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Autore: Nao Yoshikawa    31/07/2020    4 recensioni
Nel mondo in cui Sherlock vive, ogni persona è legata ad un'altra da un tatuaggio. Ma la sua anima gemella stona accanto a lui, è sbagliato, immorale, innaturale.
Questo fin quando non capisce di essere legato a due persone, anziché una. Tre anime legate dallo stesso segno, l'unica eccezione.
L’amore era assai strano. Il loro sarebbe stato amore? Forse, dei più strani, atipici, forse infelici.
Sherlock aveva peccato di presunzione nel convincersi che a ciò sarebbe potuto sfuggire. Era stato un segno inciso sulla pelle a segnare il suo destino. Una nota, come quella di Eurus, come quella di Jim, la stessa identica.

Terza classificata al contest “In Another Life, In Another World” indetto da fantaysytrash sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Eurus Holmes, Jim Moriarty, Sherlock Holmes
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
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La nota mancante


Sherlock non poteva ricordare quando Eurus era venuta al mondo. Tra loro c’era soltanto un anno di differenza e fino a un certo punto erano anche cresciuti insieme, come due fratelli normali. Ma di fatto, normali non avrebbero potuto esserlo a priori. Sherlock Holmes sapeva, come qualsiasi altra persona al mondo, che per ognuno esisteva una e una sola anima gemella. L’amore della vita, l’individuo a cui essere legati eternamente da un filo sottile, invisibile, ma impossibile da spezzare. In quel caso non si trattava proprio di un filo, più che altro di un segno.
Aveva due fratelli, Sherlock. Mycroft di sette anni più grande, con cui spesso e volentieri si trovava litigare per i motivi più svariati. E poi c’era lei, Eurus. La sorella che aveva i suoi occhi, che gli somigliava e che era al contempo così diversa.
«Eurus, perché mi hai chiamato?»
Era un sussurro quello che si era udito tra le pareti silenziose del 221B di Baker Street. Era notte, circa le due o le tre e come al solito lei non dormiva. Più di una volta Sherlock si era chiesto se sua sorella non fosse una specie di vampiro. Comunque non poteva essere umana, non di certo. 
Avrebbe dovuto stargli lontana e non infierire ancora nell’infame scherzo che il destino aveva loro riservato.
«Me lo chiedi tutte le notti, eppure mi rispondi ogni volta. Sherlock, perché scappi?»
Eurus aveva un modo di parlare lento, languido. Suo fratello non voleva parlare con lei, né voleva averla accanto, non poteva, perché tutta quella situazione era assurda, ridicola e lui era troppo razionale per poterci passare sopra.
«Che io ti risponda o meno, troveresti comunque il modo per rintracciarmi», si lamentò e poi la sentì ridere. Sherlock ricordava bene la sua infanzia, piuttosto nella norma, piuttosto felice a dire il vero. Lui ed Eurus erano stati legati, le voleva bene come ogni fratello voleva bene alla propria sorella minore. Da bambino non se ne rendeva conto, ma adesso che era un adulto capiva che molti degli atteggiamenti di Eurus non sarebbero risultati normali nemmeno ai tempi: lei era sempre stata molto gelosa, possessiva, seguiva Sherlock ovunque e tendeva ad allontanare chiunque rappresentasse una minaccia. Questo non era cambiato. Eurus aveva un gran controllo sugli altri e sapeva usare questa sua capacità come meglio le conveniva. Per loro, soprattutto.
Ciò non lo aveva mai disturbato più di tanto. Non gli sarebbe pesato nemmeno adesso se non fosse stato per il segno, il tatuaggio.
«Vedo che mi conosci bene», Eurus sussurrò, raggomitolata sul suo letto. Il cellulare schiacciato tra l’orecchio e il cuscino e gli occhi puntati sul tatuaggio con cui era venuta al mondo: una chiave di violino. Una predestinazione, evidentemente. Amava suonare il violino ed era talentuosa, lei stessa l’aveva insegnato a Sherlock da piccola e adesso erano bravi allo stesso modo.
