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Autore: BlueButterfly93    01/08/2020    0 recensioni
(REVISIONE STORIA COMPLETATA)
MIKI: ragazza che, come il passato le ha insegnato, indossa ogni giorno la maschera della perfezione; minigonna e tacchi a spillo. È irraggiungibile, contro gli uomini e l'amore. Pensa di non essere in grado di provare sentimenti, perché infondo non sa neanche cosa siano. Ma sarà il trasferimento in un altro Stato a mettere tutta la sua vita in discussione. Già da quando salirà sull'aereo per Parigi, l'incontro con il ragazzo dai capelli rossi le stravolgerà l'esistenza e non le farà più dormire sogni tranquilli.
CASTIEL: ragazzo apatico, arrogante, sfacciato, menefreghista ma infondo solamente deluso e ferito da un'infanzia trascorsa in solitudine, e da una storia che ha segnato profondamente gli anni della sua adolescenza. Sarà l'incontro con la ragazza dai capelli ramati a far sorgere in lui il dubbio di possedere ancora un cuore capace di battere per qualcuno, e non solo..
-
Lo scontro di due mondi apparentemente opposti, ma in fondo incredibilmente simili. Le facce di una medaglia, l'odio e l'amore, che sotto sotto finiranno per completarsi a vicenda.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ubriaca d'amore, ti odio!'
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Capitolo 60

Sorelle




🎶 Coldplay - Fix you 🎶

Quando provi a fare del tuo meglio ma non ci riesci

Quando prendi quel che vuoi ma non quello di cui hai bisogno

Quando ti senti così stanco ma non puoi dormire

Torna indietro

E le lacrime iniziano a scorrere sul tuo viso.

Quando perdi qualcosa che non puoi riavere

Quando ami qualcuno ma va tutto in fumo

Potrebbe andare peggio?

Quando sei troppo innamorata per lasciar perdere

Ma se non provi non lo saprai mai

Che importanza hai

Le lacrime scorrono sul tuo viso e sul mio...

Ti prometto che imparerò dai miei errori

Le luci ti guideranno a casa

E infuocheranno le tue ossa

E io cercherò di consolarti

***

 

Il poeta dai capelli argentei non aveva mai alimentato a dovere il suo cuore. Era stato coinvolto in storie lunghe, prive di sentimento e di quella passione travolgente, di quell'amore folle che tanto gli piaceva osannare nei suoi scritti. Eppure avrebbe voluto sfamare quell'increscioso bisogno di appartenere a qualcuno, quello straziante desiderio di percepire emozioni forti. 

Aveva sempre invidiato e allo stesso tempo compatito suo fratello, perché lui aveva tutto e neppure se ne rendeva conto. Leigh era talmente assuefatto dai sentimenti che Rosalya nutriva per lui da non farci neanche più caso. E invece Lysandre vedeva. Iniziò a scrutare nel dettaglio quella ragazza dai capelli tanto simili ai suoi, la osservò donarsi completamente a chi non la guardava per davvero, la scrutò disilludersi, fortificarsi, credere in un sentimento ormai spento a causa dello scorrere inesorabile del tempo e finì per invaghirsene ogni giorno un po' di più. Non voleva accadesse e fece di tutto per celare quell'infatuazione da occhi indiscreti: per lui il rispetto, la fedeltà e l'amore fraterno erano più importanti di qualsiasi altra cosa e non avrebbe mai potuto tradire suo fratello in quel modo così vile. Cercò, quindi, a tutti i costi di nascondere al mondo e a se stesso l'interesse fiutato nei confronti di Rosalya, regina di ghiaccio esteriormente e dea Venere interiormente. Quella ragazza era un essere speciale. Come aveva potuto essere cieco e sordo a tal punto da accorgersi così tardi di quell'attrazione nei suoi riguardi? 

«Mi riaccompagni a casa?» gli aveva sussurrato con voce melodiosa, dopo aver sonnecchiato sulla sua spalla. 

E fu in quel momento che percepì qualcosa risvegliarsi dentro di lui: le emozioni. Quel turbinio di sensazioni gli ricordarono di essere ancora vivo; peccato fosse proibito provarle verso quella ragazza. Il fratello gli aveva chiesto di tenerla d'occhio, perché sapeva quanto fosse pericolosa da ubriaca, ma Leigh non aveva idea di quanto fosse ancora più rischioso affidarla a lui. 

Quella sera, dopo il fiasco della rimpatriata di classe, la riaccompagnò a casa in taxi con una consapevolezza in più: Rosalya era tutto quello che aveva sempre desiderato. L'aveva avuta sotto il naso per dieci anni e non se n'era mai reso pienamente conto. E si sentiva colpevole. Era stato proprio lui a presentarla al fratello, a gettarla tra le sue braccia. All'epoca, era solamente un ragazzino spaventato dall'eccessiva vitalità della ragazza dai capelli argentei e aveva preferito allontanarla piuttosto che considerare un'ipotetica storia con lei, perché qualcosa tra loro c'era stata ancor prima che si mettesse con Leigh. Entrambi custodivano quel segreto come fosse la cosa più preziosa e allo stesso tempo più terribile al mondo. Nessuno ne era a conoscenza; neanche Castiel e Miki, i due loro più cari amici. Ma Lysandre ricordava quella notte così nitidamente da sembrargli esser accaduta soltanto il giorno prima. 

