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Autore: beavlar    29/07/2020    3 recensioni
Fili e Kili sono morti, hanno sacrificato tutto per il loro re, per la loro gente, ora anche Thorin dovrà rinunciare a tutto, ai suoi pregiudizi, alle sue idee, alle sue alleanze, per il suo "tesoro" e il suo popolo.
Dall'altra parte una mezz'elfa divisa tra due razze, dovrà invece fare i conti con il suo oscuro passato, accettando se stessa e accettando accanto a se il re di Erebor.
Due animi carichi di dolore e rimorsi, in cerca del loro posto al di sotto della Montagna e al di sopra delle stelle.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Pre angolo autrice:
Possibile ooc Thorin e possibile pianto a singhiozzi.
E leggete anche l’angolo autrice che vi devo fare un ennesimo sondaggio.
E preparate i catini sia per le lacrime che per la bava.

 
 
 
 
 
 

I Valar ti odiano quanto io ti amo.

 



 
 
 





 

“Per la barba di Durin ma qua dentro si gela.”
 
Furono queste le prime parole che uscirono dalla bocca di Bofur quando varcò la soglia della stanza stringendosi le spalle l’una all’altra con il corpo attraversato da un brivido freddo; le ali del cappello tremarono così come si agitò il contenuto del boccale che teneva nella mano creando un leggero gorgoglio che si andò a unire allo scoppiettare del camino accesso scavato nel muro.
 
Ghìda alzò lo sguardo dal libro che teneva sul ventre verso il nano che era appena entrato nella stanza e a stento  riuscì a trattenere una risata quando continuò a muoversi dondolando su se stesso come se fosse appena entrato in una landa ghiacciata: cosa che la sua camera era ben lontana dall’essere. La luce del primo pomeriggio entrava dai vetri trasparenti della finestra, alternata a tratti da leggere ombre dovute alla neve che placida continuava a cadere ormai da già due giorni inoltrati. Ma il freddo che avrebbe dovuto portare, accentuato anche da dei piccoli fiocchi di neve, che di tanto in tanto riuscivano ad oltrepassare lo spiffero della finestra, a lei non davano alcun fastidio visto il come si trovava costretta a letto.
 
“Posso assicurarti mio caro Bofur che la parola freddo non mi scalfisce minimamente sotto tutte queste pellicce.” Appuntò sorridendogli nel frattempo che Bofur si chiuse la porta alle spalle con un leggero calcio trattenendo ora il boccale con entrambe le mani per farlo mettere di tremare: con scarsi risultati.
 
Alzò incuriosito lo sguardo studiando sia  la quantità di pellicce che la ricoprivano e le altrettante candele accese sui piccoli tavolini accanto al suo giaciglio, sia la quantità di cuscini che le sostenevano la schiena e le circondava quasi tutto il corpo per sorreggerla: poteva sembrare una piccola prigione vista da lontano ma certamente una prigione accogliente, almeno per quei cinque giorni
 
“Sarà ma per chi non è lì sotto non è certamente piacevole.” Ridacchio Bofur sotto i baffi e si diede un’ultima scrollata prima di avanzare a piccoli passi guardandola gentilmente per poi spostare lo sguardo verso le pile di libri sparsi al suo fianco, che ormai riempivano quasi metà del letto andando ad occupare perfino le pieghe delle coperte.
 
“Ve li ha portati Ori non è vero?” Le chiese Bofur probabilmente conoscendo già la risposta sedendosi sul piccolo sgabello accanto al suo letto spostandolo con un paio di movimenti di bacino per farsi piu’ vicino.
 
“Ieri mattina, me ne voleva portare altri, ho dovuto pregarlo di non farlo. Sono un abile lettrice ma non  abbastanza da terminarne così tanti in così poco tempo.”
 
Tenne ad appuntare vista la quantità di libri e pergamene ancora ben chiusi accanto a se di cui non si era minimamente preoccupata, troppo impegnata a leggere quello che aveva tra le mani  che chiuse  con un piccolo tonfo posandoselo sopra il ventre coperto da una leggera pelliccia bianca e nera che si andava ad aggiungere alle tante altre sparse su ogni superfice del letto.
 
Bofur dovette trattenersi dal dirle che già lo sapeva, anzi che lo aveva perfino visto la mattina prima accatastare decine e decine di libri inondando tutti i tavoli della biblioteca di antichi volumi in khuzdul:  quanto timido non si sarebbe fermato, forse trovando volumi sempre piu’ interessanti da portarle avrebbe continuato così per giorni.
 
“Io invece vi ho portato qualcosa di ben piu’ interessante.” Sottolineò alzando il boccale di legno scuro che tratteneva nella mano, oscillandolo cercando di farglielo notare il piu’ possibile, il che non fu difficile vista la grandezza della pinta dalla quale si poteva vedere la schiuma bianca uscire di lato.
 
Lo osservò dapprima incerta spostando lo sguardo da lui verso il bicchiere che tratteneva tra le mani e poi alzò un sopracciglio divertita arricciando il naso.
 
“Della birra?” Gli chiese confusa trattenendo a stento una risata tra le labbra.
 
“La vera medicina per il corpo e per lo spirito e…. anche per sentire meno dolore.” Le fece un piccolo occhiolino d’intesa guardandole verso il fianco nascosto dalle coperte e divertito dalle sue stesse parole le allungò fieramente il bicchiere colmo.
 
Non sarebbe stata un’idea saggia bere, soprattutto a quell’ora ma al susseguirsi di un’ennesima complice a cui fu costretta a cedere annuendo con la testa a mo’ di ringraziamento prima di portarselo alle labbra e prenderne un lungo sorso.
 
Era fredda e amara e la dissetò immediatamente, anche se non le avesse fatto passare in alcun modo il perenne fastidio al fianco le avrebbe comunque dato una piccola soddisfazione che in quei giorni erano diventate sempre piu’ rare, se non inesistenti o impossibili anche solo da immaginare.
 
Bofur rimase in silenzio guardandola prendere un lungo sorso nel frattempo che un sorriso sornione ed aperto gli illuminò gli occhi scuri, probabilmente fiero che lei avesse gradito il piccolo gesto, a cui aveva cercato di opporsi ma alla fine non sarebbe stat qualche sorso di birra a farle del male piu’ di quanto non fosse già.
 
 “Come vi sentite?”
 
 Le chiese con una punta di preoccupazione tanto leggera quando pressante facendole rizzare la schiena e abbassare il boccale di birra giù fino al ventre: era una domanda lecita e che in quei giorni in molti le avevano rivolto ma per qualche strano motivo  il modo in cui gli pose quella domanda la colpì piu’ del dovuto. Possibile che sapesse?
 
No, non poteva, ma gli occhi scuri che la osservavano in attesa di una risposta le fecero capire che la domanda non si riferisse solamente alle sue condizioni fisiche.
 
Ghìda d’istinto si portò una mano sulla vita: anche attraverso le coperte poteva percepire il rigonfiamento della fasciatura e un calore che non riusciva a togliersi da dosso da giorni; trattenne il groppo in gola che si stava formando di nuovo e cerò di controllare il tono di voce che sapeva si sarebbe interrotto a metà della frase se non fosse stat attenta.
 
 “Le ferite si sono quasi rimarginate.” Disse in fretta prendendo un breve respiro e per la prima volta dopo settimane forzò un sorriso finto, che fece distendere di un minimo i tratti di Bofur, ingannandolo. “Riesco ad alzarmi da letto e a camminare per qualche passo, le fasciatura ora riesco a cambiarmele perfettamente anche da sola.” Aggiunse sbrigativa socchiudendo gli occhi tentando di reprimere quei momenti che si sforzavano a ritornare a galla. “Ti ringrazio Bofur.”
 
Il nano dai lunghi baffi si sentì in colpa ad aver posto quella domanda, non che la potesse porre ad altri in realtà perché non era neanche sicuro che fosse accaduto qualcosa, ma il comportamento di Thorin in quegli ultimi giorni da quando si era svegliata avevano fatto sorgere in lui questo dubbio che non era riuscito a condividere con nessuno.
Dopo quello a cui aveva assistito nelle terre Selvagge era sicuro che, per quanto assurdo fosse pensarlo, Thorin sarebbe stato il primo a starle accanto nella sua veglia, così come lo era stato prima che si svegliasse, invece dopo i consigli la mattina a cui presenziavano dava un ordine netto di salire a controllare come stesse, non accennando neanche il suo nome e questo lo aveva spinto a pensare che fosse successo qualcosa ma cosa di preciso non poteva immaginarlo nelle sue fervide immaginazioni, come nessuno all’interno di quella montagna.
 
“Sono felice di sentirvelo dire. Ci avete fatto prendere un bello spavento sapete? Non potevamo fare nulla viste le vostre condizioni.”
 
”Se vuoi finire trucidata per il tuo stupido orgoglio fallo senza che io sia costretto a guardare!”


Forse la ferita che si era riaperta quando aveva poggiato la mano sul suo fianco, forse la presenza di un’altra persona che metteva a dura prova la sua corazza, ma la frase di Bofur venne trasformata nella sua testa portandola a ricordare ciò che non voleva ricordare.
 
Quelle parole la investirono un’altra volta andando a conficcarsi come l’ennesima lama all’ interno del suo petto, un dolore che non aveva smesso di provare da giorni, da quando le labbra di Thorin avevano lasciato le proprie, da quando lui l’aveva guardata come se tutto quello che era accaduto fosse stato un terribile sbaglio. Che averla baciata fosse un errore che quei sospiri, quella voglia di averlo su di lei , di sentirlo addosso, dentro di lei, fuori da lei, fosse un peccato che non sarebbe mai dovuto accadere, fosse un qualcosa che non avrebbe mai voluto desiderare: eppure ne voleva ancora, voleva soffrire ancora così.
 
Era impossibile anche solo da pensare alle parole per descrivere  quello che aveva provato, ma di una cosa era certa quello che lui era per lei, non era quello che lei era per lui.
 
Quella consapevolezza l’aveva fatta piangere dal momento in cui Thorin era uscito dalla sua stanza sbattendo la porta dietro di se, fino a che gli occhi pesanti e stanchi non l’avevano portata ad addormentarsi tra i singhiozzi. Non riusciva neanche a respirare e quando ci riusciva, il dolore era pari a quello dei canini del mannaro nella carne: avrebbe voluto urlare tra i cuscini, ci aveva anche provato nella notte quando nessuno l’avrebbe potuta sentire, ma quella che le erano uscite non erano state altro che altre lacrime silenziosi.
 
La sua anima apparteneva a lui e inevitabilmente ne aveva ogni potere, anche quello di distruggerla e così era stato e così sarebbe stato per sempre, il suo amrâb, la metà che le era sempre mancata e che aveva sempre cercato non si trovava nel suo sangue: era in un’ altra persona e faceva male, terribilmente.
 
Lei lo amava e lui no, questa era la verità e per quanto se ne volesse fare una ragione, non ci riusciva, perfino il suo corpo sembrava punirla facendole dolere il braccio fasciato o il fianco ancora di piu’
 
Durante il giorno la sue abitudini erano cambiate: a malapena poteva alzarsi dal letto, passava le sue mattine a fissare il camino, a evitare di spostare lo sguardo accanto a se dove salda giaceva ancora la pelliccia di Thorin sulla sedia che lui aveva occupato; dopo i primi due giorni però aveva cominciato ad alzarsi dal letto, e tra un gemito di dolore e l’alto era perfino riuscita a farsi un bagno e nelle ore pomeridiane, come era accaduto ora, non erano mai mancate delle fugaci visite: Bofur era stato solo il piu’ frequente ma anche Balin si era premurato di controllare come stesse,  Òin entrava per controllarle le ferite, Ori per portarle qualcosa con cui passare il tempo, l’unica visita che la sorprese fu quella di Dwalin. Non si fidava di lei, lo sapeva, a malapena nella sua fugace visita le aveva rivolto la parola, solo deboli monosillabi, come se cercasse di dirle qualcosa non riuscendo a pronunciarla.
Una cosa sola la stupì facendola incuriosire ma anche preoccupare: un grazie, a malapena sussurrato prima di uscire, senza contesto alcuno e a cui non riuscì a dare contesto alcuno.
 
Sapeva sicuro per chi non fosse e per cosa non fosse.
 
Aveva sperato che la porta si aprisse e fosse lui ad entrare, ma in quella manciata di giorni non era piu’ tornato: non una volta aveva sentito la sua voce fuori dalla sua porta, non una volta aveva sentito le porte della balconata aprirsi e sbattere nella notte come aveva fatto i primi giorni ad Erebor  e mai aveva avuto suo notizie e benché meno ne aveva chieste. Alla fine si era abituata all’dea che non sarebbe tornato.
 
No, non più.
 
“Lo so…” Mormorò piu’ a se stessa che a Bofur accanto a lei che inarcò la bocca in un sorriso tra il malinconico e il consapevole.
 
Seguì un breve silenzio in cui Ghìda fisso la birra dorata sul fondo del bicchiere e in cui Bofur dovette studiare bene le parole da dire: gli affari tra lei e Thorin erano solo loro e impossibili da comprendere, erano troppo chiusi per lasciarli trasparire ma seppur non aveva il diritto di consolarla su quello poteva confortarla in altro modo.
 
“Avete dimostrato grande coraggio, se fossi in voi non mi struggerei oltre, e poi con la benedizione di Durin siete ancora qui e questo aiuta molto a vedere la faccenda da un'altra prospettiva.”
La vide sussultare un minimo e accennare un sorriso verso il fondo del bicchiere, gesto che lo incitò a continuare, con piu’ entusiasmo rispetto a prima e ad avvicinarsi ancora di piu’ al giaciglio. ”Se mai dovrò cimentarmi un qualche impresa di nascosto da occhi indiscreti, penserò certamente a voi come mia complice.” Concluse rivolgendole un occhiolino fugace.
 
Il sorriso si trasformò ben presto in una risata divertita; Ghìda alzò la testa dal boccale scuotendo la testa che le sembrò improvvisamente piu’ leggera di quanto non lo fosse mai stata in quei giorni, e la birra che aveva ingerito non era l’unica complice. “Penso che la mia riuscita sia solo stata dovuta a un colpo di fortuna, nient’altro, e una piccola dose di distrazione immagino.”
 
“Mia signora se siete così fortunata e non abile dovrete suggerirmi su chi puntare nelle prossime scommesse! Se vi interessa ne ho una pronta pronta per il prossimo intoppo ai mulini o un'altra sulla prossima carrucola che andrà affondo.” Bofur allargò le braccia sorridente come per puntare l’ovvietà della frase ridacchiando sotto i lunghi baffi.
 
“Ti hanno mai detto Bofur che hai la strana capacità al rendere tutto piu’ leggero?”
 
“E a voi hanno detto che avrete l’imbarazzo dell scelta su chi incontrare quando uscirete da quella porta?” Appuntò per distrarla da cattivi pensieri lanciando uno sguardo verso la porta chiusa tirandosi indietro sullo sgabello e facendo ciondolare le ali del cappello da una parte all’latra quando gliela indicò con la fronte prima di incrociare le braccia al petto. “Siete parecchio richiesta.”
 
Ghìda lo guardò confusa, aggrottando le sopracciglia scure e inclinando leggermente la testa di lato. “Cosa intendi dire?”
 
“Che ci potrebbero essere dei piccoli nani accampati con spade e scudi sporchi di fuliggine e pece in una sala del palazzo pronti ad aggredirvi mia signora”
 
Il sorriso che aveva sul volto si spense del tutto a quella frase e le mani intorno al boccale di birra tremarono leggermente scosse dalla realizzazione di quello che aveva appena sentito: Drel, Trel, Mar, Fàrim, Lòni, Mar, Nìm… Con fatica si impose di porre la domanda  che le fece saltare un battito appena pensata. “Loro sanno cosa è accaduto?”
 
Il tono allarmato con cui le pose quella domanda lo scosse e non poco, avrebbe voluto dirle quello che si diceva in giro, forse anche che per giorni il gruppo di piccoli nani non avevano lasciato le entrate del palazzo per vederla uscire, non trovando mai il coraggio di chiedere alle guardie di poter salire verso le stanze della regina, ma buttarle un ennesimo peso addosso sarebbe stato inconcludente e decise di dire una mezza verità tentando di alleggerirle il petto.
 
“Tutti nella montagna sanno cosa è accaduto, non si è fatto alto che parlare di quello che è successo in questi ultimi giorni.”
 
“Non è un bene vero?”
 
“Si sta organizzando un banchetto per la riuscita dell spedizione e per il nostro rientro, credo che anche se fosse un male, non lo sia così tanto da interrompere i festeggiamenti e se conosco i nani di questa Montagna saranno piu’ grandi dei precedenti e no…” Si bloccò Bofur sospirando e socchiudendo gli occhi come per pregustarsi già le ore notturne o la birra e il fumo che avrebbero imbrattato le tavolate di legno. “Sotto questo punto di vista non è  assolutamente un male.”
 
Le scappò un leggero sorriso, annullando qualsiasi preoccupazione, che sapeva già le si sarebbe stata posta che se la risposta sarebbe stata opposta rispetto a quella che le aveva rivolto; era facile parlare con Bofur, sembrava non avere peli sulla lingua e anche nella situazione piu’ assurda, riusciva sempre a strapparle un sorriso: gliene fu grata, tremendamente.
Se non fosse dovuta rimanere nascosta per tutti quei giorni a cavallo nelle retrovie con molta probabilità si sarebbe unita ai leggeri canti che riusciva a sentire in cima alla colonna, che Bofur continuava a mormorare tentando in una reazione positiva, ma che non ebbe mai.
 
Gli lanciò uno sguardo complice e di sfida alzando un sopracciglio e tirandosi ancora piu’ su sui cuscini dietro di lei. “Vi parteciperò solo se mi permetterai di cantare con te questa volta.”
 
La frase dapprima lo scosse facendo sobbalzare sulla sedia e sciogliere leggermente le braccia al petto, ma poi notò il suo sguardo compiaciuto e ridacchiò arrossendo leggermente prima di alzarsi dallo sgabello con fare teatrale togliendosi il colbacco e rivolgendole un inchino enfatizzato e volutamente ridicolo. “Oh mia signora…” Cominciò con un accento esasperato delle montagne dell’Ovest. ”Se la ponete su questo piano potrei anche spingere a far velocizzare i preparativi a questa sera.”
 
Ghìda sospirò divertita scuotendo la testa, e lo sguardo le cadde inevitabilemnte verso la porta dietro di Bofur: liberata dalle quattro mura che l’avevano ghermita e imprigionata, in quei giorni in i suoi pensieri avevano viaggiato ovunque, perdendosi tra le stelle sopra di lei o insediandosi nelle miniere sotto di lei. Si erano persi nei momenti che avrebbe vissuto quando sarebbe uscita da lì, tentando di scappare da quei ricordi che la laceravano ogni momento che passava distesa in quel letto, rimembrando quegli attimi che l’avevano fatta affogare tra le lacrime.
 
Sentiva sempre in ogni momento il peso sul suo corpo, le mani di Thorin che scendevano sempre di piu’ infuocandola, le labbra sulle sue sua calde come una fornace e il cuore che unito al suo avevano cominciato a battere allo stesso ritmo, alternati dai loro respiri e gemiti: forse era stata lei a baciarlo, forse non c’era mai neanche stato un vero bacio, forse era stata preda della febbre eppure lui l’aveva voluto tanto quanto lo aveva voluto lei ma desiderò non fosse mai successo.
 
Nell’ironia della sorte avrebbe voluto cancellarlo e far tornare tutto a come era prima di quel momento.
 
Se non fosse accaduto con molta probabilità l’avrebbe lasciata lì nella sua stanza ammonendola con gli occhi prima di andarsene e le loro giornate sarebbero ricominciate daccapo, quei pomeriggi sarebbero ricominciati come se non fosse mai accaduto nulla: avrebbe ricominciato ad osservarlo in silenzio nella fucina tentando di accontentarlo per quanto le sarebbe stato possibile rubandogli quei sorrisi fugaci ogni volta che completava una forgiatura in modo corretto e avrebbe continuato a sentire i suoi sbuffi accanto alla sua spalla ogni volta che non riusciva a comprendere le parole che lei stessa gli leggeva tra le librerie colme e silenziose della biblioteca.
 
Avrebbe ridato indietro quel bacio solo per avere di nuovo uno di quei momenti con lui, dove lui era solo Thorin e lei era solo Ghìda. Dove lei poteva godere di lui in silenzio, poteva fantasticare in silenzio e poter immaginare un futuro diverso rispetto a quello che le era stato disteso davanti: un futuro in cui non sarebbe stata solo un contratto, uno stupido accordo, in cui, come aveva detto a Màr, si sarebbero sposati perché lo volevano entrambi.
 
Con un sospiro netto si tirò su a sedere scostando le pellicce che la imprigionavano e i libri accanto a se, attenta a non rovinarli, sotto gli occhi preoccupati di Bofur che, in seguito al suo silenzio e a dove avesse incatenato lo sguardo, aveva già capito le sue intenzioni. Vi si oppose alzandosi in piedi dallo sgabello su cui era seduto allargando allarmato le braccia pronto ad afferrarla se fosse caduta sotto il peso delle fitte.
 
“Dovreste rimanere a letto, non è una buona idea.” Tentò di dissuaderla ma anche se con difficoltà Ghìda si mise seduta sul bordo del materasso e poggiò il boccale di birra ancora mezzo pieno che finora aveva tenuto  in mano sul tavolo accanto al letto ghermito di bende ed erbe secche lanciandogli uno sguardo esausto.
 
“Bofur se continuo a fissare i mobili di questa stanza ti posso assicurare per certo che finirò io stessa per diventare un mobile.”
 
“Thorin non sarà lieto di questa scelta.” Una fitta improvvisa le attraversò lo sterno e che dal petto le arrivò ai pugni facendoli chiudere sul tessuto delle pellicce sotto di lei; scossa nel sentire anche solo sentire come solo il suo nome le provocasse una simile reazione; strinse i denti e guardò verso il basso, osservando i tappetti blu e dorati.
 
“Il re non è mai lieto di nulla.” Mormorò tra se e se e fissando i ricami dorati.
 
Strinse gli occhi cancellandoli dalla sua mente, non volendo ricordare e senza aggiungere altro, forse anche con troppa velocità, si tirò su dal letto; Bofur la seguì cauto procedendo sempre le braccia in avanti pronto a sorreggerla ma ben presto gli dimostrò di poter stare in piedi e di camminare muovendosi, a cauti passi sul pavimento di pietra fredda, verso il lato opposto della stanza.
 
