Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: AlsoSprachVelociraptor    02/08/2020    2 recensioni
Marzo 2012, Jotaro Kujo chiama a rapporto in Florida tre dei suoi più forti e fidati portatori di Stand, Koichi Hirose, Josuke Higashikata e Giorno Giovanna, per combattere una battaglia che cambierà le sorti dell'universo...
...forse.
Forse no. Forse questa battaglia non cambierà proprio un bel niente.
O quasi.
.
*ATTENZIONE: spoiler per il finale di Stone Ocean!*
.
(Prequel per la lunghissima fanserie "JJBA parte 7.1: Dangerous Heritage", pubblicata su questo profilo!)
Genere: Avventura, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Giorno Giovanna, Josuke Higashikata, Jotaro Kujo, Koichi Hirose
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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Città di “La Bassa”, nord Italia

 

La macchina fotografica fece un’altro scatto. La donna dai lunghi capelli viola rimase a guardare il collega con uno sguardo ben poco comprensivo. -Perchè non butti quella macchinetta? È più vecchia di te. Prenditene una nuova, di quelle digitali, sono più comode.-

Il ragazzo biondo rise tra sé e sé, aggiustando il fuoco della vecchia fotocamera. -Sono un giornalista all’antica, Minerva, lo sai. Mi piacciono queste vecchie cose. Lavoro anche con una vecchia!-

-Sborat.- rispose Minerva in dialetto labassese, con una faccia tutto tranne che offesa e un vago sorriso sulle labbra colorate da un rossetto nero. Nestore rise a sua volta, scattando un’altra fotografia all’enorme voragine che si era aperta nel mezzo della campagna labassese.

Non succedeva mai nulla nella enorme ma desolata città di La Bassa, posizionata nel sudest della Lombardia e nel bel mezzo della Pianura Padana. Certo, la concentrazione di portatori di Stand in quella cittadina era una delle più alte in tutto il mondo e ogni tanto qualche scontro si accendeva tra i ragazzini che ancora non sapevano controllare le loro abilità e nemmeno i loro cervelli, ma oltre a quello, La Bassa era probabilmente una delle città più noiose d’Italia.

Nestore Bennutti e Minerva Matuzia, che lavoravano per la Voce di La Bassa, lo sapevano bene. Tutto ciò che di solito scrivevano sul loro settimanale erano gare di trattori, ortaggi particolarmente grossi e storie di ladruncoli che venivano malmenati da "forze trasparenti" mentre cercavano di derubare anzianotti della zona.

-La Fondazione Speedwagon ci ha chiesto di esaminare la zona per conto loro. Il sindaco li ha chiamati e noi siamo i loro emissari in terra Labassese ora, a quanto pare.- continuò Mia, mentre Nestore si avvicinava lentamente al bordo del precipizio.

Quella principale era una scarpata enorme, un'apertura nel terreno alta chissà quanti chilometri.

Delta Machine apparve al fianco di Nestore, l'occhio-fotocamera al centro del corpo quadrangolare dello stand che brillava e sembrava scattare fotografie.

Dei fogli uscirono da un sottile buco sul fianco dello stand, e Nestore li prese senza darci troppo peso, come da routine ben collaudata.

Delta Machine aveva la capacità di conoscere e registrare ogni dato che la sua macchinetta fotografica riusciva a mettere a fuoco.

-Un buco di… quattro chilometri di profondità?-

Il silenzio calò su entrambi. Quattro chilometri era qualcosa di ineccepibile. Quattro chilometri era l'altezza del Monte Bianco, metà del diametro di La Bassa.

-Diobo'...- fu tutto quello che Nestore riuscì a dire per rompere quel silenzio che Minerva sembrava interessata a perseverare. 

-Come facciamo ad arrivare in fondo? Delta Machine ha un raggio di pochi metri e il tuo Pallas Athena non supera i cinque metri, forse dieci. Sto bagái è talmente profondo che Delta Machine non riesce nemmeno a capire cosa ci sia sul fondo!-

Minerva iniziò a guardarsi attorno, mentre scibacchiava sul suo taccuino. 

