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Autore: Evali    01/08/2020    1 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Siamo nati per essere come siamo
 
- “Il cielo oscurava gli abissi.
Il carro continuava ad andare giù, verso la vallata.
Le belve ululavano e rag… ragh-”
- “Ringhiavano” – disse Blake, correggendo il suo fratellino durante una delle loro segrete e fugaci lezioni di lettura e scrittura. – Va’ avanti, stavi andando bene – lo incoraggiò il ragazzo seduto sul tavolo, accanto a Ioan, non staccando gli occhi dalle carte sulle quali stava segnando e calcolando alcuni conti.
- “Le belve ululavano e ringhiavano sopra la roccia dell’anima.
Vuoi donarmi qualcosa di te, danzatrice spirante?
Vuoi darmi la tua mente o il tuo … o il tuo …” – Ioan si bloccò ancora, aggrottando la fronte e aguzzando gli occhioni mentre fissava le lettere scritte sul libro con faticosa insistenza. – Even? – si arrese dopo qualche istante, alzando il viso amareggiato verso suo fratello. – Even?
Al secondo richiamo, Blake alzò a sua volta gli occhi dalle sue carte e lo guardò interrogativo. – Cosa c’è? Qual è la parola che non riesci a leggere? – gli domandò paziente, affacciandosi sulla pagina aperta dinnanzi a Ioan, il quale gli indicò il punto preciso.
- Davvero? Non riuscivi a leggere “il tuo respiro”? Ci sono parole molto più difficili di quella e sei riuscito a leggerle senza difficoltà.
- Non è quello – rispose il bambino abbassando lo sguardo.
- Cosa, allora? Sei stanco? Vuoi che ti accompagni a letto?
- No, non è neanche quello.
Blake affilò lo sguardo, confuso. – Christopher? Se non provi a spiegarmi cos’hai non posso aiutarti. Avanti, fai uno sforzo – lo incoraggiò.
A ciò, il bambino alzò il viso su di lui. – Non vedo bene le figure. Nel senso che vedo male alcuni contorni, delle lettere. A volte si confondono tra loro.
A tali parole, Blake realizzò e si inginocchiò dinnanzi al suo fratellino. – Per caso, vedi sfocati anche gli oggetti e le persone, a volte?
Egli annuì, a ciò Blake gli sorrise teneramente dal basso, guardando in quegli occhi tanto familiari. – Non temere, Christopher. Hai solo dei piccoli problemi di vista. So io cosa fare, ma prima voglio accertarmi di qualcosa – gli disse, per poi rialzarsi in piedi, strappare un foglio vuoto dal suo taccuino e scriverci sopra tre numeri casuali, a grandezze differenti. Dopo di che, alzò il foglio davanti a Ioan, ponendoglielo a distanza ravvicinata. – Che numeri vedi scritti?
- Quattro, sette e nove – rispose senza esitazione il bambino.
- Ora? – gli domandò dopo essersi allontanato di un passo.
- Riesco a vedere bene solo il sette e il nove.
- Ed ora? – chiese nuovamente ponendosi ancora più distante.
- Solo il nove, a malapena.
- Bene, non preoccuparti, ci penserò io – lo rassicurò riavvicinandoglisi. – Andrò dal mastro più tardi e ti farò preparare le lenti da vista più belle e comode di tutta Bliaint – disse sorridendogli, per poi chiudere il libro e cominciare a sgomberare il tavolo. – Nostra madre non deve trovare neanche un singolo foglio scritto, né carboncini o inchiostro, altrimenti ucciderà prima me e poi te. Sai cosa devi fare.
Riprenderemo con la nostra lezione domani sera, quando uscirà a pregare.
Ioan annuì. – Nascondo il libro sotto il camino, dove non controlla mai.
- Bravo bambino.
- Blake? Perché la mamma si infurierebbe tanto se scoprisse che mi stai insegnando a leggere e a scrivere? – domandò innocentemente.
- Perché lei crede che chiunque coltivi la sua curiosità, le sue passioni o i suoi talenti nel caso in cui non siano utili per la professione che svolgerà, pecchi di superbia – gli rispose secco il ragazzo. – Abbiamo la sfortuna di vivere in un villaggio in cui lo credono tutti.