Avanzando sempre di piu’ si rese finalmente conto del freddo di cui le aveva parlato Bofur: i piccoli fiocchi di neve che entravano dalla finestra arrivarono addirittura a toccarle le braccia scoperte del vestito di raso blu, talmente leggero da permetterle di muoversi senza problemi, ma invece di rabbrividire, si senti rinvigorita fuori da quel calore opprimente e troppo consueto in cui si era crogiolata troppo a lungo in se stessa.
 
Camminò attenta, tenendo le mani ben larghe a qualsiasi movimento brusco che avesse potuto compiere e come a confermar la sua tesi, poggiò il piede in maniera errata e un dolore lancinante la fece piegar su se stessa poggiandosi al mobile affianco a lei trattenendo a stento un gemito di dolore.
 
In meno di un istante sentì le mani di Bofur  arrivarono da dietro a sorreggerla, e percepì anche un’occhiata severa trafiggerle la nuca, ma alzò lo sguardo determinata verso il nano dai lunghi baffi, che appena venne incenerito da quello sguardo sospirò arreso annuendo verso di lei aiutandola a tirarsi su anche se scettico, molto scettico: tutto ciò non sarebbe piaciuto a nessuno ed era probabilmente stato proprio lui a peggiorare la situazione.
 
“Almeno permettetemi di accompagnarvi per un tratto, fino alle Sala del Consiglio.” Tentò per lo meno di persuaderla in qualche modo a non lasciare che la sua ostinazione potesse metterla in guai ben piu’ seri di quelli in cui si trovava, e ringraziando Durin, non obiettò distendo i tratti del viso che da contrariati si distesero in un sorriso arreso.
Ghìda allungò il braccio verso quello di Bofur che indirizzato dalla mano del nano si andò a incrociare al suo premettendole di trovare un sostegno sia nel suo avambraccio che nel suo fianco, se camminando si sarebbe sentita cedere come prima; sapeva di starsi comportando da viziata, da inetta e senza concezione logica alcuna, ma non poteva davvero rimanere lì, sarebbe finita per impazzire e i primi sentori si cominciarono a sentire quando dal profondo del cuore desiderò che il braccio a cui era aggrappata quel momento quando oltrepassò la soglia della porta della sua stanza fosse di qualcun altro.
 
Patetica.
 
Uscita dalla porta, non seppe dire con certezza cosa la fece sospirare profondamente liberandosi dal macigno che le pesava sul petto, se l’aria fredda dei corridoi o le mura verdi che la circondavano e si ramificavano imponenti tutto intorno a lei.
 
Ma allontanarsi da quella stanza imboccando il corridoio illuminato dalle torce calde non diede l’effetto che aveva sperato, si, i ricordi sbiadivano, ma i sentimenti quelli rimanevano e sarebbero rimasti lì per sempre: dopo tutto voleva davvero che se ne andassero?
 
Mosse i primi passi verso la porta dorata stringendosi al braccio di Bofur che si tirò leggermente piu’ vicino a lei seguendola passo passo, rallentando per non farla affaticare e aiutandola a varcare il lungo corridoio, che l’avrebbe portata alle altre stanze del palazzo di Erebor, riportandola a una quotidianità che, rispetto a quella che aveva vissuto, poteva quasi sembrare normale.
 
“Con calma un passo alla volta, o finirete per peggiorare solo la vostra situazione.” Le disse apprensivo Bofur sorreggendola con ancora più’ fermezza.
 
Ghìda scosse la testa tirandosi ancora piu’ su per non pesargli troppo. “Ammettilo che sei solo preoccupato che se le mie condizioni non migliorano io non possa festeggiare con te o suggerirti nelle scommesse.”
 
“In quel caso mi vedrei costretto a portarvi la medicina direttamente in camera vostra o a trasportare voi con tutto il letto nella sala dei banchetti, mi dovete solo dire quale delle due preferite.” Rispose Bofur ridacchiando sotto i baffi.
 
“Mangiare e bere a letto mi ha sempre entusiasmato ma credo che passerò in quel caso.” Ammiccò sorridendo ma nascondendo un leggero fastidio al fianco fasciato.
 
Oltrepassata la soglia le guardie al lato dell’arcata la seguirono con lo sguardo passandolo poi su Bofur in cerca di una conferma su quello che stava compiendo, ma smisero di preoccuparsi appena dimostrò a tutti e tre i nani, che continuavano a scambiarsi occhiate fugaci, di essere in grado di camminare da sola. Lasciò il braccio di Bofur che anche se restio la lasciò scivolare via e muovendo un paio di passi giù’ dalle scale si resse al corrimano dorato della scala e alzando la schiena dritta seppur il fastidio al lato sinistro continuava a persistere.
 
Si portò la mano libera a sorreggersi il fianco posandola sul raso blu scuro del vestito che ripido e fluido le avvolgeva leggero il corpo non costringendola in tessuti stretti e rigidi che sarebbe stat solito indossare, o avvolgendola nelle folte pellicce nelle quali era stata costretta in quegli ultimi giorni; rendendola piu’ libera di quanto probabilmente avrebbe gradito Òin o anche Bofur che poteva ancora sentire dietro di lei, attento a qualsiasi suo movimento.
 
“Siete sicura? Posso sempre riaccompagnarvi indietro e provare domani al mattino, non siete costretta a proseguire.” Bofur le chiese di nuovo avvicinandosi al suo fianco scendendo un paio di scalini in piu’ di lei per sicurezza vedendola indugiare sulla ringhiera che stringeva con decisione con il braccio ancora fasciato.
 
Ghìda sospirò alla seconda ricerca di Bofur di fermarla e per un attimo fu tentata di tornare indietro, la stava guardando con gli occhi provati e davvero preoccupato ma scosse la testa con vigore abituandosi a stare in piedi da sola.
 
“Ho bisogno solo di qualche attimo per abituarmi, va tutto bene.”
 
“Ne avete di decisione e forza d’animo.” Commentò Bofur indugiando sulla sua mano stretta al fianco e poi sul braccio. “Ma se mi permettete siete anche una delle persone piu’ testarde che io abbia mai conosciuto.” Le sottolineò facendo impallidire le due guardie dietro di lei che lo guardarono sorpresi e ancor di piu’ a una risata affermativa di Ghìda.
 
“Non sempre è un difetto a quanto so.” Rispose piccata facendo sospirare il povero Bofur che capì definitivamente che sarebbe stata una causa persa continuare a insistere e quindi si fece solo due passi indietro sui gradini per permetterle di proseguire.
 
Ghìda rimase ferma per qualche attimo inspirando l’aria di Erebor che prontamente le invase le narici: l’odore di cenere e pietra umida che si andava a confondere con quella del malto che ormai era intrinseco nella pietra della montagna e le sembro di vederla per la prima volta, un paesaggio che ormai le doveva sembrare familiare sembrava…diverso.
Non si seppe spiegare il motivo ma finì per incantarsene: alzò lo sguardo verso l’alto e seguendo le venature dorate che si diramavano sopra di lei e finivano per districarsi tr la pietra nuda e le colonne e le scale intagliate in questa ed ebbe quasi timore ad andar avanti.
 
Prese un profondo respiro lanciando un occhiata a Bofur che con l mano la invitò a proseguire e cominciò a scendere le scale della fortezza i quai giochi di luci e ombre la trascinavano sempre di piu’ verso i piani piu’ bassi del palazzo, era stato tutto un gioco della sua mente, nulla era cambiato: il via vai rado per il palazzo era rimasto simile, il brusio che dal profondo della montagna si innalzava fino ai piani piu’ alti, e ogni scalino che scendeva aveva sempre la stessa altezza, così come i guerrieri di pietra su ogni colonna che sembravano sempre seguirla con gli occhi di pietra. Scese diverse rampe di scale trattenendosi alla balaustra dorata ne sorpassò diversi slarghi, quasi sempre vuoti, eppure si sentiva perennemente osservata. Nella sua confusione alzò gli occhi vero una delle colonne, accanto a se ma no, le statue non avevano pupille per seguirla, eppure quella sensazione perdurò, per tutto il tragitto.
 
Bofur la guardava sempre di sottecchi, rallentando quando la vedeva in difficoltà o quando per qualche strano motivo fissasse il soffitto in cerca di qualcosa che sembrò visibile solo a lei, scrutando con gli occhi scuri ogni colonna che la circondava, sembrava una bambina, eppure era assolutamente il contrario. Lo doveva ammettere, seppur non era mai riuscito a provare quell’astio che invece tutti in quella montagna sembravano rivolgerle: era una piacevole compagnia, diversa dall’idea che si era fatto alle prime; Aveva tutte le caratteristiche che di solito si potevano attribuire alla sua razza, ormai perfino famose tra la gente comune degli altri popoli: era orgogliosa, testarda, fiera e gelida quando voleva ma, ne era riuscito a vedere una parte per niente nanica in quelle settimane. E non gli fu difficile intuire motivo per il quale Thorin, ne fosse, anche se mai lo avrebbe ammesso, così affascinato.
 
Scesero un’immessa scala, arrivando a uno spiazzo abbastanza grande da avere tre diramazioni dovere, due file di gradini che salivano e uno che scendeva e un portone dorato sorvegliato da due guardie ben rizzate al lato che si rizzarono ancora di piu’ quando li videro scendere. Bofur appena intravide la porta lasciò uscire un profondo sospiro e accelerando di poco il passo scese velocemente le ultime scale e si fermò, attirando la sua attenzione che si spostò dal soffitto sopra di lei verso di lui e verso il suo passo improvvisamente interrotto.
 
Mi duole dirvi che la mia parte del viaggio finisce qui.” Sospirò Bofur portandosi al centro del piazzale e indicando con la testa la sala ben conosciuta e che folgorante le fece stringere la ringhiera sotto le mani e bloccarle il passo: una ventata di ricordi le invasero la testa e le annebbiarono per un attimo i pensieri già confusi. Aprì e richiuse piu’ volte la bocca studiando le due porte sigillata l’una accanto all’altra evitando di entrarvi con la testa e immaginare cosa potesse succedere al suo interno.
 
Gli sorrise in maniera nervosa continuando a scendere gli ultimi gradini con il passo irrazionalmente piu’’ tremante. “Non dovresti essere già dentro? La porta è sigillata.” Gli appuntò sorridergli forzatamente lanciando un’ennesima occhiata anche se bassa e nascosta verso la porta.
 
“Esattamente.” Sospirò Bofur portandosi le mani in tasca e ridacchio sotto i lunghi baffi. “Ero venuto a farvi una breve visita che alla fine breve non è stata affatto.” Le appunto sorridendo affabile, ma il nano capì che qualcosa non andava: gli occhi scuri continuavano a indugiare sulla porta chiusa e tremarono leggermente quando da dietro di questa si sentirono le prima voci, tra cui anche quella profonda di Thorin che risuonò fino a loro.
 
Con un groppo in gola che cresceva sempre di piu’ Ghìda spostò lo sguardo verso quello di Bofur che aveva certamente notato il suo cambio di atteggiamento, ma non aveva detto nulla, aveva capito già tutto. Gli occhi timorosi di Bofur la studiarono per qualche attimo per poi spostarsi sulla porta: si aveva certamente capito tutto, ma non era un buon momento, doveva allontanarsi da lì.
 
“Non ti trattengo oltre dunque.” Si sbrigò a dire chinando la testa in avanti a mo’ di saluto prima di voltarsi non aspettando neanche un suo cenno, appena la voce di Thorin le arrivò nuovamente alle orecchie, stava fuggendo come lui, e lei lo biasimava, era diventata perfino ipocrita.
 
“Mia signora…” La richiamò però Bofur bloccandole il passo  sui gradini ormai già avviato verso le scale piu’ basse; si voltò verso di lui che la fissava con la mano già pronta a spingere la porta dorata per entrare. “Ricordatevi che la testardaggine può essere anche un pregio ma la scelleratezza no.” Appuntò sorridendole affabile in un gesto che Ghìda tradusse nella sua testa con un “Vi prego state attenta”.
 
Ghìda chinò la testa ringraziandolo e interpretando le sue parole prima di riprendere il suo percorso verso le sale piu’ basse ignorando i tremolii dietro la schiena che si fecero sempre piu’ insopportabili piu’ si allontanava da lì.
 
Appena oltrepassò le scale che l’avrebbero portata fuori dal palazzo, lasciò un immenso sospiro uscirle dalla bocca, lasciandosi andare verso la ringhiera dorata alla sua sinistra, stanca e scossa: non poteva andare avanti così.
Si portò una mano sul petto stringendo il tessuto blu fra le dita percependo il suo cuore effettivamente rallentare ogni attimo che dava le spalle verso quella porta e metteva spazio fra lei e Thorin  e così doveva essere. Non poteva dnare avanti così in eterno vero? Doveva finire prima o poi, il dolore e l’abitudine ne avrebbe preso il posto non è vero?
Cominciò di nuovo a camminare, seppur scossa verso l’uscita del palazzo sotto di lei: passò lo sguardo sotto la grande arcata La luce dorata era sempre piu’ intensa, il silenzio andava sempre piu’ scomparendo a ogni scalino che scendeva e cominciò fiorire quel leggero mormorio che era solito accompagnare la quotidianità di Erebor, fatte di schiamazzi parole urlate di tanto in tanto in lingua antica.
Ma infine dei mormorii e delle voci  divennero sempre piu’ fino anche confondere i suoi pensieri e le sue emozioni contrastanti che lo divennero ancora di piu’ si focalizzò su delle voci acute e scherzose provenienti da sotto di lei, uno schiamazzo sempre piu’ alto fatto di leggere risate e prese in giro che conosceva bene.
 
Un moto incontrollabile le dipinse un sorriso sul volto e le scaldò il petto come non lo sentiva da giorni e si lasciò il fianco con la mano tirandosi però su la gonna per aumentare il passo scendendo le ultime scale oltrepassando l’uscio del limite del palazzo e Erebor finalmente la investì: di fronte a lei si sprigionarono con immensità le enormi Gallerie dei Re: le loro enormi sale sotto di lei e i lunghi stendardi appesi alle pareti e alle terrazze brillavano della luce che sul pavimento dorato. Centinaia di teste che sotto di lei camminavano indaffarate tra le colonne avvicendandosi  nella quotidianità che le diede un conforto inimmaginabile, come il susseguirsi ipnotico del turbinio indaffarato e chiassoso di tessuti, scintilli ed elmi argentati.
 
Avanzò a passi veloci verso il parapetto in pietra del terrazzo studiando ogni figura che passava cercando di individuare la fonte delle risate tanto familiari, passando al setaccio ogni riflesso sull’oro sotto di se e ogni navata sorretta dalle gigantesche colonne; infine ai piedi di una di queste un piccolo gruppo di sei piccoli nani girava in tondo rincorrendosi o dandosi dei piccoli buffi che cominciando le già familiari baruffe.
 
Senza pensarci oltre si diede uno strattone da sola pronta a correre giù per le scale per raggiungere la sala sotto di lei, ma una fitta improvvisa al fianco la bloccò sul posto facendola piegare in due dal dolore seguita da un respiro pesante: forse aveva esagerato.
Socchiuse gli occhi e si portò una mano di nuovo verso le fasciature e calmò l’entusiasmo che l’avrebbe portata a farsi piu’ male che bene:  rialzò la schiena e si avviò verso le scale scendendone una a una con cautela facendo saettare uno sguardo per avere sempre un occhio attento sul gruppo che così lontano da lei, dall’altra parte dell’atrio non poteva vederla, coperta dal popolo di Erebor che preso dalla quotidianità attraversava quello slargo fondamentale passando  da una parte all’altra.
 
Il non essere notata dai piccoli nani non volle dire però che appena scese l’ultimo gradino gli altri nani non notarono la sua presenza, anzi, diverse teste si girarono verso di lei e la fissarono portandola a bloccare il passo: sentì nuovamente gli aghi che le premevano alla base del collo portandola a rizzarsi su se stessa e a far scender le mani verso la gonna stringendola tra le dita.
Si era abituata all’essere osservata, anche se di sottecchi, si era abituata in quelle settimane a sentire il suo nome sussurrato, a percepire quel peso sul petto, al non essere accettata mai del tutto, mai da tutti, per tuttala vita si era abituata a quello, ma ormai credeva che non potesse piu’ provocarle un simile effetto.
Bofur glielo aveva detto che tutti sapevano, e se conosceva abbastanza il popolo dei nani, quello che aveva fatto era stato inammissibile : Bofur aveva torto, che tutti sapessero era un male un terribile male.
 
Abbassò lo sguardo per terra incerta ma un brivido le percorse la schiena, una strana sensazione data dal silenzio che si propagava sempre di piu’ per il salone: alzò lo sguardo da terra e notò gli sguardi non giudicatori ma di riguardo.
Le dita tremanti si sciolsero dal tessuto blu e passò gli occhi guardinga gli occhi sulle figure che  per ogni passo che compiva si voltavano verso di lei sempre piu’.
Alcune nane tra la folle si fermarono perfino ponendole una leggera riverenza, alcuni nani invece rallentavano solo di poco il passo piegando la testa in avanti in segno di rispetto o si portavano la mano verso il petto, seppur con le braccia cariche di utensili o pepite d’oro da portare nelle fucine.
Un tumulto di domande  incertezze si fece largo nel petto: non si sarebbe mai immaginata di trovarsi in quella situazione.
 
Molti percepirono la sua incertezza e alcuni nani si lanciarono delle occhiate complici riprendendo il passo e interrompendo quel momento in cui sembrò che tutta la Montagna stesse guardando solo Ghìda, riportando tutto alla sua normale velocità compreso il parlottare nella sala che risuonò anche piu’ alto rispetto a prima mentre alcuni occhi nella folla non poterono fare a meno di continuare a fissare colei che aveva animato le storie di tutte le locande di Erebor.
 
Lasciando scorrere su di se gli sguardi, Ghìda avanzò decisa spostando la testa a destra e a sinistra dalle figure che spesso le bloccavano la vista e infine si ritrovò a ridere sommessamente rendendosi conto che non serviva che controllasse sempre dove fosse il piccolo gruppo: le loro voci erano talmente alte da rimbombare per tutto il salone rendo impossibile non sapere dove fossero. 
 
Questi ultimi saltellavano da una parte all’altra della colonna macchiata d’oro ancora ignari della sua presenza e ignari anche dell occhiate giudicatrici che gli venivano lanciate quando alzavano troppo la voce: fu quasi tentata di fermarsi in mezzo al corridoio per vedere quando l’avrebbero notata.
 
Fàrim si avventò su Lòni passandogli una mano intorno al collo mentre con l’altra gli arruffava i capelli biondi disfacendogli le lunghe trecce che portava al lato della testa, al loro fianco invece Drel e Trel erano seduti per terra con la schiena poggiata sulla base della colonna parlottando tra di loro a bassa voce, lanciando qualche occhiataccia ai due amici appena finivano spesso per colpirli inavvertitamente o inciampargli addosso. Tra i due gruppetti ben divisi c’era invece Màr che a differenza dei quattro maschi era ben silenziosa, impegnata a intrecciare i capelli di una bambola che teneva tra le gambe, aiutata accanto a se da Nìm che le indicava con il dito cosa fare e come acconciare, bloccandola con la mano ogni volta che compiva un errore.
 
Qualcosa poteva essere cambiato, ma non loro, no quello sarebbe stato impossibile.
 
In attesa, portandosi le mani verso il ventre una sull’altra, abbracciò la folle idea che l’aveva colta poco prima mentre i nani della galleria la sorpassavano aggirandola lanciando degli sguardi divertiti alle sue intenzioni ormai palesi; osservarono passando sia lei che rimaneva in silenzio e in attesa, sia al gruppo di nani ormai famoso ad Erebor, piu’ che altro per i loro continui battibecchi o per l’essere tremendamente rumorosi: no, non erano cambiati affatto.
 
Non ci volle in realtà prima di essere intravista, meno di quanto si sarebbe aspettata: appena la piu’ piccola del gruppo posò lo sguardo azzurro su di lei sobbalzò ma non ci volle molto prima che sorridesse raggiante. Mar incredula lasciò cadere accanto a se a bambola che teneva tra le mani rizzandosi in piedi e allargando le braccia le cominciò a correre incontro confondendo i quattro restanti che la guardarono confusa prima di spalancare a loro volta la bocca smettendo qualsiasi movimento che non fosse  quello di seguire la piu’ piccola con lo sguardo.
 
“Ghìda!” Urlò entusiasta facendo rimbombare il suo nome per tutto il corridoio lanciandosi tra le braccia talmente velocemente che Ghìda ebbe a malapena in tempo di  chinarsi e aprire le braccia per accoglierla che le buttò le braccia al collo stringendola forte facendola ridere al gesto. Con delicatezza le passò una mano nei capelli tenendola stretta mentre Màr aumentava la sua presa sul collo sempre di piu’ stringendola forte a se. “Mi sei mancata tanto!” Le mormorò sulla sua spalla prima di prenderle  il viso con le piccole mani sorridendole con un sorriso che avrebbe potuto irradiare un’intera stanza.
 
“Mi sei mancata anche tu.” Le sorrise poggiando la fronte sulla sua gentilmente spostandole un ciuffo dietro l’orecchio ma non ebbe il tempo di completare il gesto che dovette alzare lo sguardo notando altre figure correre verso di lei e sorpresa si lasciò scappare una risata irrefrenabile quando si ritrovò stretta in una serie di braccia così irruente che le fecero perdere l’equilibrio facendole sbattere le natiche a terra. “Mi siete mancati tutti.” Mormorò a fatica stretta tra quella quantità di braccia, quasi commossa trattenendo tra i denti un’ennesima fitta al fianco non volendo dargli preoccupazioni inutili.
 
Osservò le piccole teste tutte raggruppate l’uno sull’altra che le si stringevano sempre piu’ addosso mormorando parole incomprensibili nel tessuto spezzate dalle gomitate che si davano per farsi piu’ spazio.
 
“Drel, togli quel gomito dalla pancia non respiro.”
 
“Mar ho i tuoi capelli nel naso.”
 
“No Fàrim c’ero prima io con Ghìda”
 
Dovette ammettere a se stessa che le erano davvero mancati, forse anche piu’ di quanto fosse opportuno, probabilmente si sarebbe perfino pentita di quei pensieri quando l’avrebbero fatta nuovamente impazzire ma in quel momento ma non riuscì a contenersi stringendoli per quanto le fosse possibili tutte e cinque a se… cinque.
 
