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Autore: AlexSupertramp    30/07/2020    6 recensioni
Dopo aver saputo della relazione tra Hayama e Fuka, Sana decide di sparire e non tornare più a scuola e tutto quello che succede nel manga/anime non accadrà mai, compresa la famosa dichiarazione in TV di Kamura. Dopo quattro anni Akito ritrova una lettera di Sana, la stessa lettera che lei scrive durante le riprese de "La villa dell'acqua".
Cosa c'è scritto e cosa è successo in questi quattro anni? Riusciranno Sana ed Akito a ritrovarsi dopo così tampo tempo?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Akito/Fuka, Naozumi/Sana, Sana/Akito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8
 
Come ci si dimentica di te?

Le tempistiche, quei maledetti affari crono-temporali, erano diventate il pensiero fisso di Hayama perché, in quel momento, proprio non riuscì a trovare un’altra ragione per il fatto che le cose andassero sempre nell’esatto opposto rispetto alla sua volontà. Avrebbe gradito un cenno, un avviso, pure un segnale di fumo, qualsiasi cosa che lo potesse preparare a tutto quello che venne dopo quell’ora passata al buio con Sana, nel vano lavanderia di un hotel qualunque al centro di Hakone. Invece nulla. Le tempistiche sbagliate della sua vita avevano ripreso a fare capolino proprio nel momento in cui credeva di trovarsi finalmente nel posto giusto al momento giusto e, siccome non era proprio famoso per la sua pazienza, dovette trattenersi molto dal distruggere a suon di calci e pugni tutte le lavatrici presenti nella stanza.
Sana invece ebbe una reazione diametralmente opposta perché, se Akito era rosso di rabbia in viso, lei era rossa per l’imbarazzo ma, soprattutto, per il terrore che la invase non appena riconobbe, tra le voci che li stavano chiamando dall’altro lato della porta, quella di Naozumi.
In un impeto di panico, e forse anche di imprevedibile istinto di sopravvivenza, raccolse tutta la forza di cui ancora disponeva e allungò le braccia verso Akito, spingendolo via dal suo corpo tremante. Lui fece qualche passo indietro, leggermente disorientato da quella brusca reazione di lei. D’accordo, oltre quella porta c’erano tutti i loro amici – più un intruso decisamente poco desiderato – pronti ad entrare con l’intento di salvarli, ignari del fatto che avevano scelto proprio il momento peggiore per farsi vivi. E d’accordo, quello che stavano facendo qualche minuto prima avrebbe causato uno shock notevole a più di uno dei presenti – l’intruso indesiderato in cima alla lista –  ma non riusciva a trovare nessuna buona ragione che giustificasse il terrore dipinto sul viso di Sana.
Così si avvicinò lentamente a lei con le mani alzate in segno di pace, come ci si avvicina ad un grosso felino impaurito pronto ad avere una qualsiasi reazione istintiva, anche la più pericolosa.
«Che cosa ho fatto?» Sussurrò lei agitata, infilandosi le dita tra i capelli. Quello che prima era terrore si era trasformato in disperazione e forse anche pentimento, perché nello sguardo di Sana non c’era più nessuna traccia di quello che lui vi aveva letto un istante prima che si baciassero. Ora lei era in preda ad una serie tumultuosa di emozioni contrastanti, con l’evidente prevalenza di un sentimento di pentimento e colpa verso il suo fidanzato, che urlava il suo nome oltre la porta.
«Ehi calmati un momento, non l’hai fatto da sola,» Akito provò a correggerla, sperando che lei accettasse di dividere con lui la marea di emozioni che le stava risucchiando tutto l’ossigeno.
Sana spostò lo sguardo dal pavimento agli occhi di Hayama, e in quel momento lui si accorse che doveva agire in fretta per evitare di perderla di nuovo, in tutti i modi possibili in cui si può perdere qualcuno.
Le mise entrambe le mani sul viso, sperando che quel gesto contribuisse a trasmetterle la calma necessaria di cui avevano entrambi bisogno per affrontare quella situazione.
«Ascoltami, manteniamo la calma. La risolveremo insieme…»
«Calma? Io non mi riconosco Hayama, come faccio a calmarmi? Gli ho fatto una cosa terribile…» Balbettò agitata, non riuscendo a trattenere una lacrima che nuovamente si palesò davanti allo sguardo impaurito di Akito. Temeva seriamente di aver contribuito ad aumentare la possibilità di non poterla toccare mai più, perché non aveva saputo rispettare le famose tempistiche.
In quel momento sentirono la porta che cedeva alle spinte dei loro amici e, con un’agilità che avrebbe dovuto contenere a causa della caviglia slogata, si lanciò a terra abbandonando quella lavatrice dove lui l’aveva poggiata qualche minuto prima, quando erano ancora nel bel mezzo del vortice di passione che li aveva travolti.
Il dolore che sentì contribuì ad incrementare il suo pianto e lei non potette sentirsi che sollevata, perché aveva un ragionevole motivo con cui giustificare il suo stato d’animo. Così, velocemente, cercò di sistemare il vestito e i capelli ancora arruffati, sotto lo sguardo impassibile di Hayama che, invece, era rimasto immobile accanto a lei, aspettando l’imminente ingresso degli altri.
E così accadde, dopo qualche minuto speso ad ascoltare i rumori provenienti dall’esterno, la porta si aprì e Tsuyoshi e Gomi fecero il loro ingresso, seguiti da Kamura e infine dalle ragazze.
La prima cosa che cercò Hayama fu lo sguardo di Sana non appena il suo fidanzato fece la sua comparsa nella stanza, cercando di interpretare le sue emozioni. Ma quello che percepì non preannunciava nulla di buono perché, alle lacrime di lei unite alla caviglia palesemente gonfia, Kamura gli si scagliò immediatamente contro.
«Che cosa le hai fatto?» Gli urlò in faccia afferrandolo per il colletto della camicia. Tutti i presenti, Sana inclusa, spalancarono la bocca a quella scena perché se era appurato che Kamura non fosse assolutamente una persona incline alla violenza fisica, era altrettanto evidente la rabbia disegnata sul suo viso che probabilmente gli aveva fatto abbandonare per un attimo i panni del ragazzo mingherlino e pacifista che al massimo avrebbe detto un’offesa per esprimere il suo dissenso.
