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Autore: Soul Mancini    01/08/2020    3 recensioni
Manuel e Feli si sono lasciati da qualche mese e, anche se la ragazza afferma di essersi lasciata la loro relazione alle spalle, in realtà non riesce a togliersi dalla testa l'unico ragazzo che l'abbia mai fatta sentire amata.
Nonostante cerchi di tenere a bada i suoi pensieri, la situazione è destinata a complicarsi quando all'Elite Way School si comincia a vociferare di una festa di Halloween - festa a cui Feli non ha nessuna intenzione di partecipare; ma si deve ricredere quando è proprio Manuel a invitarla al ballo, rigorosamente in amicizia.
DAL TESTO:
«Più pensavo al ballo di quel sabato e più mi sentivo inadeguata.
Più pensavo a Manuel, più mi sentivo nervosa.
Più ero nervosa, più mi veniva voglia di mangiare.
E se avessi ceduto alla tentazione, sarei ingrassata ancora di più e mi sarei sentita ancora più brutta e nervosa.
Era un circolo vizioso da cui non sapevo come uscire.»
- SETTIMA CLASSIFICATA al contest "Il Colore del Peccato" indetto da Laila_Dahl sul forum di EFP.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Feli, Manuel Aguirre
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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feli
Cosa vedi quando ti guardi allo specchio?
 
 
 
 
Mi portai l’ennesima patatina alla bocca mentre ascoltavo distrattamente le mie amiche chiacchierare tra loro e mi guardavo attorno; a quell’ora il bar della scuola era sempre gremito di studenti.
Tuffai nuovamente la mano dentro il sacchetto di snack salati e solo allora mi accorsi che era vuoto. Abbassai lo sguardo, stranita: possibile che mi fossi già fatta fuori un pacco intero di patatine senza nemmeno rendermene conto?
Mi facevo davvero schifo. Tuttavia ormai ci avevo fatto l’abitudine: quando ero nervosa mangiavo più del solito, e in quel periodo avevo tutti i motivi per esserlo.
Mi guardai di nuovo attorno: lui non era ancora arrivato.
Scossi il capo e tornai a concentrarmi su Mia e Vico, cercando di afferrare il loro discorso; la mia attenzione venne però attirata da un pacchetto di crackers che giaceva ancora pieno per metà sul piano del tavolo. Cercai di non farci troppo caso, ma la verità era che fremevo dalla voglia di prenderlo e divorare il suo contenuto; all’improvviso una voragine mi si era aperta all’altezza dello stomaco, come se non avessi toccato cibo per giorni.
Stetti in silenzio per qualche istante, provai a distrarmi, ma alla fine la tentazione fu troppo forte: mi schiarii la gola e poggiai i gomiti sul tavolo, sporgendomi appena verso Mia e Vico. “Quelli li finite?” domandai, accennando con fare noncurante al pacchetto di crackers.
Vico mi lanciò un’occhiata di rimprovero. “Non starai un po’ esagerando, Feli?”
Mi strinsi nelle spalle. “Ho mangiato solo un pacchetto di patatine, che vuoi che sia? E poi non si spreca il cibo, se voi non li mangiate…”
“Feli, per favore…” Mia sbatté un paio di volte le palpebre con fare supplichevole, mentre si passava una mano tra i capelli biondi per sincerarsi che fossero al loro posto. “Ti prometto che ti aiuto a scegliere l’outfit perfetto per la festa di Halloween, ti sistemo i capelli, ti trucco, ma per favore, smettila di mangiare così tanto!”
Rimasi in silenzio per un istante, indecisa su come ribattere. Sapevo bene che lei e Vico avevano ragione, che lo dicevano per il mio bene e che alla fine io stessa mi sentivo in colpa se esageravo, ma al contempo l’impulso di mettere qualcosa sotto i denti era troppo forte.
“Non importa, tanto io non…” cominciai a dire dopo aver preso fiato, ma fui costretta a interrompermi quando qualcuno mi sfiorò la spalla; capii di chi si trattava ancora prima di voltarmi, per via dell’espressione contrariata che comparve sul viso di Mia, e il mio cuore perse un battito. Gettai un’occhiata dietro di me e incrociai gli occhi scuri e bellissimi di Manuel; le sue labbra erano increspate in un sorrisetto appena accennato, quel sorrisetto che adoravo e che addolciva ulteriormente i suoi lineamenti.
“Ciao Feli” mi salutò brevemente, facendo scivolare via la mano dalla mia spalla – un brivido mi attraversò il corpo a quel contatto.
“Ciao” ribattei, e solo in quel momento mi accorsi che stavo sorridendo ampiamente. Come una perfetta idiota.
Non staccai lo sguardo da lui finché non lo vidi prendere posto insieme a Nico al tavolino subito accanto al nostro, poi mi riscossi e mi morsi appena il labbro inferiore: dovevo smetterla di aspettarlo con ansia quando non era nei paraggi, dovevo smetterla di essere tremendamente felice non appena lo vedevo arrivare, dovevo piantarla di incantarmi a fissarlo e pensare continuamente a lui. Ormai avevamo rotto da parecchio tempo, sapevo che lui non ricambiava i miei sentimenti – forse non mi aveva davvero mai amato – ed eravamo rimasti d’accordo che saremmo stati amici.
Solo amici, già. E io avevo finto che mi andasse bene, avevo raccontato a tutti che mi ero lasciata la nostra relazione alle spalle, ma la verità era che il cuore mi impennava nel petto ogni volta che posavo lo sguardo sul suo delizioso viso.
“Feli, cosa stavi dicendo prima che il messicano immigrato illegale ci interrompesse?” incalzò Mia, inasprendo il tono della voce nella seconda parte della domanda.
“Dai, non trattarlo così! Hai visto che viene a salutarmi ogni volta che mi incontra?” lo difesi subito, accennando un sorriso.
“Non hai risposto alla domanda” mi fece notare Vico.
“Oh, già.” Cercai di assumere un’espressione indifferente e neutrale, come a sottolineare che non mi importasse tanto ciò che stavo per dire. “Io non verrò alla festa di Halloween.”
Le mie amiche sgranarono gli occhi, sorprese.
“Come sarebbe a dire? Perché?” domandò Mia, la delusione dipinta in volto.
Abbassai lo sguardo, sperando di dissimulare la mia sofferenza. “Semplicemente non mi va. E poi avete presente cosa c’era scritto sulla locandina? Bisogna indossare almeno un indumento arancione e io non ho nulla da mettermi.”
“E sarebbe questo il problema? Oggi è lunedì, l’evento è sabato: abbiamo tutto il tempo per trovare una soluzione” ribatté Vico facendo spallucce.
“Ovvio! Anzi, sai che facciamo? Uno di questi pomeriggi chiedo a mio padre se ci firma il permesso per uscire e andiamo al centro commerciale per un po’ di shopping!” si entusiasmò subito Mia.