Passò lo sguardo confusa su tutti contandoli uno a uno e infine lo puntò nuovamente dove prima erano seduti e Nìm se ne stava ancora lì in piedi e immobile: le gambe dritte , i capelli rossi che le coprivano metà del viso, le piccole mani che si torturavano l’un latra mentre il petto le si muoveva su e giù tremante e delle silenziose lacrime le cadevano copiose bagnandole il vestito giallo.
 
“Nìm…” Sussurrò preoccupata richiamandola e appena le lacrime  della piccola nana cominciarono a cadere sempre piu’ copiose e con uno scatto corse verso di lei avvinghiandosi al suo collo nell’unico punto libero obbligando tutti gli altri a lasciarla andare, catalizzando quel piccolo momento solo su di lei.
La strinse con una tale apprensione da farle chiudere gli occhi e tentando di rassicurarla le poggiò le labbra sulla tempia cullandola gentilmente sentendo le calde lacrime bagnare anche i suoi di capelli.

 “S-stai bene?” Mormorò incerta Nìm tra i suoi capelli con voce spezzata nel frattempo che tirava su con il naso tentando di bloccare le lacrime che lei però percepiva comunque bagnarle il collo scoperto.

Ghìda annuì con la testa scioccandole un piccolo bacio sull’attaccatura dei capelli stringendola ancora piu’ a se e passandole la mano tra i ricci rossi accarezzandole la testa.  “Si sto bene, è stato solo un lungo sonno, tutto qui.”
Cercò di confortarla ma forse peggiorò solo la situazione perché dal petto premuto contro il suo gli usci un live fremito dovuto a un singhiozzo represso.


“Sei sicura? Hai le fasciature sul braccio sei sicura di s-stare bene?”

“Te lo prometto sto bene, servono solo a coprire le ferite, ma è passato tutto, lo prometto.”

“H-ho avuto tanta paura, pensavo che morissi… .” La voce le si spezzò irrimediabilmente facendola sospirare tra le lacrime. “Che n-non ci fossi piu’. Q-quando a-dad è tornato c’eri anche tu, Re Thorin ti ha portata qui e  tu non ti muovevi piu’ e lui ti guardava come se… come se…” Nìm si bloccò e un secondo singhiozzò le oltrepasso le labbra seguita da un fremito che le scosse le spalle spezzandole il cuore. “Poi ti hanno portata via, e-e sapevamo solo che c’era sempre qualcuno con te, m-ma non sapevamo altro, non ci hanno detto altro.”
 
“…l‘unica cosa che sei stata è un maledetto peso per questa Montagna e per ogni nano al suo interno.”
 
Un terribile senso di colpa le fece ricordare quelle parole, che l’avevano fatta scattare portandola a urlare addosso a Thorin e a riversarsi su di lui colma di furia e delusione per quelle parole che lei le aveva prese come un’offesa terribile, una stilettata al suo orgoglio ferito, ma erano la verità, una terribile verità che aveva continuato a negare: non era piu’ sola, se lei se ne fosse andata, avrebbe inevitabilmente ferito qualcuno e Nìm ne era solo la prova..
Le prese le spalle lasciandole i capelli e con gentilezza la allontanò da lei per poterla guardare in volto: le lentiggini rosse si erano andate a confondere con il rossore delle guance dovute alle lacrime che continuavano a scenderle dagli occhi. Abbassò le mani dalle sue spalle verso le sue mani stringendogliele entrambe con premura tra le sue.
 
“Cosa ti ho detto riguardo alla morte?”
 
Nìm dapprima la guardò confusa  inarcando le sopracciglia ma  poi capì e cercò di calmare i singhiozzi facendo dei piccoli respiri o tirando su con il naso. “Che non ci devo pensare, che nessuno morirà.” Mormorò veloce ma decisa sciogliendo una piccola manina dalla sua per asciugarsi con la manica le solitarie lacrime che continuavano a scenderle dagli occhi.
 
Annuì sollevata che si ricordasse le sue parole, anche se frutto di una bugia bianca, ma alla quale avrebbe desiderato che ne rimanesse attaccata il piu’ possibile, non poteva soffrire così, non avrebbe dovuto neanche pensare.
 
“Esatto, sono qui sto bene, non piangere per me.” La rincuorò un'altra volta e le asciugò con una delle sue mani una delle lacrime che le era sfuggita nell’altra guancia sorridendole con il lato della bocca e questo sembrò calmarla, per quanto potesse essere difficile perché annuì togliendo anche l’altra mano dalla sua strofinandosi gli occhi con vigore.
 
“Quando ricominciano le lezioni?” Una voce squillante interruppe il momento di debolezza che si era concessa la piccola nana che al riconoscere la voce si strofinò velocemente gli occhi per far smettere piu’ velocemente alle lacrime di scindere e abbassò lo sguardo imbarazzata.
 
“Lòni!” Lo sgridò Trel accanto a lui tirandogli una gomitata nella pancia facendogli uscire dalla bocca un gemito sommesso seguito da una risata piegandosi su se stesso non smettendo di ridacchiare anche se il respiro gli mancava di continuo.
 
“Perché lo hai fatto?”
 
“Perché sei sempre il solito, mai che riesci a tenere chiusa quella boccaccia!” Sottolineò di nuovo Trel dandogli un'altra pacca questa volta sulla spalla mentre Lòni si tirava su lanciandogli un’occhiata divertita.
 
“Che ho detto?” Mugugnò in maniera fittizia sapendo esattamente cosa avesse detto e Ghìda ci mise poco a capire perché lo avesse detto interrompendole: seppur ancora piegato su se stesso dolorante lanciò un’occhiata verso la piccola nana dai capelli rossi di fronte a lui, un sorriso dolce e innocente, che si allargò ancora di piu’ quando notò che aveva smesso di piangere e gli sorrideva in maniera complice.
 
Ghìda decise di star al gioco e incrociò le braccia al petto in maniera teatrale alzando un sopracciglio altezzosa non riuscendo però a controllare una risata che tradì le parole che dovevano dare una minima parvenza di serietà
 
“Ah vedo che però qualcosa è cambiato, Lòni figlio di Flòni ora le mie lezioni ti rallegrano?”
 
Appuntò osservandolo facendolo arrossire fino alla punta dei capelli  interrompendo le sue piccole risate e suscitando invece quelle dei due fratelli Drel e Trel che si dovettero coprire la bocca per interromperle capendo che l’amico si era cacciato in un bel guaio adesso.
 
In suo soccorso arrivò Fàrim che gli passò un braccio intorno al collo affettuosamente tirandolo verso di se guardandolo ”E’ solo perché negli ultimi giorni ha imparato a memoria una ventina di pagine del primo manoscritto di Ibun.”
 
L’appunto fece solo arrossire ancora di piu’ il nano dai capelli biondi che abbassò lo sguardo scrollandosi il braccio di dosso dell’amico mugugnando qualcosa di incomprensibile seguito da un’occhiataccia di sbieco verso l’amico
 
“St zitto Fàrim!” Mugugno ancora piu’ imbarazzato e  incrociò le braccia al petto per rimanere composto ma le occhiate eloquenti di Fàrim e il suo punzecchiarlo con il dito libero non aiutarono e quindi lo spinse via con un colpo della spalla per farlo smettere e infine la guardò con le trecce bionde che gli coprivano metà del viso ancora paonazzo.
 
“H-Ho… abbiamo rivisto quello che abbiamo fatto nelle ultime settimane, così…”
 
“Così non ti affaticherai, ho studiato tutto tutto, anche tutto quello che c’è da sapere sui sette clan e lo sapevi che abbiamo letto anche del tuo clan!” Urlò Mar interrompendo Lòni lanciandosi su di lei eccitata sbattendo le mani sulle sue gambe ancora a terra e saltellando su se stessa a ogni parola che pronunciava guardandola esaltata. “Davvero vivevi vicino al mare? Io non ho mai visto il mare! Perché non ce l’hai mai detto?!” Chiese senza mai prendere fiato arrotolando perfino le parole una sull’altra dall’euforia.
 
“Perché non me lo avete mai chiesto.”
 
Di tutta risposta tutte le domande che non le erano state poste fino a quel punto le furono fatte tutte insieme sovrastandosi l’un sull’altra in un ronzio confuso ma pieno di strilli e sguardi curiosi seguiti da piccoli spintoni per poterla guardare direttamente in viso.
 
“E’ vero che ci sono i mostri tra le onde dell’oceano e che le miniere arrivano fino sotto acqua? E che dovete immergervi per estrarre gli zaffiri?”
 
“Le miniere son-…”
 
“E’ vero che nelle fucine lavora tutti con l’acqua che arriva fino alle caviglie per non sentire caldo?”
 
“Beh non è…”
 
“C’è una sala del trono vero e come è? E’ sott’acqua anche quella?”
 
“Il tr-“
 
“Ma vi fate il bagno nell’acqua dell’oceano o avete un fiume come qui ad Erebor?”
 
“C’è anche lì-“
 
“E’ come una vasca!”
 
Le domande la tartassarono stordendola per un attimo, così veloci e repentine che dovette sbattere piu’ volte gli occhi e bloccare le sue parole per comprendere l’ultima affermazione urlata pieni polmoni da Mar con le braccia alzate verso il soffitto in maniera vittoriosa e per esaltare la grandezza della parola vasca.
 
Si dovette trattenere dal non ridere per l’ennesima volta, nell’immaginarsi i volti dei bottegai nei mercati sotterranei di Elcar o perfino quello degli orefici e intagliatori di diamanti, sformati e offesi dall’aver sentito l’oceano essere paragonato a una vasca da bagno.
 
“Sì come una enorme vasca, un enorme lago blu.”
 
Fàrim sembrò il piu’ eccitato all’idea del racconto delle storie della sua gente perché le si avvicinò con gli occhi sgranati e sorridente affiancandosi a Drèl che come lui la guardava curioso. ”Allora la prossima lezione è solo sui Nerachiave vero e su Elcar? Ti prego!”
“Se volete questo sarete accontentati, per me possiamo iniziare anche subito, non ho un granché di cui occuparmi questa mattina.”
Drèl sgranò eccitato gli occhi scuri osservandola dal basso cercando qualche segno che gli stesse mentendo, spalancando lievemente la bocca quando si rese conto che non vi era traccia di menzogna nelle sue parole. “D-davvero?” Chiese per sicurezza e Fàrim che non aveva avuto bisogno di una conferma successiva gli diede uno scappellotto dietro la testa muovendogli i ricci in avanti.
 
“Se te lo ha detto zucca vuota vuol dire di sì.”
 
“Non mi chiamare zucca vuota, tu sei il primo ad esserlo riccioli rossi.”
 
“Nel frattempo ho piu’ barba di te.” Appuntò Fàrim toccandosi la leggera peluria che gli si era già cominciata a formare all’altezza delle basette.
 
“Ma oggi dobbiamo andare nelle fucine pe… fuschre la cosronamhmm… “La bocca di Lòni fu velocemente tappata dalla mano di Nìm che alle prime parole del nano si era allontanata repentinamente dal fianco di Ghìda e si era avventata su di lui in punta di piedi pe mettergli una mano sulla bocca e schiacciandogli anche un piede per far interrompere il mugugno che continuava sul suo palmo.
 
“Non possiamo oggi.” Si affrettò a dire a voce alta, sovrastando i borbottii di Lòni, la piccola nana dai capelli rossi lanciando dapprima un’occhiataccia gonfiando le guance al nano che continuava a tenere fermo. Spostò poi lo sguardo verso di lei sorridendole rassicurante: ma quel sorriso non la rassicurò affatto, anzi peggiorò ancora di piu’ le sue sensazione, complice Lòni che la guardò dapprima confuso inarcando le sopracciglia e poi sgranò gli occhi come se gli fosse arrivata una rivelazione improvvisa.
 
Trèl repentino si mise di fronte a lei bloccandole la vista di Loni arrossendo violnetmente.“S-si è vero dobbiamo andare alle fucine per lavorare sui sigilli e le incisioni per le spade e le asce.”  Si affrettò a dire con un sorriso nervoso notando il suo sguardo che li guardava indagatrice: le stavano nascondendo qualcosa e qualsiasi cosa fosse se lo facevano da soli spesso risultava nella catastrofe.
 
“Solo quello dovete fare? Siete sicuri? ” Domandò avvicinandosi scrutando gli occhi neri del nano passandoli da una parte all’altra tentando di metterlo in soggezione, spendo che forse sarebbe stato l’unico lì in mezzo a non mentirle troppo dedito al dovere per farlo.
 
”S-si dobbiamo saperli incidere sulle lame, i marchi reali di Erebor e del popolo di Durin.” Una goccia di sudore freddo gli attraversò la fronte e si portò le mani dietro la schiena per sostenersi nel confermare nuovamente la sua tesi.
 
“Davvero fratello pensavo che avessimo finit-ah!” Questa volta fu Lòni quello a intervenire su Drèl che stava insinuando il dito nella piaga, dandogli una pacca nello stomaco come lui aveva fatto poco prima.
 
“No non abbiamo finito dobbiamo lavorarci anche oggi!” Gli lanciò un’occhiata eloquente sgranando gli occhi e puntandogli con la testa l’entrata delle fucine che si poteva ammirare da infondo il corridoio dietro di loro.
 
“Ma io la mia l’ho finita ier-ah! Smettetela!” La seconda botta gli arrivo da Fàrim dietro di lui  dritta sulla nuca facendolo piegar di nuovo su se stesso portandosi le mani a capire la testa dolorante. “Va bene va bene continuiamo anche oggi.” Fu costretto a dire massaggiandosi la testa riccioluta scura.
 
“Io non ho ancora capito a cosa servono in realtà.” Si intromise Mar nel piccolo discorso alzando lo sguardo verso di lei curiosa con le mani ancora sul suo vestito, che strinse flebilmente per attirare la sua attenzione e ricevere una risposta. “Perché marchiamo le cose che forgiamo Ghìda?”
 
Ghìda si morse il labbro quando dei ricordi indesiderati, di cui fino a pochi giorni prima ne avrebbe sorriso, di uno di quei pomeriggi, delle sue mani su un piccolo scudo d’addestramento e un altro paio che la guidavano passo passo tenendole la mano ferma. La stretta sulla gonna aumentò e dovette sbattere un paio di volte gli occhi prima di dare le attenzioni della piccola nana che continuava ad aspettare una sua risposta.
 
“Servono Mar per riconoscere se una spada appartiene ad Erebor, i Colli Ferrosi o alle Montagne Grigie insomma a quale clan appartiene il fabbro che l’ha forgiata, durante quale Era, se ha un nome particolare indicato a un nano in particolare e da dove provien-“ Le parole le si bloccarono in gola e il sorriso che rivolse a Mar si spense del tutto trasmutando la bocca in una linea netta mentre quella parola non finita la colpì come e un lampo facendole sgranare gli occhi.
 
Da dove proviene.
 
Come lastre di un armatura incompleta una parte mancante degli ultimi momenti della battaglia nelle Terre Selvagge riaffiorò violenta, un dettaglio mancante nei suoi ricordi così importante che la fece irrigidire : sentì il cuore cominciare a battere forte e una sensazione di panico farsi largo dentro di lei, quando nitido come vedeva i nani di fronte a lei le apparve l’orco sopra il mannaro e quello che portava sul petto, il marchio che sfoggiava dipinto col sangue fresco sull’armatura rancida.
 
Se la mente non le aveva giocato un brutto scherzo tutto quello che stava accadendo, tutto quello che era accaduto non era frutto di una mera coincidenza e avrebbe risposto a troppe domande a troppi quesiti compreso… Thranduil.
 
La gola le divenne improvvisamente secca e il fiato corto quando quell’ultimo pezzo che le mancava si andò a incastrare alla perfezione in uno schema che era perfetto, troppo perfetto, terribilmente perfetto e se quella paura fosse risultata vera Thorin, doveva saperlo e doveva saperlo subito.
 
“Ghìda stai male?” Sussultò quando sentì la piccola manina di Nìm afferrarle con gentilezza il polso per destarla dai pensieri e dalle rivelazioni che avevano prepotentemente preso posto nella sua mente isolandola da tutto quello che le stava succedendo intorno. Nìm sembrò quasi turbata dal suo sussulto perché inclinò la testa di lato confusa e continuando ad aspettare una risposta, così come le altre cinque paia di occhi che la osservavo preoccupati.
 
“I-io si, devo… ho bisogno di parlare con il re.” Rispose sbrigativa non volendoli turbare e gli rivolse un sorriso forzato annuendo e si alzò da terra, non riuscendo però ad ingannare come avrebbe voluto i sei piccoli nani che continuavano a fisarli preoccupata.
Si chinò quindi nuovamente guardando Lòni dritto negli occhi, ormai libero dalla stretta di Nìm: se lui avesse fatto qualcosa lo avrebbero sicuramente seguito tutti gli altri. “Se entro domani mi sapete ripetere tutta la discendenza della casata di Durin prometto che vi insegno qualche posizione con le spade, va bene? E poi vi parlo del mio clan.”
 
Ringraziando Mahal non ebbe neanche il tempo di finire la parola spade che Lòni si girò saltellando verso i compagni distraendoli da lei che senza attendere oltre, sentendosi tranquilla di potersene andare data la loro distrazione, cominciò a percorre la strada che aveva intrapreso prima al ritroso, ma invece che camminare attenta a non compiere movimenti bruschi, si ritrovò a compiere grandi e ampie falcate, spinta da quella paura sempre piu’ reale.
 
Schivo e oltrepassò rapida ogni figura che le si parò davanti, sentendo su di lei anche degli sguardi preoccupati, forse vedendo i suoi movimenti non consoni per la situazione in cui riversava, ma non le dissero neanche una parola sapendo probabilmente che anche se le avessero avanzato le loro preoccupazioni, non si sarebbe fermata.
Salì la prima rampa di scale entrando dentro le alee del palazzo da cui era uscita e cominciò a studiare con attenzione ogni scala, ogni gradino, ogni balcone sporgendosi in avanti per riuscire a vedere la porta che le interessava, ma era troppo in basso. Con uno scatto, tenendosi solo il vestito con le mani comincio a salire velocemente le scale continuando a guardare verso l’alto e a voltarsi su stessa cercando di catturare con lo sguardo la porta dorata delle Sala del Consiglio, che però continuava a sfuggirle alla vista, venendo intralciata solo da colonne e corridoi.
Mossa dal moto angosciante che continuava a ghermirle lo stomaco i suoi passi divennero sempre piu’ svelti fino a che non si fecero piu’ lenti, e pesanti come se le gambe le comandassero di fermarsi e di tornare. Con un tuffo al cuore, le si fermarono del tutto sul corridoi della Sala dei Banchetti, quando alzando lo sguardo, vide finalmente la porta dorata e come si era augurata era chiusa: Thorin era ancora lì dentro.
 
Osservò, stringendosi il vestito angosciata, ogni scalino che avrebbe dovuto percorrere per arrivare fino a lì cercando tra questi la spinta che l’aveva fatta muovere ma che improvvisamente l’aveva abbandonata portandola a dubitare della sua scelta. Entrare in quella sala, avrebbe comportato piu’ di un avvenimento e uno di questi sarebbe stata vederlo di nuovo, dopo tutti quei giorni.
 
Socchiuse lentamente gli occhi quando riuscì a percepire come se le stessero ancora scorrendo sul viso quelle lacrime, il dolore al petto, le sue labbra sulle sue; il cuore che le chiedeva perdono, la implorava di rimanere lì dove fosse, allungando un’ultima mano verso la sua coscienza tentando di farle capire che non avrebbe retto i suoi occhi.
 
No, non li avrebbe retti di nuovo eppure avrebbe dovuto farci i conti per tutta la vita , ma guardarlo ora o tra un paio di giorni non avrebbe cambiato nulla: lui avrebbe anche potuto continuare ad ignorarla per mesi, per tutti gli anni che sarebbero stati costretti condividere, ma quel peso non poteva fermarla nel suo essere regina e non l’avrebbe fermata neanche adesso dove c’era molto di piu’ in gioco oltre l’egoismo verso quello che provava per lui.
 
Thorin Scudodiquercia poteva andare a marcire.
 
Le nocche le diventarono bianche e il fianco cominciò a rifarle male nel frattempo che prese un ultimo respiro per farsi coraggio intraprendendo quell’ultima rampa di scale; a ogni passo che compiva si sentiva sempre di piu’ come il primo giorno in cui aveva varcato la soglia di quella sala, come il primo giorno in cui l’aveva visto.
 
Le due guardie i lati della porta si scosserò appena la videro salire dal fondo delle scale tirando su le picche dai loro fianchi e allineandole con la propria schiena e con il muro verde dietro di loro, sorvegliati dai loro gesti da due guardie simili che intagliate nella roccia sorvegliavano l’entrata.
 
Si scambiarono un’occhiata confusa quando Ghìda, figlia di Telkar, non cambiò strada intraprendendo una delle due scale accanto alla porta ma avanzò decisa e con la testa alta senza mai staccare gli occhi dalla porta dietro di loro e non gli ci volle molto a entrambi a capire le sue intenzioni. Una di queste infatti timorosa si riscosse scuotendosi dalla sua rigidità a voltò il viso seguendola e muovendo le picca come per bloccarla me questo neanche la fermò.
 
“Mia signora il re è in consiglio.”
 
“Lo so.” Rispose decisa Ghìda, talmente autoritaria che la guardi di fronte a lei sbatte piu’ volte le palpebre incredula non riuscendo neanche a muovere un muscolo quando la futura regina poggiò una mano sulla porta  dorata e interzinata spingendo con forza una delle ante,  e stupendola, si aprì con una facilità che non credette possibile in base alla sua imponenza.
 
L’oro gracchiò sul pavimento di marmo portando le parole all’interno della sala a interrompersi del tutto, così come i respiri che sembrarono tagliarsi a metà nella sala sostituiti da sussulti sbigottiti e occhiate confuse, lasciando andare sotto di loro i boccali di birra, come Dwalin che ne stava per prendere un ennesimo sorso o facendo sventolare i fogli e le pergamene sul tavolo che al movimento d’aria si alzarono e si abbassarono.
Ghìda, trascinò con se un silenzio istantaneo bloccando le parole di Glòin a metà, che chinandosi sul tavolo con le braccia incrociate, si voltò immediatamente verso l’entrata della sala del consiglio e come tutti gli unici nani intorno a questo ammutolì vedendo chi avesse oltrepassato la porta a grandi falcate interrompendo le discussioni che si erano protratte fino alla tarda mattinata.
 