Nello stesso momento, Sherlock guardò il suo tatuaggio, il quale sarebbe appartenuto solo e soltanto alla sua anima gemella: una chiave di violino. 
La sua anima gemella, dunque, era anche il sangue del suo sangue? Perché mai il destino l’aveva messo in una situazione così assurda, contro natura?
«Ad ogni modo non importa, Eurus. Devi smetterla di chiamarmi ogni notte. Per quanto assurdo sembri – me ne rendo conto – sono umano anch'io e ho bisogno di riposare almeno cinque ore a notte e…»
«Sherlock, mi ami?» domandò, interrompendolo. 
Amore. L’Amore era una cosa strana, illogica e che sfuggiva al controllo, per questo l’idea non lo entusiasmava. Amava Eurus? Poteva amarla come una sorella malgrado fossero legati da un legame così forte?
Sherlock chiuse gli occhi, sospirando ancora.
«Tu sei mia sorella. Abbiamo lo stesso sangue che ci scorre nelle vene. Ti rendi conto che non potremo mai stare insieme, vero?»
«Esiste un’anima gemella per ognuno, Sherlock. Io sono la tua», affermò Eurus, fastidiosamente soddisfatta. Sapeva essere sadica, molto spesso. Sadica e manipolatrice, Sherlock la odiava spesso e volentieri, la odiava così tanto che avrebbe voluto tagliarsi il braccio e cancellare quel tatuaggio. Non che non ci avesse provato. Quando era diventato abbastanza grande da capire cosa legasse lui ed Eurus, aveva tentato stupidamente di sradicare il loro legame dalla sua pelle, senza alcun risultato.
«E poi, questa non è una cosa contro natura. In natura l’incesto esiste, gli animali lo fanno», continuò, tranquilla.
«Noi non siamo animali. Non potremo stare insieme davanti all’altra gente.»
«Non è un problema. Farò in modo che non ci disturbino.»
«Non potremo mai sposarci», continuò.
«Il matrimonio non è nei miei piani, né nei tuoi.»
«O avere figli.»
«Nessun istinto materno. Prenderemo un cane.»
Quella era una di quelle volte in cui Sherlock sentiva di odiarla. Forse però era vero che Eurus non era portata per una relazione normale. Ma perché doveva essere lui la sua metà?
«Ad ogni modo, mi ami o no? Aspetto ancora una tua risposta.»
Era testarda, proprio come lui. Gli somigliava anche in questo. L’amava, dunque? 
Eurus era il sangue del suo sangue, sua sorella, anima gemella, la sua condanna, la donna con cui non voleva vivere, ma di cui non poteva fare a meno. E per questo si odiava, non comprendeva. Erano stati legati dal momento in cui era venuta al mondo con il suo stesso e identico tatuaggio stampato sulla pelle. 
Ma insieme loro non potevano stare. Non potevano, stridevano, era sbagliato. In qualche modo che non comprendeva l’amava, ma dall’altro lato sapeva che si sarebbero distrutti.
«Non credo cambierebbe qualcosa», rispose dopo un lungo momento di silenzio, con la schiena poggiata al muro, gli era più comodo il pavimento rispetto al letto. Eurus rise e si mise poi seduta.
«Sherlock, suoni per me? E io suonerò per te.»
Era la musica il loro punto di connessione. 
Nella loro musica non c’erano note stonate. Lei gliel’aveva insegnato per far sì che fossero più vicini e Sherlock, come ogni volta, non riusciva a sfuggire a quella sua richiesta.
«D’accordo», sussurrò, alzandosi poi da terra per recuperare il suo violino, uno Stradivari regalatogli proprio da Eurus, la quale ne aveva uno simile, ma di un colore più chiaro.  
Eurus chiuse gli occhi e poi li riaprì quando avverti del movimento dall’altro capo del telefono: dopo aver poggiato il telefono con il vivavoce, Sherlock si era seduto, iniziando a suonare.
Subito un sorrisetto dipinse le labbra di lei.
«No, non Bach»,  lo  interruppe subito. Sherlock alzò gli occhi al cielo, cambiando subito intenti e suonando altro. Nell’udire il dolce suono, un po’ malinconico e un po’ erotico della musica, Eurus si perse qualche attimo ad ascoltare, per poi andargli dietro in quello che era un momento solo loro, così triste ed ironico. 