- Ma se tutti lo credono … come facciamo a sapere che sia giusto quello che stiamo facendo?
A tale domanda, Blake si sedette nuovamente accanto al suo fratellino e gli prese la mano. – Guardami, Christopher e tieni a mente quello che ti dico: non sentirti mai, mai in errore nel fare qualcosa che ami fare.
Ti potranno dire quello che vogliono, ma ricordati che sarai sempre e solo tu quello che riuscirà a scegliere al meglio per se stesso, a sapere cosa ti rende felice.
Inoltre, leggere e scrivere ti sarà sempre utile, non dimenticarti neanche questo.
Se sarai in pericolo, se dovrai scappare di qui un giorno e addentrarti in un luogo che non conosci, saper leggere e scrivere potrebbe letteralmente salvarti la vita.
Non ci sarà mai niente di male nel vivere come vogliamo.
Questo, però, non dirlo mai ad alta voce – concluse Blake dando un buffetto sul naso di Ioan, mentre quest’ultimo sorrideva.
Dopo poco, il bambino cominciò a tossire senza sosta.
- Vieni, ti porto a letto e ti do la medicine – disse Blake prendendolo in braccio e conducendolo nella sua camera.
Una volta posato nel letto e coperto, la tosse del bambino si placò un po’ e questo rivolse gli occhi stanchi a suo fratello, in ginocchio accanto al giaciglio. – Even … credi … che riuscirai mai a trovare una cura per il mio male?
- Non lo credo, Christopher. Ne sono totalmente certo.
Promesso.
 
Judith sfogliò veloce e attenta le pagine del grande tomo, il quarto che consultava quella mattina, fin quando il suono delle nocche battute sulla porta della biblioteca non la distolse dalla sua consultazione.
Chiuse il tomo e si diresse ad aprire, trovando dinnanzi a sé padre Cliamon, uno dei monaci con i quali era più legata. – Sì?
- Stai leggendo ancora, cara? – le domandò questo, sorridendole con i suoi ridenti occhi piccoli e allungati e la testa tonda, schiacciata e calva.  
- Sì, padre. Avete bisogno di una mano con i preparativi per la funzione che si terrà tra qualche ora?
- Oh, per quello non preoccuparti, Judith, ci penseranno padre Petrit e padre Thomas oggi ad aiutarmi. Sono venuto a chiamarti per dirti che di là c’è qualcuno che vorrebbe parlarti. Uno straniero, un certo padre Craig.
Sorpresa, Judith annuì e uscì dalla biblioteca, chiudendo la porta a chiave, per poi recarsi nel salone principale totalmente vuoto, eccetto per la sola presenza dell’ospite che la attendeva.
Individuò il giovane padre inginocchiato dinnanzi all’altare sul quale troneggiava il crocifisso a grandezza naturale. Lo raggiunse e lo affiancò, attendendo rispettosamente che egli si facesse il segno della croce e terminasse le sue preghiere. Dopo di che, padre Craig si rialzò in piedi e le rivolse uno dei suoi timidi e discreti sorrisi. – Buongiorno, Judith – le disse, per poi prendere posto accanto a lei, in una delle sedie della navata.
- Buongiorno a voi, padre. La funzione inizierà tra qualche ora.
- Lo so, ma sono qui per voi. Non abbiamo avuto più occasione di parlare dopo ciò che è accaduto due giorni fa, al matrimonio – iniziò il giovane padre. – Voi, per caso, vi ricordate cosa è accaduto due notti fa? Serbate qualche sprazzo di lucidità? Ma, prima di ogni altra cosa, state bene?
- Sì, sto bene. Perché me lo domandate?
- Blake era ferito la mattina dopo, e io avevo male in diverse parti del corpo.
Sapete, Blake sembra non ricordare nulla, e neanche Heloisa e Rolland, a quanto dicono.
Tuttavia, mi sto chiedendo se è davvero possibile che nessuno ricordi nulla di quella notte.
Vorrei sapere cosa è accaduto esattamente.
- Perché la domanda vi preme tanto, padre? – gli domandò Judith apparentemente tranquilla a riguardo.