Scossi il capo. “Lascia perdere, Mia, tanto nei negozi non trovo mai niente della mia taglia. E poi immagina come potrei essere con una maglietta arancione: d’accordo che è Halloween, ma non ho intenzione di travestirmi da zucca.”
“Se ci tieni così tanto a non sembrarlo, allora perché stai continuando a mangiare?” incalzò Vico in tono di rimprovero, accennando a ciò che stringevo in mano.
Abbassai lo sguardo: senza quasi rendermene conto, in maniera del tutto automatica, alla fine avevo ceduto e avevo afferrato il pacchetto di crackers abbandonato sul tavolo. Ero un caso perso.
“E poi,” tentai di cambiare discorso, “sarà pieno di coppie e io non ho nessuno con cui andare.”
“Anche noi non abbiamo un accompagnatore, ci andiamo insieme” spiegò Mia, lanciando un’occhiata complice a Vico, poi tornò a rivolgersi a me e prese a fissarmi con occhi supplichevoli. “Dai Feli, tu adori le feste! Ti prego, fallo per me, vieni al ballo, senza di te non sarebbe la stessa cosa!”
“Spiacente, stavolta passo” la liquidai in fretta, portandomi alle labbra l’ultimo cracker del pacchetto.
Come potevo spiegare alle mie amiche che, con la mia stazza, mi sentivo del tutto fuori luogo a una festa piena di ragazze bellissime e fasciate con abiti che parevano fatti su misura per loro?
Ma soprattutto come potevo dir loro che ci sarebbe stato anche Manuel e che sicuramente avrei dovuto trascorrere la serata a osservarlo da lontano mentre un sacco di ragazze ci provavano con lui? Avrei accettato di andare al ballo solo se fosse stata insieme a lui, ma sapevo bene che non era possibile.
Quanto stavo male.
“Mia, io per questo mese ho già speso tutti i soldi e so già che la mia famiglia non me ne passerà altri… non è che per caso hai qualcosa da prestarmi per la festa?” cambiò discorso Vico, dato che io mi ero chiusa nel silenzio e avevo preso a sgranocchiare i crackers.
“Ora che ci penso dovrei avere un abito molto carino, con uno spacco laterale, che ho comprato quest’estate ma alla fine non ho mai usato. Sai, sulla mia carnagione l’arancio non risalta, ma scommetto che a te starà d’incanto! Dopo, quando torniamo in camera, provo a vedere se ce l’ho qui o l’ho lasciato a casa.”
“Sul serio? Non te l’ho mai visto addosso!”
“Infatti l’ho usato una sola volta, è praticamente nuovo! Invece per me stavo pensando a quella camicetta che…”
Lasciai cadere l’incarto dei crackers ormai vuoto sul tavolino e mi alzai, forse un po’ troppo precipitosamente; ero stufa di sentirle parlare della festa a cui non sarei andata. “Ragazze, io vado in camera a prendere il libro di storia, non ho ancora cominciato a studiare per il compito di mercoledì e poi chi la sente Hilda?”
“Ottima idea, possiamo cominciare a studiare insieme!” propose Vico.
Annuii con un sorriso tirato. “Torno subito” affermai, prima di voltarmi e dirigermi verso l’uscita del bar.
Mi lasciai alle spalle Manuel e il suo viso bellissimo, le mie amiche che non riuscivano a percepire il mio malessere, le risate dei miei compagni di scuola e la locandina arancione e nera che, appesa alla porta del locale, pubblicizzava il ballo di Halloween di quel weekend.
Passeggiai per i corridoi della scuola più lentamente che potevo, del resto non avevo nessuna fretta di tornare al bar; ero quasi giunta alla zona dei dormitori femminili quando sentii qualcuno alle mie spalle chiamarmi. Il mio cuore perse un battito: avrei riconosciuto quella voce in mezzo a mille.
Mi voltai lentamente e, proprio come mi aspettavo, mi ritrovai faccia a faccia con Manuel che mi scrutava con aria vagamente preoccupata.
“Ehi!” lo salutai con un sorriso forse troppo raggiante, mentre lui mi si accostava e mi si piazzava di fronte. “Come mai qui? Non eri al bar con Nico?”
“Sì, ma ho visto che sei uscita di tutta fretta e ti ho seguito. Ho bisogno di parlarti” ribatté lui in tono estremamente serio.
Sbattei un paio di volte le palpebre, confusa; cosa poteva avere da dirmi di così urgente?
“Come mai non vuoi venire al ballo di Halloween?” mi chiese, diretto come sempre.
Sentii il sangue defluire dal viso e boccheggiai per qualche istante prima di rispondere. “E tu come fai a saperlo? Manuel, tu ci… tu stavi origliando la nostra conversazione?”
Lui scrollò le spalle. “Non stavo proprio origliando, mi è capitato di sentire qualche frase sparsa. Comunque non è questo il punto: tu adori le feste, lo sappiamo entrambi. Che succede, Feli?” chiese con quell’inflessione così dolce e premurosa nella voce che era in grado di farmi dimenticare il resto del mondo.
E ora cosa potevo inventarmi?
“Ecco, io… non mi va di sfigurare, insomma…” bofonchiai mentre le guance mi andavano in fiamme.
Manuel scosse il capo, esasperato. “Oh Feli, ancora con questa storia? Ne abbiamo già parlato, tu non ti devi sentire inferiore a nessuno.”
Sospirai e istintivamente mi portai una mano sul ventre, così gonfio e flaccido sotto la divisa della scuola – mio dio, quanto facevo schifo. “Per favore, lasciamo stare, ho deciso così per stavolta. Ci saranno altre occasioni…”
“Tu sabato sera non rimarrai in dormitorio, stanne pur certa” affermò lui con sicurezza, e io in quell’istante temetti di sciogliermi sotto il suo sguardo così caldo e protettivo.
“E cosa hai intenzione di fare, trascinarmi fuori di peso?” ribattei sarcastica.
“No, ho intenzione di invitarti ufficialmente alla festa.”
Gli lanciai un’occhiata in tralice, senza capire.
“Hai capito: ti sto invitando a venire con me, ci andremo insieme” ribadì, posandomi una mano sulla spalla con dolcezza, e le sue labbra si incresparono in un sorrisetto impertinente che rendeva ancora più adorabile il suo volto arrotondato. “E non puoi rifiutare un invito ufficiale dal tuo migliore amico, altrimenti mi offendo!”
Mi sciolsi in un enorme sorriso: non c’era nulla da fare, era un angelo. Sapeva sempre esattamente cosa dire per tirarmi su e per convincermi a fare ciò che non volevo, non sarei mai riuscita a dirgli di no. E c’era sempre quando ne avevo bisogno, lo capiva anche quando cercavo di non darlo a vedere e quando nemmeno le mie migliori amiche se ne accorgevano.
Come avrei potuto dimenticare e lasciarmi alle spalle un ragazzo d’oro come lui?