Quella sera pioveva a dirotto; Lysandre e Rosalya avevano dodici anni, frequentavano la stessa scuola e classe, erano usciti insieme ai loro compagni per la cena di fine anno scolastico. Stavano attendendo l'arrivo dei loro genitori, quando lei se ne uscì con una battuta del tutto fuori luogo: "ho sempre sognato di dare il primo bacio sotto la pioggia". E non gli diede neanche il tempo di metabolizzare che lei si fiondò su di lui e, strappando l'ombrello dalle mani del futuro poeta, lo baciò. Le loro teste s'inondarono d'acqua, i vestiti s'inzupparono, ma quello era l'ultimo problema, perché Rosalya, la sua amichetta d'infanzia, lo stava baciando. Era il primo bacio per entrambi. Quel dato di fatto lo destabilizzò, così come le labbra morbide e il profumo dolce della ragazza. Non fu un semplice bacio, no, quello fu "IL BACIO", il migliore della sua vita. Nessun'altra sarebbe stata capace di superarla. Perché Rosalya era troppo, l'eccesso in tutto: estroversa, espansiva, caparbia, impertinente, esplosiva. Sarebbe stata pericolosa per un tipo taciturno come lui ed era per questo che aveva cercato di allontanarla dal primo istante, perché quel bacio gli era piaciuto talmente tanto d'arrivare a sognarlo ogni notte, da quando accadde. Rosalya, con dei semplici gesti, aveva smussato gli angoli spigolosi del suo carattere, rendendolo più avvicinabile, meno solitario, meno apatico e più... umano. Ma non voleva permettere a nessuno di premere quei tasti, così la allontanò. 

E il tempo di un battito di ciglia... lei si sarebbe dovuta sposare con suo fratello. Suo fratello, perdindirindina. Com'erano arrivati a quel punto? Durante quell'ultimo periodo, avevano trascorso più istanti insieme e non avrebbe mai creduto che lei fosse in grado di fargli provare ancora quelle stesse sensazioni di dieci anni prima, senza neppure sfiorarlo. Il loro divenne un amore platonico, di quelli talmente belli e speciali d'apparire impossibili da realizzare. E lo era sul serio impossibile... Perché era bastata la sua vicinanza per riaffiorare il ricordo di quei sentimenti celati da anni, ma Lysandre non avrebbe ceduto, perché aveva dei principi ben saldi e una dignità da preservare. Lui voleva bene a suo fratello e, nonostante fosse convinto che stesse con Rose per abitudine e non per amore, non spettava di certo al poeta rivelarglielo. Non trascorreva un solo giorno senza sperare che Leigh lasciasse Rosalya o il contrario, ma non voleva essere lui la causa della loro rottura. Desiderava che capissero di non amarsi più. Di certo, Lysandre era la persona meno adatta a sentenziare su quel sentimento tanto complesso quanto interessante, eppure, tra il fratello e la sua futura cognata, aveva sempre percepito della semplice abitudine allo stare insieme e del genuino affetto tra due persone. Non passione, non amore o struggimento. Ma chi era lui per giudicare?  

Quella notte maledetta scesero insieme dal taxi e Lysandre, da galantuomo incallito qual era, aveva intenzione di accertarsi che Rosalya entrasse sana e salva dentro la sua abitazione e andarsene, ma le cose andarono diversamente... 

 «Entri?» gli chiese lei, guardandolo in un modo capace di uccidere chiunque, da sotto le lunghe ciglia chiare. 

Avrebbe dovuto rispondere negativamente, risalire sull'auto gialla e tornarsene a casa, ma non fu quello che fece. 


______________________


Miki

Il tempismo non era mai stato il mio forte, soprattutto da quando Castiel era entrato nella mia vita. 

«Castiel Black», il mio attuale quasi ragazzo si avvicinò verso di noi con andatura lenta. 

Non esultò come immaginavo avesse fatto una volta avuto il suo idolo davanti agli occhi. Il suo comportamento risultò strano, in netta contrapposizione agli atteggiamenti dei mesi passati. Qualcosa non andava, ma non capivo cosa. Aveva già visto quelle foto?

«Avrei preferito incontrarti in circostanze diverse, ma sono contento sia finalmente arrivato questo momento», la voce atona, gli occhi persi nel vuoto; non sembrava neanche di aver davanti Javier. «La tua musica è davvero bella, ma gradirei che trovassi una nuova musa per le tue canzoni». 

"Oh... dritto al punto".

«Tu devi essere James», Castiel ignorò le sue frasi, si voltò e fissò gli occhi in quelli di Javier; l'espressione del viso non prometteva nulla di buono. 

«Javier Perez», lo corresse, porgendogli la mano per presentarsi. 

Castiel guardò di sbieco la mano di Javier e non la strinse. Tipico. 

«Javier, prima ti togli dal cazzo e meglio è...» gli sorrise con nonchalance. 

«Cass...» lo redarguii. 

«Mi avevi detto che questa sera lui non ci sarebbe stato», Javier mi ammonì, fissandomi scontroso. 

«Lei non ne sapeva nulla, infatti», s'intromise Castiel. 

«Nessuno ha chiesto il tuo intervento», replicò il mio quasi ragazzo. 

Restai impalata a fare da spettatrice allo scontro tra i due e ad alternare lo sguardo prima su uno e poi sull'altro. Come sarei uscita fuori da quella situazione imbarazzante?

«Ti sto solo illuminando», ribatté spocchioso Castiel. 

«Preferisco il buio».

«Oh... ti piacciono le corna in testa, potevi dirlo prima ed avrei provveduto subito», la rockstar ammiccò verso di me. 

Cosa diavolo stava dicendo? Feci per intervenire, ma fui battuta sul tempo. 

«A rendermi cornuto, siete già stati bravi entrambi», rispose stizzito Javier.  

«Hai visto le foto?» a quel punto intervenni. 

«La domanda dovrebbe essere un'altra: chi non le ha viste? Hanno già fatto il giro del mondo!» Castiel specificò, con superbia. 

«Restane fuori, Castiel» lo guardai di sbieco. 

Stava facendo di tutto per infastidire Javier. La situazione era già critica di per sé, non necessitavo di certo del suo zampino.