- Perché tutto ciò è privo di logica … vorrei poter sapere per quale motivo non ricordo, perché ero così scosso e destabilizzato la mattina seguente, vorrei sapere se ho fatto del male a qualcuno, se io … - si bloccò.
- Cosa, padre? – lo incentivò la ragazza. – Volete sapere se avete commesso peccato?
Il giovane padre alzò lo sguardo su di lei senza riuscire a nascondere il suo profondo turbamento.
Alla vista di quel volto tanto perso e amareggiato, Judith prese un bel sospiro e spostò gli occhi dinnanzi a sé, nel vuoto, prima di parlare. – In queste cerimonie si usa sottoporsi spesso a riti particolari e fuori dal comune, padre.
- Con riti intendete incantesimi … ? – domandò allibito l’uomo, sull’orlo di un mancamento.  
- Voi non lo sapevate, padre, non vi avete preso parte consensualmente.
Si può dire che ci siete capitato dentro senza accorgervene, il vostro Signore vi perdonerà per questo alla prossima confessione, poiché non avete nessuna colpa – lo tranquillizzò. – Il rito dello specchio è una consuetudine. Non sempre si effettua l’incantesimo completo sull’intera folla di invitati, ma quando accade, da una parte, c’è sempre il rischio che gli eventi degenerino.
- Che cosa intendete?
- Io sono ancora giovane, padre, perciò non dovrebbe risultarvi difficile credere che, sinora, a tutti i matrimoni a cui ho partecipato non è mai accaduta una cosa simile. O, almeno, non è giunta fino al punto in cui è giunta due notti fa – ammise la ragazza. – Sicuramente anche per Blake sarà stato così, per questo lo avrete visto spaesato.
- Che cosa accade solitamente …?
- Se vi è una perdita di memoria, è per lo più parziale e causata dal vino, non dalla magia.
L’incantesimo, oltre a riuscire nell’intento di far scambiare i corpi ai presenti talvolta, ha l’obiettivo di eliminare le inibizioni. Quando vi riesce per intero, uno degli effetti potrebbe essere quello che è accaduto ieri notte, ma non succede quasi mai. Una perdita di memoria così netta e totalizzante non l’ha avuta nessuno degli invitati ad un matrimonio negli ultimi tempi, da che se ne sappia. Forse, l’incantesimo è stato emesso in modo diverso questa volta, ma non ne sono certa. Potrebbe essere accaduto di tutto.
- Judith, posso domandarvi cosa accade, solitamente, quando si è sotto l’effetto di tale incantesimo durante le celebrazioni? – chiese padre Craig con voce tremante.
- Si riesce a mantenere la coscienza di se stessi, cosa che non è successa a nessuno due notti fa.
Di conseguenza, essendo tutti “svegli” e consapevoli, ma anche liberi dalla vergogna e dalle imposizioni mentali che ci bloccano solitamente, ognuno si lascia avvolgere dai piaceri, in modi diversi.
Sarei una bugiarda se vi dicessi che i rapporti carnali non siano le attività più praticate durante questo stato fisico e mentale.
Non so cosa io o voi abbiamo fatto due notti fa, padre, e, purtroppo, non posso rassicurarvi su tutto.
Nessuno di noi può.
Dovrete imparare a vivere con il peso dell’incertezza sulle vostre spalle.
Poiché siete stato privato della capacità di intendere e di volere, come tutti noi, e di ciò, fortunatamente o sfortunatamente, non potete essere punibile.
- Come potete essere certa che siamo stati privati della capacità di intendere e di volere…?
E se ciò che abbiamo fatto quella notte … fosse solo ciò che davvero, nel profondo del nostro cuore, desideravamo …? – ribatté padre Craig con una voce che non riconobbe neanche come sua per quanto distante, spaventandosi per le sue stesse parole.
Judith non rispose e ritornò a guardarlo.
 - L’unico modo che avete per cercare di capire se avete avuto contatti fisici con qualcuno, è ascoltare il vostro corpo. In questa situazione, il corpo è l’unico testimone consapevole e potreste sfruttarlo: l’incantesimo lascia una traccia indelebile sulle vicende che fa vivere al corpo che vi si sottopone.