Hayama invece, che alla violenza fisica era più che abituato, abbassò appena lo sguardo inchiodando i suoi occhi in quelli di Naozumi che, per un attimo, vacillò perdendo tutta la sua sicurezza. Con un gesto repentino, gli afferrò entrambe le mani con un pugno, stringendogliele e allontanandole dal suo collo. Era stato fin troppo facile, pensò, perché non si era nemmeno sforzato di spingerlo via.
«Non devi toccarmi!» Sibilò visibilmente irritato. Evidentemente il suo sguardo fu molto più eloquente delle sue parole perché, dopo averlo fissato su Kamura per due minuti, quest’ultimo indietreggiò di qualche passo.
Tsuyoshi si lanciò frapponendosi tra i due, leggermente intimorito dal fatto di poterle prendere seriamente da Akito che, accecato dalla rabbia com’era, non avrebbe fatto alcuna distinzione tra lui e il reale bersaglio. Ma sorprendendo in primis sé stesso, Hayama non si mosse più, allungando le braccia lungo il corpo e abbassando lo sguardo.
«Se hai osato anche solo torcerle un capello sappi che io…» Kamura non sapeva proprio cosa stesse dicendo perché se c’era una cosa così lontana dalla realtà era la probabilità che Akito potesse mai riversare la sua rabbia sulla persona più importante della sua vita. Ma questo Naozumi non lo sapeva, o semplicemente lo ignorava, facendosi forza con le lacrime di Sana la cui origine gli era palesemente ignota.
«Naozumi… calmati» E fu proprio Sana a distogliere l’attenzione del ragazzo verso Hayama e Tsuyoshi, saltellando di due passi verso di loro. «Sono caduta perché era buio e mi sono fatta male. Ma non è nulla di grave… siamo, noi siamo rimasti chiusi dentro… per errore» si giustificò. Ma quelle ultime parole avevano il sapore di duplice significato e Akito percepì il messaggio di Sana: quello che era successo era stato un errore.
Kamura allora si precipitò verso di lei dandole un lieve bacio sulla guancia, bacio che spinse Hayama, dall’altra parte della stanza, a rivolgere lo sguardo alla bufera che ancora si scagliava contro il vetro della finestra. Si sentiva così stupido nel ruolo di terza parte di quel triangolo, stupido per aver pensato che bastasse così poco per far sì che le cose si rimettessero al loro posto. Non aveva fatto i conti con qualcosa così grande come il senso di colpa, un sentimento che stava cominciando a provare lui stesso per aver causato una sofferenza a Sana.
Quest’ultima fu presa sulle spalle da Kamura perché effettivamente la caviglia era veramente molto gonfia da impedirle di camminare da sola. E Hayama si sentì ancora più stupido, per non essere stato in grado nemmeno di curarla a dovere.
Le ragazze, ancora sconvolte per la scena di poco prima, rivolsero un’occhiata a Sana che rispose loro con un sorriso.
«Tranquille, non è niente. Un po' di riposo e tornerò come nuova» disse alzando un braccio in segno di vittoria. I due poi sparirono dalla stanza.
Tsuyoshi fece segno ad Aya di lasciarlo solo con Akito e lei, cercando di risalire al motivo di quella richiesta, propose agli altri di avviarsi verso le stanze perché i loro amici dovevano sistemare la porta che era stata letteralmente scassinata.
Rimasti soli, Akito voltò le spalle al suo amico avvicinandosi alla finestra per osservare la pioggia fitta.
«Cosa è successo?»
«Non è il momento!»
«Io invece credo di sì» Gli rispose duro. Akito si voltò di scatto lanciandogli un’occhiata talmente cattiva da fare sfiorare a Tsuyoshi l’idea di darsela a gambe.
«Sì, insomma, penso che ti farebbe bene parlare… ecco, hai una faccia… terribile» disse indietreggiando appena. Si sentiva un po' più sicuro a pochi passi dall’ingesso.
«Non c’è niente da dire. L’hai sentita, è caduta e si è fatta male. Fine della storia»
Tsuyoshi sospirò, arreso all’idea che non avrebbe cavato un ragno dal buco con Akito in quelle condizioni. Era più che sicuro che sotto ci fosse dell’altro ma era anche consapevole che difficilmente il suo migliore amico gli avrebbe raccontato altro.
«D’accordo. Sappi però che se vuoi parlare io…»
«Ma sei sordo? Lasciami in pace! E ora rimettiamo apposto questo disastro.» Concluse avviandosi verso la porta mezza rotta. I successivi minuti trascorsero nel più totale silenzio e Tsuyoshi si sentiva davvero dispiaciuto per non essere in grado di fare nulla per il suo amico. Poi si rese conto che, in fin dei conti, non erano più dei bambini e che Akito probabilmente aveva davvero bisogno di stare da solo, ed elaborare qualsiasi cosa fosse successa in quella stanza. Lo osservò a lungo, aveva uno sguardo completamente perso, e il suo corpo pareva muoversi per inerzia, perché doveva farlo, e non perché dietro ci fosse un qualsiasi tipo di volontà da parte sua.
Il compito di rimettere a posto il danno si stava rivelando più complicato del previsto e all’ennesimo tentativo di Hayama andato a vuoto di risistemare la porta si scatenò l’inferno. Preso da uno scatto d’ira, il ragazzo scaraventò un potente calcio contro la parete di legno già provata, incidendo la sua taglia sulla superficie della porta. Quello che ne restò fu un grosso buco dal quale Tsuyoshi riuscì a intravedere il corridoio dell’hotel e Akito che se ne andava, di spalle, lasciandolo solo a sistemare anche quel danno provocato da lui.
«Ehi dove vai? Guarda che qui ci tocca pagare i danni sai?» gli urlò dietro stando attento a reggere quello che restava della porta d’ingresso del vano lavanderia.
Hayama non si degnò nemmeno di fargli sapere che lo aveva sentito perché semplicemente si dileguò, lasciandolo lì con la tormenta ancora in atto. Si sentiva troppo nervoso per pensare e se c’era una cosa che aveva imparato su sé stesso era il tempo necessario per metabolizzare gli eventi. Il suo personale tempo necessario, e aveva tutta l’intenzione di trascorrerlo da solo.
Si chiuse nella stanza e, nonostante ci fosse anche Gomi con lui, il fatto che stesse dormendo già come un sasso gli fece tirare un sospiro di sollievo perché non aveva nessuna voglia di affrontare nessun tipo di discorso, con nessuna delle persone presenti in quell’hotel. Lei compresa.