«Siamo già fuori, non vedi?» mostrò l'ambiente in cui ci trovavamo. 

«Che cretino...» mi portai una mano sulla fronte, incredula della stupidità inappropriata di Castiel in momenti seri come quello. 

«Solo per te», inarcò le labbra, provocatorio. 

Stava flirtando con me, davanti al ragazzo che frequentavo da qualche mese. Castiel non sarebbe mai cambiato, in fondo, e un po' mi rassicurò quel fatto. Lo guardai, sorridendo come un'ebete. 

«Disturbo?» Javier finse un colpo di tosse per attirare la nostra attenzione. 

«Sì, dovresti andartene tipo... ora!» rispose Castiel strafottente. 

«Ehi», lo schiaffeggiai sul braccio per incitarlo a smettere di essere irrispettoso nei confronti di Javier. 

«Sto dicendo semplicemente la verità e... Ehi, mi hai fatto male», si massaggiò la zona lesa, fingendo di provare dolore «dovresti darmi un bacino per aiutarmi a guarire e per essere perdonata», improvvisò un'espressione penosa. 

«Smettila Castiel, torna serio. Ora devo parlare con Javier», cercai di eliminare il sorriso sincero che mi spuntò sul volto per via della stupidità simpatica del vecchio Castiel. 

«Certamente, dopo mi manderesti a casa, a cuccia, come se fossi il tuo cagnolino fedele, così tu torneresti a sbaciucchiarti indisturbata con il tuo ex...» sibilò a denti stretti. 

«Ottima osservazione», lo schernì Castiel. 

«Non è così, Javier...» mi scolpai malamente. «Hai visto le foto, quindi?» ripetei per la seconda volta nel giro di pochi minuti. 

«Il problema principale è questo per te? Non sprechi neanche tempo a giustificarti, a tranquillizzarmi...» gli occhi verdi si scurirono, mi guardò come non aveva mai fatto. 

Javier era sempre stato un tipo pacato, tentava di risolvere tutto con la calma, ma quella sera, a quanto pareva, le cose sarebbero andate diversamente. 

«Non serve che lei si giustifichi con te, Fido», il disturbatore seriale Black continuò. 

«Ho bisogno di parlare da sola con Javier», comunicai a Castiel, seria. 

Mi scrutò per un attimo, poi si allontanò sbuffando e sollevando gli occhi al cielo, ma senza proferire parola; si poggiò al muro del locale e si accese una sigaretta. Non mi degnò più neanche di un'occhiata, mentre io non fui capace di distogliere lo sguardo dalla sua figura. Sebbene mi costasse molto ammetterlo, Castiel mi aveva sedotta di nuovo. 

Mi sforzai di voltarmi verso Javier per recuperare un po' di sanità.  

«Imbarazzante...» fece una smorfia disgustata «stai sbavando per lui, davanti a me», scosse la testa con l'intenzione di eliminare ciò a cui aveva appena assistito. 

«Non stavo sbavando, non l'ho mai fatto per nessuno!» mi difesi, aumentando la voce di un tono. Ovviamente non credevo neanch'io a ciò che stavo dicendo. «Comunque, tornando a noi...» mi schiarii la voce, «sarei ipocrita, se ti dicessi che quello che hai visto in foto non è reale», m'incoraggiai a dire la verità, era la cosa migliore da fare «Castiel è...» tentai di trovare le parole adatte, ma non ci riuscii. 

«Affascinante, spavaldo, imprevedibile. Lui è stato il tuo primo amore, lo capisco», tornò ad essere ragionevole «ed è anche un componente della mia band preferita, per mia sfortuna», ridacchiò «pur essendo etero, stento anch'io a resistergli», sospirò «ammetto che battibeccare con lui è... eccitante», terminò con un mezzo sorriso e sbirciò nella direzione di Castiel. 

Nella mia mente si proiettò un cortometraggio di un'ipotetica tresca tra Castiel e Javier. 

«Okay, questo è troppo da immaginare...» mi portai le mani davanti al viso e scossi la testa. «Possiamo tornare a parlare di noi due? Grazie!» poggiando la mano sul suo avambraccio destro, attirai nuovamente la sua attenzione. 

«Hai ragione, scusa. Ho questa tendenza innata a sdrammatizzare e sminuire sempre le cose, lo sai...» mi sorrise. 

Probabilmente, pochi minuti prima, si era sentito in dovere di mostrarsi forte davanti al nemico e aveva deciso di tirare fuori gli artigli, mentre con soltanto me davanti sapeva di poter abbassare le difese. Eppure, quel cambio repentino di umore, m'insospettì parecchio. 

«Mi dispiace che tu lo abbia saputo in questo modo...» mi riferii allo strano rapporto rinato tra me e Castiel. 

«Tranquilla, in fondo non è stato un vero e proprio tradimento; noi non stiamo ancora del tutto insieme, no?» 

Fu comprensivo, anche troppo per i miei gusti. Fu quasi snervante la sua gentilezza. 

«Sì, ma...» 

Non mi diede il tempo di proseguire che prese di nuovo parola «a proposito di questo, è da un po' che vorrei chiedertelo: vuoi metterti con me, Miki?» si avvicinò al mio volto e fissò i suoi occhi verdi lucenti nei miei «ormai sono mesi che ci frequentiamo, anni che ci conosciamo, credo siamo pronti a fare il passo successivo», mi carezzò le guance, lasciandomi totalmente inebetita. 

Quale ragazzo sano di mente avrebbe chiesto ad una ragazza di stare insieme, dopo aver visto delle foto che la ritraevano in atteggiamenti intimi con un altro? A quanto pareva solo Javier. 