Bofur fu il più stupito e anche sconcertato da quell’arrivo irruento, soprattutto ricordandosi come l’aveva lasciata e sapendo che non sarebbe mai voluta entrare in quella sala; fu veloce, abbassò la pipa dalla bocca tremante e si alzò dalla sedia senza neanch darle il modo di parlare o di aspettare un ordine di Thorin di non farlo o di farlo, osservandola avanzare con gli occhi sgranati. “Mia signor…”
 
“Devo parlare con te.” Esordì lei interrompendo sia le parole di Bofur che il silenzio puntando gli occhi diretti verso la figura piu’ lontana da lei.
Torreggiante e regale dalla parte opposta della sala, a differenza di tutti gli altri quando lei era entrata aveva abbassato lo sguardo verso un punto indefinito sul tavolo colmo di pergamene e boccali di birra vuoti stringendo con forza i braccioli della sedia non dando segni di voler rispondere.
 
Il silenzio si propagò un'altra volta per la sala, talmente pesante che solo Balin e Dwalin ebbero la forza di spostare lo sguardo verso Thorin che continuava imperterrito nel suo mutismo, interrotto solo dai passi sempre piu’ veloci di Ghìda che avanzò senza mai staccare gli occhi dal volto basso del re, che continuava ad ignorarla.
 
Strinse gli occhi al fastidio sul fianco salendo le prime scale che portavano al pavimento rialzato dove era poggiato al di sopra di tutto il tavolo del consiglio: lo aveva detto, Thorin poteva anche marcire, ma doveva ascoltarla, almeno questa volta doveva guardarla.
 
“Thorin mi devi ascol-ah!” La voce le si interruppe di colpo quando la fatica e l’irruenza la punirono per aver corso per tutto quel tragitto: una fitta di dolore piu’ alta delle altre la fece piegare su se stessa gemendo di dolore in un lamento talmente alto che tutta la tavolata a quel punto non poté fare in meno di alzarsi, tutti escluso Thorin, che le lanciò solo un’occhiata fredda.
 
Bofur ancora in piedi sobbalzò di colpo scostando la sedia cominciando a camminare verso di lei nel suo sbigottimento, così come Òin che ,nell’obbligò del dovere, si alzò di scatto a sua volta dalla sedia avvicinandosi verso di lei a grandi passi. Nori accanto a questo trasalì allontanando la pipa dalla bocca passando lo sguardo ormai fisso verso l’anziano nano che osservava le fasciature sul braccio incurvandosi preoccupato e puntando lo sguardo verso il fianco della ragazza.
 
“Mia signora dovreste essere a riposare, non siete ancora in grado di uscire.”
 
Ghìda alzò la mano per bloccarlo, ma il passo di Òin e di Bofur e quello di Balin, che sbigottito aveva cominciato ad avanzare verso di lei, furono interrotti da un secondo rumore profondo del legno che crepitò sotto una stretta poderosa e fu solo in quel momento che due occhi che trafissero l’intrusa.
 
“Torna nelle tue stanze.” Fu glaciale, un ordine che fece ammutolire tutti i nani, perfino Dwalin che seduto accanto a lui tirò su la schiena sbigottito, incapace di comprendere cosa stesse accadendo: gesti e parole che erano sconosciuti a chiunque tranne ai diretti interessati alla conversazione e che turbarono tutti i nani della compagnia; ma non Ghìda, no, non questa volta.
 
Lo sguardo che continuava a negarle faceva piu’ male di qualsia dolore fisico potesse provare, ma non si parlava piu’ di lei, e dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per compiere quegli ultimi passi  verso il tavolo, orgogliosamente tirando via la mano con cui si stringeva il fianco per poi poggiarla sul tavolo con forza scioccando ancora di piu’ tutti i presenti.
 
“Devi inviare un corvo a Bosco Atro e devi farlo subito.”
 
Le fiamme delle candele sul tavolo traballarono al gesto improvviso  ma non il viso di Thorin ancora basso e duro, coperto dalla leggera penombra che creava l’alto schienale dell sedia su cui era seduto celandolo ancora maggiormente nell’ombra che rese il secondo ordine che emanò verso di lei ancora piu’ cupo.
 
“Ghìda vattene, ora.”
 
Balin accanto a lui raggelò, aveva già sentito quel tono, era anche pronto a intervenire allungando una mano verso di lui per interrompere qualsiasi altra parola gli potesse uscirgli dalla bocca, ma non ne ebbe il tempo perché un secondo tonfo taglio in due l’aria: Ghìda si impuntò con l’altra mano sul tavolo sporgendosi in avanti, gli occhi decisi e fieri.
 
“So da dove provenivano gli orchi che ci hanno attaccato.”
 
Queste ultime parole furono piu’ forti di qualsiasi ordine che Thorin avesse dato in quegli ultimi momenti, incatenando l’attenzione del tavolo totalmente su di lei, non per compassione verso le sue ferite o mossi dalla paura di quello che Thorin avesse potuto dire. Il contenuto contenuto delle sue parole,  erano stati i dilemmi  discussi in quella sala negli ultimi giorni; ma a cui ormai avevano già dato una risposta che però era totalmente l’opposto di quella che scavava nel petto di Ghìda.
 
Al Re Sotto la Montagna però quelle parole scivolarono addosso come se non fossero delle sue preoccupazioni, non si mosse neanche di fronte a quella rivelazione, a quello che aveva detto: serrò la mascella e abbassò ancora piu’ lo sguardo verso il basso e verso la mappa che giaceva sul tavolo a poca distanza da dove era seduto.
 
“Da Moria, ne siamo già a conoscenza.” Sottolineò gelido.
 
“Non quello che ha attaccato me, non quello che comandava i mannari del branco che ha inseguito la carovana!”
 
Balin si chinò in avanti sul tavolo per poterla guardare in volto: era sicura delle sue parole, fin troppo, ma la questione era già risolta, e nel suo sonno lei non era potuta venire a conoscenza di molte cose, compresa la risposta dei sette clan in merito, e la loro.
 
Lanciò un’ultima occhiata a Thorin che non avanzò altre parole, piegato ancora su se stesso, impassibile, reagendo come se l’interlocutore dall’altra parte del tavolo neanche esistesse, non avanzando una spiegazione.
 
I suoi pensieri vennero interrotti voce di Dwalin che di fronte a lui incrociò le braccia al petto che cercò dapprima un’approvazione di Thorin nel rispondere alla ragazza, ma tutto quello che ebbe  fu solo un profilo basso, privo di qualsiasi emozione: qualcosa non andava affatto, non era così prima che entrasse lei.
Dwalin contrasse la mascella e scosse la testa osservando la mezz’elfa, passando lo sguardo dapprima sul suo braccio fasciato e poi verso il suo viso che continuava a fissare il re accanto a se, aspettando che lui le rispondesse: illusa.
 
“Sono arrivati dei corvi giorni addietro per confermarcelo, non possono essere strisciati fuori da ness…”
 
“Avete guardato le loro carcasse? Prima di andarvene di lì gli avete controllato le armature?” Chiese Ghìda senza aspettare che Dwalin potesse finire la frase, sapendo già come avrebbe concluso la discussione.
 
Non ricevendo risposta passò gli occhi su tutti i nani, Bofur spalancò la bocca di fronte a quella domanda, cercando lo sguardo di Dwalin per una risposta ma lei si affrettò a puntare gli occhi su un nano in particolare, uno che doveva aver visto.
 
“Nori, tu gli hai guardato il torace a quelli che vi hanno raggiunto?” Il nano la guardò dapprima corrugando la fronte confuso e poi abbassò ancora di piu’ la pipa che teneva in mano verso il basso studiandone l’erba che al suo interno continuava a bruciare e la risposta negativa le arrivò come se gliel’avesse detta a voce alta.
 
Dallo sguardo del nano dai capelli grigi, fece vagare il suo oltrepassando il tavolo, cercando quello di Thorin, ancora una volta, e ancora una volta non si degnava neanche di guardarla: sentì l’ennesima fitta al petto e la tentazione di affrontarlo lì difronte a tutti divenne quasi insopportabile tanto da farle graffiare il tavolo sotto la mano chiudendo la mano in un pugno tentando di controllare quel dolore al petto che non faceva altro che aumentare, attimo dopo attimo.
 
“L’orco che mi ha attaccata portava un segno, un segno che ho visto solo una volta quando sono venuta qui, ne ho accatastati di decine di cadaveri uguali…” Si affettò a dire controllando il tono di voce e facendosi carico di tutta la sua calma che possedeva si staccò dal tavolo con una leggera spinta e puntò lo sguardo verso il tavolo, studiandolo e trovando ciò che le interessava: di fronte a Thorin. “Portavano un marchio, segnato con sangue sulle armature, l’ho visto prima di perdere i sensi. Me ne sono ricordata solo ora, parlando dei sigilli delle sette casate e di come si usino per riconoscere la provenienza di un oggetto, di qualsiasi oggetto forgiato nei Sette Regni o per riconoscersi in battaglia alla fazione di appartenenza.”
 
Si diede una spinta con la mano e fece il giro del tavolo, passando dietro le schiene di tutti i nani sul lato destro, facendoli voltare leggermente ogni volta che sorpassava le loro schiena, sempre piu’ confusi dai suoi gesti, fino a che a tutti non fu chiaro cosa volesse quando puntò lo sguardo in mezzo al tavolo.
Thorin appena cominciò ad avvicinarsi iniziò ad irrigidirsi sempre di piu’ fin ola culminare in una stratta talmente poderosa sul bracciolo della sedia che si sentì l’anello del dito medio stridere contro il legno graffiandolo.
 
Se fosse stato una bestia le avrebbe le probabilmente ringhiato addosso, come avvertimento di non avanzare oltre.
 
Il rumore la fece arrestare di colpo dal suo intento, e fermò il passo rimanendo dietro lo schienale della sedia di Balin, mentre quel semplice gesto la fece rabbrividire: era così dunque, non aveva neanche piu’ il diritto di avvicinarsi a lui… lui provava disgusto per lei.
 
Quella semplice supposizione le fece abbandonare ogni freno inibitore, e come se il suo avvertimento non fosse mai esistito continuò verso di lui frapponendosi tra lui e il vecchio nano allungando la mano verso il centro del tavolo.
Non si curò ne degli sguardi allarmati di Balin accanto a se, ne dello spasmo che attraverso il collo di Thorin appena poggiò la mano sulla mappa della Terra di Mezzo o dei suoi muscoli che si tesero non appena la portò piu’ vicino  se, ma abbastanza inclinata da dare la possibilità al tutto il tavolo se avessero voluto, di poter osservare i suoi movimenti, spostando due candele al suo per illuminarla al meglio.
 
Poggiò un dito sull carta ingiallita passandolo sul suo pelo studiandola dal baso verso l’alto passando da sud di Elcar, fino a salire per Bosco Atro e poi voltare lo sguardo verso le Montagne Nebbiose e lì poggiò il dito indicando la piccola runa di Durin nella Montagne vicino la foresta di Lorien.
 
“Azanulbizar è qui giusto?” A quelle parole metà della tavola si irrigidì e l’altra metà cadde in un profondo silenzio fatte di teste basse e sussurri tristi, l’unico che mantenne la testa alta fu Dwalin che assottiglio gli occhi puntandoli verso la punta del suo dito e un secondo paio di occhi azzurri che si destarono dal nulla che stava fissando serrando la mascella a quel nome. Cercò in una conferma in Balin accanto a lei che annuì chinandosi ancora di piu’ verso la mappa: sentir nominare quel nome ad alta voce, faceva male, questo nessuno di loro lo poteva negare.
 
“L’entrata est delle miniere.” Sottolineò osservando la piccola runa rossa.
 
“Anche l’unica non sigillata.” Confermò ancor di piu’ Bofur che con i pugni serrati ancora non si era ripreso di come l’atteggiamento di Ghìda fosse cambiato in così pochi minuti.
 
“L’unica dalla q-quale si può accedere senza sapere la parola incantata della porta di Durin.” Sottolineò Ori prendendo la parola anche se flebile infondo al tavolo ricevendo una mano sulla spalla da Dori seduto acanto a lui.
 
Nori di fronte a loro annuì verso il fratello poggiando una mano sul tavolo per poi indicare la pipa fumante la mappa sotto le mani di Ghìda capendo a ciò che in realtà lei intendesse, e si allungò verso di lei strofinando l’estremità del bocchino da parte a parte delle due entrate di Moria “E da cui si possa uscire anche.”
 
“Se fossero degli orchi di Moria avrebbero dovuto attraversare l’Anduin avrebbero trovato la carovana molto prima delle Terra Brune, non vi è altro modo per passare se non attraversando quel fiume.” Sottolineò Ghìda facendo vagare il dito su tutta la lunghezza del lungo fiume assottigliando lo sguardo e facendo salire il dito sempre piu’ su.
 
Glòin osservò attento chinandosi ancora di piu’ in avanti, la barba rossa che ormai toccava il tavolo, studiando attentamente il dito che si muoveva sulla mappa salendo fin oltre il bosco, accarezzando le Montagne Nebbiose “Ragazza cosa state cercando di re.”
 
“Che venivano da molto piu’ in alto.” Fermò il dito sul lato piu’ alto dell mappa, puntandolo su una cima solitaria ad Ovest, la vetta, la fortezza, che aveva come simbolo quel marchio. 
 
“Gundabad.” Un mormorio che non seppe identificare disse ad alta voce il nome che lei stessa non aveva avuto il coraggio di pronunciare.
 
Dwalin dall’altro capo del tavolo inarcò le sopracciglia osservando la mappa confuso: le nocche ferrate delle mani che si poggiarono con lentezza sul tavolo mentre le folte sopracciglia nere insieme alla sua cicatrice sulla fonte si andarono ad incurvare incredule di fronte al punto indicato. “Quella fortezza è stata svuotata, alla fine della battaglia gli orchi si sono dispersi, non c’è nulla tra quelle montagne.” Affermò come se volesse piu’ convincere se stesso di quelle parole, ma con una sicurezza tale che trovò l’approvazione da suo fratello di fronte a lui.
 
“Sarebbero stati avvistati molto prima di arrivare al confine su di Bosco Atro.” Si rivolse a lei Balin questa volta alzando lo sguardo dalla mappa verso di lei: gli occhi che la interrogarono. “Quello che stai dicendo ragazza va contro ciò che sappiamo.”
 
“Li avremmo visti anche noi molto prima di giungere alle Terre Brune.” Concluse Dwalin confermando le parole del fratello e confermando anche la sua posizione sul fatto che lei si fosse sbagliata, eppure non era così.
 
Lei sapeva ciò che aveva visto, sapeva chi erano quegli orchi e sapeva anche che la conoscevano ma, quel particolare non lo rivelò, neanche per confermare che avesse ragione: sarebbe stato rischioso troppo rischioso e in piu’ era stato solo il suo nome mormorato, ma quello che la spinse a non dire nulla non fu il fatto che conoscessero il suo nome, ma quello di suo padre.
 
Ghìda scosse velocemente la testa e portò la mappa ancora più al centro del tavolo spostando il dito verso la foresta indicatone tutta l’ampiezza disegnando un enorme ovale invisibile. “No se fossero passati dentro un luogo talmente fitto da rendere impossibile anche solo vederli dall’alto, i corvi hanno visto ciò che ne è uscito non hanno visto se sono entrati in Bosco Atro.”
Dwalin sgranò gli occhi, i lunghi baffi gli tremarono sotto un piccolo sobbalzo di sgomento: aveva capito cosa stesse cercando di dire, e la situazione se era così come pensava, era grave, molto grave. Spostò il guardo verso Thorin, che sembrò estraniato totalmente da quello che gli stava succedendo sotto gli occhi e anche da quello che poteva significare.
 
 “Thorin…” Lo richiamò girandosi alla sua sinistra, per scuoterlo ma la voce della mezz’elfa sovrastò nuovamente la sua confermando le sue supposizioni.
 
“Se è come credo, Thranduil è per questo ha chiuso la strada elfica, la foresta è infestata.” Ora per quanto non lo sopportasse, rivolse tutta la sua attenzione verso di Thorin, guardandolo ancora seduto accanto a se.
 
Thorin che fino a quel momento era rimasto immobile, non curante, con lo sguardo basso si alzò attirando l’attenzione di tutti, ma invece di prendere parola lanciò un’occhiata verso tutti i membri seduti al tavolo: uno sguardo severo, evitandola di proposito prima di dare a tutti la schiena e procedere a grandi falcate verso il baratro di pietra e oro, alle spalle del tavolo portandosi le mani dietro la schiena e invitando tutti al silenzio.
 
Ghìda lo guardo incredula di fronte a un tale comportamento: se lo sarebbe aspettato da chiunque, ma non da lui, sembrava non avesse neanche ascoltato quello che avesse detto.
Strinse i denti e si scostò dal tavolo vicino Balin e oltrepassò l’angolo del tavolo per avere piena visione della schiena del re, che incurante continuava a mostrare a tutti i presenti.
 
“Thorin…” Lo richiamò facendo trasparire volutamente la preoccupazione che era riuscita a gestire fino a quel momento “Devi inviare un corvo a Thranduil, ad Esgarot, e a…” Si bloccò un attimo lasciando scivolare via il groppo che le si era formato improvvisamente in gola. “A mio padre. Devi interrompere qualsiasi cosa passi vicino a quella foresta.”
 
Il suo continuo silenzio il suo prendere le sue parole come una cosa che potesse essere ignorata la portò al limite; sentì un'improvvisa voglia di gridare a pieni polmoni la sua frustrazione, il suo dolore, ma stupendola la sua voce le arrivò alle orecchie definita e gelata.
 
“L’unica cosa che deve fare Thranduil è aprire la strada elfica, ha già portato abbastanza disgrazie su questo popolo.” Sibilò gelido muovendo a malapena le spalle quando parlò: l’unica cosa che infatti le diede la certezza che fosse stato lui a parlare fu il tono profondo e autoritario che nessuno mai avrebbe usato. Ma la sua autorevolezza non gli dava assolutamente il diritto di comportarsi a questo modo, sembrava non avesse neanche preso in conto le conseguenze o l’avesse ascoltata.
 
“Se passassero dentro il Bosco saranno massacrati tutti!” Disse tentando di contenere il tono di voce che le uscì comunque piu’ alto del previsto. “Devi sapere perché l’ha fatto, accantona i tuoi irrisori rancori verso gli Elfi di Bosco Atro, parla con lui.”
 
“Non è rancore.” Si intromise la voce dura di Dwalin interrompendola.
 
Confusa da tale affermazione si voltò verso di lui, spostando lo sguardo dalla tunica blu scura di Thorin verso il viso tatuato del nano. Dwalin la guardò alzando un sopracciglio studiando la sua espressione sconcertata e fu veloce a spiegare il motivo delle sue parole che a lei continuavano a sembrare assurde. “E’ da mesi non riusciamo a discutere con il Bosco, le porte del regno sono sigillate, come la strada Elfica, niente entra o esce da lì.”
 
“Mandate…” Cominciò incerta verso il tavolo che ormai la guardavano tutti in silenzio, spostando di volta in volta gli occhi da lei verso Thorin appena sentirono il plurale: non avrebbero ascoltato lei, solo con un ordine di Thorin avrebbero agito, anche se fosse nel torto la loro lealtà era troppo grande. Spostò gli occhi verso Bofur che scosse la testa in segno di non continuare oltre e poi verso Balin che invece la guardò affrante sospirando arreso e spostando anche lui lo sguardo verso Thorin portandola a fare lo stesso.

Se non avrebbero ascoltato lei, doveva convincere il diretto interessato.
 
“Manda…” Si corresse velocemente avanzando di un paio di passi verso la figura oscura che appena la sentì avvicinarsi si irrigidì ancora di più stringendo i pugni. “Manda un emissario, manda qualcuno a parlare con lui.” Insistette osservandogli la schiena che non dava segni di cedimento, se non le sue spalle che si alzarono e si abbassarono in un respiro profondo.
 
“E’ infruttuoso discutere con lui.” Sostenne ancora quasi ringhiandole.
 
“E’ infruttuoso anche non fare nulla, se non peggio!” Thorin rimase in totale silenzio, mandandola, oltre un limite che nessun nano avrebbe mai dovuto superare, lei per prima, ma ormai i suoi limiti Thorin li aveva abbattuti rendendoli cenere. Avanzò verso di lui oltrepassando l’ampia sedia che li separava, il fianco che chiedeva pietà di non muoversi in quella maniera irruenta, ma la furia l’acceco.
 
“La tua caparbietà sarà la tua rovina!” Scattò rabbiosa, non riuscendo a controllarsi: era stanca, troppo stanca per farlo, e a quelle parole l’aria divenne pesante, tutti trattennero il respiro, pronti a una reazione del re che operò non arrivò.
 
Nessuno aveva mai osato tanto, non con quel tono, non con quella rabbia, con quella disperazione che non fece altro che dare la conferma alla sala che qualcosa  si era rotto irrimediabilmente e il silenzio forzato di Thorin fu solo un tassello in più in quello schema oscuro che venne completato dalle parole supplicati che seguirono.
 
Ghìda prese un profondo respiro avanzando a piccoli passi verso di lui le mani strette nel tessuto della gonna, tremanti, cariche di un sentimento troppo devastante da controllare sotto la sua indifferenza. La voce dapprima sprezzante e carica di rabbia divenne un flebile sussurro spezzato e incerto.
 
Maikridî… ti prego.”
 
Capì d'aver compiuto un'enorme sciocchezza quando, per tutta risposta, ricevette una gelida occhiata oltre la spalla, che le fece drizzare la schiena così come le parole sibilate a cariche di rabbia che seguirono.
 
“Non venirmi a parlare di fiducia, non tu.”
 
A quelle parole sgranò gli occhi incredula, le mani le scivolarono via dal tessuto, morenti; il dubbio che l’aveva accompagnata fino a quel momento la distrusse, dandole la certezza che cercava: la conversazione che era avvenuta nella sua stanza, per lui era come non fosse mai avvenuta, aveva cancellato tutto, le stava facendo ripagare tutti i suoi sbagli di nuovo uno alla volta, come se già non li stesse pagando abbastanza, come se amare lui non fosse già abbastanza per farla soffrire.
 
A tutti i nani nella sala, compresi Balin e Dwalin che non avevano staccato neanche un attimo lo sguardo increduli di quello che stava accadendo di fronte a tutti, fu chiaro che la discussione era passata su un altro livello, in cui loro non rientravano, in realtà non lo era mai stata: non si trattava di un consiglio rifiutato, di una preoccupazione del re per la salute della futura regina, era stat frutto di gesti nascosti alla loro vista e di parole che nessuno dei due interessati avrebbe mai pronunciato di fronte a loro.
 
