e dove doveva sempre fingere di essere un’altra persona per non essere vista in modo diverso. 

Era un desiderio che tutte loro, almeno una volta nella vita, avevano avuto.

Tranne forse Margo, perché era l’unica ad avere controllo quasi totale su tutto. L’unica che era una persona vera, e non un semplice frammento. Non un riflesso incompleto di uno specchio spezzato.

Marika se ne andò. Il mal di testa stava diventando lancinante, e May sentiva che anche qualcun altro stava cercando di prendere il controllo. Margo, probabilmente. 

“…May…” la persona a prendere il posto di Marika, però, fu l’ultima che la citata si sarebbe aspettata.

-Maya?- chiese, sorpresa.

La personalità traumatizzata. Colei che viveva per prendere tutto il dolore che la vita buttava addosso a Margo, senza battere ciglio.

Lei e May erano i due poli opposti della protezione: quella che si arrendeva per attutire le conseguenze e quella che combatteva fino alla fine. 

Sebbene Maya fosse nata molto prima di May, aveva ancora l’età di una giovane adolescente. Era rimasta la piccola Margo che ogni giorno subiva le percosse del padre, cercando di evitare che la gemella subisse altrettanto. Quella Margo cresciuta troppo in fretta. Erano però lontani i giorni in cui era la più grande del sistema.

E dopo la nascita di May, raramente usciva fuori. Non era necessario, e si trovava molto meglio nel palazzo mentale, addormentata o a prendersi cura di Maddy e giocare con lei. Al sicuro dal pericoloso mondo esterno.

Se era in co-coscienza con May significava che la faccenda era molto seria, per lei.

“Non ucciderlo” sussurrò Maya con voce piccola e sfuggente.

May ormai era così abituata alle urla di Marika, che ci mise parecchio a decifrare quelle due parole.

-È il mio lavoro- obiettò, addolcendo però il tono. Era inconscio, ma non riusciva ad essere brusca con Maya e Maddy. Beh, non aveva mai parlato con Maddy se non di sfuggita, ma era una bambina. Non si poteva essere bruschi con i bambini. Neanche May era così crudele.

“Ti prego, non uccidere Sammy” la supplicò Maya. May la sentì un po’ meglio, ma non capì il motivo di quella richiesta. Non era Sammy l’obiettivo, ma suo fratello. Non aveva motivo di uccidere anche lui. 

…A meno che non si fosse messo in mezzo, o non avesse scoperto la faccenda. Cosa probabile effettivamente.

Finché Maya non gliel’aveva fatto notare, non aveva proprio pensato a Sammy. Esitò, e Maya continuò.

“Lui è gentile con noi. È l’unico ad esserlo. Ti prego, non ucciderlo. Non lo merita” la voce iniziava a farsi più forte, e May le lasciò più spazio, mentre la sua mente iniziava a preoccuparsi di qualcosa che non credeva avrebbe mai dovuto affrontare: tenere in vita qualcuno fuori dal sistema.

Maya aveva ragione, Sammy non meritava di morire. Era irritante, ma era degno di nota. Ed era la prima persona che non si era spaventato di loro. 

Lo sguardo di May tornò sul biglietto a terra, e fece per prenderlo, rendendosi conto però che le mani erano impegnate a graffiarle le braccia.

-Smettila, Maya!- si affrettò a prendere il controllo del suo corpo, e prese di nuovo in mano la pistola, per allontanarla dal sedile del guidatore.

“Scusa, ma, non…” Maya odiava le armi, ma non erano efficaci a scacciarla. Doveva uscire lei se veniva minacciata da esse, dopotutto. Anche se May usciva molto più spesso.

-Non ucciderò Sammy! Non è nel mio interesse- la rassicurò, pianificando nella sua mente come tenerlo lontano.

Iniziava davvero a stancarsi. Non era abituata a stare così tanto sveglia con così tante persone che cercavano di prenderle il controllo dalle mani.

Chiuse gli occhi, e cercò di liberare la mente.

Il biglietto di Sammy restò a terra, mentre Maya tornava dentro e May riprendeva con difficoltà il controllo esclusivo. 

Il mal di testa diminuì di intensità.

May si alzò, preparò le valige e elaborò un piano per finire il lavoro senza toccare Sammy, almeno non fisicamente.

Era la migliore assassina di Los Angeles. Doveva essere un gioco da ragazzi, per lei.