Istintivamente, roteai il capo in direzione di Castiel. Era ancora lì. Aveva terminato di fumare la sua sigaretta e se ne stava immobile, con le mani in tasca, un piede poggiato al muro e il capo rivolto verso il cielo ad osservare le stelle; magari era alla ricerca di quella che portava il nome Ariel... Ad un tratto, come per magia, percepì una forza superiore attrarlo e fu proprio il mio sguardo che trovò. Ci guardammo con intensità, come se non esistesse nessun altro al di fuori di noi, come se non fossimo davanti ad un locale notturno con altri soggetti a fare da spettatori, come se non avessi appena ricevuto una proposta di fidanzamento, come se non fossero trascorsi anni di lontananza sulle nostre teste, sui nostri cuori. 

Era sul serio la serenità e la noia di una storia qualsiasi, quella che volevo?

«Io...» ce la misi tutta a cercare le parole adatte, ma senza risultati. 

La suoneria del telefono nella mia pochette mi fece sussultare, ma non riuscii a muovere alcun muscolo del corpo per afferrarlo e rispondere a chiunque mi stesse chiamando. 

«Lo ami ancora?» la voce appena udibile di Javier mi fece voltare di scatto verso di lui, interrompendo il gioco di sguardi con Castiel. 

Quella domanda mi ustionò lo sterno e la mente. Perché non c'erano risposte adatte per il sentimento particolare che ancora mi legava a Castiel. 

«Io...» ripetei per l'ennesima volta nel giro di pochi secondi. 

«Dobbiamo andare», la voce allarmata di Castiel e le sue mani intorno al mio polso, mi fecero sussultare. 

«Che dici? Dove?»

«Flora è scomparsa», disse d'un fiato, mentre posava il telefono nella tasca posteriore dei suoi jeans. 

«Stai scherzando?»

Ero incredula. 

«Ti sembro il tipo che scherza su queste cose?»

Effettivamente... L'espressione tesa del suo volto mi convinse che stesse dicendo la verità. E a quel punto entrai in panico. Flora non era solita uscire di notte, non era una ragazza ribelle, per cui doveva esserci per forza qualcosa che non andava. 

«Teresa ha provato a chiamare te prima di avvertire me, ma tu eri troppo impegnata per rispondere», terminò infastidito.

«Vengo con voi!» s'impicciò Javier. 

«NO!» urlammo all'unisono io e Castiel. 

Javier non insistette, mi salutò con un bacio sulla guancia, mi rassicurò che avremmo ripreso il discorso interrotto da Castiel in un altro momento e si dileguò nel buio, sconfitto. 

«Andiamo!» la rockstar, senza mollare la presa del polso, mi trascinò fino ad una Range Rover nera e mi aprì lo sportello «sali!» mi fece cenno, mentre lui si accomodò dal lato guida. 

Una volta dentro l'auto, cercai di raccogliere le idee per capire cosa diavolo stesse accadendo e Castiel mi aiutò nell'intento. 

«Dove andiamo?» gli chiesi.

«Per ora a casa Duval, per capire meglio come poterci muovere», mise in moto e partì. 

«D'accordo... Potresti spiegarmi qualcosa in più?» 

Conoscevo così pochi dettagli e c'erano così tante cose importanti in ballo che avrei potuto impazzire. 

«Teresa si è svegliata assetata e, mentre si recava in cucina per andare a bere, ha notato la luce accesa della cameretta di Flora. L'ha raggiunta per spegnerla, pensando si fosse addormentata, ma ha trovato solo un letto vuoto e il computer aperto su una pagina facebook che deve aver creato qualcuno, caricando dei fotomontaggi porno raffiguranti Flora, Teresa e altri uomini; hanno anche scritto delle frasi cattive e hanno inserito il numero telefonico di Flora per... diciamo "prenotare le sue prestazioni". Teresa ha trovato anche lo smartphone con oltre cinquanta chiamate perse di numeri diversi, probabilmente di porci che chiedevano quanto costasse... Quindi Flora è fuggita senza niente, non possiamo rintracciarla in alcun modo...» 

Castiel parlò velocemente, come non aveva mai fatto e non ebbi il tempo di assimilare tutte quelle informazioni, così entrai in panico. 

Quel racconto mi fece rabbrividire. Non potevo neanche lontanamente immaginare come doveva essersi sentita Flora, dopo quel colpo così basso. Chi mai avrebbe potuto architettare un piano così subdolo per fare del male ad una dolce e innocente bambina? Un nome prese improvvisamente a vorticare nella mia testa e non se ne andò più. Debrah. Lei non se ne sarebbe mai andata. Ogni cosa tornava imprescindibilmente a quella ragazza folle. Era ritornata all'attacco, ne ero quasi certa, ma quella volta non ero io il suo obiettivo.

«Pensi sia scappata, non che l'abbiano rapita?»

A quel punto nulla era da escludere. Con Debrah di mezzo, doveva esser presa in considerazione qualsiasi cosa, anche la più assurda. 

«Sì, altrimenti lei...» si bloccò improvvisamente. 

«So che è stata Debrah, puoi dirlo ad alta voce... non mi spavento», pronunciai, esausta. 

Perché la mia vita doveva girare sempre intorno a lei? Ero stanca di rientrare perennemente in quel circolo vizioso con sopra riportato il suo nome. 

«Come fai a saperlo?» prima di parlare, ebbe un attimo di tentennamento. 

Doveva sapere qualcosa che io ignoravo. 

«Chi altro potrebbe voler male a Flora? Siamo diventate amiche e mi avrebbe avvertita di eventuali nemici a scuola o altro... L'unica persona che la odia da qualche tempo è proprio Debrah. Il modo crudele di agire è il suo, quindi non può essere una semplice coincidenza...» 

Dovetti giungere a quelle conclusioni, a malincuore. 