Provate ad ascoltare le reazioni del vostro corpo alla vicinanza di qualcuno per capire con chi siete entrato in contatto quella notte.
- Aspettate … - rispose padre Craig realizzando qualcosa. – Se vi è stato uno scambio di corpi … ciò vuol dire che i segnali che ci manda il nostro corpo sono ingannevoli. Noi non abbiamo fatto quel che il nostro corpo ha subìto … ma lo abbiamo fatto al corpo di qualcun altro.
Judith posò nuovamente lo sguardo dinnanzi a sé. – Ciò che ha fatto il vostro corpo … non è forse l’unica cosa che vi interessa?
Padre Craig la fissò, lo sguardo ancora perduto. – Non ne sono più così certo.
- Dovete scegliere padre, non potete sentirvi colpevole per ciò che hanno fatto entrambi. O il corpo o l’anima. Dovete scegliere.
Padre Craig portò gli occhi sul crocefisso che si stagliava sopra l’altare, cercando di calmare i suoi tremori.
- Judith. Siete sicura di stare bene?
Siete riuscita a vedere Naren? Gli avete detto cosa è accaduto?
- Nessuno sta parlando di ciò che è accaduto, padre.
Non sarò io a farlo.
Non riesco a vedere Naren da prima del matrimonio.
Credo stia evitando di vedermi – disse secca la ragazza. – Tra poco inizierà la funzione, padre.  
- D’accordo. Tolgo il disturbo. Spero di rivedervi presto, Judith.
- Anche io, padre.

Blake entrò nella bottega del mastro, scendendo gli scalini del piccolo ambiente confortevole, costruito interamente in legno, sottoterra.
- È permesso? – domandò il ragazzo, avvertendo il vecchio mastro.
- Scendete pure, Blake. Vi avevo già sentito arrivare – gli rispose cortesemente l’uomo seduto sulla sedia della sua scrivania, intento a lavorare alcuni utensili in vetro. Si voltò verso di lui e rivelò il suo volto cordiale, smunto, coperto da una folta barba brizzolata dello stesso colore dei capelli radi legati all’indietro con un nastro. I suoi occhi, come Blake li ricordava, erano coperti da una densa patina bianca.
- Avete ragione. So che le vostre orecchie sono i vostri occhi – gli disse il giovane avvicinandoglisi.
- Non ci vediamo da molto, ragazzo. L’ultimo che è venuto alla mia bottega è stato vostro padre, per chiedermi di realizzargli una lente in grado di permettergli di vedere da vicino ogni più piccolo frammento dei suoi cristalli.
Come state? – gli domandò il vecchio.
- Non male. Voi?
- Gli affari procedono bene e la mia salute non sta peggiorando, perciò, oserei dire bene anche io, se il Signore continuerà ad assistermi. Ditemi, Blake, come mai siete qui?
- Mi servono delle lenti da vista – gli disse sedendosi sulla sedia accanto a lui.
- Per voi? Avete dei problemi alla vista?
- Per mio fratello.
- Oh, capisco.
- Vi pregherei di non farne parola, mastro.
- Perché dovrei farne parola, figliolo? – lo rassicurò il vecchio poggiandogli una mano sulla spalla. – Ditemi, sapete già quanto vi servono spesse le lenti?
- Sì, ho calcolato. La vista diviene sfocata a partire dai due passi di distanza e quando sforza gli occhi per più di un’ora.
- Accurato come sempre. Il prima possibile ve ne preparerò un paio grazie alle quali non avrà più alcun problema, ve lo garantisco.
A ciò, Blake sorrise. – Ho quattro monete d’argento con me.
- Ne basteranno due.
- Ne siete sicuro?
- Assolutamente, è un lavoretto da nulla. Inoltre, il mio assistente mi aiuterà.
- Avete un assistente?
- Per quanto oramai io sia in grado di lavorare il vetro come fosse argilla malleabile, nonostante il Signore abbia deciso di privarmi del dono della vista, mi fa comunque comodo avere un paio di braccia in più, e di occhi funzionanti, soprattutto. Mio figlio erediterà l’attività di famiglia, perciò ha deciso di iniziare a fare pratica dandomi una mano, da qualche tempo.