Ironico che fossero così in sintonia, eppure anche così sbagliati. 
Due note sbagliate accanto non producevano mai un bel suono, questo Sherlock glielo ripeteva spesso, ma era arrivato al punto di non sapere se ci credesse anche lui o meno. Sapeva solo che in quei momenti tutto era perfetto, tutto scorreva via, come il tempo. Non aveva idea di quanto ne fosse passato quando Eurus chiamò il suo nome, non si era nemmeno accorto che ad un certo punto lei aveva smesso di suonare.
«Sherlock.»
«Mh? Cosa?» domandò assonnato. Qualche secondo di silenzio e poi Eurus parlò di nuovo.
«Ho conosciuto un uomo un po’ di tempo fa.»
La melodia perfetta venne interrotta da quelle parole. Sherlock si ritrovò a provare una forte morsa di gelosia e per tal motivo si odiò, perché lo sapeva, quello non era il tipo di gelosia che un fratello doveva provare per una sorella. Era la gelosia degli amanti, per quella donna che lo aveva in pugno, che odiava e che amava.
«E me lo stai dicendo perché…?» domandò, cercando di mantenere un tono di voce neutro. Un’altra pausa, detestava l’attesa, molto spesso Eurus lo faceva a posta.
«L’altra sera sono uscita e l’ho incontrato. Beveva da solo e ci siamo guardati, è stato come un colpo di fulmine.»
«Ci sei andata a letto?» domandò d’istinto, maledicendosi poco dopo. Quelli non erano affari suoi. O magari lo erano fin troppo, visto che Eurus di fatto era la sua anima gemella. E soprattutto, perché lei gli stava raccontando ciò? Cos’era, un altro dei suoi trucchetti psicologici?
«Lo avremmo fatto, ma non era il momento giusto. Vedi, Sherlock… lui è come noi. Intendo dire che ha il nostro stesso tatuaggio», affermò, sistemandosi sul materasso e aspettando una sua reazione. In un primo momento Sherlock non ci credette. Esisteva una sola anima gemella per ognuno, quindi solo due tatuaggi identici. Il destino gli aveva già fatto un brutto scherzo, allora ce l’aveva proprio con lui?
«Questo mi pare altamente improbabile.»
«Io l’ho visto, però. Non ti sto prendendo in giro, è strano vero? C'ho pensato un po’ prima di dirtelo.»
«Cioè, hai aspettato per dirmi che forse c’è una persona con un tatuaggio identico al nostro?» 
Eurus sorrise.
«Cambi idea in fretta, fino a due secondi fa dicevi che era improbabile, adesso è forse. Cosa credi? È stato strano anche per me. Ad ogni modo ho parlato molto a Jim di te, e credo che tu gli piacerai.»
Sherlock era confuso. Non capiva come fosse possibile, ma qualcosa gli diceva che sua sorella non stava mentendo. Già così la loro situazione era assurda, ma con una terza persona sarebbe stato proprio il colmo.
«Ah, non mi hai detto niente di lui, ma vedo che gli hai parlato bene di me, ottimo.»
Eurus si rigirò, quel giaciglio era diventato troppo scomodo.
«Te l’ho detto perché vorrei che vi conosceste anche voi. Non so perché è successo, ma se ha un tatuaggio come il nostro, questo fa di lui la nostra anima gemella.»
Da quando in qua c’era un "nostro"? Sherlock scosse il capo, un po’ come se lei avesse potuto vederlo.
«Questo è a dir poco ridicolo, non ci tengo a incontrarlo.»
«Oh sì, invece», sussurrò lei, tornando languida. «Sai bene che con me non ci riesci, io ti conosco, so chi sei e cosa provi. E so che nel profondo muori dalla voglia di capirne di più tanto quanto me.»
Sherlock si morse il labbro inferiore fino a sentire il sapore ferroso del sangue. Se un attimo prima, mentre suonavano, l’aveva amata, ecco che adesso tornava ad odiarla. Era vero, Eurus lo conosceva meglio di chiunque altro, meglio di Mycroft, dei suoi genitori, di chiunque. 