La faglia si era aperta in piena campagna in seguito a un disastroso terremoto avvenuto il giorno prima. Forse. Il tempo era stato un po' confuso e né lei né nessun altro a La Bassa avrebbe saputo dire quanto tempo era passato. I cellulari segnavano che oggi era il ventidue marzo duemiladodici, e tanto bastava.

Non c'erano abitazioni lì intorno e solo una stradina bassa di campagna era stata tranciata in due dagli enormi tagli nel terreno. Adiacente alla stradina, come di consuetudine, c'era un vecchio canale d'irrigazione la cui acqua si stava riversando nella faglia aperta.

I tagli erano quattro, forse cinque, tutti paralleli tra di loro, ma solo quello centrale spiccava per larghezza, lunghezza e profondità.

-Dovremmo controllare gli altri. Forse c'è qualcosa che ci può aiutare a scendere…-

-Magari una bella scala!- ridacchiò Nestore alzandosi e raggiungendola. 

Minerva non parlava. Quando Nestore le si accostò e notò l’enorme scalinata che spuntava da uno dei tagli minori attorno alla faglia più grande, imprecò a bassa voce in stretto dialetto labassese.

Pallas Athena, lo stand di Minerva, faceva abbastanza luce da permettere ai due di vedere dove stavano mettendo i piedi.

Gli scalini erano vecchi, vecchissimi, forse di epoca etrusca o romana data la fattura e rovinati dal tempo e dalle scosse. In alcuni punti si interrompevano e continuavano metri più in basso, e i due giornalisti dovevano fare ricorso ai loro stand per scavalcare quelle fosse e rotture improvvise nel terreno.

-Agh’la faghi pö- mormorò Nestore con quel poco di fiato e voce che gli erano rimasti nel suo corpo magrolino e poco atletico. Minerva davvero non sapeva come avesse retto fino a lì.

Nestore parlava spesso l’antichissimo dialetto labassese, benchè fosse un ragazzo estremamente colto e dalle spiccate doti verbali. Lui diceva che era perchè non voleva dimenticare le sue origini e la sua storia. Era importante avere un luogo da chiamare “casa”, sapere di fare parte di qualcosa, diceva lui. Minerva rideva e diceva che le sue sembravano stupidate quelle ma, sotto sotto, lo trovava saggio. Quasi poetico.

-Sai chi ci vorrebbe qui? Mia cugina, Zarathustra.- esordì Nestore, parlando a fatica col fiatone. -Lei ha uno stand nell’occhio, le permette di vedere tutto… sai… infrarossi, ultravioletti, calore, quelle robe lì. Avremmo dovuto chiamarla con noi.-

Minerva non gli rispose subito, perchè era troppo impegnata a guardare dove metteva i piedi e a storcere il naso. -Tua cugina, la ragazzina strana con un’occhio tutto rosso? Ma non ha quattordici anni? Lasciala stare, poverina, è una bambina. Nessuno di quell’età dovrebbe prendersi una responsabilità del genere.-

Camminavano da un tempo indeterminato e che sembrava interminabile. Bella differenza da quando, prima del terremoto, il tempo sembrava essersi tanto accelerato da confondere la notte col giorno. Difficile da dire già di suo nella nebbiosa e misteriosa La Bassa, sempre circondata e stritolata in una nebbia così fitta da confondere il buio con la luce e non far passare nessuno dei due sulla città.

-Potenzialmente queste sono quattro chilometri di scale, ovvio che sei stanco. Ancora un piccolo sforzo, Bennutti, avanti.- lo ammonì Minerva. Lei ci teneva a lui, anche se era sempre un po’ dura e severa con Nestore.

Lei era stagista all’università di La Bassa quando Nestore si stava laureando in giornalismo, qualche anno prima. Lei già scriveva per qualche giornalino e lui era un giovane studente che voleva sfondare. Fecero amicizia naturalmente.

