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Autore: Hoshi_10000    02/08/2020    0 recensioni
Questa storia è una raccolta di one shot per indagare l’atteggiamento dei personaggi di Yuri on Ice di fronte al proprio invecchiamento.
Perché per alcuni sono i 18, per altri i 29; alcuni festeggiano, altri piangono; alcuni si divertono con amici e parenti, altri ne pianificano l’omicidio.
Perché ognuno è diverso e ognuno è speciale, ed un compleanno non è mai solo il giorno in cui celebriamo il fatto di essere nati.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Otabek Altin, Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Leo de la Iglesia:  Festa di compleanno o appuntamento?

20 anni,
02 agosto
(domenica)
 
Volare gli piaceva, ergersi sopra le nuvole, guardare il mondo dalla distanza… faceva sentire bene, ecco.
Gli piacevano gli stretti corridoi degli aerei, e la varietà di gente che viaggiava: le giovani mamme esaurite dall’entusiasmo dei figli, i burberi uomini d’affari seccati dalla mancanza di campo, i bambini troppo concentrati sui videogiochi per prestare attenzione alle meraviglie che si potevano scorgere affacciandosi a un finestrino. Tutte le volte che volava, ormai per lui era un abitudine chiedere il posto vicino ad esso, per poter osservare fuori.
-Quella nuvola sembra un gatto, guarda mamma!-
-Lo vedo Liang, ma adesso torna al tuo posto.-
Sorrise incoraggiante alla giovane madre -Non c’è problema signora, almeno finché non inizia l’atterraggio lo lasci guardare fuori, non mi da alcun fastidio.-
Volare per lui era un abitudine, con tutti gli aerei che aveva preso aveva avuto modo di affrontare svariate tempeste e trovarsi in diverse situazioni, da una donna, un paio d’anni prima, che si era addormentata sulla sua spalla, sbavandogli sulla felpa, a diverse ragazze che per farsi coraggio gli avevano stritolato la mano durante il decollo, fino a burberi uomini di mezza età che facevano i marpioni con le povere hostess.
Vivere nuove esperienze in generale gli piaceva, e quando alla partenza aveva visto un bimbo di sì e no cinque anni seduto al suo fianco contorcersi per guardare fuori gli era tornato in mente lui da piccolo, e gli era venuto naturale cercare di accontentare la curiosità del piccolo, prendendolo in braccio, con il consenso della madre, e giocando con lui a inventare storie sulle nuvole.
-Quella è un drago!-
-Hai proprio ragione, e quella pare una principessa.-
-Non è vero, è uno struzzo! E guarda, quella pare una palla!-
-Oh hai ragione, dici che il drago e lo struzzo stanno giocando?-
Il piccolo annuì, convinto.
-A calcio o a pallavolo?-
-Calcio!- strillò scandalizzato dalla menzione a un’alternativa a quello che, a giudicare dalla sua maglietta, doveva essere il suo sport preferito.
“Ladies and gentlemen…
-Liang, stiamo iniziando l’atterraggio, torna al tuo posto ora.-
…please make sure your seat backs and tray tables are in their full upright position.
Il piccolo annuì, obbedendo alla madre e scendendo dalle ginocchia del pattinatore, ritornando al proprio sedile ed allacciandosi diligentemente la cintura.
Please turn off all electronic devices until we are safely parked at the gate. Thank you.”
-Grazie.- disse il piccolo, incoraggiato dalla madre, e Guang Hong sorrise, scompigliandogli i capelli divertito.
Volare era fantastico, senza alcun dubbio, ma 13 ore di volo erano estenuanti per chiunque, e anche lui per quanto amasse volare non avrebbe mai fatto un viaggio del genere se non avesse avuto un buon motivo.
Come il compleanno di Leo, ad esempio.
 