***

Draven si era rivelato molto più determinato di quanto May si aspettasse. Ma almeno la sua paranoia aveva aiutato molto la ragazza a non avere testimoni.

Evidentemente l’aveva riconosciuta, o aveva sospettato il suo coinvolgimento con la gang di Rachel, e aveva cercato di coglierla in un’imboscata.

La conseguenza era che ora May aveva una ferita al braccio, e Draven aveva sporcato quel vicolo e i suoi vestiti di sangue.

May ne era piuttosto infastidita, quella era una delle magliette più comode che aveva per i lavoretti di Rachel, e ora era diventata inutilizzabile. 

…Cavolo, stava parlando come Marika.

Forse perché Marika aveva provato a interferire durante la colluttazione facendole perdere la concentrazione ed era poi scappata in un angolo remoto della mente di May quando si era resa conto del rumore assordante, del sangue e dell’adrenalina che quella situazione stava causando.

May non la biasimava per la sua codardia. Marika era nata per stare in compagnia, non per ucciderla.

Non era durato molto, massimo due minuti, ma poteva essere abbastanza per attirare l’attenzione di qualche curioso, anche se la zona era decisamente isolata, quindi doveva fare in fretta a nascondere il corpo, darsi una ripulita, e scappare.

Tolse dei ciuffi vaganti che le erano scesi sul viso, e si alzò per guardare meglio l’uomo supino a terra, affondato in un mare di sangue che si espandeva intorno a lui. 

Di solito preferiva attendere le vittime in un luogo perfetto, finirle con un singolo colpo in testa e sistemarle in modo che non perdessero troppo sangue. Un lavoro pulito e veloce.

Ma Draven l’aveva anticipata, purtroppo. E aveva trovato la sua fine in modo molto più lento e doloroso.

May lo guardò per essere sicura che non facesse altre sorprese, con la pistola pronta a sparare, ma gli occhi vitrei confermarono la sua dipartita, e la ragazza decise che non avrebbe sprecato l’ultimo colpo che le era rimasto in canna per esserne certa. 

Mise la pistola dietro la schiena e si piegò su Draven, per prenderlo in braccio e spostarlo nel cestino dei rifiuti. Non aveva intenzione di farlo sparire, solo di nasconderlo abbastanza a lungo da andare via dalla città e crearsi un alibi per non destare sospetti. Ogni sua vittima era un monito per gli altri membri dell’organizzazione. Se provavano a scappare, sarebbero finiti così.

E poi tutti, anche le persone peggiori, meritavano di essere trovate, e rimpiante da coloro che le amavano. Sapere che qualcuno fosse morto era molto meglio di non averne la certezza.

E Sammy voleva così bene a suo fratello…

No, May, concentrata. Doveva pensare alla missione, non a Sammy!

Purtroppo per tutto il mese di Maggio la ragazza era sempre distratta e incline a sentimentalismi. Maledetto mese di nascita!

Si caricò in spalla il cadavere e aprì con difficoltà il bidone dell’indifferenziata, il luogo migliore dove nascondere un cadavere. Era semplice muovere la spazzatura per metterlo sul fondo, ed era difficile che qualcuno armeggiasse tra i rifiuti e lo trovasse accidentalmente. Quella zona era davvero simile a Los Angeles. Quasi sembrava di essere a casa. Era assurdo pensare che fosse a migliaia di chilometri di distanza.

Buttò con poca eleganza il corpo nel cassonetto e si guardò intorno per controllare che non ci fossero oggetti personali nascosti dal sangue.

Diamine se odiava quell’odore metallico.

Il suono di passi lungo il vicolo la fece sobbalzare, e serrò la mano intorno alla pistola, cercando un nascondiglio.

-Allora, Drav, dove sei? Dove sei? Uffa, vieni ogni morte di papa e mi abbandoni a caso? Ah, ma io ti trovo con il telefono, così non puoi ignorarmi, brutto puzzone- sentì una voce familiare commentare tra sé a voce alta mentre passava davanti al vicolo, e il cuore di May sembrò smettere di battere per un secondo quando vide la figura di Sammy, i capelli dorati scompigliati dal vento e il sorriso onnipresente sul suo volto, che camminava con il volto piegato verso il proprio telefono proprio davanti al vicolo, concentrato e molto più allegro rispetto a come la ragazza lo aveva visto due giorni prima.

si nascose in fretta dietro il cassonetto con il cadavere, e sperò davvero, con tutto il cuore, che Sammy continuasse per la sua strada e non si fermasse. Le doveva concedere solo un minuto. Sarebbe scappata dal luogo del delitto e sparita dalla sua vita. Non le importava lasciare tutto così, senza pulire il sangue. Avrebbe avuto meno tempo per lasciare il paese, ma sarebbe comunque riuscita a scappare e a salvarsi.