E aveva indovinato anche quella volta: da un lato Sherlock Holmes desiderava capire, conoscere quella che evidentemente era la sua altra anima gemella. Ma da un lato aveva paura, come una sorta di presentimento, il quale gli diceva che se fosse andato avanti, poi non sarebbe più potuto tornare indietro. Aspettò un po’ prima di rispondere, consapevole che di parole e scelte giuste non n'esistevano.
«Immagino che se non accetto, comunque non mi lascerai in pace.»
 
E così Sherlock gliel’aveva data vinta.
Quella mattina di febbraio faceva freddo, forse avrebbe anche nevicato. Non erano nemmeno le nove e, tra il freddo e la lieve nebbia, Eurus e Sherlock si videro a Victoria Station. Lei immediatamente gli si avvicinò con un sorrisetto compiaciuto, prendendolo sotto braccio, un contatto che Sherlock bramava e ripudiava. Eurus era l’unica a vivere con i loro genitori, lui e Mycroft invece erano andati via di casa da un po’ e forse era stato meglio così. Loro fratello maggiore li aveva sempre guardati e tenuti d’occhio, un po’ come tutti in realtà, a causa del tatuaggio che li univa. Questo non importava ad Eurus quanto non importava a Sherlock, era di se stesso che si preoccupava. E adesso che c’era una terza persona come sarebbe andata?
«Dove dovremmo incontrarci?» domandò ad un tratto Sherlock. Il viaggio non lo aveva nemmeno avvertito, in metro si perdeva sempre a pensare.
«Al Meininger Hotel», rispose tranquillamente lei, facendo spallucce.
«In un hotel? Se la tua intenzione è quella che penso, sappi che non faccio sesso con gli sconosciuti.»
«La nostra anima gemella. Preferivi forse che venisse da te? Anche se è probabile che ci verrà a vivere da te, e anche io», affermò. 
Sherlock avrebbe avuto qualcosa da ridire, ma preferì concentrarsi su ciò che stava avvenendo. Che tipo era l’altra anima gemella? Sicuramente non un tipo normale, non in senso stretto almeno. Quando arrivarono in hotel, capì che Eurus aveva già pensato a tutto e che costui, James Moriarty, li stava già aspettando.
Come sarebbe stato d’aspetto, di carattere? 
Un’anima particolare, forse profondamente intelligente come loro? Sherlock non poteva fare a meno di domandarselo mentre seguiva Eurus per quel lungo corridoio oscuro. Un vocina interiore gli diceva di tornare indietro, di sfuggire dalla presa salda di sua sorella, ma c’era qualcosa che profumava in modo invitante nell’aria, un profumo forte, un po’ dolciastro. Eurus arrivò alla camera dove Jim li stava aspettando, trovando la porta socchiusa e spingendola. Si ritrovarono dentro la suite, con un salottino e un letto al centro a due piazze. Le pareti dovevano essere insonorizzate, poiché alcun rumore proveniva dalla strada.  
L’occhio di Sherlock cadde su un secchiello pieno di ghiaccio e sulla bottiglia di champagne aperta accanto.
«Addirittura una suite?» domandò guardandosi intorno.
Scappa Sherlock, sei ancora in tempo, non saresti dovuto venire qui.
«Perché accontentarci dopotutto, dico bene?»
I due fratelli Holmes sollevarono lo sguardo verso la figura che era apparsa dal salottino, su Jim Moriarty che teneva in mano un bicchiere di champagne e che, nel momento in cui li aveva visti, aveva sorriso in modo strano.
«Sherlock, ma guarda, finalmente ci incontriamo. Non sai quanto ho sentito parlare di te da Eurus.»
Quest’ultima gli si avvicinò, lasciando dietro di sé una scia profumata, che Sherlock respirò a pieno.