«Hai avuto la giusta intuizione, purtroppo», strinse il volante tra le mani e corrugò la fronte, mentre restava concentrato sulla strada. 

«Cosa sai che io non so?» 

Apparve quasi come uno scioglilingua, ma non mi preoccupai di cercare parole migliori per spiegarmi. L'ansia si era impossessata di ogni cellula del mio corpo; temevo che potesse esser accaduto qualcosa di brutto a Flora, la mia sorellina... Sì, ormai la consideravo tale. Le volevo bene, era una delle due persone più importanti della mia famiglia. Era la sorella migliore che potessi desiderare. 

«Avevo promesso che non ti avrei raccontato nulla, ma ormai...» temporeggiò dal rivelarmi ogni cosa. 

«A chi lo avevi promesso? Parla!» m'imposi, impaziente. 

«Ieri Teresa ha trovato un biglietto sotto la porta; io invece oggi. Per questo motivo ero titubante sul venire o meno al locale e, quando i paparazzi ci hanno fotografato, ho avuto quella reazione».

Tutto tornava... 

Qualche ora prima, avevo avuto una reazione esagerata ed ero stata impulsiva. Avrei dovuto immaginare che dietro alla reazione esagerata di Castiel alla vista dei paparazzi, doveva per forza esserci qualche piano insulso di Debrah. Castiel non aveva colpe. Nonostante compresi il suo atteggiamento e la sua preoccupazione, decisi di non farglielo presente. Sarebbe stato meglio per tutti. 

«Che genere di biglietto?» mi concentrai su quello.

«Tieni», sospirò, dalla tasca posteriore dei jeans afferrò un foglietto bianco stropicciato e me lo porse.  

Lo lisciai e lo aprii per leggerlo. 

"Non avresti dovuto abbandonarmi. Non saresti dovuto ritornare. Se ti avvicinerai ancora a lei, ne pagherà le conseguenze. O con me o con nessuno, ricordi Mary?"

Mary era l'amica di Castiel che Debrah aveva quasi ucciso. Lo aveva minacciato che mi avrebbe fatto fare la stessa fine. Non avevo idea di come dovessi sentirmi a riguardo. La mia vita era in pericolo ma non ero impaurita, probabilmente perché, dopo la rivelazione di Castiel di qualche mese prima, avevo già metabolizzato quell'eventualità.

«Quello di mia madre, invece?»

«Non hai nient'altro da dire al riguardo?» mi guardò di sottecchi, preoccupato, riferendosi alle minacce della sua ex. 

«Pensavi che sarei scappata, una volta letto il messaggio?»

«No, ma...» 

Bloccai qualsiasi cosa stesse per dire «Non mi fa paura, Castiel. Penso solo che dovrebbe essere rinchiusa in carcere o in qualche centro per essere curata e spero di riuscire nel mio intento», esposi il mio punto di vista con pacatezza. Mi stupii persino io di me stessa. 

«Sei una ragazza coraggiosa, Miki», portò una mano sulla mia gamba sinistra e me la carezzo per qualche istante, poi la riportò sul volante. «Sul biglietto per tua mamma c'era scritto qualcosa del tipo: "Respira finché puoi. Ridi finché riesci. Poi riderò io. Sul vostro cadavere", romantico, vero?» sdrammatizzò, per stemperare la tensione. 

«Dio mio!» portai le mani davanti al volto e le sfregai per la frustrazione. 

Come si poteva arrivare a tanto? Non eravamo noi la causa delle sue sconfitte, ma lei stessa. Lei aveva allontanato Castiel, e la sua famiglia per via di atteggiamenti disturbati; io, mia mamma e Flora non avevamo neanche minimamente partecipato alla generazione di quelle catastrofi.  

«Potremmo denunciarla per minaccia di morte o qualcosa del genere?» chiesi a Castiel, dopo qualche minuto di silenzio passato a riflettere. 

«Si può fare, ma se ne uscirebbe con una multa e non l'arresterebbero senza prove. I bigliettini non sono abbastanza». 

Castiel sembrava sicuro di quello che stava dicendo, probabilmente aveva già pensato d'incastrarla in qualche modo, ma non aveva mai trovato il modo per farlo. 

«Se provassimo che c'è lei dietro la pagina infamante di Facebook, forse potremmo riuscirci». 

«Questo sì», Castiel, con un cenno del capo, concordò con me. 

«Bene, allora prima pensiamo a trovare Flora». 

La priorità era quella piccola ragazza indifesa e pura, poi, una volta accertati del suo benessere, avremmo pensato al resto. 

«Visto che ormai la conosci meglio di me, dove andresti in un momento come questo, se avessi bisogno di evadere dai problemi e se fossi in lei?» mi chiese per incentivarmi a ragionare. 

«Il suo posto preferito è un parco giochi vicino casa», fiduciosa, alzai lievemente il tono di voce. 

«Perfetto. Andiamoci!»

Presi il telefono dalla pochette e chiamai mia madre per avvertirla, mi rispose al secondo squillo. La sua voce era agitata, afflitta, tremante. Le comunicai dov'eravamo diretti e mi disse che lei avrebbe raggiunto un altro posto in cui Flora usava andare solitamente. 

«La troveremo, mamma. Sta' tranquilla, non può esserle accaduto nulla di brutto» e con quelle parole provai a rassicurare anche me. 

Teresa mi ringraziò per l'aiuto e subito dopo chiudemmo la chiamata. 

Osservai la strada scorrere dietro il finestrino, assorta nei pensieri e sospirai. Fino a quel momento, avevo cercato di essere forte, di sostenere e rasserenare mia madre, ma in realtà non ero poi così sicura dell'esito che avrebbe portato quella ricerca. 

«E se Debrah l'avesse rapita? Se le avesse fatto del male?» la voce mi s'incrinò, verso la fine. Abbassai il volto e sfregai le mani sudaticce sulle gambe.