Si tolse le scarpe lasciandole all’ingresso della camera e si sdraiò sul suo letto rivolgendo lo sguardo al soffitto leggermente illuminato dalla luce esterna. Ripensò a quella sera, alla festa che aveva frequentato per qualcosa come cinque minuti, alla sua decisione di allontanarsi da lì cosciente del fatto di non voler vedere arrivare Kamura che si portava via non solo le attenzioni di Sana, ma anche la possibilità che lui potesse approfittare di quel tempo per trascorrerlo con lei.
Quando Sana si era mostrata in quel vano lavanderia, preoccupata e con una caviglia gonfia come un melone, si era sentito più in colpa del dovuto perché il fatto che volesse vedere il lago da quella stupida stanza era solo un’ignobile scusa per restare da solo, lontano da quei due. Ma le conseguenze di quel gesto, seppur involontario o comunque non ponderato affinché scaturisse una simile reazione a catena, erano bastate e avanzate a fargli capire di aver preso una decisione affrettata. Troppo istintiva. Poi la mente andò avanti con i ricordi, raggiungendo il momento in cui avevano parlato, quando lei gli aveva confessato il dolore che aveva provato negli anni in cui erano stati separati, gli anni in cui lui non aveva mantenuto quell’antica promessa.
A pensarci bene non si era mai soffermato a pensare, in effetti, a lei come fosse stata in quel tempo. Era sempre stato concentrato sui suoi sentimenti, su quelli di Fuka, ma mai si era soffermato a riflettere su quelli di Sana. Si era domandato molte volte, troppe volte, cosa stesse facendo e anche cosa stesse provando, ma mai aveva riflettuto sulla possibilità di conoscerla abbastanza bene tanto da poterci arrivare anche da solo, a capire come stesse. Non aveva pensato al fatto di averla delusa, in qualche modo, perché troppo preso a considerare la sua di delusione quando si era reso conto che lei era semplicemente fuggita da tutto e da tutti.
Le parole di lei di quella sera, invece, gli avevano fatto capire quanto si fosse sbagliato in passato, rispetto a quello di cui era sempre stato convinto. E non solo riguardo la presunta relazione scoppiata sul set tra Sana e Kamura. Si era sbagliato sul fatto di essere convinto che lei stesse bene, che fosse felice e che il loro rapporto, il loro profondo rapporto, a prescindere dall’amore e dall’evoluzione che per lui quel sentimento aveva subito, fosse qualcosa di percepito su un unico binario.
Ma, nonostante quella nuova consapevolezza, era altrettanto sicuro che quel momento trascorso insieme in quella stanza l’aveva decisamente sconvolta. Così come aveva sconvolto anche lui.
Fece un profondo respiro cercando di trattenere, insieme all’ossigeno, anche la possibilità che ci fosse ancora una speranza per loro due, in qualsiasi modo possibile. In fondo quello che era successo era pur sempre una prova tangibile di una serie di menzogne a cui lui aveva assistito negli ultimi tempi, e se lo avesse saputo Tsuyoshi, era sicuro che lo avrebbe detto. Quel bacio – quello che lei aveva dato a lui – insieme a tutto il resto, doveva pur significare qualcosa, indipendentemente da come sarebbe andato il seguito. E Akito ormai non era più un bambino delle medie, inerme di fronte a sentimenti così forti come il primo innamoramento. Non era certo nemmeno un uomo ma, sicuramente, non più un bambino e si sentiva perfettamente in grado di affrontare le conseguenze di quella notte.
Improvvisamente sentì il cellulare squillare e scattò in piedi cercando velocemente quell’affare in una delle tasche dei suoi jeans. Il suono si fermò perché evidentemente altro non si trattava che di un messaggio, ma comunque si voltò verso Gomi per accertarsi che quel prolungato bip non lo avesse svegliato.
Tutto taceva.
Il suo cuore prese a battere più forte quando lesse il suo nome nel mittente. Era un messaggio di Sana.
“Mi dispiace per quello che è successo stasera. Non so proprio cosa mi sia preso, spero riuscirai a perdonarmi.”
Lesse il messaggio parecchie volte e si sentì scosso, deluso, ferito più un’altra serie di sentimenti negativi che cercò di scacciare via lasciando il posto solo ad un’indefinibile rabbia. Se lui si sentiva pronto ad affrontare le conseguenze di quella notte, non si poteva dire la stessa cosa di lei che gli aveva appena ribadito, nero su bianco, che tutto quello che c’era stato era da considerarsi solo un madornale errore.
Allora, noncurante di Gomi che ronfava placidamente nel letto accanto al suo, scaraventò il suo cellulare contro il muro, mettendoci tutta la forza che quella rabbia improvvisa era riuscita a fornire al suo corpo. E come se avesse desiderato solo quello, si sentì sollevato quando l’oggetto si frantumò in cento pezzi, provocando un rumore abbastanza forte da far sussultare il suo compagno di stanza.
Come poteva Sana essere così codarda ed egoista? Cosa credeva, che lui navigasse in un mare di gioia e felicità? Che l’avesse programmato? Non meritava nemmeno uno straccio di confronto. Perché sceglieva sempre la persona sbagliata da far soffrire? Perché sceglieva sempre Akito? In quel caso, si poteva parlare di scelta consapevole? Perché se lui si stava domandando una serie infinita di perché, lei aveva deciso semplicemente di ignorare l’accaduto convinta di poter convivere benissimo con tutte le emozioni che la stavano assalendo.
Quando Kamura uscì dal bagno della loro stanza, Sana mise velocemente il cellulare sotto una gamba sperando di essersi ricordata in tempo di silenziare il volume, in caso lui avesse risposto. Cosa di cui dubitava fortemente, se ancora conosceva Hayama come un tempo.
Naozumi fece rapidamente il giro del letto, sedendosi accanto a lei. Si sentiva abbastanza inquieto dopo quello che era successo, e si sentiva anche un po' stupido perché era sicuro che Sana non gli avesse raccontato proprio tutto.
«Mi vuoi raccontare cosa è successo stasera con Hayama?»