“Oh, e va bene, se me lo chiedi con quell’espressione piena di speranza come faccio a rifiutare? Poi mi sento in colpa” cedetti infine.
“Oh, adesso ti riconosco!” esultò lui sorridendo a sua volta, prima di stringermi in un breve e affettuoso abbraccio – in quel momento ebbi l’impressione di essere stata catapultata in paradiso.
Sciogliemmo la stretta e ci scambiammo uno sguardo complice; ero al settimo cielo! Però…
C’era qualcosa che non tornava: Manuel poteva avere qualsiasi ragazza desiderasse, perché aveva fatto questa proposta proprio a me? E se l’avesse fatto solo per compassione?
Mi incupii. “Ma tu… non devi sentirti obbligato ad andare al ballo con me solo per farmi un favore. Cioè, se non ti va…”
Il suo volto si distorse in una smorfia offesa. “Ma chi te le mette in testa queste cose? Se lo sto facendo è perché lo voglio fare, non ne devi mai dubitare.”
I suoi occhi erano così sinceri e la sua voce era così ferma che non potei fare a meno di annuire, stavolta davvero rincuorata e sicura. “Grazie, io non so che dire, sei un tesoro! Ora scusa, ma devo correre in camera a prendere il libro di storia, le ragazze si staranno chiedendo dove sono andata a finire.”
“D’accordo, ci rivediamo al bar” concluse lui, e prima di allontanarsi nuovamente mi strizzò l’occhio.
Rimasi imbambolata per qualche istante mentre lo osservavo andare via, poi tornai sui miei passi col cuore che batteva a mille e una tempesta di domande nella testa.
Cos’era appena successo di preciso? Manuel mi aveva chiesto di partecipare ufficialmente insieme a un evento in cui avrebbe presenziato tutta la scuola, ci avrebbero visto tutti. Sapevo che l’invito era in amicizia, ma la mia mente non poté fare a meno di cominciare a fantasticare, immaginare come sarebbe stata quella serata, cosa sarebbe potuto succedere; magari, mentre ballavamo insieme in mezzo alla pista, mi avrebbe confessato che i suoi sentimenti per me erano ancora vivi…
Basta, dovevo smetterla e tornare alla realtà. La prima cosa su cui concentrarsi era l’outfit: dovevo essere perfetta quella sera.
All’improvviso mi era venuta una voglia immensa di mangiare qualcosa di dolce e zuccheroso in onore del mio ritrovato buonumore.
 
 
“Io non sono per niente convinta” borbottai, mentre mi infilavo la camicetta arancione che avevo miracolosamente trovato della mia taglia. Davo le spalle allo specchio del camerino perché non avevo il coraggio di guardarmi; sapevo già che quel capo d’abbigliamento mi avrebbe reso ancora più grassa di quanto già non fossi, quindi meglio ignorare la realtà finché era possibile.
“Dai Feli, perché devi essere sempre così negativa? Già il fatto che abbiamo trovato qualcosa di carino è un buon segno” ribatté Mia, che attendeva insieme a Vico all’esterno.
“Sì, nel reparto delle taglie comode…”
“Nessuno alla festa ti chiederà in che reparto l’hai comprata” mi fece notare Vico.
Non avrei mai ringraziate abbastanza le mie amiche per ciò che stavano facendo per me: non appena avevano saputo che Manuel mi aveva invitato – e dopo un momento di sconforto da parte di Mia, ma del resto lei non sopportava Manuel e non riusciva a capire come potessi andarci d’accordo – si erano entusiasmate e avevano subito cominciato a progettare una serata al centro commerciale.
Così quel giorno ci eravamo ritrovate a vagare tra i negozi di vestiti più disparati e ormai andavamo avanti da ore; per la prima volta, dopo una serie di cocenti delusioni, sembravo aver trovato qualcosa che facesse al caso mio.
“Hai finito? Sei vestita? Dai, siamo troppo curiose di vederti!” mi chiese Mia in tono impaziente.
“Solo un attimo. Non ho avuto il coraggio di guardarmi allo specchio nemmeno io, aiuto…” bofonchiai mentre chiudevo l’ultimo bottoncino. Sentivo l’indumento comodo sul corpo, ma forse un po’ troppo attillato, e avevo l’impressione che mettesse in risalto le mie forme eccessive.
Presi un profondo respiro e mi passai una mano sulla fronte sudaticcia, su cui si era incollata qualche ciocca scura. “Okay, potete aprire” annunciai in tono esitante.
“Finalmente!” strepitò Mia, per poi scostare la tenda viola del camerino con un movimento veloce.
Mi bastò leggere le espressioni sui loro volti per capire, ancora prima di guardare il mio riflesso, che non avevo speranze: Vico tentava di restare seria e neutrale, ma era palese che stesse cercando di reprimere una risata, mentre Mia si esibiva in una smorfia tra il perplesso e il raccapricciato, con le sopracciglia aggrottate e le labbra semiaperte.
Avvampai violentemente e, in preda all’imbarazzo, trovai il coraggio di voltarmi per osservarmi; ciò che vidi mi disgustò talmente tanto che dovetti trattenere un grido di disappunto.
“C’è da dire che l’arancione è un colore particolare e che non si indossa facilmente, se notate non va mai di moda, e non capisco proprio perché gli organizzatori della festa abbiano posto questa regola dell’indumento arancione. Insomma, avrebbero potuto scegliere un colore più carino e accessibile a tutti, anche più facile da abbinare…” prese a sproloquiare Mia, tentando di porre rimedio e mantenere alto l’umore.
Ma io non la stavo nemmeno ascoltando, talmente ero presa dalla mia immagine riflessa. Quella dannata camicetta mi faceva apparire incredibilmente larga, pesante, e sotto il tessuto leggero si poteva facilmente percepire quando il mio corpo fosse gonfio e flaccido.
“Sembro una zucca. Mi potrebbero benissimo usare come decorazione” sussurrai con un improvviso senso di nausea a torcermi lo stomaco.
“Non buttarti giù, possiamo sempre trovare qualcos’altro! Magari dipende anche dal modello della camicia” tentò di rincuorarmi Vico, ma io mi limitai a richiudere la tenda e strapparmi di dosso quello stupido indumento.
“No, non cercheremo altro. Per oggi basta così, sono stanca e voglio solo tornare a casa” affermai, cercando di mantenere un tono di voce fermo nonostante sentissi un nodo in gola e gli occhi bruciare.
“Ma non abbiamo comprato niente per il ballo!” obiettò Mia.
“Non mi interessa, non sono dell’umore giusto per fare shopping.” MI rivestii in fretta e uscii dai camerini a testa bassa.
Non sapevo nemmeno definire la sensazione che provavo in quel momento: umiliazione, vergogna, senso di colpa, inadeguatezza.
Ero sbagliata per la festa di Halloween.
Ero sbagliata per stare accanto alle mie amiche bellissime.