Castiel parcheggiò l'auto nei pressi del parco, spense i motori, si tolse la cintura di sicurezza e roteò il busto nella mia direzione. 

«Ehi», con pollice e indice sotto il mento, mi sollevò il viso. 

I miei occhi neri si scontrarono con i suoi grigi, che mi tranquillizzarono all'istante. I ruoli s'invertirono; solitamente ero io a dover tranquillizzare lui per i mille guai causati dalla sua ex. 

«La troveremo», mi sfiorò dolcemente la guancia «se l'avesse rapita o altro, avrebbe agito diversamente», mi calmò con la sua voce carezzevole e sicura. 

Poggiai la mano destra sulla sua, che si trovava ancora sulla mia guancia e accennai un sorriso. 

«Muoviamoci, allora», sciolsi quello strano intreccio di mani e aprii la portiera, scendendo dall'auto. 

Castiel mi seguì. 

Entrammo nel parco giochi. Non era molto grande, per cui non ci avremmo impiegato tanto a setacciarlo per cercare Flora. Appena misi piede sul viottolo di pietre, fui circondata dal verde dei prati che ricoprivano tutta la grandezza del parco. Sul lato sinistro si trovavano i giochi per i bambini, come altalene e scivoli di ogni tipo, mentre sul lato destro c'era una pista di skateboard; più in là, un labirinto ed una stradina che portava ad uno spazio verde con panchine di legno ed un chiosco per le bevande che ovviamente, a quell'ora della notte, era chiuso. 

«Da dove iniziamo?» chiesi spaesata, guardandomi intorno. 

L'assenza di passanti e il buio, a causa dei pochi lampioni sparsi qua e là, non ci avrebbero aiutati per nulla nella ricerca. Erano ormai le tre di notte e un parco vuoto non era di certo tra i posti più raccomandabili in cui stare. 

«Vieni con me», Castiel mi strinse la mano e mi guidò verso le panchine alla fine del parco. 

Chiamammo Flora a squarciagola e Castiel accese la torcia del telefono per vedere meglio, ma non c'era traccia di lei. 

«E se Debrah l'avesse rapita per davvero?» ripetei, tremando al sol pensiero. «E se le avesse già fatto del male?» iniziai a singhiozzare. 

Non riuscivo proprio a mantenere la calma, sapendo Flora in pericolo da qualche parte. Non potevo accettare di perdere una sorella, né la mia famiglia poteva esser squarciata così, dopo aver atteso una vita intera per averne una.

«Ariel», la voce rassicurante di Castiel mi scaldò il cuore «calmati», portò entrambi le mani ai lati del mio viso «ci sono io qui con te», fissò gli occhi nei miei e mi persi nella sua nebbia grigia. 

«Non dovrei essere così pessimista, lo so», mi scusai per i piagnistei a cui era stato costretto ad assistere ed abbassai il volto. 

Non ero abituata a piangermi addosso, a mostrarmi indifesa e non avrei dovuto farlo neanche in quell'occasione. Dovevo essere forte. Per me; per mia madre; per Flora. 

«Non fingerti forte, non serve. Non con me», mi sollevò nuovamente il volto per potermi guardare «Sfogati. Non è facile avere a che fare con una pazza, determinata a ferire te e la tua famiglia», il suo sguardo, all'improvviso, divenne assente. «E pensare che questa è tutta colpa mia...» digrignò i denti, sciolse il contatto con la mia pelle e strinse le mani a pugno lungo il busto. 

Si stava colpevolizzando per qualcosa che non dipendeva da lui. Non del tutto. Debrah era intenzionata a farci del male solo perché era lei a volerlo. 

«Tu non hai colpe, Cass» allungai una mano verso di lui, ma la lasciai a mezz'aria perché s'incamminò verso i giochi del parco, lasciandomi indietro. 

Lo seguii senza proferire parola. 

Dopo qualche secondo, fermò la sua falcata, si girò verso di me e per poco non sbattei contro il suo addome. «Non permetterò che lei vi faccia del male, non questa volta».

E nel buio della notte suggellò quell'ultima promessa. Mi comunicò con solennità le sue intenzioni ed io non potei far altro che pendere dalle sue labbra per l'ennesima volta. Mi fidai nuovamente di lui e finalmente riuscii a placare i miei tormenti interiori. 

Avremmo trovato Flora; Debrah non ci avrebbe fatto del male; Debrah sarebbe stata punita dalla legge per i molteplici reati commessi sin da quando era piccola; sarei tornata a vivere la mia vita senza di lei, come se lei non fosse mai esistita. Chiusi gli occhi, inspirai, espirai ed impressi il futuro nella mente. 

Giungemmo nei pressi dei giochi per bambini e squadrammo ogni angolo con la speranza d'intravedere una dolce ragazzina dagli occhi di ghiaccio spuntare da qualche parte. 

«Gr-» ero sul punto di ringraziare Castiel per la vicinanza mostratami in quelle ultime ore, ma qualcuno me lo impedì. 

«Miki», la voce e le braccia di Flora mi strinsero con calore, facendomi quasi saltare per la gioia. 

Riaprii le palpebre e, nonostante il buio pesto, riconobbi gli occhi chiari della mia sorellina. Lei era lì. Non era stata rapita, non l'avevano uccisa e di primo acchito non le avevano storto neanche un capello. La mia piccola e innocente Flora...

«Sei qui», dopo un attimo di stordimento iniziale, la strinsi talmente forte tra le braccia che rischiò il soffocamento. «Stai bene», la squadrai, la girai e voltai come fosse una bambola, per assicurarmi che fosse incolume, «sei tutta intera» e infine mi lasciai sfuggire delle lacrime liberatorie. Lei mi seguì, piangendo e allacciandomi le braccia al collo. 