Un pensiero comune silente così come la decisione che seguì che li fece alzare per lasciare una solitudine quasi sacra a quella conversazione, tutti uniti dalla certezza che se fossero rimasti avrebbero solo intralciato una battaglia che  i due diretti interessati sembravano già stessero combattendo con il loro silenzio: l’espressione indurita del re verso le colonne immense che calavano nell’abisso della montagna e lo sguardo scossò della donna che lo osservava senza muovere un muscolo.
 
Balin si allontanò dal tavolo, trascinandosi con lentezza verso la porta dorata, seguendo gli altri: le mani che sorreggevano la vecchia schiena che già aveva una vaga idea di quello che sarebbe successo e la ragione gli sfuggì tra le dita.
 
 Lanciò un occhiata dietro di lui verso la ragazza, di cui riusciva solo a vedere il profilo e i ciondoli dorati tra i capelli scuri che si illuminavano della luce he oltrepassava le spalle di Thorin: doveva impedirlo, la sua testa gli diceva di impedire che qualcosa avvenisse, ma Dwalin intuendo cosa avrebbe fatto gli afferrò il braccio intimandogli un’ ultima volta di seguirlo e di andarsene, il volto del fratello specchio della sua stessa consapevolezza.
 
Se avessero dovuto distruggersi a vicenda, lo avrebbero fatto, con o senza il loro intervento.
 
Il rumore netto della porta che si chiuse e il suo rimbombo rotto solo dai loro respiri e Ghìda che si abbandonò in un sospiro profondo, incapace di non guardare altro che non fossero i capelli crespi neri e i due anelli argentati tra questi.
 
Aspettò in silenzio che lui aggiungesse altro, ma non disse nulla, e nella solitudine della sala lasciò andare quel pensiero che aveva trattenuto troppo a lungo e non le chiedeva altro di uscire.
 
“Allora è così che sarà, non avrò neanche piu’ diritto di parlarti?”
 
Seguirono diversi istanti di silenzio, che le parvero infinti, un’ attesa straniante in un silenzio profondo che voleva già dire tutto, già così le voleva dare una risposta così probabilmente, ma infine la voce di Thorin arrivò come un pugno in pieno stomaco, senza emozione alcuna.
 
“Non mi servono consigli e non mi servono da te e voglio sempre ricordarti che il tuo posto non è qui, in questa sala.” Si premurò di sottolineare ogni parola truce, senza darle il minimo riscatto, ricordandole ancora una volta cosa dovesse fare e la cosa cominciò a farle risalire i primi sentori della rabbia che fino a poco prima era scomparsa, spigionandogli adesso tututte le cose che non avrebbe mai osato dire di fronte alla sua compagnia.
 
 “Io sono venuta qua per avvertirti di un pericolo che tu non hai neanche ascoltato, un pericolo che hai visto con i tuoi stessi occhi. Sai che quello che ho detto è la verità!” Sottolie fredda.
 
“Se non ho detto una parola non vuol dire che io non ti abbia ascoltato.” Rispose piccato continuando a non guardarla come per dare ancora piu’ conferma alle sue parole, come faceva sempre, rendendola invisibile.
 
“Non hai alzato lo sguardo verso di me neanche per un attimo da quando sono entrata, puoi aver ascoltato le mie parole ma non aver visto la mia bocca mentre le pronunciava.”
 
“Non ho bisogno di guardarti per comprendere le tue parole, e neanche di starti accanto.”
 
Il cuore le saltò un battito a quelle parole, sapeva che si stava riferendo a ben altro che non a quello che era accaduto, o per lo meno lei ci sentì solo quello: se fosse vero o no era futile e non avrebbe cambiato il dolore che continuava a sentire allargarsi nel suo petto. “Per questo non sei piu’ venuto nelle mie stanze, per non guardarmi?” In quel momento si sentì disperata: pensare quelle parole era un conto, dirgliele ad alta voce la fece fremere dalla testa fino ai piedi a portare le mani a stringersi in due pugni, già pronta a un’ennesima riposta verso il muro che ora rappresentava la schiena di Thorin, ma non accadde.
 
Il desiderio che aveva espresso da quando era entrata in quella sala venne esaudito: Thorin voltò dapprima lo sguardo e poi si girò completamente con una lentezza che le fece patire ogni attimo prima che la guardasse negli occhi: fu quello che le fece piu’ male guardarlo in viso.
I suoi occhi le rifecero vivere ogni istante a rilento nella sua testa: le sue mani strette al collo della camicia,  le labbra intrinseche delle sue, la sua lingua nella sua bocca, quel bisogno esposto tra i loro respiri, le sue mani sulle sue gambe che salivano sempre piu’ in alto e poi il vuoto.
 
Le si cominciò a formare un groppo in gola terribile anche da buttare giù: ora che la guardava desiderava solo che si voltasse di nuovo.
 
“La mia presenza nelle tue stanze non era piu’ richiesta, stavi bene, ti sei svegliata, sono state le tue parole.” Le sottolineo duro. “ Il mio essere lì non avrebbe fatto nessuna differenza.”
 
“Avrebbe fatto per me la differenza.”
 
“Non mi sembra che ti sia servita per alzarti e camminare fino a qui.”
 
Il volto di Thorin non cambiò mentre pronunciava quelle parole, rimanendo freddo, la bocca che si mosse malapena a differenza della propria che si spalancò esasperata, esausta di lui, esausta di continuare così.
 
“Se mi disprezzi a tal punto perché continui ad onorare il patto con mio padre? Mandami via.” Solo a quella parole il volto di Thorin vacillò, durò solo un attimo quindi non fu sicura di quello che successe ma una scintilla gli attraverso gli occhi; era troppo distrutta per accorgersene e le parole che le uscirono di bocca, così assurde se ci chiese se fosse impazzita, una richiesta dolorosa e disonorevole. “Da quando sono qui ho disobbedito ai tuoi ordini, ho rischiato la vita e la tua discendenza, ti ho disonorato piu’ volte anche solo con la mia presenza in questa sala in questo momento.” Sputò dolorante, una sofferenza fisica che aumentava ogni parola perché sapeva fosse la verità: chiunque altro signore dei nani con un'altra qualsiasi nana avrebbe avuto qualsiasi diritto a ripudiarla. “Fa tornare tutto come prima che… prima che venissi qui.”
 
“Tu vuoi questo?” Le chiese freddo a bruciapelo spiazzandola. “Vuoi che l’accordo venga rotto?” Continuò serio ponendole quella domanda che la fece irrigidire: sentì il vuoto intorno a se, e la risposta era chiara nella mente, ma non riuscì a pronunciarla fissandolo in silenzio.
 
 
Thorin assottigliò lo sguardo avanzando verso di lei di un passo, ma appena stette per compiere il secondo si bloccò di colpo, come se un enorme peso lo tenesse fermo dove si trovava.
 
“Ti sbagli, io non ti disprezzo.” Fu fugace ma lei lo sentì, vide la sua bocca muoversi nel dirla, ma scaturì dentro di lei l’emozione opposta  a quella che doveva sentire: non era felice, non era neanche rasserenata era ancora piu’ esasperata e incredula alla sua continua cotraddizione al suo continuo avvicinarsi a lei e poi strapparsi via in un perverso gioco di potere.
 
Avanzò verso di lui colmando i passi che Thorin non era riuscito a compiere: lo studiò puntando gli occhi nei suoi, in cerca di quella scintilla che aveva notato, ma c’era il buio, il freddo. Sconcertata ed esausta sciolse le mani dalla gonna, talmente esausta che la sua bocca prese fiato, facendo ciò che sarebbe stata incapace di compiere da sola.
 
“Allora cosa sono io per te? Se non mi disprezzi cosa provi per me?” Un sussurrò così leggero che dubitò anche di averlo chiesto, lei doveva sapere aveva ogni diritto di sapere, non sarebbe stat il suo giocatolo, non piu’.
 
Thorin non disse nulla, e sentì la frustrazione serrarle lo stomaco pronta a urlargli quella parole un'altra volta ma e poi la rivide quella scintilla che prima non era sicura di aver notato, la vide, così come la gola di Thorin che si mosse nervosamente: un pezzo di un’armatura impenetrabile che lei, inconsapevole era riuscita a far cadere.
 
Le mancò il respiro a quella reazione ma le diede la spinta per compiere una seconda domanda, piu’ incisa della prima e molto piu’ devastante, avanzò di un passo, talmente vicino che Thorin la torreggiava, alzò ancora di piu’ il viso per guardarlo meglio, tanto lontano da non poterlo sfiorare, ma talmente vicino da annebbiarle la testa.
 
“Quel bacio non ha significato nulla?”
 
La incenerì con un’occhiata, la scintilla divennero fiamme che divennero sempre piu’ ruggenti come i contorni del suo viso che si distorsero mentre si avvicinava sempre di piu’ vicino al suo tanto da farle socchiudere lievemente gli occhi e percepire il fuoco che amava anche sulla pelle del suo viso.
 
“Quel bacio è stato un errore ecco cosa è stato, dimenticalo.” Ribatté secco e così diretto come l’aveva detto allontanò il viso dal suo ponendo di nuovo un passo tra loro due che nel suo petto sembrò un burrone.
 
“Dimenticare?” Chiese affranta, tentando di controllare la voce che si andava a incrinare, ma quella maledetta lacrime, che si era ritrovare a versare solo per lui , tornarono rendendole il tutto ancora piu’ difficile: un segno di un cuore che stava per cedere.
Nessuno dei due sarebbe mai stato in grado di dimenticare, ma dalla bocca di Thorin non uscì altro che un soffio e da quella di Ghìda un lamento incredulo. “Tu mi chiedi di comportarmi come se non fosse mai accaduto, di andare avanti facendo finta di nulla?” Chiese di conferma intanto che la sua voce dava già i primi segni di cedimento.
 
“Si.”
 
“Non posso.” Fu diretta senza giri di parole, e calcò quelle parole, un per una, tanto da scuotere Thorin di fronte a lei che sussultò a una sua negazione così diretta: le mani dietro la schiena che si chiusero in una morsa ferrea, che aumentò di forza quando lei si riavvicinò di nuovo a lui. “ Non posso farlo, non piu’. Ci ho provato e provato…” Thorin vide i suoi gli occhi brillare ogni centimetro che si avvicinava verso di lui, e la sua compostezza andò a vacillare. “Ho provato tutte le notti, provato a dimenticare quello che è successo, ma io non posso, non ci riesco.”
 
“Non hai provato abbastanza.” Bisbigliò roco Thorin, quasi parlando a se stesso e non a lei.
 
Ghìda schiuse le labbra, schiumante di collera: strinse gli occhi finché non divennero due fessure, ed aggrottò la fronte esplodendo definitivamente. “Credi davvero che non abbia tentato con tutte le mie forze a cancellare quei momenti!?” Sibilò non staccando mai gli occhi dai suoi che ancora le donavano solo ira e indifferenza. “Credi davvero che non desideri altro che dimenticare? Piu’ ci provo e piu’ mi torna alla mente, e piu’ mi torna alla mente piu’ ricordo tutto il resto.”
 
“Se tu volessi dimenticare non mi avresti posto un domanda così sciocca!”
 
“Te l’ho posta perché ho il diritto di avere delle risposte!” Sbraitò ormai fuori di se.
 
Thorin perse la pazienza, il corpo gli fremette e in quello che durò un attimo avvicinò sempre di piu’ a lei, furente: gli occhi scuri, i pugni della mani che da dietro la schiena erano serrati suoi fianchi, un sorriso mesto che gli si dipinse sul volto, che si andò a spegnere lasciando il posto a una furia pure e limpida, talmente distruttiva che la portò a indietreggiare sempre di piu’ spaventata.
Le mani dietro di se in cerca di un appiglio la trovarono sul tavolo di pietra, sul quale si ritrovò bloccata incapace di andar oltre ma questo non fermò Thorin che con un colpo secco batte i pugni sul tavolo lungo i suoi fianchi sfiorandole le mani che tremarono dalla paura: dai suoi occhi cominciarono a sgorgare quelle lacrime di rabbia che aveva cercato in tutti i modi di trattenere specchiandosi in quelli di Thorin lividi dalla furia.
 
“Tu non hai il diritto di avere risposte dove di risposte non ce ne sono…” sibilò adirato “E’ stato un errore, niente di piu’, una sudicia debolezza che non sarebbe mai dovuta accadere…” Calcò con piu’ rabbia: le mani che premevano con forza sul tavolo, un vano tentativo per controllare quel dolore trasformato in rabbia.  “Una cosa che va dimenticata come tutto quello che ne è conseguito, come tutto quello che ha portato a quel momento e tutto quello che ne cons-”
 
“Io ti amo.”
 
Furono tre parole, semplici, troppo semplici, troppo assurde da sentire , troppo dolorose da sentir uscire dalla sua bocca, ma così taglienti da rompere qualcosa nel petto di Thorin, un qualcosa che si era ripromesso quei giorni di non far uscire per alcun motivo.
 
Il petto gli sussultò, la patina di rabbia che gli aveva annebbiato la vista si dilatò, e cominciò a vedere di nuovo, iniziando a scorgere i dettagli del suo viso, di nuovo così dannatamente vicino al suo: gli occhi marroni sgranati, due lacrime silenziose che le erano scese dagli occhi scuri, il viso trasmutato in una espressione di rassegnazione, la bocca ancora spalancata alla fine della parola amore.
 
No, non poteva averlo detto.
 
Si allontanò di colpo, spaventato da se stesso, di ciò che sarebbe potuto succedere, di ciò che avrebbe potuto fare, paura di ciò che continuava a risuonargli nella testa, di quella sensazione fatta di sussurri tenebrosi che cigolarono sotto i suoi occhi imploranti che non smisero di seguirlo, le mani ben artigliate al tavolo dietro di lei, il petto che si muoveva in respiri veloci uno piu’ tremante dell’altro.
 
“Non farlo.”
 
“Non puoi impormelo…” Sussurrò di rimando tra i denti rimanendo ferma dove stava, i suoi respiri a malapena percepibili dal movimento del tessuto leggero blu del vestito, le spalle basse: sembrava svuotata, lui l’aveva svuotata. Una fitta gli attraversò il cuore e lo fece infuriare ancora di piu’; basta non lo voleva, tutto quello non lo voleva più.
Si avvicinò nuovamente a lei scuotendo la testa e si ritrovò di nuovo a fronteggiarla ma era abbastanza lucido da poter patire ogni parola, ogni bugia, ogni desiderio nascosto che fu costretto a tirare fuori.
 
“Finché sei sotto questa Montagna io posso importi ciò che voglio!”
 
“Non quello che provo!” Gli urlò addosso di rimando le lacrime ormai solo dei flebili ricordi, un momento di debolezza spazzato via dalla realtà che piangere per lui non sarebbe servito a nulla: lui non sarebbe cambiato e lei neanche, avrebbero continuato a urlarsi addosso fino a distruggersi a vicenda. E ogni urlo che lui compiva la stava distruggendo, come quei suo maledetti ordini,: credeva di poter controllare il mondo, ma non poteva controllare a chi appartenesse il suo.  “Non mi chiedermi questo, perché io non posso obbedire al tuo ordine, come non puoi chiedermi di non morire per te o di cancellare quello che sia successo! Non puoi chiedermi di non amarti!”
 
“La mia non era una richiesta, era un ordine.”
 
“Ed è l’unico ordine che non puoi imporre a nessuno, e me lo stai imponendo a me! Come se fosse una cosa che io voglia, che io desideri provare!”
 
Thorin assottigliò lo sguardo scrutandola furente e poi serrando la mascella spostò lo sguardo verso il suo petto, scosso da un tremito, e vi avvicinò la mano osservandolo con la mascella serrata; le puntò un dito sul petto in mezzo allo sterno all’altezza del cuore sfiorandole la pelle scoperta per poi riaffondare gli occhi nei suoi, le mani che ormai le facevano male per quanto stringeva bordi del tavolo dietro di se.
“Quello che provi per me non è altro che una tua illusione, una richiesta che tu mi chiedi che io non posso accontentare: io ti onorerò come regina, come moglie, come madre, ma non ti aspettare altro da me, io non sono obbligato a darti altro che non sia questo. Perché io non ti darò altro che questo.”
 
Una bugia che devastò piu’ Thorin che Ghìda che quando la sentì sputata contro di se non reagì neanche rimanendo immobile: fu come se tutte le stelle intorno a lei si spegnessero a la montagna crollarle addosso schiacciandola sotto un peso delle parole che si era già preparata a sentire ogni giorno.
 
“Io non ti ho chiesto di darmi altro che non sia questo…non ho mai neanche avanzato la pretesa che tu mi possa dare altro… io non voglio altro da te.” Sussurrò così flebilmente da fondersi con l’aria che la circondava.
 
“Allora la conversazione è chiusa.” Concluse Thorin freddamente e tolse il dito dal suo petto allontano il viso dal suo con una velocità tale che Ghìda chiuse gli occhi per un istante; quando li riaprì lo vede lontano da lei di nuovo vero il baratro infondo alla sala. camminava all’indietro osservandola e infine si voltò pronto a voltarle le spalle ancora, per congedarla.
 
I Valar dovevano odiarla davvero, farla nascere, darle la vita e poi per puro loro piacimento legarla a l’unico nano a cui non avrebbe mai potuto donarsi, alla personificazione stessa di tutto ciò che lei avrebbe voluto essere e che non sarebbe mai stata.
 
Ogni parte di lei le continuava a dirle di andarsene, di lasciare quella stanza, di scappare via e di diventare ciò che sarebbe sempre dovuta essere, tornare alla realtà di ciò che era, interrompendo quel sogno che si era costruita intorno, in cui aveva rigettato tutta se stessa, in cui ancora poteva vedere quei momenti tra loro due: la grotta, il suo volto che la scrutava quando scendeva la scalinata della stanza dei banchetti, la sua mano sulla sua guancia prima di addormentarsi, le sue labbra sulla sua testa e le loro dita incrociate nella fucina, la sua voce spezzata nel suo dolore e poi le sue labbra sulle sue che non aveva fatto altro che suggellare quello che lei già sapeva fin troppo bene.
 
Non seppe cosa la spinse, forse la certezza di non poter perdere nulla, la certezza che qualsiasi sarebbe stata la sua risposta non poteva soffrirne piu’ di così: si avvicinò a lui prima che potesse darle le spalle, lasciando il tavolo dietro di lei e velocemente si posizionò davanti al suo petto fronteggiandolo dal basso verso l’alto prendendogli il viso tra le mani osservandolo dritto nelle iridi blu, con le parole che uscirono come un fiume in piena.

“Guardami negli occhi e dimmi che è stato tutta una mia illusione” Cominciò con la voce che fu un misto di determinazione che però andò a vacillare sotto il peso dei sentimenti troppo trattenuti in una maschera di regalità e onore. “Dimmi ti prego che sono rimasta una ragazzina chiusa in una fucina che ancora spera nel nulla, dimmi che sono una mezzosangue e nient’altro, dimmi che la montagna ha tremato solo per me e non per te…”

“Ghìda…”

“Dimmi che è stato un momento di debolezza che non si ripeterà mai piu’, dimmi che tutto tornerà come prima, dimmi che passerò la mia vita a stare al tuo fianco senza avere nulla in cambio che non siano dei pomeriggi buttati in una sala di questa Montagna…”
 
La parte razionale continuava ad urlarle di fermarsi, poiché stava compromettendo tutto quello che sarebbe potuto ancora essere; ma era diventata sorda a qualsiasi richiesta, a qualsiasi invocazione.
 
Invece doveva sfogarsi, espellere quel dolore e riversarlo su di lui.
Non avrebbe voluto, ma non riusciva più a fermarsi.
 
Thorin abbassò il capo, l’orgoglio e il dolore che lo bloccavano da qualsiasi suo richiesta, che gli sembrarono assurde ma così lecite e così terribili anche da pronunciare che non riuscì a mentirle, riuscì solo a supplicarle di fermarsi, perché non avrebbe retto una frase di piu’.
 
“Basta…” Le ringhiò Thorin con gli occhi che divennero ogni parola sempre piu’ furenti e il suo viso sempre più rigido sotto le sue mani.
 
“Dimmi che tu non hai sentito nulla, dimmi che non mi vuoi neanche piu’ guardare in volto, che non mi rivolgerai più la parola, dimmi che mi sposerai solo perché devi farlo.”
 
“Sta zitta!”
 
“Dimmelo e la conversazione sarà chiusa!” Lo supplicò non riuscendo ad arrendersi a non sopportare piu’ tutto quel peso quel dolore nell’anche solo stargli vicino, l’avrebbe consumata.
 
Non ebbe neanche il tempo di rendersi conto di quello che aveva detto che si sentì presa per i capelli della nuca ferocemente e patì le labbra di Thorin avventarsi sulle sue in un bacio furioso e famelico che le face sgranare gli occhi incredula; le silenziose lacrime che per troppo aveva trattenuto si insediarono tra le loro labbra rendendo il bacio salato e ancora piu’ violento di quanto sarebbe dovuto essere.
 
Il buonsenso le diceva di spingerlo via: tentò perfino di allontanare le labbra dalle sue ma appena ci provò Thorin passò l’altro braccio intorno alla vita bloccandola e tirandola ancora piu’ verso di se.
 
No, non doveva succedere, non piu’, eppure vi si aggrappò con ancora piu’ ardore rispetto alla prima volta che le loro labbra si erano incontrate, e non riuscì a far altro che a riversare tutto il suo dolore, la sua rabbia, il suo amore in quel bacio sempre piu’ irruento.
 
Ghìda spostò le mani dalla sua mandibola fino verso il suo collo e poi nei suoi capelli incrociandoci le dita con forza attirandolo verso di se quando Thorin invase prepotentemente la sua bocca stringendole così forte i capelli da farle male e farla gemere in un misto di dolore e piacere.
 
Perché quello stava sentendo: un terribile e dolce dolore che le fracassò il cuore.
 
Si sentì spinta all’indietro fino a che non incontrò la superfice del tavolo di pietra sbattendoci la parte bassa della schiena: inaspettatamente la mano di Thorin le lasciò i capelli, e accompagnata da quella sul bacino, senza staccarsi dalle sue labbra, irruentemente la alzò da terra prendendola per le gambe facendola sedere sul tavolo e posizionandosi in mezzo alle sue cosce tese.
 
I respiri diventarono piu’ veloci, i rumori degli ansimi e l’inseguirsi del loro lingue  non fece altro far scontrare il dolore di entrambi con la dura realtà di non potersi separare da ciò che erano da ciò che provavano che per quanto fosse terribile li aveva fatti desiderare l’un l’altra un'altra volta.
 
