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Autore: milla4    01/08/2020    5 recensioni
Era una Piccola deliziosa bugia, dai lunghi capelli biondi e i denti da coniglio. Era entrata in casa sua ma non nel suo cuore.
Questa storia è candidata agli "Oscar della Penna 2022 indetti sul forum Ferisce più la penna"
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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 Avrei dovuto imparare ad amarla come gli avevo promesso che avrei fatto, me l'aveva portata a casa che aveva due anni e qualche mese, di quella donna non si parlò mai tra di noi. E da quel giorno divenni Alba, sterile nel corpo come nell'anima, 
 
È sempre stata la preferita di suo padre, anche quando abbiamo deciso di prenderne un altro, il suo caro fratello Giorgio. La bambina che aveva deciso fosse anche mia, con i suoi sottili capelli biondi che pazientemente legavo con due nastri ogni mattina, era la fotocopia di Lei, di qualcosa che aveva immensamente amato, prima di rimanere solo con me.
Ricordo ogni singolo giorno in cui mi chiedeva di essere abbracciata, deliziosa piccola bugia, stretta al mio seno per sentirne l'odore rassicurante; mi guardava con le sue piccole fossette ai lati della bocca e quella voglia alla fragola stampata sotto l'occhio, non poteva rendersi conto di quanto fossimo diverse.
 
I primi passi li aveva già compiuti in orfanotrofio e così fece l'ingresso trionfale sulle sue piccole gambe: ancora incerta, mi vide e si nascose dietro le gambe di suo padre, aveva compreso sin da subito di essere un piccolo topo per un serpente i cui denti erano stati affilati giorno dopo giorno, nel tempo. Lui la prese in braccio stampandole un bacio sulla fronte, la piccola non si ritrasse, conosceva già quella figura, era andato a trovarla tante volte in quei mesi nell'istituto, prima che la riconoscesse come sua. Era il 1956 e il televisore era entrato in casa nostra soltanto per lei, prima era qualcosa di inutile e troppo pretenzioso per una coppia senza figli come noi.
Mio marito era un commerciante di stoffe, sempre in giro a cercare quella più bella da mostrare alle Signore del nostro circolo, era un bell'uomo con la brillantina che uniformava i suoi capelli neri intorno alla testa e i grandi denti da coniglio splendevano sempre bianchi nel suo solito sorriso accattivante.
 
Era un esserino curioso, la mia nuova figlia, mi seguiva in ogni angolo della casa, non giocava con i numerosi giochi che suo padre le aveva comprato, ma voleva me, avvinghiarsi alle mie gambe forse bisognosa di un contatto umano, io la lasciavo fare ma non mi avvicinai mai, quello che voleva da me doveva prenderselo da sola. Mi avevano già tolto la dignità di donna, non mi avrebbero preso quella di madre.
Con il tempo la vidi cambiare a un ritmo sostenuto, non volli nessuna tata, ero sempre in casa, perché sprecare soldi per ciò che potevo fare da sola? Durante il giorno l'osservavo giocare con i suoi nuovi piccoli amichetti nel cortile sotto casa, aveva imparato nel tempo che la casa era un posto arido e che mio marito non avrebbe potuto salvarla dalla solitudine.
 
Poi un giorno il mio lato materno, quello che avevo strizzato, squartato, rinchiuso aveva beneficiato di nuova vita quando decidemmo di prendere un altro figlio, un figlio che questa volta sarebbe stato mio. Aveva otto anni quando le portammo dentro casa un bambino della sua stessa età ma in realtà molto più piccolo: era gracile Giorgio, la testa riccioluta sembrava più pesante del suo intero corpo.
Privato dal cibo troppo a lungo, lo avevamo scovato in uno degli orfanotrofi di provincia, dove non c'erano bocche che potessero parlare troppo. Fu tutto fatto correttamente, non potevamo evitare che ci venisse tolto, mio marito mi doveva almeno questo. Appena lo vidi capii che aveva bisogno d'amore e io ne avevo tanto soppresso, mi faceva male come il latte di una cagna a cui avevano strappato i cuccioli troppo presto. In macchina lo tenni tra le mie braccia, forse piansi, non lo ricordo. Giorgio mi guardava, anche questa volta timoroso, ma si sarebbe nascosto tra le mie di gambe.
Appena salimmo le scale, la bambina dai lunghi capelli biondi acconciati in una treccia venne ad abbracciare l'unica vera fonte di affetto che aveva, suo padre, ma quando si accorse di cosa avevo in braccio capii subito che mi avrebbe strappato anche quello. Il mio piccolo Giorgio fu subito messo sotto la sua ala protettrice, lo proteggeva dagli altri bambini nel cortile; quando li portavo al mare vicino la città gli insegnava a nuotare, gli insegnava come usare le posate e mentre lui cominciava ad assumere una forma più umana grazie al nutrimento, più lei gli stava vicino; io avevo cercato di frappormi ma nel tempo era stato lui stesso a cercare la sua vicinanza, mi guardava con i suoi occhioni azzurri, così simili ai miei per chiedermi il permesso di raggiungerla, dovunque ella fosse.
Mi aveva tolto anche questo. Non sarei mai stata una madre. Sterile nell'anima come nel corpo.
 