Ero sbagliata per andare a fare shopping in un normale centro commerciale.
Ero sbagliata per Manuel.
Forse ero sbagliata per il mondo intero.
 
 
Fissavo lo specchio e lui mi restituiva la mia stessa occhiataccia, tagliente e severa, quasi a volermi giudicare.
Feci scorrere le mani sui miei fianchi grassi, il mio ventre grasso, le mie cosce grasse, il mio seno grasso, le mie braccia grasse. Ero orribile.
Era giovedì, mancavano solo due giorni alla festa di Halloween.
Solo due giorni al mio appuntamento con Manuel. Era un appuntamento, poi?
Cosa lo portava a presentarsi a un ballo accanto a uno sgorbio come me? Sarei dovuta essere bellissima, avrei dovuto perdere peso, sarei dovuta essere la ragazza dei suoi sogni.
E invece non lo ero.
Era per questo che mi aveva lasciato qualche mese prima: ero troppo brutta per lui, non ero in grado di soddisfarlo.
Sospirai e posai lo sguardo sulle mie guance troppo tonde e piene, sui capelli scuri e lisci che ricadevano anonimi sulle spalle, sulle labbra distorte in un broncio che mi faceva apparire ancora più gonfia e grassa.
Più pensavo al ballo di quel sabato e più mi sentivo inadeguata.
Più pensavo a Manuel, più mi sentivo nervosa.
Più ero nervosa, più mi veniva voglia di mangiare.
E se avessi ceduto alla tentazione, sarei ingrassata ancora di più e mi sarei sentita ancora più brutta e nervosa.
Era un circolo vizioso da cui non sapevo come uscire.
Voltai le spalle allo specchio – il mio più grande nemico, e nonostante ciò non facevo che consultarlo da mattina a sera – e tentai in tutti i modi di reprimere quel fastidioso pizzicore agli angoli degli occhi mentre andavo alla disperata ricerca di una tavoletta di cioccolato che avevo nascosto tra i miei vestiti, in un cassetto. Era soltanto una delle numerose leccornie – tentazioni – di cui avevo fatto scorta in quei giorni; mi capitava spesso di tenere un po’ di cibo in camera, ma da quando Manuel mi aveva invitato la cosa era degenerata.
Pensavo e mangiavo.
Mangiavo e pensavo.
Strappai la carta in cui era avvolto il cioccolato e lo addentai, il sapore dolce mi invase la bocca ed ebbe subito uno strano effetto calmante, come una droga.
Come potevo sperare di riconquistare Manuel in queste condizioni? Sicuramente alla festa avrebbe finito per lasciarmi in un angolo e avrebbe posato gli occhi sulle altre ragazze presenti.
Mia era molto più bella di me, Vico era molto più bella di me.
Tutte erano più belle di me.
Con le dita ancora sporche di cioccolato, aprii un pacco di patatine e cominciai a mangiare con urgenza.
Per fortuna le mie compagne di stanza quel giorno non c’erano. Se mi avessero visto strafogarmi in quel modo, mi avrebbero sicuramente rimproverato e fatto sentire in colpa, come effettivamente già mi sentivo.
Perché sapevo di essere nel torto e me ne vergognavo, mi sentivo uno schifo, ma non sapevo come fermarmi.
E poi cosa avrei dovuto indossare? Mi stava tutto male e non avevo nessun indumento arancione.
Quando anche il sacchetto di patatine fu vuoto, avvertii una strana fitta allo stomaco. E di nuovo il pizzicore agli occhi, che mi faceva sentire ancora più debole.
Non dovevo piangere, non potevo permettermelo, e l’unico modo per non piangere era mangiare.
Prima che potessi accorgermene, mi ritrovai con una busta di biscotti tra le mani. Ormai masticavo in automatico, con rabbia, come se coi denti potessi frantumare anche i miei problemi.
Invece i miei problemi si sarebbero andati ad accumulare sui fianchi, sulla pancia, sulle cosce.
La porta della stanza si spalancò e io per poco non lasciai cadere un biscotto che avevo in mano, spaventata. I miei occhi saettarono in fretta sulla figura di Vico, che si stava precipitando verso di me con un’espressione preoccupata; il suo sguardo scorreva sul mio letto disseminato di briciole e incarti ormai vuoti, fino a posarsi sul mio viso.
Dal canto mio, sentivo le guance in fiamme ed ero consapevole che ormai non c’era modo di coprire ciò che avevo combinato, qualsiasi cosa avessi detto non sarebbe servita a niente.
“Feli, ma che cazzo combini? Quanto hai mangiato?” esplose la mia amica, strappandomi la confezione di biscotti dalle mani. “Feli, ti ho fatto una domanda!”
“Io…” biascicai, sentendomi sempre più morire. Solo allora mi resi conto di quanto stavo male, di quanto cibo avevo mandato giù senza rendermene conto.
Di quanto ero patetica.
“Ma si può sapere dove tenevi tutto questo cibo? La devi smettere di mangiare così, te lo dico perché ti voglio bene!” sbraitò ancora la mia compagna di stanza, portandosi le mani sui fianchi e guardandomi con fare accusatorio.
Mi sentivo giudicata. Mi sentivo sporca.
Mi misi in piedi di scatto – o almeno quelle erano le mie intenzioni, ma mi sentivo così pesante che facevo fatica a muovermi – e mi avviai verso la porta prima che Vico potesse fare qualsiasi cosa per fermarmi. “Lasciami in pace, va bene? Tanto nemmeno tu capisci niente, come tutti gli altri!” riuscii soltanto a sbottare tra i singhiozzi che già mi scuotevano il petto; uscii senza preoccuparmi di richiudere la porta e, con le lacrime a rigarmi le guance e il capo basso per non farlo notare a nessuno, mi diressi a passo di marcia verso il bagno.
Sapevo esattamente cosa dovevo fare, non era la prima volta che succedeva. Quando i sensi di colpa mi attanagliavano lo stomaco, l’unico modo per liberarmene era sputarli via.
Schivai parecchi studenti che passeggiavano tranquilli per i corridoi e ogni volta che ne incrociavo qualcuno speravo che non mi riconoscesse e non mi rivolgesse la parola. Che illusa che ero, come potevo pretendere di passare inosservata se ero così grossa e appariscente? Con tutto quello che avevo mangiato nell’ultima mezz’ora, dovevo aver messo su almeno altri tre chili.
Entrai in bagno, mi chiusi subito dentro un cubicolo, mi misi due dita in gola e svuotai completamente il mio stomaco, fino a sentirmi debole e inutile, ma al contempo più leggera.
E mi svuotai anche gli occhi, piangendo tutte quelle lacrime che mi ostinavo a reprimere da troppo tempo, che ogni giorno nascondevo dietro sorrisi tanto allegri quanto falsi.