Ma non voleva essere costretta a uccidere Sammy. Non poteva fare quel torto a Maya. E poi lui non se lo meritava.

“Nessuno se lo merita davvero, forse solo noi” commentò una sottile voce nella sua testa.

-Non adesso- non si trattenne dal sussurrare, stringendo la presa sulla pistola fino a farsi quasi male, e lanciando una veloce occhiata oltre il cassonetto.

Sammy si era fermato proprio davanti al vicolo, e guardava confuso il telefono.

-Che ci fa qui?- chiese, guardandosi intorno, e sgranando gli occhi quando raggiunse con lo sguardo il lago di sangue.

-Scappa- gli suggerì May, a voce così bassa che neanche lei si sentì, ma Sammy iniziò ad avanzare, più confuso che spaventato, come se non capisse cosa fosse quella enorme macchia a terra.

Succo di ciliegia, forse, o salsa di pomodoro.

-Draven!- May sentì chiamare, e si nascose maggiormente, restando più immobile possibile nella speranza di non essere vista.

Stava andando sempre peggio, e non aveva idea di come tirarsi fuori dalla situazione senza testimoni.

Il cassonetto era ancora aperto, e iniziavano ad entrare parecchie mosche.

-Draven, spero davvero che sia solo uno scherzo, ma sappi che non è divertente- la voce di Sammy era tremante, e sempre più vicina.

May portò istintivamente la pistola al petto, pronta a mirare e sparare, ma trattenendosi dal farlo.

Non si sentivano altri passi, o voci. Erano gli unici nel raggio di parecchie centinaia di metri, nel luogo più isolato e lontano dalla spiaggia di Anahola.

I passi si fecero sempre più vicini, May trattenne il respiro.

Poi sentì un’esclamazione strozzata, e qualcuno cadere a terra dopo essere indietreggiato leggermente.

E nello stesso istante, qualcosa, forse il vento, un gatto, o il karma, fece cadere una pila di immondizia, che per poco non seppellì May, che fu costretta a scansarsi, diventando visibile.

Ci fu un momento in cui l’aria sembrò farsi solida, mentre i due si guardavano. May con la pistola nascosta ma ancora coperta di sangue, Sammy a terra, tremante e sconvolto.

-M…May?- chiese poi Sammy, con un filo di voce e la gola serrata, ad occhi sgranati.

Per un attimo May si sentì riscaldare il petto. Era la prima volta che qualcuno la chiamava con il suo nome fin da subito. Non era mai accaduto che qualcuno la riconoscesse. Esordivano sempre con “Margo”. Margo qui, Margo lì, sempre, sempre Margo.

Poi si rese conto del motivo.

Era coperta di sangue, con una pistola in mano, nascosta dietro il cestino dove aveva trovato un cadavere. Il cadavere di suo fratello, a dirla tutta.

Era ovvio che non potesse essere Margo. Margo era perfetta, pura e dolcissima. May era la protettrice, scorbutica, offensiva, schizoide. Delle due, era May quella che sicuramente andava in giro con una pistola in mano ad uccidere le persone.

E ciò che ferì di più May fu che non poteva neanche biasimare Sammy, perché, in fin dei conti, era vero.

Ma non riuscì a trattenere le sue mani, che con furia improvvisa e istinto protettivo, si sollevarono verso di lui, puntandogli la pistola contro.

Sammy la fissava, il respiro pesante, gemiti terrorizzati che gli uscivano dalla gola mentre cercava di parlare, o muoversi, o capire cosa stesse succedendo, impietrito, congelato, dal terrore ma soprattutto dalla confusione che provava in quel momento.

May doveva ucciderlo, approfittare adesso che era sconvolto e ancora non si rendeva conto di cose stesse succedendo. Non poteva tenerlo in vita. Sapeva troppo, quindi ormai era un danno collaterale. Fine della storia.

Ma esitò, non riusciva a pensare lucidamente. E per la prima volta aveva paura. Non del resto del mondo, ma di sé stessa. Di quello che poteva fare, di quello che faceva quotidianamente, e dell’impatto che dava sul mondo.