Pallas Athena indicò con il suo braccio-lancia la fine delle scale, qualche metro sotto di loro. Le scale erano ancora rotte, questa volta in modo molto più drammatico, creando uno spacco di metri tra la fine delle scale e l’inizio di una specie di passerella di pietra.

Nestore, che prima sembrava morente, ora si era ripreso del tutto. Facendo leva con Delta Machine, si preparò a saltare quei metri.

-Aspetta!- lo ammonì ancora Minerva. -Non sappiamo se è sicuro! E se crollasse sotto al tuo peso?-

-Beh- ridacchiò Nestore, pronto a lanciarsi nel vuoto. -Mia nonna Medea l’ha sempre detto che la nostra famiglia il rischio e il sacrificio ce l’abbiamo nel sangue, assieme a quell’energia strana.-

E Nestore saltò davvero e atterrò con i piedi su quella pedana di sanpietrini. Era stabile, ma lui meno, scivolò sulle pietre bagnate e cadde in avanti con le ginocchia e le palme delle mani.

Era al buio perchè Minerva era rimasta indietro. Grazie a Pallas Athena saltò la fossa, e atterrò tra i veli luminosi che ricoprivano il suo Stand.

-Hai trovato qualcosa?- chiese la donna, avvicinandosi a lui. Sembrava avere qualcosa in mano.

Le pietre sul terreno erano sporche di terra e bagnate dall’acqua del fosso che si era rotto, chilometri sopra di loro, e riversava l’acqua di qualche fiume della zona nella pozza. Beh, almeno stava pulendo la zona, e anche l’oggetto strano in pietra che Nestore teneva tra le mani sporche di terriccio e fango.

-Nestore? Cos’è?-

-Questo c’è nel libro che quella donna strana inglese ha dato a mia nonna.- iniziò a spiegare Nestore. Tra le mani non aveva un oggetto singolo, ma più diversi pezzi di quello che forse anni, secoli prima era stato un qualcosa di unico. Iniziò a tentare di rimettere i pezzi a posto, aiutato dal suo stand alle sue spalle, che stava scannerizzando con precisione millimetrica tutti i vari pezzi. -Ti spiego. Molti anni fa, quando il fratello maggiore di mia nonna morì, una donna che diceva di essere “la sua maestra” portò questo antico libro alla nonna, dicendo di leggerlo, proteggerlo e darlo alle prossime generazioni. E c’erano diversi disegni di un oggetto strano… una roba maya, qualcosa del genere.-

Tra le mani sapientemente guidate di Nestore, l’oggetto prese pian piano una forma specifica. Una bocca da cui spuntavano due grossi canini, una spirale sulla fronte e due orbite cave.

-Una maschera di pietra?-

Nestore la riappoggiò nell’acqua, e quasi sembrò vibrare al contatto con liquido. Forse era solo suggestione, forse erano solo entrambi molto stanchi.

-Vedi se ce ne sono delle altre in giro. Questa situazione non mi piace.- le chiese Nestore, con un tono che suonò nelle orecchie di Minerva come un campanello d’allarme.

Dall’elmo di Pallas Athena la luce filtrava abbastanza da permetterle di vedere qualche metro attorno a lei. C’erano tanti frammenti per terra, e roccia scavata attorno a loro, a formare una grotta perfetta. Delle radici di pietra solcavano le pareti, e Minerva le seguì incuriosita, continuando a scrivere e descrivere tutto ciò che vedeva sulla sua piccola agenda tascabile.

Quasi inciampò su una grossa pietra sul terreno, ma quando guardò in basso si accorse che aveva la forma di una testa. Una statua? Vicino ad esso, mezzo tronco, una gamba e un braccio, tutti di pietra cesellata e levigata alla perfezione.

Alzò lo sguardo. Un albero di roccia, un pilastro gigantesco che sorreggeva l’intera grotta, e appeso ad esso come frutti di un albero maledetto una miriade di maschere di pietra, quasi tutte rotte.

Incastonato al centro del pilastro, il resto dell’uomo di pietra.

   
 
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