 
 
Nella vita ci sono degli interrogativi destinati a rimanere senza risposta. A cosa serve la scuola?, come hanno fatto gli egizi a costruire le piramidi?, quando ha trovato mamma il tempo di fare la spesa? e doveva aggiungere alla lista “Perché le sale d’attesa degli aeroporti devono essere sempre così affollate?”
In un altro momento forse avrebbe trovato in qualche modo bello il clima di trepidante attesa che si respirava in mezzo alla folla, i genitori che riabbracciavano i figli dopo mesi, gente arrivata dopo un lungo viaggio che guarda al bar come guarderebbe al biglietto vincente della lotteria.
In un altro momento di certo gli sarebbe piaciuto, ma non ora che era in attesa di Guang Hong, dopo che non si vedevano da mesi.
Ricontrollò ancora il tabellone, battendo un piede a terra per cercare di smaltire lo stress: voleva solo riabbracciare il suo ragazzo, che il tabellone segnava essere atterrato da almeno 13 minuti, era forse chiedere troppo?
Riportò lo sguardo sul gate, spalancando le pupille quando vide arrivare un fiume di gente, perlopiù di origine asiatica, e in mezzo alla massa un trolley verde fluorescente coperto di adesivi.
Spostò lo sguardo lungo il manico della valigia, risalendo le magre braccia del proprietario, coperte da una leggera felpa rossa, e proseguendo fino al viso ovale incorniciato da soffici capelli castani e caldi occhi color cioccolata.
Scrollò il capo: decisamente quei sei mesi di lontananza avevano prodotto un loro effetto.
Sorrise, alzando un braccio e agitando una mano per farsi vedere, guardando Guang Hong avanzare verso di lui tirandosi dietro la valigia.
-Fatto buon volo?-
-Sì.-
Le relazioni a distanza erano complicate per tutti, ma ancor di più lo erano quelle fra gente “famosa”: il costante timore di una foto, una parola, un giornalista… il brutto della loro relazione era perlopiù non poter agire liberamente.
-È ora di pranzo, hai fame?-
Guang Hong si illuminò, annuendo in modo compulsivo e Leo scoppiò a ridere.
-Vieni, ti prendo qualcosa da mangiare.- sogghignò avvolgendogli le spalle con un braccio e guidandolo verso la più vicina area ristoro.
-Meglio?- chiese guardando il ragazzo divorare un trancio di pizza come se non mangiasse da settimane, mentre camminavano verso l’uscita.
-Infinitamente, i voli notturni sono così pesanti, il cibo dell’aereo fa schifo e te ne danno sempre poco.-
-Già, e poi i voli diretti non danno nemmeno la chance di fare molto movimento.-
Avrebbe voluto dirgli tante altre cose, come un “mi sei mancato”, oppure “questi sei mesi sono stati eterni”, o tante altre, ma conosceva l’ossessione di Guang Hong sul tenere la loro relazione segreta al mondo, e comprendeva l’importanza della cosa, però l’America non era la Cina.
-Guang Hong, aspetta.- lo fermò per un braccio, impedendogli di varcare le porte dell’aeroporto.
-Fuori fa un caldo assurdo, ti ho portato questo.- disse passandogli un cappello da sole e un paio d’occhiali che il cinese indosso, sfilando al contempo la felpa e legandosela in vita.
-Allora, come mi-
Non finì la frase, perché Leo si tuffò su di lui baciandolo con impeto
-Tranquillo, in America non segue quasi nessuno il pattinaggio.- soffiò sulle sue labbra.
Sei mesi erano davvero tanti, troppi, anche per Guang Hong, che provato almeno quanto Leo decise d’infischiarsene dei vari rischi, rispondendo con trasporto ai baci del proprio ragazzo.