«Ma niente, cosa vuoi che sia successo? Mi ha semplicemente dato una mano quando sono caduta e…» Sana si sentiva irrequieta a mentire così spudoratamente. Avrebbe voluto scappare, come sua consueta abitudine, ed evitare di affrontare sia Naozumi che Akito. Non voleva vedere nessuno dei due, eppure era costretta a dover spiegare al primo cosa avesse fatto insieme al secondo, consapevole di dover continuare a mentire.
«Siamo rimasti chiusi in quella stanza, è stato un incidente insomma» continuò la sua spiegazione, omettendo l’epilogo di quell’incidente. Si sentiva tremendamente in colpa e non riuscì a dire altro perché avrebbe fatto troppa fatica a trattenere il pianto che saliva pian piano a galla.
«Mh, Sana io… ecco perché non volevo che tu venissi qui da sola» disse cercando di mantenere la calma.
«Ti ho già detto che non è successo nulla, sei paranoico» questa volta lei alzò la voce, attaccando per prima con la speranza che quella conversazione fisse presto.
«Ah sì? Dimmi che le facce che avevate quando sono entrato nella stanza sono frutto delle mie paranoie»
«Andiamo, che facce hai visto? Mi faceva male la caviglia ed ero spaventata per la tormenta, che ti aspettavi? Una danza di gioia?»
«Questo è un altro motivo per cui non volevo che venissi»
Sana spalancò gli occhi confusa.
«Sapevo che avremmo finito per litigare, e io non voglio litigare con te.» Kamura si era calmato, perché non aveva proprio la forza di continuare a procedere in quella direzione. Il sentiero intrapreso era troppo oscuro e denso di imprevisti e preferì mettere a tacere tutte le sue voci interiori che gli suggerivano di continuare ad indagare nel cuore della sua ragazza.
«Mi dispiace…» riuscì a dire abbassando lo sguardo. Si sentì estremamente fragile in quel momento perché mai si sarebbe aspettata un simile epilogo per quella gita. Mai avrebbe pensato che sarebbe finita a parlare in quel modo con Hayama e, soprattutto, mai avrebbe ammesso prima di quella sera che i suoi sentimenti per lui erano tutt’altro che spariti. E forse la stessa cosa valeva anche per Akito.
Il problema era agire perché se c’era una cosa che non sopportava era ferire le persone e in quel momento lo sguardo di Naozumi era abbastanza inequivocabile, lei sapeva perfettamente che non era uno stupido e avrebbe dovuto pensare in fretta alla decisione da prendere.
Chiuse gli occhi e appoggiò la testa sul cuscino, sentì il corpo di Kamura appoggiarsi al suo e una sua mano stringere le sue dita come poco prima lei aveva stretto quelle di Hayama. Si maledisse per essere stata così affrettata nel decidere di cedere alle emozioni.
«Ti ricordi di quel documentario che devo girare in Egitto?»
Lei se ne ricordò in quel preciso istante. Mugugnò qualcosa in risposta.
«Tra qualche giorno dovrò partire, mi sento inquieto però, e mi perderò anche il tuo compleanno»
«Nun succederà nulla.» Non aveva nemmeno aperto gli occhi, si sorprese nell'aver scoperto la sua bravura non solo a mentire, ma a costruire addirittura un'altra sé stessa. Non riusciva proprio a riconoscersi ma si disse che omettere certi dettagli era necessario perché una persona buona come Naozumi non soffrisse per qualcosa che non sarebbe dovuto accadere.
 
***
 
Tsuyoshi pensò che se non avesse visto con i suoi occhi la tormenta della sera prima, non avrebbe mai creduto che un simile temporale si fosse abbattuto su Hakone perché, a giudicare dallo scenario che si intravedeva dalle finestre della sala ristorante, sembrava tutto tranquillo e pacifico. C’era ancora la neve ma i raggi del sole stavano lentamente provvedendo a far sparire anche quell’ultima traccia di quanto era successo la sera prima.
Afferrò con le dita una tazza di thè bollente ancora fumante e aspettò qualche secondo prima di portarla alle labbra. Lo sguardo di Aya, seduta proprio di fronte a lui, trasudava tristezza e delusione perché di certo quell’epilogo silenzioso tra i presenti era l’ultima cosa che si sarebbe aspettata da quella gita. E Tsuyoshi si sentì leggermente in colpa per essere stato lui l’insistente artefice di quel fine settimana. Senza contare che al tavolo mancavano Akito, Sana e Naozumi, i protagonisti delle loro numerose domande senza risposta.
«Io l’avevo detto comunque» esordì Mami bevendo poi un sorso di thè dalla sua enorme tazza.
«A chi scusa?» rispose Gomi un po' confuso.
«È un modo di dire sciocco. L’avevo detto io che tra Sana e Hayama c’era qualcosa»
«Ma che dici? Sana si è fatta male perché non sa camminare molto bene a quanto pare, e lui l’ha aiutata. Non mi sembra che ci sia qualcosa di più complicato dietro» Gomi insisteva con la sua visione semplicistica del mondo.
«Oh Gomi, mi sembri un bambino certe volte» questa volta fu Hisae ad intervenire, cosciente del fatto che Mami non avesse poi tutti i torti.
«Non ti sei accorto della faccia che ha fatto Kamura quando li ha visti insieme in quella stanza? Di certo la caviglia di Sana non è stata la sua prima preoccupazione»
«Sarà come dici, di certo quel Kamura ha rischiato grosso mettendo le mani addosso ad Hayama»
«Ragazzi, perché non cambiamo argomento?» li esortò Tsuyoshi, ormai saturo di quelle dinamiche.
«Che argomento?»
In quel momento Kamura e Sana, appoggiata a lui per poter camminare meglio, fecero la loro comparsa nella sala. Aya notò immediatamente non solo due occhiaie intorno agli occhi della sua amica ma, anche la sua totale inespressività. Forse era ancora stanca, o le faceva davvero male la gamba perché si sarebbe aspettata un sorriso, un saluto, un cenno di vita.
«Sana, hai fame? Ci sono così tante cose buone» Naozumi le indicò il tavolo ricco di cibo al quale erano seduti i suoi amici.
«Mm, in realtà mi sento un po' stanca.»
«Tra poco torneremo a casa…»
«Che vuol dire che tornerete a casa? Non ripartite con noi questa sera?» domandò Tsuyoshi un po' in ansia.