A dieci anni la Piccola deliziosa bugia è caduta dalle scale che portavano al terrazzino del palazzo  e subito l'ho accudita, le ho disinfettato la ferita e l'ho fasciata, ma non potevo baciarle la fronte, non potevo guardarle gli occhi umidi di lacrime perché erano quelli dell'uomo che mi aveva distrutto l'anima. Pensava che non mi fossi accorta di come guardasse suo fratello, di quando facevano la lotta e le sue guance si facessero rosse, sarei dovuta intervenire, avrei dovuto bloccare tutto prima che diventasse qualcosa di reale, ma ho lasciato andare, volevo vedere la rosa di suo padre venire insozzata da una passione torbida e putrida, come quella da cui era nata. Suo padre  e sua madre avevano promesso davanti a Dio che avrebbero amato i loro legittimi sposi per poi finire a scopicchiare nel nostro magazzino, dietro, dove le commesse posavano le borsette e dove ognuno poteva scoprirli.
 
«Mamma, mi aiuti con italiano?» Era così bella, con i lunghi capelli dorati a caderle sulle spalle e gli occhi nocciola così piccoli, non avevo voluto farle fare nessun intervento dal nostro dentista,  quell'aria da coniglio sembrava piacere così tanto al povero Giorgio, diceva di trovarla buffa; mi avvicinai, sapevo che non aveva problemi in quella materia ma che cercava un contatto, spensi la sigaretta e la posai sul posacenere di cristallo. Avrebbe potuto chiedere aiuto al suo lacchè dai lunghi capelli ricci, ma talvolta sentiva ancora il bisogno di me.
«Devo ripetere la vita di Manzoni ma non mi entra in testa» mi diceva con la sua voce squillante e gioiosa, le sedetti accanto sul divano in velluto rosso, era un divano vecchio, usurato dal tempo, gli anni sessanta erano agli sgoccioli; le pizzicai una coscia, le donava molto la moda anni sessanta.
 
Il resto delle giornate per me passava sempre uguale ma la Piccola deliziosa bugia ormai non era più una bambina, aveva lasciato le bambole per qualcosa di più gustoso e appagante, il suo disgustoso sangue non poteva portarla altrove. È sempre lì appiccicata alle gambe di suo fratello, hanno sedici anni ormai, il corpo di lei ha finito di cambiare.
Un piccolo seno aveva fatto capolino sotto le camicette che tanto amava mentre lui era ancora un bambino, se solo suo padre avesse visto quella fetida intimità che sgorgava tra i due, ancora acerba ma pronta per il futuro: si passavano la palla mentre giocavano con i loro amici sotto casa, ma era qualcos'altro che ribolliva nell'aria, il mio povero marito era troppo occupato a lavorare e non si accorgeva che la sua piccola stava diventando una donna e che forse avrebbe da lì a poco concesso il suo dono proibito alla persona che più amava al mondo. Nemmeno i due piccoli di casa ne erano a conoscenza, ma da brava veggente avevo compreso tutto, prima ancora che gli attori entrassero in scena.
Ne ebbi la certezza solo qualche anno più tardi quando ormai erano entrambi abbastanza grandi per prendersi le loro responsabilità anche di fronte alla legge, pensando che fossi fuori casa; degli strani rumori erano scappati dal legno della porta: avrei potuto entrare e sorprenderli, ma il gioco non era più nelle mie mani.
 
A diciassette anni era ancora una rosa e come tutte le rose aveva le sue spine, mentre cresceva la Piccola deliziosa bugia aveva imparato ad avere un carattere, poteva prendere decisioni e sostenerle, non mi cercava più aveva forse imparato, come un cane ignorato dal padrone, che non esistesse altro modo di comunicare con una madre.
Si era tinta i capelli di rosso scuro, i larghi pantaloni a zampa di elefante le fasciavano le gambe con il loro velluto a coste, le magliette colorate le stringevano il petto magro. La vedevo farsi donna senza avere un indirizzo preciso di dove andare, non mi ero premunita di spiegarle nulla della vita, io sono sterile nel corpo come nell'anima.
Mi limitavo a fumare le mie Marlboro  Light seduta sullo sgabello del mobile bar, mentre i mie capelli assumevano con il passare del tempo un colore sempre più tendente al grigio. 
 
