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Autore: Restart    29/07/2020    0 recensioni
Caterina vive il suo grande amore con Stefano. Lo sa, è certa che passerà il resto della sua vita al suo fianco. Ma lui se ne va troppo presto. Caterina si sente affondare in una spirale di dolore che rischia di risucchiarla completamente, se non fosse per l'aiuto di Andrea. Insieme cercheranno di affrontare la vita dopo la perdita di Stefano.
Secondo capitolo della serie "Per le vie di Firenze". Trovate la prima parte sul mio profilo.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Caterina non si alzò dal letto per due giorni. Non si rese conto del passare del tempo. La finestra aperta il 5 dicembre mattina rivelava quello che accadeva fuori. Firenze fuori continuava nella sua vita indisturbata, indifferente, spocchiosa. La neve candida la rendeva ancora più regale. Caterina si rigirò nelle lenzuola e guardò il lato vuoto a fianco a sé. Non avrebbe mai pensato che dormire sola, sapendo che lui non sarebbe mai tornato, sarebbe stata la cosa più difficile. La vocina di Giulio le arrivò lontana. Eppure, era proprio davanti a lei, al lato del letto. I capelli color miele ritti in capo, gli occhi ancora appiccicati dal sonno.
 «Mamma posso venire qui con te?» Caterina lo fece accoccolare contro di sé e se lo strinse al petto. A sentirlo così vicino la rilassò. Lui sprofondò nell’abbraccio della madre.
«Il babbo?» lo domandò con un tremolio della voce. Aveva capito che c’era qualcosa che non andava. Sua madre era svenuta, non si alzava dal letto, i nonni non facevano altro che disperarsi. E poi suo zio Andrea era arrivato dal niente e non gli parlava come al solito. Anzi lo guardava a lungo, e poi piangeva.
Caterina inghiottì a fatica. «Sei un bimbo grande giusto?» gli prese il mento e lo obbligò a guardarla. Il verde dei suoi occhi era così profondo, così bello. Giulio annuì.
«Bene, ne sono certa» prese un profondo respiro e pensò quale fossero le parole più adatte. Pensò a tutti quei bei discorsi melensi che aveva sentito nei film, ma le sembrarono tutti eccessivi. E allora pensò che la semplicità potesse essere la risposta più giusta. «Il babbo non torna più. Ora siamo solo noi e Lucrezia» gli sorrise, ma lui era profondamente turbato. Le sopracciglia chiare avevano formato un cipiglio.
«A Lucrezia come gli si dice?» Caterina rimase senza parole. Lucrezia. Quella che ne avrebbe sofferto di più. Almeno loro potevano dire di averlo conosciuto, mentre lei non avrebbe mai potuto farlo.
«A Lucrezia lo diremo con calma» disse piano lei, stringendolo ancora.
*
Caterina si preparò con estrema lentezza. Osservò a lungo il suo volto, bianco, smunto. Le occhiaie profonde, i capelli spenti. Prese la sua bustina con i trucchi in mano ma lo riposò subito. Non aveva le forze. Non aveva le forze per fare niente. Andrea entrò in camera. L’aspetto non era curato come al solito. Aveva la barba di qualche giorno. Cercò il viso di Caterina.
«Come facciamo Andrè?» la voce della donna era debole, soffocata. Andrea aveva un groppo in gola che non lo faceva respirare. Si limitò ad alzare le spalle. Fece qualche passo nella stanza e il suo sguardo si posò sul comodino di Stefano. Libri, riviste, gli occhiali e il suo profumo. Era rimasto tutto immobile. Era stato Stefano a buttare alla rifusa quelle cose, senza cura. Ed erano diventati dei reliquiari.
«A pensare che qualche giorno fa era qui, tranquillo, a lavorare all’ultimo libro mi prende un male che non mi fa respirare. Non vale. Non vale» lei si accasciò sulla sedia della scrivania. Non poteva andare al funerale. Non poteva dirgli addio. Non si sentiva pronta.