«Credo che sia meglio portare Sana da un medico. Non credo sia nulla di grave ma sarebbe bene non rischiare» lo informò Kamura continuando a tenere lei stretta con un braccio.
«Ma non preoccupatevi, Naozumi è sempre così ansioso», lei intervenne nel discorso prendendo leggermente in giro Kamura.
«Ma che dici, mi preoccupo lo stretto necessario», ribatté lui fingendo di essere infastidito. In realtà Sana aveva ragione nell’affermare l’estrema preoccupazione di lui nei suoi confronti ma, in quell’occasione, c’era qualcosa di strano che andava al di là della semplice caviglia slogata. Probabilmente anche i suoi amici se n’erano accorti perché nessuno aveva riso a quella battuta.
In quel momento la porta di ingresso dell’albergo si aprì e dall’uscio comparve Hayama in tenuta da corsa con le scarpe imbrattate di neve. Si fermò un istante all’ingresso per toglierle via prima di accorgersi delle voci dei suoi amici prevenire dalla sala ristorante. Alzò lo sguardo e vide la figura indistinguibile di Sana che si appoggiava con un braccio alla spalla di Kamura. Quell’immagine gli provocò un leggero sussulto perché sapeva perfettamente che di lì a breve avrebbe dovuto sostenere di nuovo il suo sguardo. Gli venne immediatamente in mente il messaggio di lei della notte precedente e una leggera rabbia iniziò a risalire a galla. Era riuscito a calmarsi grazie alla sua abituale corsa mattutina ma, entrare in hotel e vedere quei due come prima immagine della giornata, cancellò tutto ciò che c’era stato prima.
«Akito!»
La voce di Tsuyoshi rese vano ogni suo tentativo di sparire in camera senza essere notato da nessuno. Il fatto che lo avesse chiamato a voce così alta gli rendeva impossibile non essere notato da lei. Sana, infatti, si voltò di scatto verso di lui mormorando il suo nome, il viso completamente privo di qualsiasi espressione. D’accordo, c’era Kamura al suo fianco e le sue doti d’attrice, divenute sempre più elogiabili, la rendevano probabilmente in grado di mascherare ogni emozione. Ma addirittura restare totalmente impassibile, dopo quello che era successo?
Le espressioni di Kamura invece si palesarono eccome, perché sul viso del ragazzo comparve una vera e propria maschera di ostilità e Akito, ne era certo, era dedicata esclusivamente a lui.
«Sana e Kamura stanno andando via, la sua caviglia sembra farle male sul serio,» lo informò Tuyoshi, ricevendo un’occhiata ostile pure lui. Sembrava il festival della negatività, e Sana si sentiva in mezzo a due fuochi, nonostante gli altri non avessero percepito nulla di quanto stesse provando.
«Ma non è niente di grave,» disse, con la sua maschera di cera. Akito le rivolse una rapida occhiata: «Buon per te.»
E quelle furono le uniche parole che riuscì a rivolgerle prima di voltarsi verso l’ascensore che lo avrebbe riportato in camera sua. Si pentì per il tono duro con cui le aveva parlato, all’istante, ma si ricordò anche del fatto che lei sembrava essersi completamente dimenticata di quello che avevano vissuto insieme la notte precedente. Lui pensò che fosse davvero un’egoista a trattarlo in quel modo perché, al di là di ciò che provavano, si era dimostrato più che disponibile a starle vicino e aiutarla ad affrontare quelle che, era convinto, erano emozioni fin troppo forti. Le stesse che stava provando lui.
Decise che la tattica migliore era quella di dileguarsi e lasciarla perdere, perché se era vero che non desiderava altro che prenderla e portarla via lontano dalle mani di quel damerino dai capelli celesti, era altrettanto vero che la capacità di Sana di fargli saltare tutti i nervi non era affatto svanita negli anni e, per evitare di peggiorare la situazione, decise di andarsene in camera sua a preparare lo zaino. Se c’era una cosa che non voleva assolutamente fare era restare in quella stupida città termale a rimuginare sugli stupidi eventi.
 
Inizio marzo 2007
 
Sana si mise una mano sul petto, tanto per constatare per l’ennesima volta l’effetto che faceva al suo cuore l’ingresso della scuola superiore Jimbo. Le avrebbe messe entrambe, le mani sul petto, se l’altra non fosse stata impegnata a reggere la stampella che il medico le aveva consigliato di portare per qualche giorno, vista la sua ostinazione nel non voler stare a letto a riposarsi. E a pensare.
Fece qualche passo a fatica, cercando di non mettere la caviglia malandata a terra quando sentì qualcosa afferrarle un braccio. O meglio, qualcuno.
«Non mi aspettavo di vederti a scuola sai» la voce impassibile di Akito la fece quasi saltare, cosa che non andava affatto bene per le sue condizioni di salute.
«Non sarà certo una slogatura a fermarmi» rispose lei alterata, svincolando il suo braccio dalla presa di lui, un po' troppo salda.
«Non mi riferivo certo a questo. Certe volte mi fai quasi paura.»
«Eh?»
«Sei strana Kurata.» Aggiunse, porgendole una mano in segno d’aiuto.
«Preferisco strisciare piuttosto che essere aiutata da te.»
«Fa’ un po' come vuoi!»
E lei vide la sua chioma bionda di spalle fare qualche passo allontanandosi appena. Tirò un sospiro di sollievo perché era convinta che non appena si fossero rivisti, lui avrebbe in qualche modo ripreso il discorso della sera ad Hakone. Siccome non se la sentiva di affrontarlo si sentì immediatamente al sicuro quando lo vide allontanarsi per entrare a scuola.
Poi capi subito perché lui non aveva fatto il minimo cenno alla loro esperienza nella stanza lavanderia: dietro di lei c'erano Tsuyoshi, Aya e Hisae. Sana era convinta che se non ci fossero Stati loro ad attentare alla loro privacy, avrebbe dovuto affrontare Hayama, cosa per cui non era assolutamente pronta. Decise di provare ad ignorarlo, nonostante il fatto che avrebbero condiviso tutte le ore insieme. Ma se le possibilità che si ritrovassero da soli erano decisamente alte, per il fatto che erano in classe insieme, la realtà si dimostrò totalmente diversa da quel cumulo di probabilità e, arrivato il momento del pranzo, lei si dileguò come una ladra mischiandosi nella massa di studenti intenti a raggiungere la mensa.