-Non mi hai neanche dato il tempo di farti gli auguri da che sono atterrato-
-Come?-
-Dicevo che non mi hai neanche dato il tempo di farti gli auguri da che sono atterrato!-
Pretendere di parlare mentre erano in moto, con i caschi in testa e il vento contro non era una brillante idea, ma sprecare il tempo pareva un grosso peccato ad entrambi.
-Ma dai, che importa? Il semplice fatto che tu sia qui è di per sé un regalo.-
-Non sono affatto d’accordo Leo. Questa volta voglio conoscere anch’io i tuoi amici e la tua famiglia, chiaro?-
-Ogni tuo desiderio è un ordine.-
Poter parlare così, “faccia a faccia”, dopo tutti quei mesi, era davvero bello, come lo era per Guang Hong essere costretto a stringersi alla vita di Leo, tenendo in spalla lo zaino mentre il trolley restava fra le gambe di Leo. Sospettava che stessero infrangendo almeno un paio di leggi stradali, ma non ne sapeva molto, per cui l’unica scelta che aveva era fidarsi della parola di Leo. In fondo non aveva la minima voglia di preoccuparsene, stava così bene con la testa appoggiata sulla spalla del suo americano preferito che tutto il resto pareva distante e ovattato.
Continuava a guardare affascinato le vie della città, quando la voce di Leo gli arrivò alle orecchie -Fra un attimo entreremo in Olvera Street: raccoglie probabilmente la metà dei messicani che vivono a Los Angeles.-
-Ed è lì che abiti?-
-Esatto.-
Guang hong girò il capo, osservando le bancarelle colorate e la gente camminare per strada, finché Leo non si fermò davanti ad un condominio appartato.
Scese dalla moto, tirando giù il trolley e suonando un campanello, lasciando Guang Hong intontito.
-Quien es?- gracchiò il citofono, facendolo sussultare, e Leo sorrise -Soy yo, baja y abre Rafael.-
-¿Sabes que la puerta es electrónica?-
-Tengo que ir a estacionar la motocicleta, y necesito que alguien te lleve a Guang Hong.-
-Ok, ok, ya voy.-
-Gracias. Guang Hong, che succede?-
-Leo, posso aspettarti, oppure vengo con te.-
-Hai detto di voler conoscere la mia famiglia, no? Tranquillo, arrivo subito.- gli baciò una guancia, guardandolo rassicurante ma malgrado ciò Guang Hong restò teso.
Dai racconti di Leo sentiva di amare la sua famiglia, ma non era certo che la cosa fosse reciproca, e trovarsi da solo in un ambiente nuovo non era mai una cosa troppo piacevole per nessuno.
-Leo, non ho tutto il giorno, ti vuoi muovere?-
Il ragazzo sulla porta assomigliava solo nei tratti del viso a Leo, mentre i capelli erano neri e le spalle larghe come un armadio.
-Ti presento Rafael, lui-
-Le presentazioni falle dopo, muoviti.-
Leo alzò le mani, passando il trolley a quello che Guang Hong intuì essere il primo dei fratelli minori di Leo, risalendo a bordo della moto e andando a parcheggiarla senza una parola.
-Vieni, ti porto su.-
Intimidito eseguì, salendo le scale al seguito del ragazzo senza una parola, giungendo poi in un appartamento al quinto piano.
-Mamá, el novio de Leo ha llegado!-
-¿De verdad? Héctor, ven, ¡está aquí! Micaela, Ysabel, Miguel!
Ci fu un tripudio di suoni, grattare di sedie, sbattere di porte e scalpiccio di piedi, e poi dal nulla apparvero quattro persone.
Indietreggiò lievemente spaventato dalle due ragazze saltellanti, e dal ragazzino dai luminosi occhi grigi, ma più di tutti restò spiazzato dalla donna che gli afferrò una mano, abbracciandolo come se fosse figlio suo.
-¡Me alegro de conocerte, Leo nos ha hablado mucho de ti! ¿Tienes hambre, quieres algo de comer, o quizás quieres descansar un poco?-
Guardò la donna stordito, girando il capo verso gli altri ragazzi in cerca d’aiuto.
Una delle due ragazze alta più o meno quanto lui e con un faccino dispettoso gli sorrise.
-Mamá Guang Hong no habla español, ¡déjalo ir!- con riluttanza la donna lo lasciò andare -Piacere di conoscerti Guang Hong, io sono Micaela e loro sono Ysabel e Miguel. Lei è Apolinaria, nostra madre, ma non credo Leo si sia ricordato di dirti che non parla inglese.-
Annuì, ringraziando educatamente e stringendo le mani a tutti, in ultimo Miguel, il piccolo di casa.-
-Vuoi vedere la mia camera? Ho tutti i modellini di Star Wars, e il LEGO della morte nera!-
Annuì un po’ intontito ma prima che il bimbo potesse trascinarlo via con sé Ysabel lo fermò.
-Miguel Leo ha detto che lo deve portare ad una festa gli mostrerai la tua stanza più tardi, va bene?-
Lo sguardo del piccolo non fu molto convinto ma non obiettò e così prima ancora di essersi acclimatato venne richiamato in strada per una “breve passeggiata” che si concluse a sera, lasciandogli dentro un grosso punto interrogativo: avevano festeggiato il compleanno di Leo o avuto un appuntamento?








 
Happy birthday
   
 
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