- Capisco – commentò il ragazzo guardandosi intorno, trovando quell’abitacolo di legno illuminato dalla luce soffusa molto confortevole. – Immagino vi piaccia stare qui sotto – disse poi.
- Potrete trovarlo strano, ma sì. Sembra di essere isolati dai rumori, da tutto ciò che accade al mondo esterno.
- Non lo trovo strano. Mi sono sempre trovato a mio agio sottoterra.
- Giusto, la galleria – sorrise l’uomo. – Sapete, ho sempre dato per scontato che chi avesse la fortuna di bearsi della vista del sole non desiderasse mai privarsene volutamente.
- Non è così spettacolare come credete, il sole.
- E le stelle? – domandò l’uomo. – Non credete che le stelle lo siano, invece? Tutti pensano di sì.
I due rimasero in silenzio per qualche minuto.
- Credete sia possibile … - cominciò Blake, bloccandosi.
- Che cosa?
- Credete che, un giorno, sarà possibile creare delle lenti capaci di farci vedere da vicino le stelle e ogni altro corpo celeste?
Il mastro attese un po’ prima di rispondere. – Volete vedere cosa c’è lassù, ragazzo …? Avreste l’ardire di invadere il territorio degli immortali?
- Voglio vedere cosa c’è ovunque, mastro. Se non lo faremo noi, in ogni caso, qualcuno lo farà dopo di noi. Non credete?
- Con le vostre idee, Blake, potreste scrivere un libro da lasciare ai nostri discendenti. Per guidarli, nel caso voi non riusciste a realizzare i vostri propositi. Tuttavia, ho fiducia che vi riuscirete – gli rispose il vecchio accennandogli un sorriso complice e discreto.
- Maneggiare il vetro è compito vostro, non dimenticatelo – lo ragguardò il ragazzo, ricambiando il sorriso.
In quel momento, qualcun altro entrò nella bottega, sbucando dalla porticina in cima alla scalinata, e scendendo verso l’abitacolo.
- Padre, ho comprato i materiali che mi hai chiesto, e anche alcune verdure da cucinare per queste sera – disse il nuovo arrivato, posando i sacchi colmi a terra, accorgendosi vi fosse un cliente seduto alla scrivania con suo padre.
- Grazie, Naren, figliolo. Ti presento Blake, è qui per commissionarci un paio di lenti da vista – lo introdusse il vecchio mastro.
Ma quando Van Naren fece per avvicinarsi al ragazzo e lo vide voltarsi verso di lui, si pietrificò, fermandosi sul posto.
Accorgendosi di ciò, Blake si alzò in piedi e lo guardo confuso. – È un piacere, Naren … - ruppe il silenzio, osservando la reazione bizzarra e inspiegabile dell’altro ragazzo alla sua vista.
- Voi … - balbettò Naren fissandolo con gli occhi sgranati e lucidi, facendo vagare le iridi anche sui tagli che emergevano sul suo collo da sotto i vestiti, ancora in via di guarigione.
Blake se ne accorse e affilò lo sguardo, ancora più confuso. – Ci conosciamo …?
- Io non …
- Vi ricordate qualcosa che io non ricordo …? – ritentò Blake.
- No! – si affrettò a rispondere Naren, cercando di riacquistare un colorito vivo e un atteggiamento quanto più vicino alla normalità possibile. – No, io … credo di essermi sbagliato … forse somigliate molto a qualcuno che conosco, tutto qui! Perdonate la mia reazione – si scusò implorante.
Il mastro non emise parola, ma restò ad ascoltarli assorto.
- Il piacere è mio, Blake – si affrettò a dire Naren, tornando a guardare distrattamente i tagli che macchiavano la pelle dell’altro. – Voi, state bene …?
- Cosa? – domandò Blake, ancora spaesato da quel comportamento.
- … state bene?
- Sì, sto bene.
- Bene. Perdonatemi …
- Per cosa dovrei perdonarvi?
Ma il ragazzo non ricevette risposta, poiché Naren uscì dalla sua vista, entrando nel retro bottega a passo svelto.