Aveva previsto tutto: si sarebbe seduta tra Tsuyoshi e Aya i quali avrebbero dovuto accettare la momentanea separazione e, con un po’ di fortuna, Akito non si sarebbe unito nemmeno al loro tavolo. Lei sarebbe tornata in classe, lentamente ma ci sarebbe tornata, e finito il recupero Rei si sarebbe prodigato per recuperarla fin dentro l'aula. Quella caviglia di stava dimostrando un'ancora di salvezza.
Aveva previsto tutto o meglio, aveva creduto di farlo, perché quando era arrivata in mensa, per ultima nonostante avesse cercato di sgattaiolare via dall'aula per prima, si rese conto che c'era una previsione finita fuori dalla lista: Akito seduto insieme alla tizia della settimana precedente, quella tale Fumiko. Lei sorrideva timida guardando, chissà perché, il cibo di Hayama. Lui mangiava e basta, con la sua solita espressione.
Eppure Sana iniziò a provare una rabbia incontrollata. Si domandò perché lui avesse deciso di bidonare il tavolo dei suoi amici per sedersi con quella, senza contare il fatto che a lei aveva a malapena rivolto la parola. Ma come si permetteva? Soltanto lei avrebbe potuto, eventualmente, scacciarlo dal loro tavolo.
Sana iniziò a saltellare velocemente verso il centro della sala, la sua andatura goffa destò l'attenzione di un po’ tutti i presenti che notarono anche gli sbuffi provenienti dalle sue labbra. Anche Akito fu attirato dal rumore metallico dell'affare che la sorreggeva e alzò lo sguardo verso di lei. E come un’onda che distrugge un castello di sabbia, anche la rabbia di Sana fu distrutta dallo sguardo fermo e deciso di Hayama che la spinse a voltarsi immediatamente dalla parte opposta.
Ma cosa credeva di fare? Andare lì e fargli una scenata di gelosia? Proprio lei? Iniziava sul serio a dubitare di sé stessa e della sua lucidità. Abbassò la testa e pensò per due secondi a come avrebbe potuto svincolarsi da quella situazione in cui si era messa quando qualcuno la chiamò, Aya. Si sentì scioccamente salva per aver trovato una via di fuga, seppur momentanea, quindi scappando anche dallo sguardo di Akito, si diresse a fatica verso il tavolo dei suoi amici con la speranza che almeno loro non le chiedessero nient’altro.
 
***
 
Sana iniziò a pensare di aver fatto una grossa sciocchezza a tornare a scuola in quelle condizioni. Di certo non era nulla di grave, niente se paragonato alla sua promozione in bilico che necessitava più di un pomeriggio di recupero. Il problema era che ci impiegava un tempo interminabile a raggiungere qualsiasi posto con quella stampella e la caviglia gonfia, facendo una fatica immane.
Sbuffò esausta quando si ritrovò finalmente davanti alla sua classe poco prima che iniziasse l’ennesimo pomeriggio di recupero. Purtroppo il fatto di essere così lenta le impedì di sfuggire all’ennesimo incontro con Hayama – e Fumiko al seguito – che sembrava averle messo una calamita addosso. Vide i due salutarsi non appena Akito si era accorto della sua presenza a qualche metro di distanza, una distanza che le sue gambe, entrambe funzionanti, erano perfettamente in grado di colmare in pochi minuti. Sana cercò di accelerare il passo verso la classe, ma il suo terzo arto metallico era così difficile da gestire che in tre secondi avvertì chiaramente la presenza di Hayama alle sue spalle, anche perché lui le puntellò un dito sulla spalla.
«La smetti di fuggire? Sei lenta come una lumaca, oltretutto…»
«Non sto fuggendo, sono in ritardo per il recupero»
«Non trattarmi da stupido. Lo so che mi stai evitando»
«Evitarti? Ma no…» ma ogni tentativo di fuga, ennesimo, si sarebbe rivelato quanto meno inutile perché Hayama conosceva Sana meglio di quanto lei credesse.
«Questo è il tuo modus operandi. Sei come un serial killer.»
«Io sarei un serial killer?» Lei questa volta rivolse uno sguardo stranito ad Akito che, di rimando, le si avvicinò ancora di più facendola vacillare.
«Sì, ti comporti sempre allo stesso modo. Ecco perché ero convinto che avresti marinato le lezioni e saresti scomparsa di nuovo,» disse quelle ultime parole con lo sguardo rivolto per terra e lei, per la prima volta, vide sul suo viso la sofferenza che anche lui aveva provato in quegli anni lontani.
«Hayama…»
«Ora possiamo parlare? Per favore…»
Sana si sentì completamente disarmata, sapeva che almeno quello glielo doveva dopo quello che era successo ma l’apparizione di Fumiko dietro le spalle di lui la fece piombare nuovamente in un baratro di rabbia. Perché lei aveva fatto soffrire qualcuno di proposito, Naozumi per la precisione, e lui se ne andava in giro con quella lì per poi scocciarla con la sua voglia di parlare.
«Akito, non mi hai detto a che ora possiamo vederci oggi…» Per la prima volta Sana sentì la sua voce e pensò che fosse dolce, femminile, docile e timida. Un po' l’esatto contrario della sua. La guardò bene e pensò anche che non era affatto male anzi, in circostanze diverse avrebbe detto anche che fosse carina.
«Ah già. Ci vediamo alle quattro in punto.» Disse semplicemente ricevendo da lei un timido sorriso in risposta. Poi lo sguardo di Fumiko si spostò verso Sana e, come se la vedesse per la prima volta nella sua vita, le rivolse un’espressione confusa. Poi salutò entrambi con un cenno della mano e così come era venuta, sparì dalla loro vista.
«Dicevamo?» Hayama insisteva.
«Niente!»
«Oh andiamo Sana, quando la smetterai di comportarti come una bambina?»
«Quando tu mi lascerai in pace!» Sì, l’aveva detto sul serio. «Dovresti andartene sai, la tua amica mi sembra persa senza di te»
Hayama alzò entrambe le sopracciglia, davvero sorpreso di sentirle dire quelle cose. Cosa c’entrava Fumiko in quel discorso? Possibile che fosse ancora così ottusa, proprio come sosteneva Tsuyoshi?
«Ci risiamo. Mi sto arrabbiando sul serio!»
«Fa’ pure, che me ne importa.»