Le labbra bollenti di Thorin si staccarono dalle sue scendendo piu’ un basso verso la mandibola per poi andare a baciarla vicino all’orecchio e poi verso il collo mordendoglielo e torturandolo facendo crescere sempre di piu’ dentro di lei il desiderio di sentirlo piu’ vicino a se che non fece altro che aumentare quando percepii le mani insinuarsi sotto il suo vestito accarezzandole la pelle delle gambe salendo sempre piu’ in alto.
 Non riuscì a trattenere un gemito quando sentì i denti morderle la pelle alla base del collo, inarcandolo di lato in un silenzioso invito a proseguire, cosa che Thorin non esitò a fare torturandola con piccoli morsi che si andarono ad alternare a lenti movimenti della sua lingua sulla pelle che aveva già segnato.
 Lo attirò sempre di piu’ a se intrecciando le mani nei suoi capelli e  non ebbe neanche bisogno che Thorin la guidasse le gambe questa volta: queste si strinsero intorno alla sua vita in una presa salda e languida facendo aderire la pelle nude del suo interno coscia sulla fondina della spada e il freddo della cintura metallica.
Appena fu abbastanza vicina allargò le gambe fece  aderire i loro bacini scatenando un ruggito basso di Thorin che le si propagò per tutto il collo fino alla spalla portandola a gemere a sua volta inarcando la schiena all’indietro.
Mentre le mani bollenti salivano sempre di più le labbra di Thorin scesero ancora piu’ in basso lasciandole una scia di baci addentando la carne alla base del collo: la barba scura le graffiava la pelle e i denti gliela dilaniarono in un doloroso piacere che non riuscì a trattenere nella sua bocca sfogandosi in un lamento acuto. Era imprigionata sul suo corpo, in balia delle sue mani e della sua bocca e di quel calore al basso ventre che si espanse fino alle sue mani: incontrollate si sciolsero da dietro dai suoi capelli, sfiorando le trecce al lato del viso, scendo sempre piu’ in basso verso la il bordo della cotta che comincio a slacciare bottone per bottone
 
Lo voleva, disperatamente.
 
Eppure anche se lo desiderava a tal punto le lacrime continuavano a non fermarsi infilandosi nella sua bocca e poi piu’ giù scendo dalle guance verso il suo collo raggiungendo le labbra bollenti ormai avventate alla base del suo collo; Thorin fu veloce a raccoglierle baciandola a ritroso dal suo collo, alla sua guancia, ai suoi zigomi prima di suggellare di nuovo il tutto con un bacio talmente carico di passione che fece chiudere gli occhi a entrambi e bloccare le mani di Ghìda a metà dell’opera riuscendo solo sfiorare con la punta delle dita il petto costellato di cicatrici.
 
In un istante, un ringhiò furioso all’interno della sua bocca anticipò quello che sarebbe successo: la mano di Thorin da sotto il suo vestito scattò afferrandole il viso e allontanandolo con foga dal suo interrompendo violentemente quel bacio, che se fosse continuato avrebbe decretato la loro rovina.
 
Eppure lo aveva già fatto, erano già rovinati.
 
Il petto del re si alzava e si abbassava velocemente, scosso dai gemiti interrotti e dai respiri negati in quei minuti: gli occhi azzurri la stavano mangiando viva in un misto di bramosia e furia.
Ma poi si addolcirono di colpo e la scintilla che le aveva negato per tutta quella discussione si riaccese: la guardò con una tale sofferenze che le si strinse il cuore, facendo solo aumentare quelle silenziose lacrime che continuavano a fluirle dagli occhi. Tremante, alzò la sua mano dal suo petto verso la sua guancia poggiandola sopra di essa, sfiorandogli la barba e la pelle bollente della mandibola, accarezzandogli il viso lentamente: per quanto avesse voluto vedere quello sguardo, lo odiava, odiava vederlo così.
 
Thorin aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito e infine incapace di dire quello che doveva a parole con delicatezza poggiò la fronte sulla sua socchiudendo lentamente gli occhi allentando la presa sul suo viso che da una stretta ferrea divenne ben presto una lieve carezza a cui lei si abbandono. Ghìda socchiuse gli occhi adagiandosi sulla sua mano la sciando cadere le ultime lacrime che a quel semplice gesto si fermarono.
 
In fine quella passione prese un nome nella sua testa: un momento di rabbia e lussuria, un momento in cui il desiderio li aveva colti incrollabile, un’ira profonda verso di lei che Thorin non era stato capace a gestire accecato come lei dalla bramosia del suo corpo, ma ora era altro, quelle carezze non erano violente o possessive, niente di tutto ciò lo era: solo estremamente dolce e straziante.
 
Era un addio.
 
Thorin le accarezzò la guancia con le dita della mano e poi abbassò lo sguardo verso le sue labbra portandoci anche la punta delle dita strofinandone il lato con il pollice facendolo scorrere per ogni singola piega arrossata di cui fino a poco prima si era beato preso dall’irruenza, dal dolore, dal suo farla smettere di pronunciare quelle richieste assurde.
Faceva male, troppo.
Alzò di nuovo lo sguardo verso i due pozzi scuri: dovette imporsi di non avvicinarsi di nuovo e baciarla ancora, asciugandole con le labbra tutte le lacrime che avrebbe cominciato di nuovo a versare, riassaporandole nella sua bocca come era successo poco prima, fuse con al loro saliva e i loro respiri.
 
Quello che però andava fatto, non era ciò che desiderava, quello che desiderava era di fronte a lui, con le gambe intorno alla sua vita, le mani sul suo viso, un'altra ancora sul petto, a un soffio dalle sue labbra, a un battito dal suo cuore, ma quello che andava fatto era invece allontanarla da lui, e lui doveva allontanarsi da lei.
 
“Vattene.” Mormorò a stento allottandosi da lei quel tanto che bastava da farle sciogliere le gambe via dai suoi fianchi ma non abbastanza da non poterne ancora sentito l’odore nelle narici: il cuore gli diceva di tornare lì, di continuare, di reclamarla, li su quel tavolo, di perdersi in lei, di accettare ogni singola conseguenza, di donarle tutto ciò che non le era mai stato donato, ma gli era bastato poggiare di nuovo le labbra sule sue  per sapere che non sarebbe piu’ accaduto che non avrebbe piu’ lasciato che accadesse.
 
Abbassò lo sguardo serrando la mascella incapace di reggere ancora il suo sguardo, incapace di guardarla in viso: è vero, su quello aveva avuto ragione, non ne sarebbe stato piu’ in grado. “Va via.” Ripete putandole con la testa la porta ancora una volta alzando gli occhi severamente su di lei.
 
Ghìda consapevole chiuse le gambe lentamente appena si allontanò da lei e poi cominciò ad abbassare lo sguardo mentre piccoli fremiti cominciavano di nuovo ad oltrepassarle il corpo. Le sue mani dapprima strette intorno al suo collo e perse nei suoi capelli si strinsero ai bordi del tavolo facendole diventare le nocche bianche serrò la mascella guardandolo, alzando quell’armatura e quel ghiaccio che non  lui non aveva piu’ visto da settimane:, la bocca si aprì e si richiuse piu’ volte tentando di dire qualcosa ma poi scosse la testa arresa: gli occhi privi di vita, spezzati.
 
Lei aveva capito, con il cuore spezzato, lei aveva capito e questo non fece altro che farlo odiare ancora di piu’.
 
“Vorrei non averti mai incontrato.” Sussurrò con la voce spezzata guardandolo per la prima volta con disprezzo, un profondo disprezzo di un anima che non si sarebbe mai rimarginata.  Strinse i denti dal dolore prima di scendere giù dal tavolo abbassandosi il vestito che era ancora rimasto alzato e coprendosi il lato del collo con il palmo della mano, segnato da svariati segni rossi, prima di voltarsi senza dire altro e uscire dalla sala battendo la porta dietro di se.
 
Thorin alzò lo sguardo da terra verso il tavolo dove prima era seduta, dove si era quasi lasciato andare, dove per un attimo aveva fatto crollare tutto, dove se si sforzava poteva ancora vederla: le unghie della mano si andarono a conficcare nella carne, una rabbia cieca prese possesso di se, una rabbia talmente grande verso se stesso che lo annebbiò come era successo poco prima.
 
Si avvicinò al tavolo premendoci le mani e prendendo un respiro tentando di controllarsi, ma non servì a nulla, il viso di Ghìda, il viso di Kili, il viso di Fili, il viso di Dìs, quello di suo padre di suo nonno, di suo fratello, gli apparvero in testa appena poggiò le mani sull lastra di pietra, ancora era calda per il suo corpo e l’ira infine ebbe la meglio.
 
Sbatte entrambe i pungi sul tavolo trattenendo a stento un urlo che si riversò in un suono gutturale e violentemente gettò a terra tutte le carte che erano di fronte a lui, come se quell’inutile gesto, potesse liberargli la testa, invasa da voci, da momenti, da sorrisi, troppi sorrisi.
 
Annaspando si lasciò andare all’indietro lasciandosi cadere di nuovo sul trono di legno che controllava l’intera stanza: chiuse gli occhi e per la prima volta dopo mesi gli occhi gli tornarono pizzicare, a far male a voler fare quello che non erano più’ stati in grado di fare da troppo tempo.
 
Li serrò per non permettere che accadesse e lasciò andare la testa all’indietro verso il legno dietro di lui immergendo la schiena nella pesante pelliccia e il collo nel suo pelo; le mani si strinsero con foga sui braccioli, spingendo quei sentimenti  ancora piu’ in profondità isolandosi da qualsiasi cosa oltre se stesso.
 
Facendosi forza li riaprì gli occhi spostando lo sguardo sulla mano artigliata al bracciolo che con lentezza aprì allentando la presa e poi girò verso di lui aprendola del tutto: i segni indelebili delle cicatrici che l’attraversavano erano segnati da alcune ben piu’ piccole e ben piu’ nuove, una serie mezzelune che si era autoinflitto per pura rabbia ed erano state anche il motivo che lo avevano portato a essere prigioniero di quel sorriso, di quel dannatissimo sorriso che aveva visto, anche se tirato, dentro quella stessa sala la prima volta che la vide.
 
Quella bocca era anche il motivo per cui da giorni non riusciva a lasciarsi andare al sonno: quella bocca sulla sua era il motivo per cui non riusciva , e non voleva, chiudere occhio, il motivo per cui non voleva neanche guardarla in viso, per il quale non riusciva neanche a passare vicino alle sue stanze desiderando che il suo passato non esistesse e di pretendere ciò che era suo.
 
Era diventato un nettare proibito di cui non aveva mai abbastanza, una dolce dolore continuo e gratificante: avere di nuovo le sue mani addosso, il potere di averla sotto di lui,  di poter scegliere cosa fare di lei, di sentire i suoi respiri nella sua bocca, i suoi gemiti il suo odore, la sua pelle, il suo cuore a portata della mano, che avrebbe battuto piu’ forte solo a una sua parola in piu’ o che avrebbe potuto fermare solo baciandola con piu’ ardore.
 
Durin doveva odiarlo, era l’unica risposta che riusciva a darsi da quando si era trascinato via dalle sue stanze non riuscendo neanche a respirare: Durin lo stava punendo, era una dannatissima punizione, un supplizio continuo che Mahal gli aveva forgiato addosso. Stava ridendo di lui probabilmente, di come l’erede di Durin, il re di Erebor riconquistata, il discendente di uno dei suoi figli, il re della sua razza, avesse paura di amare.
 
Avesse paura ad amare e di essere amato, perché lui la amava, lo aveva capito infine, o forse lo aveva sempre saputo, forse perfino gli altri intorno a lui lo avevano saputo sin dapprima che lui ne avesse la conferma, prima che lui lo volesse ammettere a se stesso; quel desiderio che lo consumava non era possessione, non era compassione verso qualcuno che era simile a lui, non era lealtà verso una donna che gliene dimostrava sin troppa, non era un…contratto. Non lo era mai stata, forse anche la scelta di sposarla non era stata presa da lui, ma dalla consapevolezza di cosa fosse lei, di chi fosse lei; forse non era stato neanche il rumore del suo corno a salvarlo, forse si era salvato da solo con la consapevolezza che l’avrebbe incontrata. Con la consapevolezza che lui non era piu’ libero di scegliere nulla, niente di niente!
 
No, non poteva nessuno dei due poteva piu’ scegliere nulla, non avevano piu’ la capacità di fermarsi, di lasciarsi andare: entrambi non avevano piu’ la capacità di fare niente che non fosse farsi soffrire a vicenda ogni volta che si guardavano.
 
Entrambi.
 
Perché la cosa che lo stava uccidendo adesso era la consapevolezza che lei lo amasse a sua volta, con la stessa disperazione, con lo stesso bisogno.
 
“Io ti amo.”
 
La mano di Ghìda in mezzo al sul petto sembrò farsi piu’ reale che mai e pur di farla smettere chiuse con forza il pungo osservando le cicatrici scomparire sotto le sue dita mentre le sue unghie premevano sulla carne per farle riaprire, tentando di provocarsi un dolore lancinante per fermare il suo viso da comparirle di fronte l’ennesima volta come tutte le notti, in cui sapeva che se avesse chiuso occhio l’avrebbe sognata, rendendo la decisione che aveva preso ancora piu’ difficile da affrontare o da accettare.
 
Non poteva smettere di amarla, non ne sarebbe mai stato in grado, ma poteva scegliere di non essere costretto a sopportare ogni giorno il suo viso e di non essere costretto ad essere felice, a darle la possibilità di dargli la felicità: se non poteva provarla di nuovo niente gliela poteva portare via, se l’avesse perduta non potevano distruggerla, se non possedeva non poteva perdere.
 
Non avrebbe permesso che lei, come tutto quello che aveva amato nella vita, gli fosse portata via quando l’abitudine e la gioia lo avrebbero logorato dandogli la certezza che non sarebbe mai stato possibile togliergli qualcosa di così puro, gettandolo infine tra le grinfie di un dolore che non voleva piu’ vivere.
Quella notte, dopo che l’ebbe baciata, non era riuscito a chiudere occhio e nella sua insonnia aveva trovato la forza di prendere quella decisione che adesso gli sembrava l’unica opzione possibile, che se non avesse compiuto subito non sarebbe stato piu’ capace di compiere: era uscito dalla sua stanza, deciso, scendendo verso le parti piu’ basse del palazzo, verso quella grotta cercando un minimo di conforto, un qualcosa che lo portasse a dare un ordine quella notte stessa. Per cinque giorni però era rimasto in silenzio, non era riuscito a darlo, rintanandosi nei consigli, nella sala del trono e nelle fucine, dove per ogni martellata che dava contro il ferro vedeva il suo futuro sfumare davanti ai suoi occhi inghiottito dal ferro bollente.
 
Alzò gli occhi e li puntò verso il posto su cui Ghìda si era seduta la prima volta che aveva messo piede in quella sala: fiera sotto quegli insulti per i quali non aveva neanche fatto un cenno, e quella donna era la stessa che aveva visto piangere piu’ e piu’ volte, che aveva lasciato andare tutto il suo dolore solo per lui.
 
Si voltò di scatto e pur di liberare la testa si alzò camminando verso il baratro infinto su cui si affacciava la Sala del Consiglio, interrotto solo da una file di colonne che sorreggeva parte dei corridoi sopra la sua testa; si avvicinò a piccoli passi senza staccare mai gli occhi dal vuoto sperando di vederci cadere anche i suoi sentimenti e inghiottire anche quella stanza se avesse potuto, dove poteva vederla ancora, e dove l’avrebbe vista un’ultima volta infine.
Dove le aveva dato un silenzioso addio e dove gliene stava per dare un altro, assaporando quel momento che avrebbe custodito gelosamente: quando aveva incrociato il suo sguardo per la prima volta.
 
Il rumore della porta che si aprì’ dietro di lui lo fece tornare lucido: lanciò un’occhiata oltre le sue spalle prima che chiunque potesse oltrepassare la soglia, non volendo neanch vedere chi fosse entrato per primo.
 
“Solo Balin.”
 
Abbassò ancora lo sguardo verso l’oscurità interrotta da vene d’oro e i primi corridoi sotto la sala a malapena visibili cancellando anche la vaga idea che gli stava formicando nella testa di non compiere piu’ quella scelta. Ringraziando chiunque lo stesse guardando, da dietro di se cominciarono a comparire i primi echi di dei passi: ora non poteva piu’ tornare indietro.
Si portò le mani dietro la schiena per non farsi trovare in quella situazione penosa e attesa mentre questi ultimi, fino a che non socchiuse gli occhi sentendosi richiamato decretando la parola fine.
 
“Thorin, ragazzo, cosa è accaduto?” La voce di Balin risuonò preoccupata all’interno della sala ormai vuota riecheggiando piu’ e piu’ volte. “Quando è uscita aveva l’aria sconvolta, non ha alzato neanche il viso da terra ed è salita su per le scale senza dire nulla.” Sottolineò Balin osservandogli la schiena che continuava a mostrargli, le mani strette l’una nell’ altra e lo guardo perso nell’immensità di fronte a lui.
 
Thorin non gli rispose rimanendo in silenzio, strinse solo con piu’ forza il polso della mano abbassando leggermente il capo in avanti: Balin socchiuse gli occhi avanzando con cautela, osservando lo stato su cui riversava il pavimento intorno al tavolo: piu’ della metà delle pergamene e delle carte era in terra, compresa la mappa che fino a poco prima stavano osservando, gettata sotto una sedia.
 
“Ragazzo…”
 
Si avvicinò a piccoli passi, alzando la toga rossa pestare i fogli intorno a lui, oltrepassandoli e allungò la mano per poggiargliela sulla spalla ma fu in quel momento, appena lo stette per toccare, che le sue spalle furono scosse da un fremito allontanandosi di poco impedendogli di toccarlo o anche di vederlo in viso: celandosi nell’oscurità e irrigidendosi ancora di piu’ rispetto a quanto era prima.
 
“Manda un corvo ad Elcar.” Gli ordinò monocorde continuando a tenere lo sguardo puntato verso il basso sotto di loro non dando segno di volerlo spostare.
 
La richiesta lo fece irrigidire e abbassare immediatamente la mano che ancora era bloccata a mezz’aria, confuso da un simile ordine e turbandolo profondamente visto il modo in cui si era approcciato alla cosa e alle richieste della ragazza, piu’ che sensate, ma che per qualche motivo Thorin pareva aver ignorato.
 
“Quindi sei d’accordo con lei? Credi anche tu che la strada a sud non si-“
 
“Scrivi a Telkar che l’accordo è rotto: sua figlia verrà riportata a sud appena la neve lo permetterà.”
 
Parlò veloce, non cambiando mai tono, non facendo fuoriuscire nessuna emozione che potesse tradirlo ma non servirono delle emozioni per far sgranare gli occhi a Balin, neanche per fargli fare quei passi decisivi per poterlo vedere il volto affiancandolo accanto al limite dell’abisso scioccato dalle parole che erano appena uscite dalla sua bocca confermando le sue paure e le sue preoccupazioni.
 
“Cosa hai detto?” Riuscì ad esalare passando gli occhi ormai vecchi e stanchi sul profilo di Thorin, che non diede segni di cedimento neanche alla sua domanda, anzi se era possibile divenne ancora piu’ freddo di prima serrando la mascella.
 
“Non ho altro da aggiungere.” Mormorò tra se e se controllando il suo tono di voce: sentiva lo sguardo di Balin addosso e se lo fece scivolare via, non cedendo neanche ai suoi occhi che continuavano a fissarlo passando dall’incredulità a una forte consapevolezza di ciò che avesse detto.
 
Si portò di fronte a lui con il volto scioccato solcato dalle rughe profonde e giudicatrici. “Tu hai dato la tua parola a un capofamiglia e al suo popolo, al nostro popolo e ora te ne tiri indietro? Ti rendi conto di questo cosa comporterà? Di cosa scatenerà la tua decisione, una decisione che intaccherà il tuo onore, il nostro onore, quello di un’intera famiglia. Il Thorin che conosco io non avrebbe mai preso una decisione così avventata.”
 
“Io non sono…”
 
“Cosa? Fuori di te?!” Una risata amara gli uscì dalle labbra puntandogli un'altra volta il dito addosso assottigliando lo sguardo. “Sembra che tu non ti renda conto di cosa mi abbia appena chiesto.”
 
E invece lo sapeva toppo bene, fin troppo. Continuò a non guardarlo fissando sotto di lui cercando di rimanere lucido e distaccato seppur le parole di Balin lo portarono al limite della sopportazione, rimembrandogli che la sua fosse una scelta incommutabile.
 
“Erebor si è ripresa…” Cominciò  netto e alzò lentamente lo sguardo verso di Balin che lo guardava con la bocca aperta che si spalancò sempre di piu’ ogni parola che aggiunse.  “Non c’è bisogno di essere legati a un accordo matrimoniale che non porterebbe a nulla, nessuno andrà contro la mia decisione, nessuna delle sette famiglie metterà in dubbio una mia decisione che nessuno voleva che io prendessi, Telkar ben che meno.” Sputò spostando di nuovo lo sguardo verso l’acqua rendendosi conto di essere incapace di guardare in faccia Balin e mentirgli. “Sto rimandando tutto al proprio ordine prestabilito, il trono andrà a Dain come sarebbe sempre dovuto essere.”
 
Balin si portò le mani suoi fianchi, incapace di comprendere tale scelta, incapace di capire che cosa volesse ottenere con una simile richiesta che non avrebbe portato altro che il caos nei sette regni: ed era del tutto sicuro che Dàin centrasse poco, le sue motivazioni erano fuori da ogni ragione, non era uno stupido sapeva quello che stava facendo.
 
No, c’entrava la ragazza, glielo poteva leggere in viso, era successo qualcosa: in quei pochi minuti che erano stati rinchiusi fuori dalla sala, era successo qualcosa che lo aveva devastato, che li aveva devastati entrambi, ma arrivare a tal punto, rinnegandola... Era abbastanza vecchio e saggio da aver capito cosa provasse nel momento stesso in cui lo aveva visto reagire a una sua probabile morte, dal momento stesso in cui era venuto a sapere che passava tutte le notti con lei, o di come mormorasse il suo nome tra le labbra: poteva ingannare tutta la Montagna, ma non lui.
 
“Quindi tu sei pronto a giurarmi che sia solo una decisone politica?”
 
Thorin lo fulminò con lo sguardo guardandolo di nuovo, incenerendolo di fronte a una sua ennesima opposizione nel fare quello che gli aveva ordinato: quella conversazione doveva finire in fretta, non doveva andare così. “Ci dovrebbe essere un'altra ragione?”
 