In preda ai singhiozzi, con l’orribile sapore del vomito impigliato nelle labbra e lo stomaco ancora scosso e in subbuglio, per la prima vera volta mi pentii di aver accettato l’invito di Manuel. Anzi, mi ritrovai addirittura a odiarlo, perché lui era così perfetto e io non ero alla sua altezza e perché il suo pensiero non mi lasciava in pace anche se sapevo che era finita.
Mi accasciai a terra, poggiai la schiena alla parete, mi strinsi le ginocchia al petto e continuai a piangere senza ritegno. Sarei potuta restare così per ore, tanto nessuno nel mondo là fuori si sarebbe accorto della mia assenza, sarei stata solo un peso in meno.
“Feli? Sei qui?”
Repressi un singhiozzo e sgranai gli occhi, del tutto presa alla sprovvista: non poteva davvero essere lì, non poteva davvero essere lui.
Come aveva fatto a trovarmi?
Un singulto mi sfuggì dalle labbra, tradendomi e rivelando la mia presenza.
“Feli… lo so che ci sei, è inutile che cerchi di nasconderti.” Era sempre più vicino a me, potevo quasi figurarmelo mentre posava il palmo della mano sul legno della porta che ci divideva.
“Manuel” sibilai soltanto.
“Ehi. Feli, posso entrare?”
“Non puoi stare nel bagno delle ragazze” affermai in tono piatto.
“Non mi importa, non posso lasciarti da sola.”
“Come hai fatto a trovarmi?”
“Ti ho visto in corridoio, mi sono accorto che stavi piangendo e ti ho seguito. Adesso mi apri la porta?”
Strinsi i pugni e sentii una nuova ondata di lacrime riempirmi gli occhi. “Perché mi segui sempre? Perché?”
Perché mi segui quando vedi che sto male? Perché mi segui nei miei sogni e mi lasci carezze immaginarie prima di addormentarmi? Perché mi segui quando mi guardo allo specchio e mi sussurri che sono bellissima comunque? Perché mi segui anche quando non ci sei e non mi lasci mai in pace?
“Perché non sopporto di vederti star male” rispose lui in tono sicuro, la voce intrisa di passione e sincerità.
Tirai su col naso e infine mi convinsi a socchiudere la porta, aprendo giusto un piccolo spiraglio. Non sapevo cosa mi avesse portato a lasciarlo entrare – questo avrebbe significato mostrarmi ai suoi occhi in condizioni pessime –, ma in quel momento agii d’istinto, avevo un estremo bisogno di qualcuno che mi consolasse e mi capisse, avevo bisogno di non restare più sola.
Avevo bisogno di Manuel.
Lui spalancò la porta e, senza attendere un attimo di più, si accovacciò accanto a me e mi avvolse le spalle con un braccio, attirandomi a sé con fare affettuoso. Non ebbi il coraggio di sollevare lo sguardo, non ero ancora pronta a fargli leggere la mia anima.
“Ehi” sussurrò con quella dolcezza tutta sua. “Feli, cos’hai combinato? Non dirmi che…”
“Ho mangiato troppo” lo interruppi, la voce ancora rotta dal pianto.
“Perché?” Era una domanda retorica, con una nota di disperazione.
Cosa potevo rispondergli? Ho mangiato troppo perché pensavo a te e mi sentivo una merda. Era fuori discussione.
“E poi sono venuta qui e ho… vomitato. Perché mi sentivo in colpa” ammisi in preda alla vergogna.
“Perché fai tutto questo?” Manuel mi si posizionò davanti in modo da potermi osservare meglio e mi prese le mani tra le sue. “Guardami.”
“Perché io… faccio schifo, possibile che non te ne accorgi? E non è giusto che vieni al ballo con me.”
“Ancora con questa storia?”
“È che io vorrei soltanto essere carina come tutte le altre ragazze, e più ci penso più mi innervosisco, e allora mi viene da mangiare e mangiare… e quando me ne rendo conto, è già troppo tardi e mi sento in colpa.” Mi sfogai, portai fuori tutto ciò che mi tormentava da troppo tempo.
“Feli, per favore, guardami.”
Finalmente ebbi il coraggio di obbedire e, quando mi immersi negli occhi profondi e scuri di Manuel, li trovai gremiti di una preoccupazione e di una premura che mi spezzarono il cuore.
“Perché ti ostini a voler essere carina come tutte le altre, se puoi essere bellissima essendo te stessa?” proseguì, ed era quasi incazzato con me. Non sopportava che mi sottovalutassi così, lo sapevo bene.
“È inutile che ci prendiamo in giro: sarò il brutto anatroccolo della serata. Ho sbagliato ad accettare il tuo invito” singhiozzai, sciogliendo la stretta delle nostre mani e portando le mie al viso. Mi sentivo morire.
“Ma si può sapere chi devi compiacere? Per chi lo fai?”
Voglio farmi bella per te.
“Lo faccio per… non farti fare brutta figura” soffiai.
Manuel sgranò gli occhi, indignato. “A me?” Poi scoppiò a ridere, ma non c’era traccia di divertimento nella sua voce. “Ma sai quanto me ne fotte dell’opinione altrui? Se mi ponessi dei problemi, non mi sarei neanche sognato di invitarti, non trovi? Anzi, io credo che se gli altri non si accorgono della ragazza dolce, bella, brillante e speciale che sei, è soltanto un problema loro.”
Era un angelo, non c’erano dubbi. Anche quella volta c’era, era lì accanto a me, e stava magicamente trovando le parole giuste per tirarmi su; parlava con una naturalezza tale che non sarei mai riuscita a metterlo in dubbio. Come facesse a salvarmi ogni volta non lo sapevo, ma mi veniva impossibile non amarlo con tutta me stessa.
“Davvero tu vedi tutte queste cose in me?” mormorai, tirando su col naso.
“Oh, Feli…” Manuel tornò accanto a me, mi circondò nuovamente le spalle con un braccio e mi strinse a sé, facendomi poggiare la testa sulla sua spalla. “Non capisco come ti possano ancora venire dei dubbi a riguardo. Sei una delle persone migliori che conosco, hai un sacco di qualità, sei dotata di una bellezza così particolare e tutta tua, ma la cosa più grave è che non te ne accorgi. Cosa vedi quando ti guardi allo specchio?”
“Una cicciona” ribattei senza nemmeno pensarci su.
“E non vedi il sorriso luminoso? Non vedi i lineamenti così espressivi e particolari? Non vedi gli occhi pieni di vita e dolcezza? Tu vedi solo i difetti.”
“Forse perché tu sei l’unico a vedere anche i pregi.” Mi strinsi più forte a lui, stavo così bene tra le sue braccia, cullata dal rassicurante calore del suo corpo. Manuel aveva il magico potere di farmi sentire sempre a casa.