Castiel si fece da parte, andandosi ad accomodare su una panchina poco più lontana e si accese una sigaretta. Un'altra. Non aveva smesso? Avrei dovuto redarguirlo, non appena la situazione di Flora si fosse sistemata. 

«Non avrei voluto farvi preoccupare», singhiozzò. «Avevo solo bisogno di allontanarmi da casa, dalla tecnologia, da...» Flora non riuscì a concludere la frase a causa del pianto disperato e liberatorio che la colpì. 

«Stai tranquilla, è tutto a posto», le carezzai il capo e le diedi un bacio tra i capelli profumati alla camomilla «risolveremo ogni cosa insieme», tentai di tranquillizzarla «adesso ci sono io qui con te». 

Lasciai che si sfogasse tra le mie braccia e, quando il pianto si placò, l'allontanai leggermente per poterle asciugare le lacrime dal volto. Debrah non avrebbe avuto la soddisfazione di aver annientato psicologicamente sue sorella. Lei non avrebbe vinto. Non quella volta. 

Afferrai il cellulare dalla pochette per avvertire mia madre e tranquillizzarla, ma non rispose. Così optai per mandarle un messaggio: "Flora è con me. L'abbiamo ritrovata. Torna a casa, tra poco ti raggiungiamo". Quello fu il messaggio più bello che avessi mai inviato.  

«Sai tutto quello che è successo?» quando me lo chiese, non riuscì a guardarmi negli occhi. 

Quasi come se fosse realmente colpevole, come se si vergognasse. 

Feci un cenno di assenso e non aggiunsi altro. Quella giornata era già stata abbastanza traumatica per lei, non necessitava di altre informazioni sconvolgenti. Avremmo affrontato il problema in un secondo momento. 

«Io...» si coprì il volto, imbarazzata «non ho mai fatto quelle cose», proseguì con voce tremante. 

«Non ho mai dubitato di questo, piccola», le carezzai la guancia arrossata e umida dalle lacrime versate fino a pochi minuti prima. 

«E come farò a convincere gli altri della mia innocenza?»

«Non hai bisogno di convincere nessuno. Le persone intelligenti, capiranno da sole il tarocco che c'è dietro e non faranno mai più neanche un breve accenno alla storia, mentre gli ignoranti... be', lasciamoli pure marcire nella loro stupidità. A cosa ti serve avere intorno gente inetta? Prima li elimini dalla tua vita, meglio è per tutti», le consigliai, sdrammatizzando e sorridendole. 

«Chi può avermi fatto questo?» 

Implorò risposte che non ero certa di poterle dare senza arrecarle ulteriori ferite. 

«Qualcuno che non ha mai meritato il tuo bene...»

Avrebbe dovuto scoprirlo da sola. Per quel giorno aveva già sofferto abbastanza. 

Poteva essere che non sospettava neanche un po' della colpevolezza di Debrah? Era davvero così ingenua da non rendersi conto dell'invidia suscitata in lei?

«Una sorella non potrebbe mai fare una cosa del genere...» ragionò. 

Quindi aveva delle perplessità sul conto di Debrah. Perfetto. 

«Purtroppo devo correggerti: delle sorelle amorevoli come noi, non farebbero mai una cosa del genere, mentre...» lasciai la frase in sospeso, proprio per farle comprendere, a poco a poco, la verità dei fatti. 

«Ho sempre avuto dei sospetti su di lei», mi rivelò senza bisogno di specificare il nome, «ma ho sempre voluto darle fiducia e l'ho fatto fino ad oggi, commettendo l'errore più grande», per un attimo, il suo viso si adombrò. «Adesso però, per fortuna ho te...» sorrise tristemente, scosse la testa per scacciare la delusione provata per Debrah, ricacciò indietro le lacrime e mi abbracciò. «Ti voglio bene, sorellona», poggiò la testa sulla mia spalla e per poco non scoppiai a piangere per la commozione. 

Flora era una ragazza forte, più di molte sue coetanee e di altre anche più grandi di lei. Era matura, nonostante fosse scappata dai problemi per qualche ora. Ed eccola lì, a discutere sulle avversità della vita e sui colpi bassi sferrataci dalle persone a noi care. 

Ero orgogliosa di essere sua sorella. 

Ero così fortunata ad averla conosciuta, trovata... Da quel giorno in poi, dopo averla quasi persa e aver lottato per ritrovarla, avrei dato più valore ad ogni momento trascorso con lei e con la mamma. 

«Ti voglio bene anch'io, sorellina», le scompigliai i capelli affettuosamente «ma la prossima volta guai a te, se non mi avverti», mi riferii a quello che le era accaduto. 

Se mi avesse chiamata, di sicuro mi sarei precipitata da lei e non sarebbe scappata nel cuore della notte, facendo venire diecimila infarti a tutti i suoi cari.

«Lo so, mi dispiace di avervi fatto preoccupare, ma volevo lasciarti godere la serata con Castiel», replicò dispiaciuta. 

«Tu sapevi che sarebbe venuto?»

«Ovvio», mi guardò con espressione furba «secondo i nostri piani, lascerai presto Javier». 

Nonostante la loro continua fissazione a volermi vedere a tutti i costi con Castiel, fui contenta per il cambio positivo d'umore di Flora. 

«A proposito...» mi avvicinai alla panchina in cui ancora era stravaccato Castiel e trascinai con me anche mia sorella «Grazie Castiel», mi rivolsi direttamente a lui «Grazie per il supporto e l'aiuto», divenni paonazza, ma ringraziarlo era il minimo che potessi fare «senza di te, non ce l'avrei fatta», gli sorrisi calorosamente. 