“Dimmi che la ragazza non ha influito sulla tu decisione, che quello che le è successo non ti ha portato a questa decisione.”
 
“Lei non c’entra, non ha influito su nessuna decisione e non ne influirà, quello che le è successo non è una mia responsabilità.”
 
“Fino a pochi giorni fa sembrava che però la responsabilità fosse solo e unicamente tua, hai passato le notti nelle sue stanze. Ti ho visto martoriarti  per giorni salendo e scendendo per quelle scale, perdendoti un onere che non era neanche tuo.
 
“Hai detto bene, un onere, lei è un onere e nulla piu’ e non mene farò ulteriore carico.”
 
“E per un onere distruggi una sala?” Appuntò Balin allargando le braccia e puntano dietro di loro con la testa il trambusto che riversava sul pavimento sapendo ora precisamente a cosa fosse dovuto.
 
Thorin non rispose assottigliando lo sguardo e a lui non bastò altro per capire che le sue parole, così razionali, così prive anche di tono o di rimorso per quello che avrebbe significato l’allontanarla da Erebor, erano solo frutto del sentimento piu’ irrazionale che i Valar avessero mai creato e lui lo sapevo, lo aveva visto. Quel pomeriggio, quell’espressione vuota verso i cocci vuoti, l’arrendersi al dolore e alla furia.
 
“Quella pietra è il cuore della montagna, il cuore del re, un amore spietato e geloso.”
 
“Nel nome di Durin, tu…” Si fermò un attimo guardandolo in volto studiando una sua possibile reazione a quelle parole che sapeva fossero reali tanto da sbattergliela in faccia. “Tu sei innamorato di lei.”
 
Thorin sgranò gli occhi incapace di mantenere il controllo come si era promesso, quando quelle parole gli aprirono una voragine nel petto talmente profonda da riportare alla luce i ricordi di quella mattina, gli occhi nei suoi, le sue labbra sulle sue, la sensazione di calore nel petto, quel senso di completezza.
 
Non era una domanda, era un’affermazione: lui sapeva.
 
Digrignò la mascella: quello non doveva accadere, doveva rimanere fermo e lucido.
 
“No, io-non-lo-sono.” Scandì ogni parola e per ogni parola sentì il cuore nel petto spaccarsi a metà, sempre piu’ in profondità, per ogni negazione come se anche il suo corpo gli impedisse di dire quelle parole.
 
“Voi siete…”
 
“No Balin fai silenzio.”
 
“Lei ti ama.”
 
A quella prole il suo senso del controllo crollò spaccato a metà dalla veridicità di quelle parole e si voltò verso Balin furente d’ira: nessuno doveva dirglielo non ne aveva bisogno di saperlo, non voleva saperlo e lei non doveva farlo.
 
“No, non può e non lo farà, non lo permetterò.” Sputò collerico riuscendo ancora a controllare il tono di voce dal non urlare .
 
 “Non è una cosa che puoi decidere tu, non è una cosa che nessun nano è in grado di scegliere e non mi capacito sul perché tu voglia questo!”
 
“Te l’ho già detto io non… Lei non è mia e io non appartengo a nulla che non sia questa Montagna… perché dovrei unirmi a qualcuno che non desidero, a una…” Thorin si bloccò di colpo muovendosi verso di lui ora stando uno di fronte all’altro mentre pronunciava quelle parole che furono difficili anche da pensare disgustandosi di se stesso. “A una…mezzosangue. Non mi legherò a qualcuno a causa di una maledizione”
 
Balin incredulo sgranò gli occhi di fonte a una simile reazione: cercò di non far caso ai pugni contratti, né alle spalle scosse da leggeri tremiti; lo guardò con un'occhiata dura e furiosa, dovuta all’aver colpito in un punto sensibile, troppo sensibile: Thorin lo sapeva dunque, allora perché lo stava facendo? Era proprio vero quello che dicevano, l'amore ti cambiava. Sapeva renderti felice come non mai, ma sapeva anche distruggerti tanto in profondità da lasciarti un solco profondo e cambiarti facendoti fare delle scelte delle quali ti saresti pentito per sempre.
 
Non riusciva neanche a pronunciare il suo nome.
 
 “Amare in quel modo, essere la metà di qualcuno, appartener così a qualcuno è una maledizione, ma è anche la conferma che l'avresti amata in ogni caso anche se non lo fosse stata.”
 
Thorin parve non sentire ragione, non volle sentire una sola parola in piu’ da quella conversazione che non faceva altro che metterlo di fronte ai propri sentimenti che non poteva affrontare, non doveva affrontare per alcuna ragione: abbassò lo sguardo verso terra e calmando il respiro spostò nuovamente lo sguardo verso il profondo della sala,sperando di potervi scomparire.
 
“Balin fai come ti ho ordinato.”
 
Ordinò secco un’ultima volta supplicandolo interiormente che lo ascoltasse e che non lo spingesse a farlo di persona: aspettò di sentire i suoi passi andare via a risalire le scale che lo avevano portato fin laggiù invece sentì un paio di fruscii e la mano di Balin andarsi a posare gentilmente sulla sua spalla a poi sul suo braccio stringendoglielo con fare paterno.
Thorin sussultò a quel tocco socchiudendo gli occhi, come quando si tocca una bestia ferita, per finirla o per curarla ed era quello che stava cercando di fare Balin: dargli un minimo di conforto, capendo che per lui quella decisione era stata straziante quando per lui ricevere quell’ordine e vederlo così, ridotto a un’ombra di se stesso.
 
Era da anni che non lo vedeva così e se la decisione ormai era presa, doveva essere a conoscenza delle conseguenze, di quello che avrebbe affrontato.
 
“Se tu la manderai via distruggerai la vita di entrambi.”
 
Thorin prese un respiro profondo: era sicuro che in altri momenti avrebbe cominciato ad urlare, ma ormai la realizzazione lo aveva colto, la consapevolezza che non vi era uscita da quella situazione se non accettarla. “No, distruggerò solo la mia.”
 
“No…” Mormorò Balin scosse la testa aumentando la presa sul suo braccio “Di tutti e due, credi che lei ne sia immune a un simile decisione o che soffrirà di meno perché sei stato tu a prenderla?”
 
“E’ la cosa giusta da fare, piu’ è lontana da qui, piu’ è lontana da me, piu’ è lontana da questo posto meglio sarà per lei.”
 
“Sarà come se la uccidessi con le tua mani lo sai vero?”
 
Thorin abbassò ancora piu’ la testa verso l’abisso sotto di lui, incassando il colpo che quelle parole gli assestarono nello stomaco, e strinse la mano la mano di Balin con piu’ forza osservando il suo riflesso a malapena visibile in una vena d’oro sotto di lui. Tra i piccoli scintilli questo cambiò presto facendo spazio a dei raggi dorati che gli mostrarono Ghìda:  il suo viso levigato sul cuscino accanto a se, lo guardava sorridendo tenendosi il ventre gonfio mentre la sua mano e i suoi anelli si andavano a poggiare sulla sua intrecciando le loro dita sul gonfiore; una seconda piccola testa uscì da sotto le coperte in mezzo a loro, gli occhi azzurri e i capelli scuri, si intromise poggiando il piccolo orecchio vicino alle loro mani incrociate sorridendo a un piccolo movimento e poi lo guardò e delle parole per lui impossibili anche da pensare gli uscirono dalla bocca, un nome con il quale non aveva mai neanche sognato di essere chiamato.
 
 
Era quello il suo addio, il suo futuro che gli svanì di fronte agli occhi: era pronto.
 
 
“Preferisco muoia per mano mia che per causa mia.”
 
 
 
 
 
 

 
 
 
Loro sono morti per te perché  ti amavano.
 
Passo.
 
Cosa ne può sapere una miserabile mezzo sangue di cosa sia l’amore?!
 
Passo.
 
Tu, non puoi comprendere cosa voglia dire perdere tutto, vedertelo portato via.
 
Passo.
 
Io non ho mai avuto un posto a cui appartenere un qualcuno a cui appartenere, io non posso comprendere.
 
Passo.
 
Una casa è dove appartiene il proprio cuore.
 
Passo.
 
E a cosa appartiene il vostro?
 
Passo.
 
Io ti amo.
 
 
Ogni passo che compiva i piedi diventavano sempre piu’ pesanti, ogni scalino che scendeva una prova di coraggio che non era ancora riuscito ad affrontare neanche una volta, ogni pensiero che compiva era un ennesimo pugno sullo sterno che riusciva malapena a incassare rimanendo rigido su se stesso e alle sue scelte.
 
Il suo trascinarsi fin là sotto era forse la scelta piu’ errata che avesse mai compiuto, una delle piu’ difficili: pensava davvero di poterne scappare, di avere il diritto di poter ricominciare? Quando ci aveva provato era tutto caduto di nuovo, quando si era illuso di poter fuggire da ciò che aveva fatto, dalle sue colpe e dai rimorsi, era stato costretto a riviverle tutte daccapo, ma questa volta era pronto, come era pronto a rivedere i loro visi.
 
Cercava probabilmente un conforto, o la sicurezza che ciò che avesse scelto fosse la scelta piu’ giusta e non guidata dalla sua irrazionalità che sempre di piu’ in quei mesi aveva fatto da padrona: poteva essere un re, poteva rimanere lucido davanti a tutti, ma quando il buio cadeva e il silenzio compariva che stesse dormendo o no, la sua parte piu’ debole riaffiorava, dilaniandolo dall’interno.
Un urlo silenzioso che non era mai stato capace di emettere, stringendo i denti e andando avanti non volendo neanche tentare di espiare il sangue che gli macchiava le mani; ma infine ci aveva provato adagiandosi in quella rassicurazione che quel piccolo corpo di donna era capace di donargli: si era adagiato su di lei, in cerca di quel maledetto calore, di quell’aiuto che lei poteva sentire anche solo stringendole la mano, ma quello che provava ora, lei non poteva toglierglielo, solo i morti ne erano in grado.
 
Tutto aveva un costo e lui li aveva pagati tutti.
O gli altri lo avevano sempre pagato per lui: morire per qualcuno, possedere un animo di qualcuno fino a spingerlo a morire.
 
Sarebbe stato un ipocrita dire che non lo avrebbe fatto anche lui: sarebbe morto per Ghìda, sarebbe morto per Dwalin, sarebbe morto per Dìs, sarebbe morto e si sarebbe ucciso seduta stante per non essere costretto a trascinarsi nelle cripte per rivederli, per essere lui disteso su quelle pietra gelida, coperto dal ferro scuro che non gli avrebbe dato solo la parvenza di ciò che erano stati.
 
Kili, Fili.
 
Il tramonto arancione trapassava le piccole fessure era diventato quasi opprimente creando un angosciante penombra , il silenzio che regnava nelle radici della montagna non era interrotto da nulla, un sacro e in vincolabile lutto che si doveva sentire appena si metteva piede in quelle sale, la luca delle candele sparse al lato di ogni scala era flebile, piccoli lumi che accomapgnavano la discesa nella cripta scolpita nella roccia.
 
Lo strusciare del mantello che portava che accompagnava i suoi respiri, le mani dietro la schiena tentavano di dargli un minimo di sostegno, la corona che gli pesava sempre di piu’ in testa facendogliela piegare in avanti, facendogli osservare tutte le luci che lo speravano dalla fine della sala. L’odore di erbe profumate cominciò a salire aggravato dal freddo pungente che si incontrava appena ci si incanalava nell’ipogeo sotterraneo.
 
Era come se la ricordava, come l’aveva vista l’ultima volta: la scalinata si arrotolava su tutto il lato della camera, scendendo in un lugubre anfiteatro dove si potevano osservare e onorare le due tombe sullo spiazzo sospeso nel vuoto, osservati dallo stesso numero di guerrieri scolpiti nella pietra che silenziosi vegliavano sui loro corpi ormai resi neri dal nero del ferro raffermo con cui erano stati ricoperti.
 
Costruita dai padri della montagna per la morte di un re antico o per Durin, non era mai stata usata, nessuno aveva avuto il diritto di giacere lì, eppure fu lui stesso a pretenderlo, convinto che una posizione di rilievo nella morte lo aiutasse ad affrontare  come se n’erano andati, da guerrieri, ma li averli onorati come meglio conosceva non aveva cancellato nulla.
 
I loro corpi si fecero sempre piu’ nitidi ogni passo così come i loro visi: pensava di averli dimenticati, ma in cuor suo sapeva non sarebbe mai successo, lui non dimenticava nulla, mai.
Se era riuscito a dire addio a Ghìda, doveva essere però pronoto anche a entrare lì sotto e a dire anche a loro addio: non lo aveva a mai fatto, neanche quando sognava, li vedeva, piangeva urlava, ma non gli aveva mai detto addio.
 
 
Per quello che fu un attimo gli sembrò di vedere tre tombe, una alternativa che sarebbe stata reale, molto reale: se non fosse sopravvissuto ora giacerebbe in mezzo a loro, anche lui con Orcrist sul petto, li avrebbe accompagnati come quando erano bambini tenendoli per mano con Kili che gli avrebbe chiesto se potevano rimanere, e lui gli avrebbe risposto che non sarebbe stato possibile.
 
Invece quelle due canaglie ci erano riusciti, a rimanere lì con tutti loro.
 
Entrambi infatti erano rimasti, non se n’erano mai andati, avevano infestato i suoi pensieri, la montagna stessa era infestata di loro, quella stessa cripta sembrava solo il loro ennesimo scherzo in cui si sarebbero nascosti per un breve tempo prima di uscire fuori ridendo a crepapelle.
 
In mezzo ad essi però non c’era un sarcofago scuro coperto da antiche rune, c’era qualcun altro che doveva immaginarsi di trovare lì: nel vederla anche solo di schiena fu solo l’ennesima martellata sullo sterno, ma sapeva che doveva incontrarla e lì tutti e quattro insieme ancora era forse l’unico modo in cui  sarebbe stato capace a lasciarsi andare, di guardarla in volto e ad affrontare almeno lei, evitando di scappare almeno da lei.
 
Glielo doveva e lei doveva dargli la sua sentenza: troppo a lungo aveva atteso, se doveva finire tutto sarebbe finito tutto insieme quel giorno.
I lunghi capelli neri erano poggiati su una spalla, il vestito azzurro e giallo, risaltato dalle pietre blu della stirpe di Durin che le ricadevano nei capelli sorrette da leggere catenine dorate, le mani poste entrambe ai piedi delle tombe sorreggendosi su esse, con la testa piegati in avanti che lentamente spostava da Fili a Kili.
 
Sapeva che lo l'aveva sentita arrivare, probabilmente già da quando aveva sceso i primi gradini, ma non aveva detto una sola parola, né spostato il capo verso di lui.
E non lo pretendeva neppure.
 
Thorin alzò la schiena e percorse gli ultimi scalini avanzando senza dire una parola verso di lei riuscendo a malapena a voltare la testa verso le due lastre di pietra al centro della pedana, illuminate da una serie di candele che circondavano i loro corpi così come quando era stato costretto ad adagiarli lì lui stesso e chiudergli gli occhi con la mano.
 
Non pensavo che saresti mai venuto.” La voce di Dìs rimbombò ferma ma talmente delicata che si chiese se stesse parlando con lui.
 
Bloccò il passo rimanendo dietro di lei, anche parlare o confermare la sua presenza lo fece sentire indegno. “Non sono mai sceso oltre le scale superiori.”
 
Non poteva ancora guardarla in viso, non glielo avrebbe permesso, lo sapeva fin troppo bene , ma riusciva ad immaginare la sua espressione: le folte sopracciglia nere inarcate all’insù , gli occhi piu’ chiari dei suoi, come quelli di loro madre, coperti di una patina di lacrime che non avrebbe mai versato in sua presenza.
 
Le sentì sbuffare come un riso sommesso: una risatina carica di un amaro dolore senza un briciolo d'allegria, solo tanta sofferenza. “Io invece le scendo tutti i giorni, prima di ritirarmi nelle mie stanze.”
 
 
Gli donò il suo profilo, basso, mentre la mano, tatuata con piccoli cerchi sulle dita, si andò a staccare dalla tomba di Fili lasciando una carezza sulla pietra fredda.
 
“Me li ricordavo diversi sai?” Sussurrò a malapena, posando lo sguardo sulla tomba di Kili, studiandolo e passando la sua mano dal lato della roccia a sopra le sue poggiate sul petto. “Aveva i capelli piu’ corti, Fili invece in un anno sembra diventato piu’ vecchio di una decina. Dwalin mi ha raccontato che si comportava anche se fosse piu’ vecchio di una decina, mi ha detto che si è preso cura di suo fratello, ne ha sempre avuto bisogno.” Rise ancora, ironica, come se potessero sentirla e rinfacciarle quelle parole, come se fosse pronta a sentirli negare ogni frase: non riuscì reggere la situazione, non in quel momento, non così.
 
Avrebbe dovuto sentirsi ferito che lei avesse preferito parlare prima con Dwalin che con lui, ma non poté fargliene una colpa, come non poté giudicare lui per non averglielo rivelato: un segreto che avrebbe mantenuto anche lui, Dwalin lo conosceva abbastanza da sapere che se gli avesse rivelato di delle conversazioni tra loro due sarebbe corso da lei forzandola parlare.
 
Rimase in silenzio non volendo aggiungere nulla, ma fece un passo in avanti mettendo il piede sul primo scalino dopo posavano le loro tombe e lì fu finalmente in gradi di vederli entrambi e un fremito nel petto lo portò a serrare gli occhi.
 
Maledizione.
 
Sentì l’occhio azzurro di sua sorella saettare dal viso impietrito e freddo di Kili di lato, osservandolo di sbieco aumentando solo in lui la sempre piu’ prorompente vergogna e senso di colpa, ma che non avrebbe mai lasciato trasparire, lei lo sapeva, non poteva farlo, sperava solo che se ne ricordasse. Ma il suo carattere non avrebbe mai giustificato un suo simile dolore, sperava sapesse anche questo.
 
Thorin alzò lo sguardo incontrando il suo consapevole e freddo: il labbro le tremò a malapena tradendo il carattere freddo e distaccato che non le era mai appartenuto, non a sua sorella. E vederla così faceva piu’ male di non averla visa affatto, vederla fingere per mostrarsi forte, vederla dritta e rigida di fronte a lui, imitandolo, come se lui fosse una persona da imitare.
 
“Dimmi solo una cosa…” Cominciò con la voce  dura ma che per quanto si fosse sforzata si inclinò. “Ne è valsa la pena?”
 
“Cosa vuoi che io ti risponda?” Si limitò a risponderle.
 
La bocca di Dìs le tremò così come la presa nella mano di ferro di Kili che si fece piu’ forte: lentamente ancora ruotò la testa girandolo dritto in faccia. ”Voglio che tu mi dica la verità nient’altro, dimmi se le loro vite per avere indietro Erebor sono state un equo scambio.”
 
 
Si avvicinò alle tombe salendo l’ultimo gradino che lo divideva da loro, stando in mezzo riuscendo a vederli entrambi in viso, dopo troppo tempo; una fitta lancinante gli oltrepassò il petto da parte a parte così devastante rispetto a quello che sognava ogni notte che quei momenti gli sembrarono solo dei sogni gioiosi rispetto al dolore che sentiva in quel momento.
 
Tremante accostò una mano sulla lastra fredda poggiandocela sopra riuscendo a malapena a toccarla da quanto timore gli incutesse: i volti nella neve coperti di sangue avevano lasciato posto a delle maschere nere che non gli davano giustizia affatto, le spade strette al petto e i teli reali dei principi reggenti sotto di loro. Niente in quella stanza rappresentava ciò che erano stati in vita e quello che sarebbero stati nella morte.
 
Gli occhi gli vagarono leggeri sul corpo di Fili, sulla mano strette al petto che impugnavano la spada, sulla cotta di maglia  senza mai soffermarsi su nessun dettaglio se non sulla scritta che circondava l’intero blocco.
 
“Qui giace Fili, figlio di Vili, erede di Thorin Scudodiquercia, principe di Durin, salvatore di Erebor e del suo popolo.”
 
La mano sulla pietra gli si strinse con forza in un pungo rigido ripassando piu’ volte con lo sguardo quelle lettere scintillanti dalla luce delle candele intorno a Fili, che traballarono a un suo fremito mentre tutte le parole che aveva letto gli scavarono nel petto.
 
“No.” Mormorò tra se e se incontrollato: era disonorato dalle sue stessa ammissione, ma sapeva, che se prima di essere partito il prezzo da pagare sarebbe stato quello, non lo avrebbe mai permesso, mai e poi mai, neanche per tutti e sette i Regni, neanche per tutto l’oro celato sotto Arda.
 
Dìs a quella sua sussurrata parola fece una cosa che lo lasciò ancora piu’ di sasso, incollandolo al pavimento di pietra rendendolo incapace perfino di respirare: sorrise, tremante ma sorrise verso di lui, era fiera, fiera della sua risposta.
 
Come poteva?
 
Sua sorella passò lo sguardo prima verso la sua mano sulla tomba di Fili e poi lo alzò verso la corona che portava in testa e che ogni volta che la indossava, anche se raramente, gli pesava come un macigno: tutte le sue responsabilità erano rinchiuse in quell’oggetto sulla sua testa e tutte le sue decisioni erano legate a quella e tale doveva sempre essere.
 
“Nostro padre non l’avrebbe fatto, neanche nostro nonno, questo almeno mi dimostra che sei rimasto il re che sei nato per essere.” Affermò decisa.
 
Errato, non lo era.
 
Schifato da quelle parole e dal suo continuo osservare la corona della loro stirpe che portava sentì il bisogno di togliersela, sembrava avesse un pezzo di ferro bollente premuto sulla carne viva; la vergogna gli fece abbassare il capo e  dovette combattere con tutte le sue forze pere non  sfilandosela dai capelli e  gettarla via, lanciandola nel baratro sotto di lui.
 
Scosse la testa velocemente negandole di continuare  a parlare o di aggiungere altro che avrebbe reso quei suoi pensieri reali e alzò la mano libera per farle capire ancora di piu’ il concetto che non dovesse interromperlo e quanto fosse difficile per lui quella ammissione.
 
“Non lo sono stato” Ammise lasciando un respiro sofferto uscirgli dalla bocca accompagnando quella confessione, la confessione della perversione malata che era riuscito a compiere decretando la morte del suo popolo e dei suoi nipoti . “Non sono stato il re che sarei dovuto essere. Nel momento del bisogno non ne sono piu’ stato in grado.” Mormorò confessandolo ad alta voce, per quanto facesse male, non era stato meno re di quando lo era diventato e ogni giorno sentiva di dover fare ammenda per quello che era accaduto.
 