Blake, in risposta, non disse nulla al mastro e si limitò ad uscire dalla bottega, tornando a casa.
 
Il giovane padre tornò a casa verso sera, dopo aver passeggiato per tutto il villaggio per tentare di schiarirsi le idee e calmarsi, non ottenendo i risultati sperati.
Quel luogo, per quanto placido all’apparenza, non faceva altro che agitarlo maggiormente, aumentando i suoi dubbi e timori.
Decise di rincasare solo quando sentì dei fastidiosi languori allo stomaco.
Rientrò in casa e trovò Heloisa intenta a preparare la cena.
- Oh, bentornato, padre – lo salutò la donna gioviale. – Vi abbiamo aspettato per cenare. Gradite dell’insalata di zucche e carote come contorno?
- Sì, va bene qualsiasi cosa, Heloisa, grazie – le rispose cercando di mantenere un tono di voce normale. – Blake è in casa?
- Sì, è in camera di Ioan, lo sta facendo addormentare.
A ciò, senza pensarvi su, padre Craig si diresse verso la stanza di Ioan e aprì la porta, trovando Blake seduto sul letto del suo fratellino, a vegliare su di lui, mentre il bambino sembrava quasi addormentato.
Il ragazzo, senza guardarlo, gli fece cenno di non fare rumore, mentre, molto lentamente, si alzava dal letto.
- Devo parlarvi, Blake – gli disse il giovane padre a bassa voce.
Blake gli indicò la sua camera e i due uscirono silenziosi dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle, per poi dirigersi verso la camera di Blake.
Non appena padre Craig chiuse la porta dietro di sé e fu certo che Heloisa non potesse udirli, si rivolse immediatamente al suo interlocutore. – Mi avete mentito.
- Perdonate? – gli domandò il ragazzo alzando un sopracciglio attonito.
- Mi avete sentito bene. Mi avete mentito, Blake. Mi avete tenuto nascosto cosa sarebbe accaduto durante le celebrazioni! – esclamò non riuscendo a trattenere la voce.
- Innanzitutto abbassate la voce o vi caccio fuori dalla stanza. Mio fratello dorme a solo due camere di distanza – gli rispose il ragazzo senza scomporsi. – Inoltre, cosa, esattamente, vi avrei tenuto nascosto? Ho risposto alle vostre domande sulle celebrazioni il giorno prima del matrimonio, e mi pare di avervi avvertito dell’immensa quantità di vino che sarebbe circolata.
- Non sto parlando del vino. Non sto … parlando del vino.
Parlo di ciò che ci è accaduto …
Delle … - si bloccò, non riuscendo neanche a pronunciare quella parola.
- Parlate delle orge di piacere? – completò la frase per lui Blake, con naturalezza.
- Dunque lo ammettete!
- Cosa dovrei ammettere, di grazia?
- Perché non mi avete detto a cosa sarei andato incontro?? Perché non mi avete avvertito che sarebbe sfociato tutto in una tale depravazione? Per non parlare della magia! – esclamò padre Craig stringendosi i capelli tra le dita.
- Non tutte le orge consistono nella degenerazione dell’atto sessuale, padre. Esistono altri tipi di piaceri di cui abusare – lo informò Blake, mantenendo il suo tono granitico. – Inoltre, cosa avreste voluto sapere esattamente? Sapevate benissimo che noi servitori del Diavolo facciamo abitualmente uso della magia, specialmente alle celebrazioni. Cos’è esattamente che sfuggiva alla vostra conoscenza?
- Non fate il finto ingenuo con me, Blake! Siete poco più che un ragazzino, eppure, siete senza vergogna! La vostra gente non ha il minimo scrupolo nel far prendere parte a dei ragazzi e a delle ragazze così giovani a degli eventi tanto depravanti e dissacranti! Non era la prima volta in cui partecipavate ad una celebrazione simile! Sapevate a cosa saremmo andati incontro, giusto?? – gli domandò avvicinandoglisi, con gli occhi e le dita puntate su di lui tremanti.
Dal canto suo, Blake sembrava non essersi scomposto minimamente. Lo guardava serio, fermo, con le braccia conserte.