E così finalmente poteva conoscere anche Sherlock. Jim ne era rimasto subito affascinato dal momento in cui Eurus gli aveva raccontato di lui, della loro storia, del legame insolito che li univa. E ciò immediatamente gli aveva fatto spuntare un sorriso sulle labbra. Dovevano essere proprio delle persone interessanti e a Jim  ciò piaceva non poco. Aveva capito sin dal primo istante che sarebbero stati destinati a stare insieme per sempre, adesso che li aveva tutti e due lì ne era certo. Sherlock lo fissò per degli istanti che parvero infiniti: da come la sorella si stringeva a quel tipo, dovevano essere molto intimi, ma non troppo. Si leggeva in loro la chiara voglia di approfondire un contatto fino a quel momento castrato, trattenuto. Sherlock li osservò lentamente, osservò soprattutto Jim, cercando di captare qualcosa di lui, di solito era sempre stato abile nel capire tutto di una persona anche solo guardandola, tranne con Eurus, di cui difficilmente sapeva intuire le vere intenzioni e per tal motivo di lei se ne approfittava sempre. Stessa cosa stava ora accadendo con Jim, che nei suoi sguardi e nelle sue carezze languide nascondeva qualcosa di inquietante e affascinante. 
«Allora sei tu. Sei tu l’altro», disse sospettoso. «Il tatuaggio, fammelo vedere.»
Eurus guardò il fratello divertita, come al solito Sherlock non aveva mezze misure. Jim non si fece pregare troppo, sollevò la manica della giacca e della camicia, mostrando la chiave di violino nera sul suo polso. 
Un segno, un legame interessante. Jim aveva sempre immaginato che la sua anima gemella sarebbe stata qualcuno di particolare, certo non sospettava si trattasse addirittura di due persone, legati per di più dal sangue. 
Si leccò le labbra al pensiero di quanto tutto ciò fosse entusiasmante.  Sherlock si rese conto che quello non era un inganno, forse neanche uno scherzo e allora ricercò disperatamente una spiegazione logica a quella situazione così assurda. Eppure nulla, non vi era soluzione. Lui, Jim ed Eurus erano legati dal medesimo filo. 
«Non posso credere che sia vero. Davvero, è assurdo», si lasciò andare ad una risata isterica, nervosa. Era vero, loro erano veri.
Non poteva rimanere. Aveva paura, di se stesso, di ciò che avvertiva e di ciò che sarebbe potuto succedere. 
«Mi dispiace, ma è così. Affascinante, non trovi?» domandò Jim infilandosi una mano in tasca. «Tre al posto di due, non me lo sarei mai aspettato! Sarà che siete due musicisti e io amo la musica. Eravate scritti nel mio destino. Anzi, sulla mia pelle.»
E gli sorrise ancora. Avvertiva una fortissima pulsione nei confronti di entrambi, li trovava così somiglianti, tutti e due con gli occhi chiari, i capelli scuri, ma dalle anime così diverse.
Sherlock respirò a fondo, avrebbe voluto dirgli di tacere, ma in verità non riusciva nemmeno a respirare.
«No, no. Assolutamente no. Questa è una follia. Io devo essere folle per essere venuto qui e…»
«Sherlock… no.»
Eurus non si agitò neanche, si limitò a sedersi sul materasso, ad accavallare le gambe, suo fratello gli dava le spalle, ma poteva immaginare la sua espressione, il respiro che si bloccava. Era inutile, era già perso da quando Eurus era venuta al mondo, lo era ancora di più ora che si trovava riunito a quelle che evidentemente erano le sue anime gemelle. Jim andò a sedersi accanto ad Eurus, lasciando tuttavia uno spazio libero al centro.
«Coraggio, vieni un po’ qui. Non mi dirai forse che hai paura di me?» lo provocò di proposito e Sherlock allora accolse quella sua provocazione, guardandolo.
«Forse farei bene, hai la faccia di un pazzo che potrebbe uccidere qualcuno. L’hai mai fatto?»
«E chi può dirlo? Tu non riesci a leggermi, vero? Né me, né lei», e dicendo ciò accarezzò lento i capelli scuri di Eurus, la quale sospirò. 
Giocare in quel modo era divertente. Uno di quei giochi da non praticare alla luce del sole, il mondo non era ancora pronto ad accettare un legame come il loro. Forse non lo sarebbe mai stato.