“Senti, voglio che tu mi faccia una promessa. Adesso noi ci alzeremo da qui, ti sciacquerai il viso e quando usciremo da questo bagno smetterai di porti mille problemi per questo dannato ballo di Halloween. Non devi essere in dubbio su niente, tanto meno su di me; dovrai solo pensare a divertirti e sono certo che, se solo ti lascerai andare e sarai semplicemente te stessa, sabato brillerai.”
“Manuel…”
“Sì?”
“Ti hanno mai detto che sei un angelo?”
Lui ridacchiò e mi scompigliò affettuosamente i capelli. “Ma quale angelo, dico solo quello che penso!” Detto ciò, sciolse l’abbraccio – rabbrividii appena, il suo calore già mi mancava – e si rimise in piedi, aiutandomi poi a fare lo stesso.
Stavo per uscire definitivamente dal bagno, quando lui mi bloccò per un polso; mi voltai a guardarlo e lo trovai bellissimo, con i capelli scuri appena arruffati che lo rendevano ancora più tenero e lo sguardo intenso e caldo fisso su di me.
“Allora, prometti?” mi chiese.
“Che cosa?” caddi dalle nuvole.
“Che la smetterai di metterti in testa queste stronzate sul tuo aspetto fisico e sabato verrai alla festa con serenità, soltanto per divertirti.”
Annuii e abbozzai un sorriso. “Va bene, ci proverò.”
“Non ci devi provare, ci devi riuscire” mi rimproverò bonariamente, mollandomi una piccola pacca sul braccio.
“Okay, te lo prometto!” mi corressi con una risatina.
Manuel si aprì in un sorriso raggiante e soddisfatto e mi strinse in un abbraccio. “Certe volte mi fai perdere dieci anni di vita per la preoccupazione, lo sai?”
“Scusa.”
“Scuse accettate, ma se ti vedo un’altra volta in queste condizioni mi incazzo sul serio.”
E in quel momento realizzai che sì, ce la potevo fare davvero. Perché potevo anche non essere bella e in forma come tutte le altre ragazze, ma con una creatura speciale come Manuel al mio fianco mi sentivo la regina del mondo.
 
 
Ci eravamo dati appuntamento fuori dalla discoteca dove si sarebbe tenuta la festa; io mi ci ero recata con Vico e Mia, dopo aver trascorso l’intero pomeriggio a casa di quest’ultima per prepararci.
Le mie amiche avevano insistito per sistemarmi trucco e capelli, ma la cosa di cui infine ero più soddisfatta era proprio l’abbigliamento: avevo optato per dei semplici abiti neri – il colore che mi snelliva maggiormente – e dei gioielli arancioni abbinati fra loro – collana, bracciale e fermaglio per capelli.
Quando mi ero guardata allo specchio, prima di uscire di casa, per la prima volta non avevo visto una triste adolescente sovrappeso e piena di difetti, ma una ragazza sorridente e carina che stava bene con ciò che indossava e soprattutto con se stessa.
Solo che c’era un piccolo dettaglio che non potevo condividere nemmeno con le mie amiche: avrei dovuto trascorrere l’intera serata con Manuel e, anche se cercavo di stare tranquilla e ripetermi che non dovevo farmi illusioni, non potevo che vederlo come un appuntamento.
C’era qualcosa di strano in lui ultimamente: qualche giorno prima, nei bagni, era stato di una dolcezza disarmante… una dolcezza che non si riserva alle semplici amiche. Cercavo di reprimere quel pensiero, ma poi la mia mente tornava al modo in cui mi aveva stretto a sé, come se non volesse più lasciarmi andare, e a quanto le sue braccia fossero accoglienti e forti al tempo stesso.
“Dobbiamo per forza aspettarlo qua fuori, il tuo amico?” si lamentò Mia, guardandosi attorno con fare annoiato.
Mi strinsi nelle spalle. “Se volete potete andare, ma tanto c’è un sacco di fila alla biglietteria.” Feci un cenno in direzione dell’entrata della discoteca, dove si erano radunati una marea di ragazzi.
“Feli ha ragione, è meglio aspettare che la folla si smaltisca un po’” intervenne Vico.
“D’accordo, ma che si dia una mossa. Ma non gliela insegnano in Messico l’educazione? Non si dovrebbe mai far aspettare una ragazza!” Mia incrociò le braccia al petto con fare teatrale mentre parlava – era sempre la solita.
Intanto io mi guardavo intorno nervosamente, in cerca del volto di Manuel in mezzo al fiume di ragazzi che continuava a inondare il marciapiede. Pareva che tutta Buenos Aires quella sera volesse partecipare alla festa di Halloween.
“Piuttosto… perché sei così agitata, Feli?” mi intercettò Vico, strizzandomi l’occhio con fare complice.
La fissai e sbattei le palpebre un paio di volte. “Chi, io? Agitata?” mi finsi sorpresa.
“Sposti in continuazione il peso da un piede all’altro, come se fossi in ansia.”
“È per il freddo” mi affrettai a ribattere.
“Non è che… c’entra proprio Manuel?” insinuò lei in tono malizioso.
Come diamine aveva fatto a scoprirlo?!
Non sapevo quale strana espressione si fosse dipinta sul mio volto, tuttavia cercai di mantenere un certo contegno e abbozzai una risatina. “Vico, ma che dici? Lo sai che tra me e Manuel è finita mesi fa!”
“E tu l’hai davvero dimenticato?”
“Eccolo” ci interruppe Mia, accennando col capo a un punto alle mie spalle.
Col cuore in gola e le mani che cominciavano a sudare, mi voltai – forse troppo in fretta perché apparisse qualcosa di naturale – e il mondo parve fermarsi quando posai lo sguardo su di lui: era incredibilmente bello, se possibile anche più del solito. Indossava una semplice maglietta arancione, un semplice paio di jeans scuri e delle semplici scarpe da ginnastica, ma nella sua semplicità gli calzava tutto a meraviglia; i capelli scuri erano sistemati in maniera sbarazzina, come al solito.
Sorrideva, e il sorriso era rivolto proprio a me.
Tra le mille ragazze meravigliose tutt’attorno, lui sorrideva a me.
Tra le mille persone con cui avrebbe potuto trascorrere la serata, lui si diresse con passo sicuro proprio verso di me.
“Wow, sei stupenda” commentò non appena mi giunse accanto, per poi abbracciarmi brevemente in segno di saluto.
Ed era proprio a me che aveva sussurrato quelle parole, e io non potei fare a meno di sciogliermi sotto il suo sguardo bollente.
Sì, perché Manuel mi stava guardando, in quel modo pieno d’ammirazione e passione in cui si può guardare soltanto l’oggetto del proprio interesse. Cercai in tutti i modi di convincermi che fosse soltanto una mia impressione, che si trattasse di mie fantasie, ma non ne fui capace.
“Grazie, anche tu” riuscii soltanto a ribattere con la gola secca.
“Entriamo?” propose lui con un sorriso e io annuii.
Ci mettemmo in fila – Mia e Vico erano subito dietro di noi – e io mi domandai ancora una volta come potesse essere possibile. Io, Feli, la grassona della scuola, accanto a uno dei più bei ragazzi della serata.