Ma la pazienza di Hayama, che aveva davvero i minuti contati, si esaurì come acqua nel deserto e, spinto da un’irrefrenabile rabbia improvvisa, raccolse Sana come un sacco di patate e se la mise sulle spalle. Le proteste della ragazza furono abbastanza vane, visto il fatto che non solo la sua forza era pari al quadruplo della sua, ma in quelle condizioni non aveva davvero nessuna speranza di vincere la gara.
«Hayama, sappi che quando toccherò di nuovo terra, rimpiangerai di avermi trasportata come uno dei tuoi sacchi da boxe.»
Lui di rimando ridacchiò divertito e, per un brevissimo attimo, Sana rimpianse di non poter godere di quel raro spettacolo. Ma fa un attimo davvero breve.
La portò in infermeria, era completamente vuota e loro furono finalmente lontani da occhi e orecchie indiscrete.
«Bene, per colpa tua salterò il recupero e perderò l’anno!»
«Se lo perderai sarà solo a causa della tua ignoranza.»
Sana incrociò le braccia al petto, poggiando tutto il suo peso sul piede destro.
«Coraggio, dimmi quello che devi e facciamola finita.»
Hayama sospirò e strinse i pugni cercando di trovare le parole, poche, adatte a quel momento con lei. Era stato così convinto di volerle parlare che non aveva minimamente pensato a cosa dirle.
«Com’è andata con Kamura?»
«Gli ho mentito, gli mento da giorni…» Disse lei con un’infinita tristezza in viso. Hayama mugugnò.
«Ora lui non c’è e mi sembra di essere tornata a respirare. Sono orribile.»
«Mi sembrava che anche tu lo volessi!»
«Per questo sono orribile… ma che mi sta succedendo? Io non ho mai tradito nessuno in vita mia. E anche tu non sei un granché visto come tratti quella ragazza.»
«Sana non provocarmi di nuovo.»
«Sei tu quello che prima mi bacia come se fosse l’ultimo giorno del mondo e poi prende ed esce con un’altra, e sarei io a provocarti?»
«Tu non guardi oltre la punta del tuo naso, sciocca babbea,» disse con un tono un po' troppo arrabbiato per poi ridimensionarsi subito, avvicinandosi a lei: «Perché continui a parlare di cose che non sai?»
«Allora dimmele queste cose.»
«Perché, ti interessano?»
«Si!»
Questa volta fu il tono di lei a farsi duro, nonostante non fosse nella posizione per farlo, diede voce ai suoi pensieri più profondi con una semplice particella affermativa. Lui arrossì di colpo. Poi fece un solo passo verso di lei, colmando la distanza in meno di un minuto, Sana non si mosse perché si sentiva completamente paralizzata da quello sguardo così deciso. Hayama era deciso a farle capire certe cose ed era convinto di essere sulla strada giusta perché Sana era ancora lì, appoggiata al muro dell'infermeria, con i palmi delle mani contro la parete. Era agitata, lui riusciva a sentirlo, ma era ancora lì.
Akito le accarezzò il viso con entrambe le mani, percorrendolo interamente come se lo stesse disegnando. Le spostò poi una ciocca di capelli dalla fronte.
«Non possiamo farlo…  non di nuovo,» Riuscì a malapena a marmorare Sana, con un leggero filo di voce fuoriuscito chissà come dalla sua gola in fiamme.
Akito non le rispose nemmeno, avvicinando lentamente il suo viso a quello di lei, per darle la possibilità di concretizzare la frase di poc'anzi. Ma non accadde nulla.
Allora le baciò il collo schiudendo appena le labbra sulla sua pelle, riusciva chiaramente a sentirne il profumo e si sorprese a pensare che davvero avrebbe potuto stare così fino alla fine dei suoi giorni. Non c'era nient'altro che desiderasse fare in quel momento, allora strinse le braccia intorno al suo corpo e di rimando lei fece la stessa cosa, percorrendo la sua schiena con le dita, fino a stringerle contro il tessuto morbido della camicia.
«Hayama…»
«Mh?» Mugugnò appena, senza interrompere ciò che stava facendo. Non lo avrebbe fatto per niente al mondo, solo se lei gli avesse chiesto di smettere, cosa che sperava vivamente non accadesse.
Dopo la notte ad Hakone aveva capito di provare un profondo desiderio verso di lei, verso quel corpo. Non c'erano solo sentimenti antichi a giocare la loro partita. Akito desiderava Sana in un modo che faceva quasi male, un desiderio fisico che riusciva sempre ad avere la prima parola in ogni discorso affrontato con lei.
«Dovremmo…  fermarci.»
Akito annuí con il viso completamente affondato nell'incavo del suo collo. Nemmeno Sana credeva alle parole che lei stessa aveva pronunciato ormai completamente rapita da lui, dal suo profumo, dal valore del suo corpo, da ciò che immaginava sarebbe potuto succedere di li a qualche minuto. E le venne un brivido lungo il ventre scoprendo di non desiderare altro che accadesse, qualsiasi cosa, che lui continuasse a baciarla e che non smettesse mai.
Emise un leggero, quasi impercettibile gemito, che spinse Akito a lasciar stare il collo allontanandosi da lì, si spostò verso il suo viso e rimase quasi imbambolato nel vederla completamente abbandonata a lui, ne era certo, in quel momento lei voleva lui almeno tanto quanto lui volesse lei.
Di getto le baciò le labbra e lei rispose immediatamente a quel gesto, schiudendo la bocca appena affinché le loro lingue si incontrassero nuovamente in quel gioco pericoloso e proibito. Non pensava più a niente, nemmeno alla caviglia dolorante, al fatto di essere in un posto sì vuoto, ma comunque ancora potenzialmente pronto ad accogliere studenti ammalati. L'unica cosa che riempiva la sua testa era il profumo di Akito, le sue labbra morbide e la lingua che si muoveva incredibilmente bene insieme alla sua, quasi come se avessero preso lezioni di danza insieme. Poi lui le cinse la vita e dolcemente la spinse contro il lettino accanto a loro, non ne poteva più di sentirla così lontana, nonostante fossero appiccicati. Voleva sentire il suo corpo su di lei, un perfetto complice della gravità, che avrebbe fatto il proprio lavoro egregiamente.