Andrea le prese la mano tra le sue. Tremava. Anche lui non voleva crederci. Anche lui voleva rimanere nella convinzione che Stefano non fosse morto.
«Penso che sia la cosa più giusta andare a salutarlo per l’ultima volta» lo disse con poca convinzione. Non faceva altro che chiedersi perché, perché proprio Stefano, perché lui che aveva una vita così piena? Avrebbe preferito trovarcisi lui stesso in quell’auto.
Andrea e Caterina evitarono di guardarsi negli occhi, tenendo il volto in basso.
«Sì, hai ragione» Caterina si alzò e si lisciò l’abito. «Gli dobbiamo questo» fece alzare anche il cognato.
*
Maria arrivò quando ormai la cerimonia era finita. Era apparsa nella chiesa semivuota. Il rumore dei suoi tacchi rimbombò. Ad Andrea, seduto su una delle panche in fondo, gelò il sangue a sentire quel suono così terribilmente familiare. Ma non riuscì a fare niente se non seguirla con lo sguardo. Maria raggiunse Caterina all’altare e le dette due freddi baci sulle guance. Mormorò delle condoglianze per poi dedicarsi solamente a Stefano. Cercava di trattenere le lacrime, ma era tutto troppo doloroso. Averlo lasciato andare via, lontano da lei, l’aveva ridotto così, l’aveva ucciso. Sentiva la colpa gravarle sulle spalle.
Caterina non fiatò. Si limitò ad osservare torva quella donna allo stesso tempo sconosciuta, ma anche così dolorosamente familiare. Maria stava pregando sottovoce.
Quando ebbe finito, lanciò un altro sguardo contrito a Caterina e si avviò all’uscita. Andrea la aspettava appena fuori dalla porta.
«Ma’» le prese il polso e la invitò a seguirlo in un angolo più riparato dallo sguardo di tutte quelle persone presenti. Caterina li seguì.
«Maria, sono grata che sia venuta» le tese la mano, pronta a fare la pace. Ma la donna non si mosse.
«Era pur sempre mio figlio. Dovevo salutarlo, nonostante avesse scelto una vita disonorevole» indossò nuovamente gli occhiali. Fece un passo in avanti, ma Caterina le impedì di procedere.
«Venga a casa, a conoscere i bambini. Per favore. Stefano aveva sempre voluto che conoscessero anche la loro famiglia napoletana» cercò di sorridere, ma l’altra sembrava una statua.
«Ho un treno da prendere. Ho degli impegni a casa mia. Non posso perdere altro tempo» si fece posto e si allontanò. Non c’era più niente da fare. O quasi.
Andrea le corse dietro. «Ma’, per favore, vieni a vedere i bambini. Lucrezia è così simile a Stefano» le aveva preso la mano, aveva cercato di tirarla dietro. Maria era però irremovibile.
«Andrè non perdere tempo con questa gente. Non è la tua famiglia. Io sono la tua famiglia. E poi non fare finta di essere responsabile. Non sai vivere lontano da me, lo sappiamo entrambi. Lo si è visto con quello che è successo con Carla. Mi porto ancora la vergogna appresso. E dovresti farlo anche te, fesso. Ci vediamo a casa».
Da quelle parole Andrea ne uscì completamente annichilito. Finalmente la realtà gli era sbattuta in faccia. Finalmente poteva vedere chiaramente attorno a sé. Guardò la madre allontanarsi e in quel momento prese la decisione più rivoluzionaria di tutta la sua vita.