Una volta dentro il locale, ci dirigemmo innanzitutto verso il bancone del bar per prendere qualcosa da bere – Manuel scambiò qualche parole con Nico, che si trovava lì nei paraggi insieme a Luna, mentre io mi incantai a osservare le persone che chiacchieravano, ridevano e ballavano in pista a ritmo di musica; il locale era gremito e si poteva scorgere arancione ovunque: sulle scarpe, sulle giacche, sui gioielli, su magliette e camicie, sulle gonne, sulle labbra e tra i capelli delle ragazze.
Tutta quell’allegria, la musica ad alto volume e il cocktail che stavo sorseggiando mi misero addosso una voglia matta di ballare e scatenarmi nella pista da ballo, smetterla di preoccuparmi di tutto e di tutti. Volevo soltanto divertirmi e godermi quella bellissima serata.
Lanciai un’occhiata complice a Manuel. “Hai presente ciò che mi hai fatto promettere?”
“Certo!”
“Ecco, mi hai chiesto di essere me stessa e divertirmi stasera, e siccome voglio andare a ballare, dovrai farmi da cavaliere!” gli dissi con un sorriso raggiante – quell’esuberanza non era mia, l’alcol stava già cominciando a fare il suo effetto.
“Con piacere” acconsentì lui, ricambiando il sorriso.
Lasciammo i nostri bicchieri vuoti sul bancone e ci facemmo largo tra la folla, prendendo subito il ritmo di una canzone allegra ed energica che rimbombava nel locale. Avevo afferrato Manuel per un polso per trascinarlo in pista e ora ci stringevamo la mano, le luci stroboscopiche gli saettavano sul viso facendolo apparire ancora più angelico. Sarei rimasta per ore a osservare i giochi di colore che gli scorrevano sulle guance e gli riempivano gli occhi scuri e gioiosi, mi sarei volentieri persa in quel sorriso genuino che metteva in risalto i suoi tratti ancora fanciulleschi.
Avrei potuto pormi mille domande, chiedermi se sembrassi fuori luogo, se Manuel provasse quello che stavo provando io, ma la verità ea che in quel momento non mi importava affatto: ballavo, ridevo e cantavo a squarciagola accanto al ragazzo dei miei sogni, le nostre dita si intrecciavano e si scioglievano in continuazione, i nostri corpi entravano in contatto per poi separarsi di nuovo, i nostri movimenti erano così fluidi e sincronizzati che per un attimo credetti di essere un tutt’uno con lui.
Per una settimana intera avevo temuto che Manuel mi avrebbe lasciata da parte dopo un quarto d’ora e invece quella sera non aveva occhi che per me.
“Ehi, Feli!” mi sentii richiamare a un tratto da una voce femminile, mentre l’ennesima canzone volgeva al termine. Ormai avevo perso il conto di quante ne avessi già ballate.
Mi voltai e incrociai lo sguardo di Marizza. Era la prima volta che la vedevo quella sera, ma dovevo immaginarmi che non sarebbe mancata a un evento del genere.
“Che vuoi?” sbottai sulla difensiva, già certa che se ne sarebbe uscita con una delle sue battutacce sul mio aspetto fisico, mentre Manuel le rivolgeva un sorriso e un cenno di saluto.
Andava sempre d’accordo con tutti, lui. Ma di che mi sorprendevo? Era un angelo.
Lei sollevò le mani in segno di resa. “Okay, lo so che ti insulto sempre, ma stavolta non è mia intenzione. Volevo solo dirti che non pensavo sapessi ballare così bene, ma dove hai imparato?”
Avevo sentito bene?
Inarcai un sopracciglio, sospettosa. “Sei ironica o parli sul serio?”
“Sono seria, dico davvero! Non ti avevo mai visto ballare, ma accidenti, sei meglio di Mia e le sue amichette del gruppo di danza!” La conoscevo abbastanza bene da capire quando stava mentendo, ma stavolta i suoi occhi erano sinceri, non lo diceva per prendermi in giro.
Abbassai lo sguardo, imbarazzata da quei complimenti che non ero abituata a ricevere. “Grazie, io… lo faccio solo per divertirmi.”
In quel momento nella sala si diffusero le prime note di una canzone che conoscevo soltanto di sfuggita e lo sguardo di Marizza si illuminò. “Uh, adoro questa canzone! Scusate ma devo andare, questa non me la perdo per niente al mondo!” strillò entusiasta, prima di rigettarsi in mezzo alla calca per andare a rivendicare il centro della pista.
“È matta quella ragazza” commentò Manuel ridacchiando.
Mi voltai verso di lui e gli sorrisi, non sapendo bene che dire. Quella doveva essere una serata davvero magica, se anche coloro che non mi sopportavano venivano a farmi i complimenti.
“Hai visto? Che ti avevo detto?” prese nuovamente la parola Manuel, posandomi una mano sulla spalla e scrutandomi negli occhi con intensità. “Se solo tu ti lasci andare, se sei te stessa e ti diverti, inizierai a brillare talmente tanto che sarà impossibile non notarti.”
Arrossii, colta alla sprovvista. “Ma sai una cosa, Manuel? Adesso nemmeno mi importa. Sto così bene stasera, mi sto divertendo talmente tanto, che non mi interessa più se qualcuno mi guarda oppure no. E tutto questo grazie a te!”
Non è vero, mi interessa eccome. E se ho addosso il tuo sguardo, questo basta.
Manuel scosse il capo. “Io non c’entro niente, è tutto merito tuo e delle tue infinite qualità! E a proposito… quando avevi intenzione di dirmi che sai ballare così bene?”
“Oh, beh, non mi piace tanto espormi…” bofonchiai, sistemando nervosamente la collana.
“Ma evidentemente agli altri piace molto” sussurrò con un sorrisetto beffardo, sporgendosi appena verso di me, e un milione di brividi mi corsero lungo la schiena.
Dopodiché mi afferrò le mani e ricominciò a ballare come se niente fosse, trascinandomi in una danza che, gradualmente e inspiegabilmente, si faceva sempre più sensuale.
Lui non ti ricambia, Feli. Smettila di sognare a occhi aperti.
Smettila di immaginarti che il suo sguardo percorra il tuo corpo.
Smettila di lasciarti incendiare dalle sue carezze, sono accidentali anche se sembrano studiate.
Smettila di sperare febbrilmente che le vostre labbra si incontrino.
Un brano più lento e romantico degli altri riempì la sala e io deglutii a vuoto, mentre Manuel mi scoccava un sorriso. “Sai come si balla un lento?”
Io non avevo mai ballato un lento, anche se l’avevo sempre sognato. Danzare tra le braccia di un ragazzo era sempre stata la cosa più romantica al mondo nel mio immaginario, e sapere che questo stava per capitare proprio con Manuel mi faceva tremare l’anima.