La spinse appena verso il basso, continuando a baciarla, si insinuò sul suo corpo non riuscendo più a distinguere il battito del suo cuore da quello di lei. Si scostò solo un istante, il tempo necessario per ammirare il suo viso confuso. Gli piaceva da morire e non riusciva a credere che finalmente quel desiderio che le leggeva negli occhi, nonostante la confusione, fosse dedicato solo a lui. Sana invece provava una miriade di sensazioni contrastanti perché, se da un lato moriva anche lei dalla voglia di continuare a baciare quelle labbra tremendamente morbide e buone, dall’altro non riusciva a fermare i pensieri che la assillavano tanto da farle scoppiare la testa. Era chiaro a tutti, ormai, che aveva intrapreso una strada pericolosa, ma alla fine il fatto di averla imboccata insieme a lui le diede un briciolo di sicurezza in più. Pensava addirittura di poter gestire quella faccenda senza far soffrire nessuno. In quel momento, nonostante fosse consapevole di stare tradendo il suo fidanzato di nuovo, non riusciva a sentirsi in colpa per quanto era felice di trovarsi tra le braccia di Hayama.
Lui di nuovo azzerò le distanze, e affondò le sue labbra in quelle di Sana che inaspettatamente non chiedevano altro. La sentì sospirare, pesantemente, e si chiese se avrebbe potuto mai fermarmi qualora lei glielo avesse chiesto. Ma non fu lei a farlo bensì dei rumori provenienti dal corridoio che si avvicinavano pericolosamente. Akito si fermò all’istante e alzò appena la testa rivolgendo lo sguardo alla porta d’ingresso. Sana invece sgranò gli occhi spingendo le sue mani contro il petto di Hayama esercitando una forza sufficiente affinché lui capisse di dover abbandonare la nave all’istante.
«Che state facendo qui dentro?» L’infermiera tornata dalla pausa pranzo rimase a dir poco allibita nel vedere Sana stesa sul lettino e Akito capitolato per terra esattamente dalla parte opposta.
«Ero venuta a riposare, ho una caviglia slogata,» disse indicando la candida fasciatura all’estremità della gamba sinistra. Ancora una volta quell’incidente le aveva salvato la vita, e la reputazione.
«E tu giovanotto?» disse appoggiando le mani sui fianchi.
«Oh lui mi ha portata qui perché da sola non riuscivo a camminare…»
«E sono caduto, perché lei è troppo pensate.» Aggiunse lui massaggiandosi la nuca per la botta appena presa. Sana gli lanciò un’occhiataccia che ricevette in risposta la sua solita alzata di spalle.
«D’accordo, ora però dovete andare perché devo sistemare.» L’infermiera non parve molto convinta da quel racconto ma Sana e Akito ne approfittarono per svignarsela. O meglio lui se la svignò, mentre lei cominciò a saltellare sul piede sano, mettendoci circa un quarto d’ora a raggiungere il corridoio.
«Ce la fai da sola?» Hayama riapparve dietro l’angolo dell’infermeria come un fantasma.
«Non vorrei che ti rompessi qualcosa, sai sono così pesante.» Proferì lei irritata. La cosa divertì molto Hayama, seppur dentro di sé, e si avvicinò a lei cingendola per la vita con entrambe le braccia. Le diede un bacio veloce sul collo provocando qualcosa come sette infarti di fila al cuore già provato di Sana. Poi controllò l’orologio.
«Devo andare o farò tardi. Ti chiamo…» ma non riuscì a finire la frase perché sentì immediatamente un senso di confusione inondargli il cervello. La sua testa fece qualche giro metaforico su sé stessa a causa del sonoro ceffone che Sana gli aveva appena mollato con tutte le sue forze. Quasi barcollò anche lei.
«Ma sei diventata matta?» la accusò portandosi immediatamente una mano sul punto dolente.
«Sei un pervertito, ecco cosa sei. Guarda che me lo ricordo, che hai un appuntamento con la tua amica» gli urlò in faccia, voltandosi poi dalla parte opposta riprendendo la sua goffa avanzata su un piede solo. Aveva anche perso la stampella e si domandò seriamente quanti secoli ci avrebbe messo ad arrivare in classe. Probabilmente a recupero finito.
Quando poi lui la fermò, stringendole un braccio, pensò che quella era la volta buona in cui sarebbe caduta di nuovo, rompendosi qualche altro arto o addirittura restando invalida a vita. Il tutto a causa di Hayama il pervertito.
«Ti racconterò di lei, ma siccome a differenza tua Fumiko è una persona puntuale, non voglio farla aspettare. Ma non è come pensi.»
«Ah no? A me sembra invece proprio così.»
«Bene, e ora cosa farai? Mi manderai un altro messaggio stanotte in cui ribadisci che è stato un errore?»
«Puoi contarci!»
Lui sbuffò pesantemente, rilassando le spalle anche un po' compiaciuto per quella scenetta che ai suoi occhi era totalmente fuori luogo.
Si avvicinò poi prendendo il suo viso tra le mani e posandole un lieve bacio sulle labbra prima di voltarsi e avviarsi verso l’uscita della scuola.
Sana non seppe spiegarsi come si sentiva un quel momento, di certo orribile per il senso di sollievo che sentì pensando a Naozumi lontano mille mila chilometri. Si limitò a sfiorarsi le labbra con le dita alla ricerca dell’ultima traccia di Hayama.


*Note d'autrice*

Eccomi con il capitolo dei sensi di colpa. Dunque, che dire a parte che è stato veramente un parto. E' difficile immedesimarsi in qualcuno che vive o compie un tradimento perché, oltre all'oggettivo senso di colpa (a meno che non sei una bestia ahaha) credo siano reazioni estremamente soggettive e personali. Però avevo in mente questo fin dal primo capitolo, far interfacciare Sana con cose che succedono davvero nella vita e che, spesso, non sono per forza delle cattive azioni. O comunque non fatte con cattiveria. A voi cosa ve ne pare? Spero di essere stata abbastanza IC, soprattutto per Sana che è la mia spina nel fianco eheh.
Detto ciò aspetto il vostro sempre indispensabile parere. Finalmente sono in vacanza, quindi spero di riuscire a postare il prossimo capitolo in tempi più brevi.
Come sempre vi ringrazio, TUTTI, per recensire, preferire, seguire o leggere questa storia. Siamo oltre la metà e non manca tantissimo alla fine :D
Un bacio a tutti
Alex
   
 
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