*
Quella sera a casa di Caterina si erano riuniti tutti i suoi amici. Cercavano in ogni modo di tenerle compagnia, farla stare un po’ meglio, ma lei si sentiva sola. Pensava solamente al futuro che le si prospettava: avrebbe dovuto crescere due figli completamente da sola. Non importava quanto tutte quelle persone potessero essere presenti, a loro sarebbe sempre mancato un pezzo. A lei sarebbe sempre mancato un pezzo. E nessuno riusciva a comprenderlo. O semplicemente non volevano pensarci. La guardavano con gli stessi occhi con cui si guarda una statua di cristallo in bilico. Un elemento pronto a cadere, a frantumarsi. Non era ancora riuscita a piangere. Anche piangere sarebbe significato renderlo vero e quindi tutto quello che la impauriva del futuro si sarebbe reso ancora più tangibile.
Approfittò di un momento di concitazione per sfuggire agli occhi di Anna, sua cognata. Si rifugiò in camera da letto, aprì la finestra e inspirò a fondo l’aria fredda di quella sera dicembrina. Un gruppo di studenti passava sotto casa, dirigendosi a lezione. Chiudendo le palpebre poteva tornare a quel periodo felice della sua vita. Quel periodo in cui aveva conosciuto Stefano. Per un attimo pensò che se non l’avesse mai conosciuta probabilmente non sarebbe morto. Non avrebbe dovuto fare quella strada poco illuminata col buio e con la neve. La sua auto non avrebbe sbandato. E lui sarebbe stato vivo.
Ma quello Stefano non sarebbe stato il suo Stefano.
E allora si sentì fortunata ad averlo conosciuto, ad aver condiviso con lui i dieci anni migliori della sua vita. Di aver condiviso molte gioie. Di averlo amato, di avere sentito il suo profumo sulla sua pelle a lungo.
Per la prima volta, Caterina pianse.
*
Rimase chiusa in camera finché non sentì andarsene tutti. Non aveva voglia di incontrare ancora gli sguardi colmi di pietà che le relegavano da giorni. Non voleva stare anche peggio di come stava. Giulio era seduto a tavola con un enorme ciotola di cereali e mangiava con gusto. Accanto a lui, Andrea era crollato addormentato, con la testa sul tavolo stesso. Lucrezia, nel suo seggiolone, sgranocchiava dei biscotti.
«Mamma, lo zio si è addormentato come fa sempre Lucrezia» aveva constatato giocosamente Giulio. Caterina accennò ad un sorriso. Si mise a sedere con loro, scrutandoli. Avrebbe voluto essere leggera come loro. Avrebbe voluto smettere di pensare, di angosciarsi, di mangiare una tazza di cereali senza pensare a come sarebbe stata la sua vita da quel momento. Ma solamente preoccupandosi di come impegnare la serata, se guardare la tv o giocare.
Andrea si scosse improvvisamente, accigliandosi. Stava sognando. Un incubo. Caterina posò allora gli occhi su di lui. Era un fantasma. Il volto pallido come non era mai stato, le prime rughe che gli solcavano il volto si erano rese improvvisamente più profonde. Per la prima volta dopo giorni era riuscito a dormire.
Un’altra scossa.
Si svegliò. Aveva le palpebre pesanti, le occhiaie profonde, i capelli scomposti.
«Buongiorno zio» lo aveva salutato dolcemente Giulio, posando la sua manina liscia su quella nodosa dell’uomo, facendolo sorridere. Un sorriso che era costato un’immane fatica.
Spostò lo sguardo su Caterina: era stanca, scostante, non riusciva nemmeno a reagire alle richieste di attenzione di Lucrezia. Abbassò le palpebre e pianse in silenzio. Andrea le prese il volto con la mano, facendo in modo che lo guardasse. Ma Caterina si abbandonò a quel tocco, fingendo che quella mano fosse quella di Stefano. Che ci fosse lui a consolarla. Crollò nel petto di Andrea, ora piangendo forte, rumorosamente. Tutto quello che si teneva dentro da giorni stava tornando fuori e lei voleva sentirsi di nuovo bene. Lui era in una situazione che non si sentiva in grado di gestire. Pesanti lacrime uscirono anche dai suoi occhi: ma erano diverse da quelle della donna. C’era la rabbia nelle sue.