Non voleva uccidere Sammy. Poteva benissimo, doveva assolutamente, ma non voleva. Ma lo doveva fare.

-Mi dispiace, Sammy- sussurrò, freddamente. Avrebbe voluto dissociarsi, ma sapeva di essere l’unica a poter premere il grilletto. Era lei quella che si sporcava le mani.

Solo che, proprio mentre stava per concludere il lavoro una volta per tutte, Sammy la lasciò di stucco.

La confusione che per tutto il tempo aveva aleggiato sul suo volto mutò in fretta in consapevolezza, incredulità, e poi terrore.

Indietreggiò in fretta, andando a sbattere contro il muro alle sue spalle.

E urlò.

E la mano di May tremò, mentre un flashback completamente fuori luogo la riportava al giorno della sua nascita, agli occhi di sua sorella, e all’urlo che aveva cacciato quel giorno.

Una terribile fitta alla testa per poco non le fece mollare la pistola e rannicchiarsi a terra.

Era sopraffatta dal dolore, dall’incertezza, dai ricordi che le salivano alla mente facendole venire la nausea.

Mentre Sammy provava ad alzarsi e a scappare, bloccato dalle proprie ginocchia di gelatina, May affrontava i suoi demoni interiori, immobile e minacciosa davanti a lui, l’unico segno del suo conflitto mentale dato dalle braccia tremanti, e gli occhi vitrei, dissociati, spaventosi.

“Uccidilo, Rachel ha detto nessun testimone” sentì la voce di Marika, spaventata, incoraggiarla a premere il grilletto.

Aveva ragione, doveva farlo. Ormai era tardi, e lei era una combattente.

“No, ti prego. Mi avevi promesso di no” la supplicò la voce leggera di Maya, distrutta, stanca, pronta ad arrendersi.

C’erano due modi in cui la situazione poteva concludersi, May lo sapeva. E in ogni caso, solo una persona sarebbe uscita da quel vicolo completamente libera.

“Non possiamo finire in prigione! May uccidilo e torniamo a casa” anche Marika era supplicante, e spaventata. La prigione la terrorizzava. Aveva bisogno di uscire, esplorare il mondo, incontrare le persone. Non poteva restare chiusa in cella.

E poi la prigione non era un’opzione. Rachel non poteva permettersi che qualcuno dei suoi uomini finisse dietro le sbarre.

“Davvero non c’è possibilità per entrambi di essere liberi?” suggerì Maya, facendo scendere per un attimo il silenzio nel sistema di Margo.

No, May si rifiutava di cedere.

Lei era una protettrice. Lei combatteva per sopravvivere, a qualsiasi costo. Era contro la sua natura arrendersi.

Era nata per questo, mentre suo padre la soffocava, dopo aver assassinato sua madre, prima che uccidesse anche sua sorella. 

La sorella che poi l’aveva ripudiata, che non vedeva da anni. L’unica che avrebbe voluto vedere. 

E che un giorno avrebbe rivisto.

Sì! Lei l’avrebbe rivista, doveva sopravvivere anche per lei!

Si avvicinò, bloccando ogni via di fuga a Sammy, e la presa sulla pistola si fece più ferma.

-Sei… sei… un’anemone- sentì Sammy sussurrare, con voce spezzata, mentre chiudeva gli occhi preparandosi al peggio, tra le lacrime salate che da un po’ iniziavano a scavargli il volto.

May non sapeva cosa significasse.

“Tradimento” le venne in aiuto Maya.

Appropriato, davvero appropriato.

Il dito sul grilletto tremava, rischiava quasi di farlo partire accidentalmente, e forse sarebbe stato meglio.

Era l’ultimo proiettile, dopotutto, perderlo avrebbe aperto nuove strade.

Ma non poteva permetterselo.

Prese un profondo respiro, cercando di liberare la mente.

Si avvicinò un po’ di più.

“May…” la voce di Margo, chiara, imponente, indecifrabile ma allo stesso tempo chiarissima, le risuonò in testa. Era un avvertimento, che May avrebbe potuto interpretare in tutti i modi, ma le portò alla mente solo una inoppugnabile verità.

Lei era un’ospite. Un oggetto, che doveva solo eseguire gli ordini e proteggere il corpo. Margo doveva decidere. E May doveva servirla. Nulla di più.

Questa era la sua vita.

…ma valeva davvero la pena viverla così?