In quel momento Sherlock non provò gelosia, ma solo l’enorme desiderio di trovarsi lì in mezzo. Respirò profondamente, dicendosi che andando fuori di testa non avrebbe risolto nulla e che comunque non poteva scappare. Trattenendo il respiro, andò a sedersi accanto a loro, sollevando la manica e guardando il suo tatuaggio. Le anime gemelle venivano al mondo con lo stesso segno tatuato, loro erano tre persone, anziché due. Non era la cosa più strana, di certo.
«Voi due folli forse non vi rendete conto che tutto ciò non ha senso.»
Jim si lasciò andare ad una risatina che lo fece tremare. Qualcosa in lui gli dava i brividi, eppure ne era attratto, così com’era attratto da Eurus  e sicuramente per lei era lo stesso.
«Esattamente cos’ha senso, mio caro? Veniamo al mondo con un segno sulla pelle che ci dice con chi passeremo la vita.»
E dicendo ciò si accarezzò il tatuaggio. Nero inchiostro sulla pelle, che valeva più di una promessa di matrimonio o di qualsiasi altra cosa.
«Lei è…!» voltò lo sguardo su Eurus. «Tu sei mia sorella, noi non dovremmo neanche provare ciò che proviamo.»
Era stato il suo ennesimo e debole tentativo di convincerla, ma sapeva che non sarebbe bastato. Eurus si mise in ginocchio, guardandolo profondamente.
«Lo so, ma non è certo colpa nostra. È andata così. Non lo capisci? Noi siamo tre persone straordinarie, è chiaro che siamo diversi da tutti, non siamo fatti per vivere nella normalità», e poi sorrise, guardando anche Jim. «È per questo che non potevamo stare insieme, Sherlock. Non per il sangue che ci lega. Ma perché mancava lui, la nota mancante. Adesso non stoniamo più.»
Sherlock non voleva ascoltarla, non voleva guardarla, non voleva avere a che fare con nessuno dei due. Perché sapeva bene che se avesse loro dato retta, sarebbe caduto in un oblio profondo, fatto forse di perdizione.
«Hai forse paura, Sherlock?»
La voce di Jim gli arrivò vicinissima, a pochi centimetri dal suo orecchio, le mani gli accarezzavano la schiena. Più si aggrappava alla volontà di resistere, meno ci riusciva. 
«Non ho paura», rispose deciso, ma con un tremore nella voce. Eurus allora si alzò, Sherlock la vide di spalle abbassarsi e afferrare qualcosa. Era un violino.
«Sai, a Jim piacerebbe sentirci suonare. Puoi star certo che questa volta non ci sarà alcuna nota stonata», lo rassicurò e poi con eleganza, in piedi e pallida come una statua di cera, iniziò  suonare. 
La musica aveva un potere straordinario e spaventoso, ti scuoteva e ti faceva perdere il controllo. Sherlock rimase rigido e immobile, in bilico tra il dar retta alla sua ragione e il cedere a ciò che il destino gli aveva messo davanti. Non conosceva Jim, eppure in qualche modo assurdo lo temeva e se ne sentiva affascinato, così come era sempre stato anche con Eurus.
Erano tre persone straordinarie, diverse da tutti, non adatti a vivere nella normalità.
Le dita di Jim si posarono sul suo braccio, accarezzando il tatuaggio che condividevano.
Davvero straordinario.
In tre, anziché in due. E più lo toccava, più Sherlock se ne sentiva inesorabilmente attratto e più divampava come fuoco.
«Stai smettendo di tremare», sussurrò al suo orecchio. «Ti piace questa musica?»
Sherlock socchiuse gli occhi, vedendo ora la figura di Eurus divenire più sfocata.
«Sì, ma è una musica mortale», boccheggiò Sherlock. Jim avrebbe potuto fargli di tutto, dubitava che si sarebbe mosso. Fu proprio quest’ultimo a sollevare lo sguardo verso Eurus, che intanto aveva provato un brivido di eccitazione nel vederli.