Quando Caterina si rese conto dell’abbraccio, cercò di ricomporsi. «C’è da mettere i bimbi a letto» disse frettolosamente mente si puliva il viso. Prese Lucrezia in braccio e uscì dalla cucina.
*
Caterina ritornò in cucina molte ore dopo, guidata dalla fame. Erano giorni che non mangiava. Andrea si era nuovamente addormentato sul tavolo: si sentiva un estraneo in casa di suo fratello. Eppure, era quella che più si avvicinava ad una vera e propria casa. Non se la sentiva di tornare a Napoli, da sua madre. Non dopo tutto quello che gli aveva detto. Ma il suo sonno era leggero: i passi di Caterina lo fecero alzare di scatto.
«Come mai ti sei messo qui? Potevi andare nella camera degli ospiti» constatò piano lei, evitando il suo viso. Andrea alzò le spalle. Come spiegarle la sua situazione? Ma soprattutto, come avrebbe fatto a dirle tutto quello che era successo il giorno? Che voleva restarle accanto perché era l’unica cosa che più gli ricordava Stefano? Che quella casa lo faceva sentire ancora vicino? Come poteva dirle che anche il solo sentire il profumo del fratello là dentro lo faceva stare appena meglio?
Non sapeva che per Caterina era lo stesso. Rivedeva il marito negli occhi di Andrea. E il sapere che lui se ne sarebbe andato nel giro di qualche giorno l’affossava ancora di più. Voleva chiedergli di rimanerle accanto. Ma la vergogna era troppo forte, come era troppo forte il terrore che lui potesse dirle di no.
Perciò rimasero in silenzio a lungo, con i propri tormenti interiori, le loro tensioni, i loro timori. Non si guardavano, non si avvicinavano. Erano come due isole. Solitarie, silenziose, frammentate.
Solo quando Andrea fece per alzarsi, Caterina gli prese la mano, quasi d’impulso. I loro sguardi si allacciarono. Avevano bisogno l’uno dell’altro. E non necessitavano parole per dirselo. Parlavano la stessa, silenziosa, lingua.
*
I primi due mesi furono funesti. Caterina apprese che la vita senza Stefano era ben peggiore di quanto avesse mai potuto immaginare. C’era costantemente un vuoto da colmare. C’era costantemente una voce che non si sentiva. Non si sentiva più, non si sarebbe mai più sentita. Era solamente una melodia che risuonava nella sua mente continuamente. Certe volte diventava talmente assordante da estraniarla dal mondo che le girava attorno.
Andrea temeva quei momenti. Era come se Caterina scomparisse, le scivolasse dalle mani. Non recepiva più niente, non comunicava. I suoi occhi diventavano oscuri, terribili, la bocca si serrava. Anche lui avrebbe voluto sparire, ma sulla sua coscienza pesavano anche i destini dei due bambini. Si era caricato dell’immane responsabilità di aiutare a crescere i due figli di suo fratello.  
Piano piano era diventato lui l’unico in grado di tranquillizzare Lucrezia nelle sue crisi di pianto, o risollevare l’animo di Giulio quando d’improvviso si ammutoliva. E occuparsi di loro, della casa, gli impediva di impazzire, gli impediva di pensare costantemente a Stefano.
Gestiva poi l’azienda di famiglia da Firenze, appoggiandosi anche a Bruno, l’amministratore rimasto a Napoli.
Anche Caterina cercò di soffocarsi con il lavoro. Accettò una commissione dopo l’altra, occupandosene fino a tarda notte. Dormiva poco, dormiva male. Non vedeva quasi più i suoi amici, la sua famiglia. Praticamente non uscì di casa per due mesi.  
Erano diventati degli automi.