- Conoscete la libidine e la dissolutezza molto meglio di me, Blake. Avreste dovuto tirarmene fuori.
- Vi ho chiesto io di partecipare al matrimonio, padre?
Rispondete.
- No, ma avreste potuto dissuadermi dal partec-
- Dunque siete stato padrone della vostra scelta – lo interruppe il ragazzo senza esitazione, avanzando verso di lui. – Ora guardatemi negli occhi, padre, e affermate con assoluta certezza che non sospettavate minimamente che ad una celebrazione simile non vi sarebbe stato tutto ciò che ora voi classificate come “dissoluto”, “perverso”, “dissacrante” e “peccaminoso”. Guardatemi e ditelo, avanti – lo sollecitò , vedendolo vacillare visibilmente e abbassare lo sguardo, un gesto che lo fece sorridere di sprezzo.
- Sapete perché non vi ho consigliato di non partecipare al matrimonio? – continuò il ragazzo. – Perché sapevo bene che voi, infondo, sapeste o almeno aveste un’idea di ciò a cui sareste andato incontro.
Ed ero stanco, davvero stanco di vedervi sfoggiare quel costante atteggiamento di incorruttibilità e purezza esasperante che vi portate addosso come una malattia, e con la quale sommergete tutto ciò che vi sta attorno, rendendolo pregno di paura, del vostro grottesco terrore di peccare contro Dio.
A ciò, padre Craig alzò lo sguardo per guardarlo, trovando il coraggio di affrontare il suo volto.
Improvvisamente tutta la rabbia, la forza e la determinazione di poco prima erano svanite, dinnanzi a lui.
Era in grado di debilitarlo.
Quando Blake fece per allontanarsi da lui, padre Craig si forzò a parlare di nuovo. – Che cos’è accaduto quella notte …? Non volete saperlo? Anche quello era previsto?
- Una cosa come quella dell’altra sera non è mai successa prima d’ora a nessuna celebrazione a cui ho preso parte.
C’era sincerità nella voce di Blake.
- Ma sapevate ci sarebbe potuto essere un certo rischio nel sottoporsi ad incantesimi simili – continuò il giovane prete.
- Vi ho già detto che non si è mai arrivati a tanto prima d’ora ad una celebrazione pubblica.
Stavolta, fu padre Craig ad avvicinarsi maggiormente. – Blake, non vi turba minimamente il pensiero di aver agito contro la vostra volontà …? Non vi opprime il non sapere chi si sia servito del vostro corpo e che uso ne abbia fatto durante quelle lunghe ore? O, peggio, non vi spaventa sapere cosa abbiate potuto fare voi con il corpo di altri?
Per voi tutto ciò non ha nessun significato?
Svalutate a tal punto il contenitore che contiene la vostra anima, tanto da essere totalmente incurante nei confronti di chi lo usa a piacimento senza il vostro consen-?
- Certo che no – lo interruppe Blake guardandolo con convinzione, cercando di sopprimere il proprio turbamento. – Ritengo scontato che non sia così, e mi sorprende che abbiate anche solo potuto pensare diversamente. Non agirei mai contro la mia volontà, né permetterei a qualcuno di servirsi di me, per nessun motivo al mondo.
- Ma quella notte è accaduto. Quella notte è accaduto a tutti noi.
Per questo dobbiamo scoprire cosa è successo …
- No, non dobbiamo – ribatté imperterrito il ragazzo. – Quello che è stato è stato, non abbiamo più il potere di cambiarlo oramai. Andare a scavare su ciò che è accaduto comporterebbe scoprire qualcosa che non avremmo voluto sapere.
A volte è meglio non sapere, padre, e andare avanti con la propria vita.
- Mi lascerete condurre questa ricerca da solo, dunque … ? – domandò il giovane padre dopo alcuni attimi di silenzio.
- Esattamente.
- E se dovesse riaccadere? Se dovesse riaccadere di nuovo??
- Passate una buona serata, padre.
 
La monaca inzuppava il panno bagnato e sporco di sangue nella bacinella colma di acqua, strizzandolo, nel silenzio della stanzetta vuota, eccetto per loro due.