Quelle parole fuoriuscirono dal profondo del cuore ed erano veramente sentite. Senza l'aiuto di Castiel, sarei sprofondata a causa dell'ansia, disperazione e paura. In quelle ultime ore, lui era stato il mio pilastro, la mia ancora. 

«Non ringraziarmi», si alzò e mi si parò davanti in un metro e ottanta di bellezza. «Tu hai fatto molto di più per me», poggiò una mano sulla mia spalla libera e la pelle bruciò. «Non dimenticherò mai la tua vicinanza nei momenti più brutti della mia vita. Tu ci sei sempre stata, anche quando non lo meritavo e considera questo come un modo per sdebitarmi o ringraziarti di tutto il bene che mi hai donato in passato», spostò la mano sul mio petto, in direzione del mio cuore, per sentirne i battiti «E poi... Tu ricordi perché lo facevi? Perché mi aiutavi, nonostante ci parlassimo a stento per via dei mille problemi?» 

Cosa stava cercando di dirmi? Rievocai alla mente tutte le volte in cui lo avevo sostenuto: l'operazione di Demon, la malattia di Adelaide, i ricatti di Debrah. Mai una volta avevo tentennato o avevo valutato l'opzione di non supportarlo, e lo avevo fatto perché i sentimenti per lui superavano qualsiasi nostro diverbio. Perché io lo amavo. Avrei fatto di tutto per lui; così come aveva fatto Castiel per me, per ritrovare mia sorella. Sgranai gli occhi dinanzi a quella realizzazione. Quindi lui potrebbe...

Flora assistette felice a quella scena, le mancavano solamente i pop corn per essere considerata una spettatrice perfetta.  

«La risposta è dentro di te da molto tempo. Devi solo trovare il coraggio di farla uscire fuori», infierì mia sorella, sussurrandomi all'orecchio e ridacchiando. 

Fui sollevata a vederla così tranquilla, probabilmente le mie rassicurazioni avevano sortito in lei l'effetto sperato. 

«Certo, ma adesso non è momento... Abbiamo cose più importanti a cui pensare», risposi con una scusante sia a Castiel che a Flora «come riportare questa marmocchia a casa e far chiudere quel profilo falso». 

Condivisero il mio pensiero e si allontanarono entrambi da me, pronti per rientrare a casa. 

«Dimmi, Marcel», udii a stento la voce di Castiel, mentre giungemmo alla sua auto. 

Al momento, ero troppo sollevata per curarmi di qualsiasi altra cosa, per cui non ascoltai la sua conversazione al telefono. Non mi sarebbe interessato neanche se avesse avuto ulteriori informazioni su Debrah. Avevo altre priorità. Proseguii a rassicurare Flora; che avremmo eliminato ogni traccia di quella pagina Facebook fasulla e che avrei provveduto io stessa a comprarle un nuovo numero telefonico, così non avrebbe più ricevuto chiamate sconosciute e indesiderate. L'avrei accudita, protetta e tutelata come se fosse il bene più prezioso e fragile al mondo. E lo era... la mia sorellina. 

«Miki...» la voce preoccupata di Castiel mi fece voltare di scatto nella sua direzione. 

Il cellulare gli cadde di mano, atterrando sul prato verde, mentre i suoi occhi si sgranarono e lo sguardo gli divenne ansioso. Fu come avere un déjà-vu. Fu come tornare a poche ore prima. 

«Mi dispiace», si fiondò su di me e mi strinse forte tra le sue braccia. 

Il mio cuore inevitabilmente aumentò i suoi battiti, sia per la vicinanza a lui sia per l'ansia di scoprire la novità che lo aveva spaventato così tanto. 

«Che succede?» mi allarmai all'istante. 

«Io...» sussurrò incerto, vicino al mio orecchio. Sembrava non volesse farsi sentire da Flora. «Tua mamma ha avuto un grave incidente», bisbigliò lentamente, come per voler alleggerire il peso di quella notizia. 

Ma non ci riuscì, perché quella bomba mi sconquassò il petto. 

Mia madre aveva avuto un incidente. Un grave incidente. Fui terrorizzata dalla presenza di quell'aggettivo nella frase.  

E il mondo si fermò. 

«C-come? C-osa s-stai dicendo?» mi allontanai di scatto da lui, incredula. 

Non poteva accadere tutto a noi. Non ora. Non dopo esserci ritrovate. 

«Cos'è successo?» anche Flora, di conseguenza, si agitò. 

Castiel si prese del tempo prima di darci delle spiegazioni reali, strinse gli occhi, si passò una mano tra i capelli ed infine ci uccise con le parole. 

«Teresa, mentre attraversava la strada, è stata investita da un'auto in corsa».

 

 

 

______________

 

🌈N.A.🌈

BOOOM... Che ritorno esplosivo dopo un mese di silenzio, eh? 

Volevo scusarmi per non aver potuto aggiornare prima, ma gli esami universitari mi stanno tenendo occupata tutto il tempo :( 

Però mi farò perdonare. Il prossimo capitolo, riuscirò a pubblicarlo tra circa 10 giorni. 

Ora veniamo a noi. 

Lysandre :) io lo amo, voi? Vi aspettavate tutto questo tormento dentro di lui? Cosa sarà successo tra lui e Rosalya, una volta dentro casa di lei?

Castiel e Javier si sono finalmente conosciuti ahah, ma non è finita qui. Ci saranno altre scintille fra loro🔥

Javier: è normale la sua reazione contraddittoria? Pensateci. 

Flora per fortuna sta bene <3 credo sia normale la sua reazione. 

L'incidente che ha avuto Teresa, è davvero così grave? 

So che in questo capitolo ci sono stati pochissimi momenti Mikistiel, ma torneranno presto 💖

Adesso vi saluto. 

Alla prossima

All The Love💖

Blue :3

 

  
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