Ma il giorno peggiore si prospettava essere quello del compleanno di Giulio. Caterina lo andò a svegliare, soffocandolo di baci, ma lui non rispose. Rimaneva sotto le coperte, il viso coperto di lacrime.
«Non voglio fare niente senza il babbo» mugolava in maniera così struggente che a Caterina si spezzò il cuore. Tentò di convincerlo in tutte le maniere, ma lui non accennava a muoversi. Andrea si affacciò alla porta con Lucrezia in braccio. «Hai bisogno di una mano?» si avvicinò, facendo sedere la bambina accanto a sé, sulla coperta, ai piedi del letto. Lei gattonò verso il fratello e gli dette un bacio sul naso. Rimase lì, sdraiata, sorridendogli, e guardandolo con una profonda ammirazione che le faceva brillare gli occhi azzurri. C’era tutto Stefano in quello sguardo. Lo capirono tutti, ma soprattutto lo capì Giulio. Gli parve avere il padre davanti. A Caterina vennero le lacrime agli occhi. Fino a quel momento non si era resa conto di quanto Lucrezia avesse rubato al padre.
«Andiamo a prendere le paste al bar, eh Giulietto?» Andrea tirò giù le coperte e finalmente il piccolo non si oppose, anzi saltò al collo dello zio. Era finalmente il bambino vitale che era sempre stato.
Passarono la giornata tutti e quattro insieme, giocando, scherzando, come se niente fosse. Per la prima volta dopo parecchio tempo tornarono a ridere. Tornarono a vivere.
*
Quella sera Andrea e Caterina rimasero soli in salotto, stesi sul divano, con le coperte sulle spalle. Si evitavano, in religioso silenzio.
Ma ad un certo punto Caterina aveva alzato gli occhi dalla sua lettura e aveva guardato Andrea vagamente divertita. Come un lampo le era venuta in mente la sera della nascita di Giulio, quando si conobbero per la prima volta.
«Ma te lo ricordi che avevo paura di te?» Andrea la osservò in maniera interrogativa. Poi sembrò capire e gli scappò una risata.
«Temevi che fossi un camorrista» ricordò, chiudendo il libro e avvicinandosi a lei. «Solo quando è arrivato Stefano ti sei un poco rasserenata, ma mica tanto eh?» Caterina ridacchiò. Effettivamente la figura di Andrea nella penombra le aveva fatto venire i brividi.
«Sembravi un killer. Col giubbotto di pelle, lo sguardo cattivo, così» aggrottò le sopracciglia con una smorfia che cercava di imitarlo, ma fallì ed entrambi si misero a ridere. Ma il riso scemò tanto velocemente come si era creato. Lo sguardo di Andrea si perse davanti a sé. Per entrambi l’immagine di Stefano si era resa immediatamente palpabile.
«Era così felice di vederti. Aveva paura di essere diventato un senza famiglia» disse Caterina, scrutando il profilo dell’uomo. «Sai che tuo fratello aveva un’ammirazione profonda per te? Ti credeva tutto quello che lui non era: un gran lavoratore, serio, uno con la testa sulle spalle» Andrea ridacchiò, ora guardandosi le mani. Non riusciva a credere che Stefano, che aveva tutto quello che lui sognava, lo invidiasse, anche se parzialmente.
«Era un’immagine distorta di me» asserì piano, quasi parlando a sé.
«Io non credo sai? Sei uno che ama prendersi cura degli altri, sei ligio al dovere, ma non obbedisci ciecamente. E sai come lo so? Per tutto quello che stai facendo per noi» posò la mano sulla spalla di Andrea e gli sorrise dolcemente. Lui girò il volto verso di lei, perdendosi nel brillare verde dei suoi occhi. Un luccichio, invece, illuminò i suoi. E Caterina se ne rese conto. Ne ebbe paura. Si alzò di scatto, piegando la coperta.
«Via, è ora di andare a letto, buonanotte» e se ne uscì in maniera frettolosa.
   
 
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