Ebbi appena il tempo di scuotere il capo prima che mi afferrasse per i fianchi – avere le sue mani addosso in quel modo mi faceva uscire di testa, quella sera stavamo superando ogni limite. “In realtà non esiste un modo universale per farlo, credo sia una cosa… istintiva” spiegò mentre ci muovevamo a tempo.
Ed era così vicino, così bello, e le sue labbra chiedevano di essere sfiorate…
Istintiva.
Con questa parola a rimbombarmi nella mente, azzerai la distanza tra i nostri visi e realizzai ciò che da troppo tempo avevo desiderato, ciò per cui ormai non resistevo più. Avrei rovinato tutto, lo sapevo, ma ci sarebbe stato tempo più avanti per pentirsi.
Quando eravamo stati insieme, mesi prima, avevo baciato Manuel tante volte, ma nulla era paragonabile a quello. Avevo dimenticato quanto fossero morbide le sue labbra, quanto fosse dolce il suo sapore, quanto fosse accogliente la sua bocca. Era un’esplosione rovente e delicata al tempo stesso, era tutto ciò di cui avevo bisogno.
E niente di tutto quello che avevo mangiato nei giorni – nei mesi – precedenti poteva competere con quel gusto di casa, di amore, di Manuel.
Credevo che mi avrebbe respinto, ma non lo fece. Mi attirò di più a sé, insinuò le mani tra i miei capelli, si impossessò delle mie labbra come se gli spettassero e gli fossero sempre appartenute. E forse era proprio così.
Quando ci separammo – non avevo idea di quanto fosse durato quel bacio – sentivo gli occhi bruciare e le guance in fiamme; ero talmente imbarazzata che non sapevo nemmeno da dove partire con le scuse.
Manuel aprì la bocca con l’intento di dire qualcosa, ma io lo interruppi subito. “Manuel, scusami, io non dovevo… oh, non so davvero cosa mi sia preso, mi dispiace, dev’essere stato l’alcol, ma so che siamo soltanto amici e tu non volevi nulla di tutto ciò, ti prometto che non si ripeterà mai più! Sono mortificata, io…”
“Feli” mi interruppe lui, posandomi l’indice sulle labbra e fissandomi negli occhi – le sue iridi erano così liquide, calde, emanavano dolcezza e al contempo fermezza. “Se l’hai fatto ci sarà un motivo, no?”
“Io… ho rovinato tutto, è che… diciamo che non sono mai riuscita a dimenticarti del tutto, e se non… non vorrai più essermi amico, ti capisco” balbettai, sprofondando sempre più nell’imbarazzo.
Lui, in tutta risposta, piegò appena il capo di lato, sul volto un’espressione rilassata. “E se io non ti ho respinto, anche per questo ci sarà un motivo, non credi?”
Il mio cuore perse un battito. Sbattei un paio di volte le palpebre per assicurarmi che non si trattasse di un’allucinazione, fui anche tentata di darmi un pizzicotto, ma infine dovetti accettare che tutto ciò stava accadendo davvero.
“Mi stai dicendo che… che… anche tu…”
Lui sorrise. “La cosa che frega di te è che la gente non si accorge quando si innamora: succede pian piano, all’inizio sembra quasi un gioco, ma a un certo punto ci si rende conto di essere coinvolti davvero e di non poter più fare a meno di te. Sei quasi subdola, Feli.” Si lasciò sfuggire una risatina mentre si passava una mano tra i capelli. “Tutto questo ho iniziato a capirlo solo dopo averti lasciato. Non pensavo di essere così tanto preso, credevo che andare avanti sarebbe stato facile. Che illuso!”
Perché gli occhi pizzicavano a quel modo? Non dovevo piangere, non davanti a lui, non davanti a tutti.
“Oh, Manuel…” riuscii soltanto a mormorare con la voce rotta dall’emozione.
Lui si sporse verso di me per lasciarmi un altro bacio a fior di labbra, poi mi strinse in un abbraccio, di quelli dolci e premurosi di cui solo lui era capace. “Sono stato io lo stupido, non tu.”
“È per questo che ero così in ansia per questo ballo.” Ora che non lo stavo guardando negli occhi, ora che tutto il mondo sembrava sorridermi, potevo ammetterlo. “Avevo paura che non mi notassi, che ti vergognassi di me. Volevo farmi bella per te.” E lottai contro le lacrime, ancora e ancora, e non sapevo se fossero di gioia o di sollievo o di entrambe le cose.
Manuel sciolse l’abbraccio per potermi guardare in viso. “Non hai bisogno di farti bella per me, perché sei già bella.”
E in quel momento, su quella pista da ballo affollata, con una dolce melodia a riempirmi le orecchie e una nuova speranza a riempirmi il cuore, capii che l’unico luogo in cui mi sarei voluta specchiare per sempre erano le iridi colme di dolcezza di Manuel.
 
 
 
 
♥ ♥ ♥
 
 
Un applauso per l’originalità, proprio XD
Davvero, ragazzi, non so cosa mi sia preso e come io sia potuta restare intrappolata in questo fandom e in questo cliché. Innanzitutto perché Rebelde Way non è propriamente il programma più intelligente del mondo, ma con i suoi difetti ha anche tantissimi pregi e io non posso fare a meno di amarlo. Sì, anche col suo essere a volte trash *-*
In secondo luogo, non ce la posso proprio fare a scrivere di fandom che abbiano già una trama e dei personaggi caratterizzati, non mi vengono mai idee interessanti e mi sento sempre inadeguata – motivo per cui alla fine ho ripiegato su qualcosa di visto e rivisto, ma almeno la coppia è particolare, concedetemelo XD
La verità è che Manuel è l’amore della mia vita, è troppo buono e prezioso e cuccioloso per questo mondo e avevo l’ESIGENZA di scrivere di lui *_________* inoltre lo adoravo un sacco con Feli e mi si è spezzato il cuore quando si sono lasciati, perché con lei era così premuroso e dolce…
Mia, perché non ti fai da parte? PERCHE’???
E a proposito di Mia, ho deciso di mantenere anche in questa shot il loro rapporto di odio, tralasciando che nella serie è un rapporto di amore-odio e finiranno inevitabilmente insieme, MA A NOI ORA NON INTERESSA U.U
E a proposito di gente che odia Mia… non ho potuto fare a meno di inserire un cammeo della mia amatissima Marizza, anche se piccolo piccolo! Giuro che un giorno scriverò anche di lei, altro amore della mia vita *__________*
Scleri a parte riguardo il fandom, non credo ci sia altro da spiegare ^^ spero davvero che la storia vi sia piaciuta – per quelle due persone che avranno il coraggio e la volontà di leggere, ovvero Kim e la giudice del contest AHAHAHAHAHAHAH – e spero di non aver combinato un totale disastro con il mio esordio in questo fandom! :P
Alla prossima!!! ♥
 
 
   
 
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