L’amore  era assai strano. Il loro sarebbe stato amore? Forse, dei più strani, atipici, forse infelici.  
Sherlock aveva peccato di presunzione nel convincersi che a ciò sarebbe potuto sfuggire. Era stato un segno inciso sulla pelle a segnare il suo destino. Una nota, come quella di Eurus, come quella di Jim, la stessa identica.
Capì in quel frangente che lui non era un tipo paziente, come loro del resto. Jim strinse i suoi capelli e poi lo baciò, abituato per com’era a prendere tutto e subito, a sottomettere, a volte anche ad annichilire. Sherlock chiuse gli occhi e – proprio come aveva temuto – non sentì disagio, ma solo il desiderio di approfondire.  Nemmeno Eurus era paziente e per tal motivo posò il violino, avvicinandosi a loro. Li osservò mentre si baciavano, fremendo per l’attesa ma senza interromperli, per poi avvicinarsi a suo fratello e posargli un bacio sui capelli. 
E Sherlock si sentì inebriato. Ora la sua ferrea ragione crollava, ora era solo un essere umano privo di ogni difesa.  Si mosse, stringendo Eurus e sollevando lo sguardo per riprendere fiato. Era stretto, stretto nella loro morsa, ora e per sempre, in qualsiasi posto si trovasse, erano legati a vita.
«Perché noi?» domandò, non seppe nemmeno se a loro o a se stesso, però allungo una mano, accarezzò il viso di Eurus mentre quest’ultima chiudeva gli occhi.
Jim sorrise, continuando a parlare con tono lento, languido e convincente al suo orecchio.
«Perché era così che doveva essere.»
Jim era fin troppo sveglio per non comprendere che fosse lui il pezzo che gli mancava, la nota mancante in una melodia che mai più sarebbe stata stonata.
Era stato chiaro sin dal principio. Gli accarezzò i riccioli, tirandoglieli appena, mentre Eurus lo abbracciava da dietro.
Avrebbero compiuto – anzi, stavano già compiendo – insieme quella follia. E al ripensarci Jim rise, con le labbra e i denti contro la guancia di Sherlock.
Perché adesso non si sarebbero mai più separati, forse nemmeno con la morte.
Se qualcuno avesse osato separarlo da loro, avrebbe trovato il modo di tornare.
E così, ogni tentativo di Sherlock di trovare un senso, di fare un passo indietro, svanì.
Svanì nel bacio che Jim rubò prima a lui e poi a Eurus, nello sguardo malizioso e vittorioso di quest’ultima, perché era riuscita a farlo cadere nella tela del ragno.
Una tela bellissima, intrisa di follia, musica e lussuria.
E forse amore.
A modo loro, ma comunque amore.
Poi accadde l’indicibile e mentre semplicemente gli eventi facevano il loro corso, con l’esistenza intrecciata a quelle di altre due persone – letteralmente i pezzi della sua anima – Sherlock udiva una melodia perfetta nella testa, in continuazione, priva di difetti, senza note sbagliate. 
 
Nota dell'autrice
Anzituto un ringraziamento doveroso a Koa_, che ha letto la storia in anteprima, rassicurandomi su alcuni punti. Questo perché si tratta di una storia strana, con un pairing altrettanto strano. E nonostante ciò mi è piaciuto tantissimo scriverla e ne sono anche piuttosto soddisfatta (purtroppo mi sono dovuta fermare prima di un'eventuale scena erotica, ma quella si può immaginare). Eurus, Sherlock e Jim sono tre personaggi a modo loro complessi e scrivere di loro come un'OT3 è stata un'esperienza nuova, ma non strana. Alla fine Sherlock con Jim non mi dispiace e adoro Jim con Eurus, Eurus con Sherlock non mi sconvolge nemmeno più di tanto. Però sì, è comunque la storia più strana che io abbia scritto su questa sezione, quindi spero che  i personaggi risultino abbastanza fedeli all'originale. C'è anche da dire che io amo le SoulmatesAU e questo mi ha dato modo di dare sfogo alla fantasia. Quindi se qualcuno ha avuto il coraggio di arrivare fino in fondo, spero ti sia piaciuta :D
   
 
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