La donna aveva il solito sguardo afflitto, impotente, mentre ripuliva il sangue che macchiava le parti intime, lacerate, doloranti della bambina, dopo ogni abuso che ella subiva ogni sera da padre Ilian.
 Judith lasciava che la donna spalmasse il panno bagnato e fresco sulle sue cosce piccole e magre, incrostate, e sull’inguine, attendendo paziente, guardando il fuoco dell’unica candela accesa che illuminava la stanzetta della fredda cattedrale a quell’ora della notte.
- Ti fa ancora molto male? – le domandava sempre la monaca.
- No – rispondeva lei, continuando a guardare la fiammella luminosa e ipnotica, facendo danzare le dita della mano su di essa.
Una sera, non appena aveva notato che Judith infilasse le dita nella fiammella per troppi secondi, senza lamentarsi per il dolore, la donna le tolse la mano dal fuoco d’impeto. – Così ti scotterai! – l’ammonì.
- Non mi stavo scottando – le aveva risposto la bambina, atona, mentre la monaca le tirava giù la gonna lunga e riponeva lo straccio insanguinato nella bacinella.
- Domani ti farò visitare da un medico – le aveva detto poi la donna. – Ho timore che non potrai mai partorire figli, data la quantità di sangue che fuoriesce da te ogni sera, dopo che …
Ella si bloccava sempre prima di dire esplicitamente ciò che la piccola era costretta a subire da quell’uomo.
- Ma a me non fa male – le aveva risposto ancora la bambina.
Qualche sera dopo, una delle tante, la piccola Judith si sorprese di non essere stata richiamata da padre Ilian per uno dei loro abituali incontri. Poi, quando lo aveva visto tornare nella cattedrale, era già notte inoltrata e lui aveva un volto talmente stanco e felice insieme, che ne rimase sorpresa.
- Questa volta non ti porterò con me, bellissimo angelo – le aveva detto accarezzandole una guancia. – Rimanderemo a domani sera.
Judith gli aveva chiesto cosa fosse accaduto e lui gli aveva risposto che, quella notte, era accaduto un miracolo.
Ogni volta che un bambino veniva al mondo a Bliaint, si diceva che uno dei due signori benedisse una delle famiglie sue fedeli servitrici con un meraviglioso miracolo.
Judith sapeva che, ogni volta che una donna stava per partorire, veniva fatto immediatamente condurre un monaco appartenente al credo della neo madre a casa di quest’ultima, in modo che egli potesse benedire il neonato nel momento in cui questo si fosse affacciato al mondo.
In quel momento, Judith aveva ripensato alle parole della monaca di qualche sera prima, e aveva riflettuto sul fatto che, evidentemente, se il suo Signore l’aveva resa incapace di partorire, allora ciò voleva dire che non la riteneva degna di ricevere quel miracolo come le altre.
Per qualche motivo, la piccola si era sentita sollevata al pensiero di non dover mai subire il flagello del parto.
Pensò che, forse, doveva essere stato un bene che padre Ilian la violentasse ogni sera.
Capì che egli si fosse recato a benedire il neonato alla casa della nuova mamma quella notte, dato che era troppo stremato e troppo felice per badare a lei.
- Vuoi sapere come si chiama il nuovo miracolo con il quale, questa notte, il nostro Signore ha benedetto una delle nostre fedeli, Judith?
- Come?
- Christopher Ioan.
Improvvisamente, lo scenario di quel sogno cambiò.
Quei ricordi d’infanzia vennero sostituiti da qualcos’altro nella mente della ragazza caduta tra le suadenti braccia del sonno nella biblioteca:
Non aveva controllo.
Qualcosa sfuggiva al suo controllo, ma non riusciva a capire cosa.
“Siamo nati per essere quello che siamo, nulla di diverso”.
Il suo corpo non era il suo. Il suo corpo era un corpo maschile.
Questa volta, in quel corpo, il dolore lo sentiva. Lo sentiva sin troppo bene e non riusciva a capire il perché.
- Che cosa hai fatto …? – quella voce familiare, ovattata ma sin troppo nitidamente devastata, giunse alle sue orecchie. – Che cosa mi hai fatto fare, Judith …?
Judith si svegliò di soprassalto.
 
 
 
 
 
   
 
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