Uno sparo.

 

***

 

Hey, Margo, ti scrivo questo biglietto per ringraziarti per avermi sostenuto durante la mia frase depressiva. E per avermi rivelato il tuo segreto, non deve essere stato facile ma prometto che non dirò mai niente a nessuno. Sei in buone mani. Per ringraziarti meglio ho realizzato questo bouquet con tutti i fiori che dai tuoi racconti mi sembra possano rappresentare le tue personalità. Purtroppo non conosco Maya e Marika di persona, ma spero di aver comunque scelto fiori di loro gradimento. Ho messo i gigli, che sono i tuoi preferiti. Per Maddy ho scelto il più grande girasole del negozio. È una bambina splendida e solare. Mer Maya dai tuoi racconti ho pensato che il bucaneve potesse essere il suo preferito, il più forte nei periodi più difficili. Avevo pensato di mettere un narciso per Marika visto il commento di May, ma mi sono astenuto perché non penso le piacerebbe molto. Così ho deciso di Alstroemeria, il giglio del Perù, perché mi da l’idea di una persona devota ed esotica. Infine per May ho avuto un po’ di difficoltà a scegliere il fiore giusto, ma alla fine ho optato per l’ortensia. Non mi hai dato indicazioni su altre eventuali personalità, quindi questi sono gli unici fiori che ho utilizzato.

Oltre all’ibisco, al centro della composizione. Quello rappresenta l’intero sistema, più o meno.

Sono fiori di vita breve, come i vostri momenti di lucidità, ma sono anche meravigliosi.

Una bellezza fugace, l’incanto di un istante

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note d’autrice: Ho amato scrivere questa storia, anche se ho paura che il finale sia troppo rapido, forse, perché in mancanza di tempo non ho avuto tempo di controllarlo troppe volte e aggiungere tutto quello che volevo scrivere. All’inizio volevo dare i punti di vista di tutte le personalità, ma poi ho preferito concentrarmi su May, la più “cattiva” per certi versi, e una delle personalità più semplici e allo stesso tempo complesse. Ho deliberatamente escluso delle conversazioni con Maddy e Margo per due motivi diversi: Maddy ha un ruolo troppo diverso da May, ed è impossibile che le due parlino, ed è anzi probabile che Maddy non sappia neanche dell’esistenza di May. Mentre Margo è il mito, l’essere perfetto, quella che controlla tutto, e volevo farla restare un mito anche per i lettori, per farla percepire come la percepisce May.

Ho fatto una grande ricerca sul disturbo dissociativo dell’identità, e spero di averlo reso nel modo migliore, con i momenti di co-coscienza, i mal di testa e la dissociazione. Un po’ mi dispiace aver resto May la cattiva perché è una malattia molto stigmatizzata, ma spero che si sia capito che è anche una vittima. Ogni personalità è studiata per essere necessaria al sistema e alle esperienze di Margo. Probabilmente Margo ne ha anche altre, ma molto più nascoste o inattive. 

Anche tutti i nomi della storia hanno dei significati particolari: 

May: mese di maggio, quando è nata, e biancospino, pianta che significa protezione dagli spiriti maligni. Indica il suo ruolo di protettrice.

Maya: Illusione, incertezza, magia. Indica il suo essere volubile, stanca, quasi evanescente nella mente di Margo. La somiglianza con il nome May è per sottolineare quanto sono simili e allo stesso tempo opposte.

Marika: Donna ribelle. Esplicativo. Vuole essere libera e sé stessa. Si ribella alle regole del sistema.

Margo: Perla. Perfetta, come tutti la vedono.

Maddy: Giovane. È una bambina.

Anche Samson e Draven hanno un significato opposto. Samson rappresenta il sole, come i suoi capelli biondi. La sua allegria e il suo ottimismo, mentre Draven significa ombre, come i suoi capelli neri. Mostra il suo agire nell’oscurità, prima nell’organizzazione e poi come disertore.

I significati dei fiori sono spiegati nella storia.

Spero davvero di aver fatto un buon lavoro, anche con i bonus. Il disturbo istrionico della personalità è quello di Marika, forse più narcisistico, ma mi sono informata e sono molto simili, però dato che la protagonista indiscussa è May, non sono del tutto certa che valga.

Probabilmente ci sono un sacco di altre cose da dire ma scriverei un papiro più lungo della storia stessa quindi mi fermo qui.

   
 
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