«Non la capisco più» questo è quello che mi ripeteva ogni santa notte suo padre, era cambiata oserei dire da quando suo fratello era stato chiamato per il servizio di leva, la Naja, come la chiamano i giovani. La ragazza aveva incominciato a non mangiare più, non usciva quasi mai con le sue compagne di scuola, delle oche starnazzanti di monotonia, suo padre cercava di parlarle ma ormai il filo si era interrotto, la nostra Arianna lo aveva tagliato.
Cominciò presto a scomparire prima delle ore, poi dei giorni e infine settimane, aveva cominciato a fumare cose che non fossero della semplici sigarette, residui dei ribelli anni Sessanta che la facevano sentire viva mentre tutto ciò che voleva le era stato portato via; suo padre diede la colpa a me, ma cosa c'entravo io? Se solo me l'avesse chiesto gli avrei parlato dei quei comizi appassionati nella camera di lei quando pensavano di essere soli, ma nessuno mi chiese mai nulla e io da buona moglie tacqui come avevo fatto vent'anni prima e come avrei fatto per sempre.
Non andava più a scuola, perse l'ultimo anno, ormai era scontato che non sarebbe diventata un medico come suo padre aveva preventivato sin sa quando gli aveva sorriso con i suoi denti da coniglio.
Poi un giorno scomparve, nessuno sapeva darci notizie su di lei, il mio caro marito si disperò a tal punto da farsi venire vari malori, nessuno letale.
Io gli ero accanto ad accarezzargli la testa, come una buona moglie; mi pregò di scrivere a Giorgio ma non volevo che si preoccupasse, volevo che si dimenticasse di quella Piccola deliziosa bugia e si rifacesse una sua vita; dalle poche informazioni che riuscii a reperire e che non diedi mai al mio sposo era stata vista fare l'autostop per raggiungere suo fratello, non sapendo che nel frattempo avevo richiesto, tramite amicizie coltivate nel tempo, che venisse spostato in una caserma vicino ai mie genitori, erano anziani e avevano bisogno del loro unico nipote accanto. Le amicizie, ricambiate con ore di affetto sporco, villano e divertente, mi aiutarono anche a far sparire le varie denunce fatte per ritrovare la nostra bambina inghiottita dalla notte un giorno d' Estate: non ho mai detto di essere una casta e pura Vestale, in fondo mi avevano insegnato un gioco e non era giusto non poterci giocare. Alla fine, come da buona veggente avevo già capito, una signora si presentò alla nostra porta chiedendo di poter lavorare a casa nostra, io ero troppo agitata per la mia povera creatura per stare dietro a tutto e così il mio premuroso compagno di vita mi prese una domestica, quella che un tempo gli aveva fatto ingrossare i pantaloni.
Me l'avevano venduta come una vedova di poche speranze ma mi ci volle poco per capire chi fosse, la donna dal fascino di Venere che aveva rubato il cuore e il sesso del mio sposo. L'aveva richiamata come sostegno, per cercare insieme il frutto del loro inganno.
 
La passione non si riaccese mai più, era passato troppo tempo, ma poterono nel tempo consumare la loro speranza. Piangevano, gli amanti sfortunati, sotto al mio naso e io li lasciavo fare, pagarono un investigatore privato che tornò con qualche vaga informazione su un Centro sociale del Nord Italia, il premuroso padre partì subito, la domestica affranta aspettava sempre vicino al telefono, all'ingresso, ovviamente nessuna notizia arrivò. Fu facile corrompere l'uomo che avevano assoldato per fare le ricerche, chiesi espressamente di dare notizie vaghe e incerte, il giusto per avere speranza e per ucciderla nell'istante dopo. Pensai io a Giorgio, me lo sarei ripreso, sarei stata finalmente sua madre come il destino aveva deciso. Venne a casa passato il tempo della leva, mi si gettò al petto piangendo, cercai di calmarlo preparandogli i suoi piatti preferiti, avevo messo le lenzuola fresche di bucato e lo avevo lasciato riposare. Mi odiò per alcuni mesi, avrei dovuto avvertirlo, mi diceva, ma riuscii a rabbonirlo, in fondo mi amava come io amavo lui. Era il mio piccolo ricciolino che avevo portato in caso dieci anni prima.
 
Se solo tutti avessero saputo che la loro Piccola deliziosa bugia non si era mai mossa da casa, ma giaceva tranquilla sotto l'abete che avevo insistito per piantare in suo onore, forse avrebbero capito chi fossi veramente, la donna seduta a fumare una lunga sigaretta mentre il mondo che aveva deciso di rovinare periva e si sgretolava a un ritmo ben cadenzato.
 
L'unica mia speranza era che il mio unico figlio, il mio lascito al mondo potesse tornare a vivere e quando si sposò e mi diede tre deliziosi nipoti seppi che qualcosa di buono poteva nascere dalla mia anima e dal mio corpo sterile.
 
Questa è la mia

Piccola

Deliziosa

Bugia.



 
Note: cosa posso dire? Avrei dovuto far partecipare un'altra storia al contest di Artnifa ma alla fine in una notte è uscita questa e mi va bene così. Non posso dire cosa contesse il pacchetto segreto, lo dirò in seguito ma vorrei comunque spiegare alcune cose.
Prima che il diritto di famiglia venisse riformato i figli illegittimi potevano essere lasciati negli istituti ma se riconosciuti anche ripresi successivamente, ovviamente tutto sotto silenzio. Per cercare di collocarla in un tempo storico ben definito, la bambina e Giorgio sono nati entrambi nel 1954.
La Piccola deliziosa bugia non ha un nome (Arianna riprende il mito ma non è il suo nome), come gli altri attori che non siano importanti per chi racconta, ho cercato di immaginarmi una donna arida, che non vuola dare memoria a chi odia, solo a ciò che per lei ha importanza.

E nulla, a presto


milla4
   
 
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