Abbassò lo sguardo verso la sua mano ancora tirata sulla pietra tombale di Fili non accorgendosi quindi di Dìs che aveva lasciato la mano a Kili accanto a lui e che si era avvicinata di qualche passo; prima che potesse rendersene conto aveva avvicinato la mano vicino alla sua e tremante vi aveva poggiato sopra la propria stringendogli il palmo sul freddo marmo verde.
 
Thorin non osò alzare lo sguardo verso di lei, fissando solo la sua mano sulla sua, vecchia e stanca quanto la sua: le che ricordava sempre quelle di una fanciulla seppure le pietre che le adornavano le dita tatuate gli ricordassero sempre che non lo era piu’.
 
“Ti ricordi come dicevano quando mi mettevo nei pasticci e provavi a tirarmene fuori prendendo la decisone di prenderti le mie colpe? O quando Frerin tornava così ubriaco dai banchetti insieme a Dàin che dovevi trascinarlo in camera sua prima che cominciasse una rissa per l’ennesima parola di troppo verso il nano sbagliato o nel peggiore dei casi ne prendevi tu i pugni per lui?” Gli chiese con un velo di malinconia.
 
A Thorin scappò una smorfia simile a un sorriso a quelle parole e rimembrando i ricordi legati a quella frase: lo ricordava fin troppo bene, erano solo dei ragazzini. Alzo e abbassò la testa annuendo trovando finalmente la forza di alzare lo sguardo verso gli occhi ghiaccio che non avevano smesso di guardarlo neanche quando aveva abbassato lo sguardo.
 
“Un erede di Durin è prima un re e poi un nano, comportati di conseguenza.” Lo ripeté come una filastrocca ma lentamente prendendo atto di ogni parola e fino a quel momento ne aveva sempre seguito ogni parola.
 
Dìs annuì sorridendo tristemente con gli occhi che le si persero nei ricordi specchiandosi nei suoi,  rimembrando le stesse situazioni del fratello e ripetendo a mente anche lei quella filastrocca. “Te lo rinfacciavano come se fosse una lezione che dovesse imparare ma l’aveva già imparata e neanche se n’erano resi conto.”
 
“Facevo solo quello che serviva per non farvi finire nei guai già più di quanto non lo sareste stati.”
 
Di nuovo sulle labbra di Dìs comparve quel sorriso mesto e scosse in dissenso, avvicinando la mano libera verso la sua guancia stronfiandogli, come faceva sempre da quando erano bambini, lo zigomo con la punta dell’indice fino a spostargli un ciuffo di capelli via dalla fronte: un gesto che non aveva smesso di far neanche con i suoi figli.
 
“No fratello, lo facevi perché ti caricavi delle nostre responsabilità, ci proteggevi anche quando eravamo in torto, ci hai sempre protetto tutti perché sei sempre stato un buon re.”
 
Thorin sgranò gli occhi a quell’affermazione scioccato e ancora piu’ devastato di come si sarebbe dovuto sentire: non era venuto lì per sentirsi dire che era un buon re, non lo era, non lo era stato, non li aveva protetti, non ne era stato in grado. E allora perché Dìs si stava comportando come se lo fosse stato?
 
No, lui voleva il contrario, quello non era giusto, mesi a distruggersi pronto a qualsiasi cosa sarebbe stata pronta a rinfacciargli, pronto a perdere anche lei e ora invece si sentiva dire che tutto quello che aveva fatto fosse giusto. Questo non lo poteva accettare, una simile menzogna per lui era inammissibile e straziante.
 
Le fermò la mano con la sua artigliandogliela prima che potesse portare il ciuffo mosso dietro la sua spalla guardandola interrogativo, con il petto che gli comincia a pulsare scosso dai respiri pesanti.
 
”Perché dici questo?”
 
Sua sorella alla presa sussultò leggermente rimanendo però silenziosa: lanciò solo un occhiata alla sua mano che fermamente le tratteneva il polso e senza che aggiungesse nulla la sfilò dalla sua ritirandola verso di se e poi spostò lo sguardo verso la corona sulla sua testa un'altra volta: la studiò come aveva fatto prima, gli occhi che tutto d’un tratto le diventarono lucidi e la mano dapprima ferma sulla sua cominciò a tremare forzandola a toglierla e a portarsela verso il grembo.
Dìs lanciò un’occhiata dietro di se, verso la tomba di Fili e un sospiro profondo le uscì dalle labbra carico di dolore, come se le avessero trafitto lo sterno; chiuse gli occhi prepotentemente per tranerei le lacrime e fece calare il silenzio.
 
C’erano cose che a Thorin erano state negate, parole che lei non voleva rivelargli, momenti che stava rivivendo nella sua testa che la stavano facendo tremare dalla testa ai piedi e che le facevano alzare ed abbassare il ventre in maniera frenetica, non clamati neanche dalle sue mani che si andarono a portare sul ventre.
 
Passarono dei lunghi minuti dolorosi, in cui Thorin attese, in un religioso silenzio in cui l’unico rumore erano i pensieri di Dìs che parevano riflettersi attorno all’intera stanza: un paio di candele infatti si spensero su se stesse e il freddo dal fondo della cripta divenne percepibile anche sotto gli strati di vesti pesanti.
 
Una singola lacrima le attraversò la guancia, spostando lo sguardo da lui fino al volto di metallo nero di Kili dietro di se e poi di nuovo verso quello di Fili. Seguì un lungo respiro tremante e poi si voltò su se stessa camminando in mezzo alle due tombe dandogli la schiena: anche se voltata però poté vedere le sue mani poggiarsi sotto il petto in cerca di conforto e di sostegno.
 
Le spalle di Dìs si alzarono e si abbassarono in un fremito. “Spesso mi sono chiesta in queste settimane come sarebbe stato se fossero susseguiti a te.” Cominciò dapprima ferma continuando a volergli dare la schiena ma poi si girò nuovamente mostrandogli  di nuovo il volto e ciò che lo attraversava: stava piangendo silenziosamente, distaccando il tono di voce da quello che provava.
 “Conoscevi Kili, avrebbe iniziato a dare ordini in tutte le direzioni  facendo impazzire il palazzo e avrebbe sicuramente cominciato a dire che la corona era pensate o che il trono gli era scomodo per poi addormentarcisi sopra.” La voce le tremò spostandosi verso la tomba di Kili sorridendo tra le lacrime che si andarono a insinuare sul petto adornato da collane dorate. Gli poggiò una mano tremante sulla fronte senza smettere di piangere di guardare l’effige sotto di lei.  “Fili invece era diverso da lui.” Concluse lanciando un’occhiata da dov’era lei verso dove era lui ancora accanto alla tomba di suo nipote piu’ grande.  “P-prima di partire, quando partisti per Dunland, aveva anche cominciato a parlare come te, e a pochi giorni della partenza mi si mise accanto svegliandomi, non lo aveva piu’ fatto da quando era bambino e mi chiese se tu fossi mai stato fiero di lui, se arrivato qui, sarebbe stato in grado di essere come te.” Un singhiozzo interruppe le parole di Dìs parole e il suo sguardo fisso sul volto di Fili chiudendo gli occhi in un istante mentre combatteva per non far uscire quei sentimenti di fronte a suo fratello, di fronte a lui, che avrebbe dovuto evitarglieli, che avrebbe dovuto proteggerla, lui che avrebbe dovuto proteggere tutti e tre.
 
Quel dolore quei tormenti, e ciò non fece che accrescergli il senso di colpa che lo opprimeva.
 
“Perché non me lo raccontasti allora?”
 
“Perché mi chiese di non farlo e di non dirlo nemmeno a suo fratello, il motivo adesso mi è molto piu’ chiaro…se... se…” Un singhiozzo le bloccò le parole già tremanti facendo serrare la bocca in una linea dritta: prese un respiro che riuscì a sentire perfino Thorin nel suo petto, che invece di calmarlo gli fecero fischiare le orecchie, sapendo già quello che sarebbe seguito e non voleva sentirlo.
 
“Ti amavano come un padre Thorin, morire per te, era l’unica morte che avrebbero accettato o l’unica in cui avrebbero sperato.”
 
Loro sono morti per te perché ti amavano.
 
Ritornò su tutto, ogni singolo maledetto istante ogni singola maledetta parola che gli infestava la testa riuscì risuonandogli nella testa e disintegrando ogni suo senso di calma: quella frase ebbe l’effetto di farlo tremare, di rabbia, di dolore, d’angoscia ormai non lo sapeva piu’. Quella frase gli provocava solo disgusto.
 
La sentiva ogni notte, vedeva Ghìda che lo amava e poi li vedeva entrambi morti tra le sue braccia e quella frase gli rimbombava nella testa come una tortura, un monito di quello che sarebbe successo, un appunto di quello che sarebbe successo a chi lo amava, a chi si fidava di lui, a chi lui si donava, alle persone a cui lui teneva e che avrebbero fatto quella fine lasciando dietro di se un dolore che aveva sopportato troppe volte.
 
Staccò la mano tremante dalla lapide di Fili e avanzo verso Dìs, una rabbia cieca prese controllo di se stesso, accorciando a grandi passi la distanza che serviva solo da muro per far per tentar di filtrare il dolore di entrambi.
 
“Vuoi che ti dico cosa vedo ogni volta che chiudo gli occhi sorella?” Sottolineò duramente: tutte le sue barriere che tentavano di rimanere alzate inutilmente. “Tutte le volte che mi dicono che sono morti per me, per questa impresa, pensi mi consoli? Pensi che mi ricopra d’onore? No rende tutto ancora piu’ reale e rende la colpa ingestibile, perché e come se la lama che li ha trafitti ce l’avessi ancora io tra le mani!” Dìs non disse una parola sgranò solo gli occhi, forse immaginando anche solo lentamente li immagini che Thorin si era ritrovato ad affrontare, ma anche solo il pensiero per lei fu insostenibile facendo so aumentare le lacrime.  “Li rivedo bambini, li vedo crescere tra la neve e gli abeti fuori dalle porte di Nogrod, e poi c’è il buio e le scene dell’ultima volta che li ho guardati in viso prima di vederli scomparire di fronte ai miei occhi…” Le parole furono basse un ringhio di dolore che venne sostituito da un sospiro sofferto, da una rabbia che era andata scemando lasciando dietro di se solo i resti di se stesso e facendo crollare il suo muro impenetrabile.
Avanzò verso di, la testa bassa, il lato degli occhi che gli cominciava a tremare, le spalle che erano cedute sotto il peso ci ciò che le aveva rivelato. “Disprezzami, te ne prego.”
 
A quella supplica  Dìs lo guardò sconsolata scuotendo a testa abbassandola verso il pavimento arresa, sapendo che sarebbe dovuto essere così, lo sapevano entrambi: lei avrebbe dovuto odiarlo, glieli aveva portati via lui dalle braccia, lui li aveva convinti, e loro l’avevano seguito e lei non era riuscita a fermarli, ma il tempo aveva cambiato molte cose, la mancanza di tutte le persone che amava aveva cambiato troppe cose.
“ Odiare te, non me li ridarà, distruggerebbe solo l’ultima famiglia che mi è rimasta.” Thorin ammutolì osservandola alzare la testa di nuovo, la bocca spalancata che cercava di prendere aria tentando di rimanere ferma. ”E sei tu… loro non ci sono piu’ sei rimasto solo tu.” Mormorò e mentre lo disse un gemito gutturale le uscì dalla bocca  e velocemente si portò una mano sulla bocca per soffocare i signhiozzi stringendo gli occhi per fermare le lacrime.
 
A quel punto Thorin non ce la fece piu’, tutto il dolore, tutto il senso di colpa, tutto ciò che aveva provato in tutti quei mesi lo piegò di fronte a ciò che sua sorella alla sua unica famiglia rimasta all’unica cosa che lo tratteneva ancora al suo passato che non avrebbe mai lasciato andare, la sua sorellina. Avanzò verso di lei, volendo consolarla. Volendo abbracciarla. Le si portò vicino, ad un passo di distanza: cercò di avvolgerla tra le braccia forti ma Dìs si fece indietro tramando scuotendo la testa.
 
Thorin si bloccò di colpo osservandola con gli occhi sbarrati il dolore al petto che non finiva che non era mai finito lo distrusse riducendolo a uno spettatore ignaro dei suoi sentimenti: qualcosa di caldo gli colò sulle guance.
 
Portò le mani agli occhi, riconoscendo numerose lacrime che fuoriuscivano, e che non si fermavano non ci riusciva, la mano gli tremò a quella vista e a quella sensazione. Alzò lo sguardo verso il viso sconvolto di sua sorella e  senza che nessuno dei due dicesse nulla si corsero incontro stringendosi l’uno all’altra.
 
Dìs si lasciò andare a un pianto disperato scossa dai tremiti e dai singhiozzi sempre piu’ alti stringendolo con forza a se affondando la sua testa nella sua spalla; lui invece rimaneva fermo immobile incapace di fare un rumore: già troppo che delle silenziose lacrime gli scendessero dalle guance. Le cinse i fianchi con un braccio, mentre l'altro glielo avvolse dietro le spalle tendnmola attaccata su di lui.
 
“Ridammeli, ti prego, ridammeli.” La sentì supplicare nel tessuto della su cotta  piangendo disperata supplicante ma a quella implorazione lui non rispose: la strinse solo ancora di piu’ a se, fissando il vuoto di fronte a lui.
 
Il battito del cuore non riuscì piu’ a percepirlo, c’era solo un vuoto che li aveva inghiottiti entrambi, un dolore che invece di separarli li aveva uniti in una maniera che mai si sarebbero aspettati.
Quelle poche lacrime che riuscì a versare, contate anche nelle dita di una mano non erano niente a confronto di quelle della nana tra le sue braccia, della principessa tra le sue braccia che continuava a singhiozzare ininterrotta, riversando su di lui tutto ciò che era riuscita a tenersi dentro per mesi, non potendo parlarne con nessuno, non potendo mostrarlo a nessuno.
 
Thorin chiuse gli occhi cullandola e poggiando il mento sulla sua fronte chiudendo gli occhi, mentre le gocce salate sulle sue guance diventavano un flebile ricordo e il tempo passò inesorabile su di loro; il re sotto la montagna ne scontò ogni secondo: lasciò che Dìs si sfogasse su di lui, aggrappandosi al suo mantello e affogando tra le sue braccia e il suo dolore.
Non seppe dire quanto rimasero così ma infine le lacrime cessarono e Thorin si ritrovò a stringere su di se un corpo che sembrava essersi vuotato di ogni briciolo di vita: Dìs era pesante e fredda, le sue dita a malapena si reggevano lui adesso
Dei respiri profondi la scossero e si rigirò tra le sue braccia, voltando il viso dapprima premuto contro la sua spalla verso la pietra scura della tomba di Fili e un ultimo e definito singhiozzo decretò la fine di quel momento.
 
Con sua sorpresa Dìs cominciò a parlare di nuovo, il tono di voce privo di qualsiasi dolore, come una storia raccontata a dei bambini a letto, materna, affabile: della traccia del dolore che fino a qualche istante prima non vi era piu’ traccia.
 
“Quando sono morti, anche quando Vili morì, nessun corvo ha dovuto dirmelo nessun messaggero, ho sentito solo un enorme vuoto, un enorme foro come se qualcuno mi avesse strappato il cuore dal petto  gettandolo in pasto a delle bestie, il buoi inghiottirmi e corrodermi  lasciando dietro di se solo un ombra di ciò che poteva essere, un infinto nulla in cui c’era solo un flebile rimpianto di ciò che non sarebbe piu’ avvenuto, la mancanza di un pezzo che non sarebbe piu’ stato saldato.” Thorin non disse nulla poggiò solo ancora meglio il mento sulla cima della sua testa e la tenne ferma dov’era poggiato sul suo petto seguendo attentamente ogni dolorosa parola. ”Ho desiderato morire io, così sono rimasta sveglia in attesa, ma non è successo nulla. Li vedevo, di continuo per casa, i loro fantasmi mi tormentavano.” Si interruppe aumentando lievemente la stretta sulla sua camicia che venne tirata verso il basso come il suo sguardo che ora era piantato sulle gemme che le infestavano la nuca. “Se potessi, tornerei indietro, anche solo per un attimo, solo per riabbracciarli un ultima volta, per un attimo, lo farei.”
 
“Soffriresti ancora.” Thorin fu duro  con quell’affermazione, troppo diretto, quelle parole lo aveva colpito troppo nel profondo per poterlo far agire in maniera meno aggressiva, il tutto gli sembrava così assurdo, il poter tornare indietro, il voler conoscere e amare così tanto pur sapendo cosa sarebbe successo, era una scelta sbagliata folle. Come poteva volere una cosa simile?
 
Dìs però non si scompose: scosse semplicemente la testa sulla sua spalla e continuò a fissare a fianco a lei gli occhi persi nel vuoto un sorriso velato verso delle figure che Thorin non poteva vedere ma che a Dìs parvero così reali che le parole che seguirono fu molto sicuro non fossero dirette a lui, ma ebbero il potere di cambiare tutto, ancora.
 
“No, li amerei ancora piu’ di prima.”
 
 


 

 
 
Tum.

Tum.

Tum.

Tre colpi secchi, uno piu’ forte dell’altro si andarono a susseguire sulla porta di legno così netti che fu impossibile per Balin non sentirli interrompendo la lettura delle carte sopra il tavolo in mezzo alla sua stanza.
Alzò lo sguardo verso la porta studiandola accigliato; si tolse il piccolo dorato monocolo dall’occhio poggiandolo accanto alla candela accesa vicino alla pila di pagine fitte di scritte ancora da leggere e da firmare confuso da una visita quel simile orario e alzando la toga per camminare piu’ velocemente si porto alla porta aprendola stringendo il pomello dorato, ammutolendo di fronte a chi era accasciato ansimante al lato della sua porta.
 
I ciuffi neri scompigliati che gli coprivano in parte gli occhi azzurri sgranati, provati, il petto che si alzava e si abbassava a seguito di una furiosa e violenta corsa disperata verso i corridoi sotto il palazzo; in quei cunicoli che il re aveva percorso gli parvero stringersi intorno alla gola impedendogli di respirare, come se gli volessero impedire di arrivare fino alla porta degli appartamenti di Balin.
 
Thorin si reggeva con un avambraccio allo stipite della porta, il portamento regale era sparito, la corona sulla sua tesa inclinata leggermente in avanti gli fermava i capelli scompigliati, la bocca semiaperta che inspirava piu’ aria di quanta ne avesse avuto bisogno. Gli occhi, che a differenza del suo corpo scosso dagli spasmi della fatica erano immobili fissi su di lui, in cerca di un qualcosa: le iridi blu lo studiavano da parte a parte cercando di leggere nei suoi una risposta silenziosa.
Un velo di preoccupazione nello sguardo che aumentava per ogni attimo di silenzio che passava tra loro: Thorin tentò di interrompere aprendo e chiudendo la bocca ma senza far uscire altro che non fossero leggeri respiri.
 
E lì Balin capì.
 
“No, non l’ho inviato.”
 
 
 
 
 
 
 
 






Angolo autrice
Vi prego non odiatemi, anche io ho avuto una martellata sulle gengive a scrivere questo capitolo, mi sono messa tutta un Playlist triste, ma dovevo sciogliere un po' di nodi quindi ho raggruppato tutto e fa MALEEEE, MALE DA MORIRE!
E’ stato davvero devastante, voglio essere sincera, sia scriverla che finirla così in ritardo poi è lunghissimo, penso sia il capitolo piu’ lungo che io abbia mai scritto. Ho anche versato un paio di lacrime quando Throin le “””dice””” addio, perché è straziante, per fortuna che non sa del corvo.
Comunque cosa ne pensate oltre il “il ti odio sei perfida falli mette insieme?” hahahahah? La scena con Dìs anche è stat molto difficile, anche perché era un peso proprio in senso positivo, spero di averla descritta realisticamente, Thorin che piange poi doveva succedere, penso che nessuno con un’anima riesca a reggere. A proposito di Thorin, qua vediamo proprio un capitolo che si incentra su di lui e su come la sua parte instabile possa prendere il sopravvento, e di come alla fine Balin, comprenda che sia un momento di debolezza e non abbia eseguito i suoi ordini. Che ordine del cazzo poi Thorin mamma mia, e fatti amare! E piantala hahahahha  <3 Ora i punti i nodi vengono al pettine, entrambi sanno entrambi vogliono ma devono cicciare in qualche modo, cicciare in tutti i sensi. Ghìda adesso osa pensate che farà, si abbandonerà a lui di nuovo? Sarà Thorin a fare qualcosa? La montagna la sta davvero accettando? Può farlo anche quando saprà che la sua lealtà per il loro re è anche altro? Poi cosa pensate stiamo facendo i sei piccoli diavoletti? E Dwalin e Dìs che sono così vicini?
Ringrazio Alcalime91 per la recensione, e se trovavi struggente la parte prima immagina quella di adesso hahahahahha  e ringrazio  inoltre tutti voi ch seguite: Star_of_vespers ,Thorin78 , valepassion95, Aralinn, NekoBlonde, Perla_16, Ribes Roger , marisole, e Nekoblonde, Alcalime91,  e GiadaHP (LA NEW ENTRY <3)
 
Comunicazioni:
  1. Il 1 vado in ferie, mi porterò la tastiera con l’ipad per scrivere ma non so dirvi per certo quando pubblicherò qualcosa cercherò comunque di rimanere nel limite dei quattordici giorni, anche se il prossimo capitolo sarà un po' particolare e abbastanza corto rispetto ai miei standard, prendetelo come un tuono prima della tempesta o una piccola tempesta <3 >.> Per ogni comunicazione scrivetemi o comunque per problemi farò un capitolo a parte per spiegare a che punto sono se supero i 14 giorni.
  2. Spero che i personaggi non risultino troppo OOC e soprattutto troppo mosci in alcune parti, così come le descrizioni molto accurate, come vi ho detto sono questi capitoli che sono un po' pesanti ma poi passerà tutto lo prometto.
  3. Vi prego ditemi se ci sono dell cose poco chiare anche a livello di trama o spiegate male si per messaggio che per commenti, perché io ho tutto nella mia tesa e anche per i prossimi lettori se i aiutate a fare un po' di chiarezza è meglio <3
 
 


Maikridî: Fidati di me.
 
 
 







SPOILER
“Mio fratello tiene molto a voi.”
 
 

 
   
 
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