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Autore: Elenis9    03/08/2020    0 recensioni
“Senti, ti ho già detto che non puoi usare quell’aggeggio qui dentro. È pericoloso.” Il suo compagno di cappa, poi, era sempre dedito a far rispettare qualsiasi regola o istruzione e sembrava aver preso come un’offesa personale la sua stufetta.
“Devo, se non voglio morire,” replicò in un grugnito cercando di scrollarselo di dosso. Il che non era facile: quel ragazzo sembrava avere occhi anche dietro la testa.
“Ci sono venticinque gradi, Amelia! È importante, stiamo usando sostanze fortemente infiammabili, se per caso… mi stai ascoltando?” No, ovviamente. Detestava le ramanzine, soprattutto quando era debole per il freddo.
“Senti, coso. Com’è che ti chiami?”
“Erik. Siamo compagni di laboratorio da mesi.”
Sì, e lei sapeva perfettamente il suo nome dal momento che avevano passato quei mesi litigando per i dispositivi elettronici che portava in laboratorio, ma voleva comunque irritarlo.
“Senti, Erik, che ne pensi di lasciarmi in pace una volta ogni tanto? Dio, sei proprio fastidioso.”
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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A svegliarla fu un grido.
Era sul divano, la televisione accesa col volume al minimo. Si alzò di scatto e corse verso la camera da letto, preoccupata e impaurita. Qualcuno aveva scoperto che Erik era lì ed era entrato mentre dormivano? Si rendeva conto da sola dell’assurdità dell’idea, ma il suono terrorizzato che l’aveva svegliata non era certo nato dal niente.
Il letto era vuoto. Amelia fece il giro piano, il cuore che le batteva nel petto all’impazzata e… lui era lì. Grazie al cielo, era lì, solo, seduto sullo scendiletto, rannicchiato come un bambino impaurito.
“Non ho fatto niente, non ho fatto niente, nonhofattoniente…” ripeteva quelle parole come un mantra. Quando la vide arrivare spalancò le braccia e lei non esitò ad accettare l’invito, ritrovandosi stretta a lui. Le nascose il viso nell’incavo del collo, continuando a mormorare la stessa frase, ma questa volta con più intensità, come se volesse pregarla di credergli.
“Lo so. Va tutto bene. Beh, no, ma andrà tutto bene fra poco. Vedrai…” si bloccò un istante allontanandosi appena per saggiargli la fronte con le labbra. “Erik, ma tu scotti. Sei bollente.”
“Sto bene se resti qui.”
“Dove dovrei andare?” Lui non rispose, improvvisamente silenzioso. “Smetto di abbracciarti un attimo. Devo controllare la ferita, però accendo la luce così puoi vedermi e sapere che va tutto bene. D’accordo?”
Pur non sembrando convinto allentò la presa quel tanto che bastava perché lei sgusciasse fuori e accendesse la luce, poi si inginocchiò di nuovo davanti a lui.
Poteva già vedere che la ferita aveva sanguinato un po’ e quando la scoprì trovò quello che aveva temuto: la pelle era rossa e gonfia, una specie di fluido giallognolo maleodorante rendeva ancora peggiore quella che poche ore prima era stata una lesione pulita. “Non va bene per niente. Erik, adesso ci serve davvero quell’ambulanza.” Lui biascicò appena una risposta incomprensibile e Amelia sentì prepotentemente l’urgenza di fare qualcosa. Ma cosa? L’ambulanza, sì. Per forza. Lui però non l’avrebbe perdonata, l’avrebbe preso come un tradimento. L’avrebbe odiata, ma almeno l’avrebbe fatto da vivo.
Lo abbracciò forte forzandosi ad assorbire il suo calore anche se la casa aveva la temperatura giusta per tenerla sazia. Non prendeva mai più di quanto le servisse, di solito era già difficile arrivare ad averne abbastanza, ma non per quello era impossibile farlo. Rubandogli il calore avrebbe fatto scendere un po’ la sua temperatura, forse l’avrebbe fatto stare un po’ meglio.
Mentre ancora lo teneva stretto prese il telefono. Era riuscita a riaccenderlo. Compose un numero, un numero che non era quello dell’ambulanza.
“Tesoro, stai bene?” La voce di sua madre ruppe il silenzio dopo pochi squilli, era preoccupata perché l’aveva chiamata a notte fonda. Forse era già mattina presto? Difficile dirlo.
“Io sì, ma mi serve aiuto.” Sentiva il panico nella propria voce ma per quanto avesse tentato non era riuscita a sopprimerlo in nessun modo.
“Ti sei messa nei guai?” Sua madre suonò gentile. Non accusatoria, non ostile. Gentile.
“Che cosa faccio se una persona ha una ferita da arma da fuoco rossa, gonfia e piena di pus? Cosa faccio se ha la febbre alta? Se non posso chiamare un’ambulanza?”
“Oh, mio Dio, tesoro!” L’allarme nella voce della donna fu evidente, ma un attimo dopo il suo tono era di nuovo dolce e rassicurante. “Ho sentito al telegiornale del ragazzo della tua scuola che ha aggredito un poliziotto ieri sera. Sei con lui, vero? Ti minaccia? Puoi dirmelo, io e tuo padre…”
“No!” Amelia sentì di essere sull’orlo del pianto, ma trattenne testardamente le lacrime. “Non so cosa hanno detto di lui, ma non ha aggredito nessuno. Ha spaventato il poliziotto e si è preso un proiettile. Sta male, mamma, non so che fare. Tu sei un medico, che cosa faccio? Aiutami. Se lo portassi in ospedale potrebbero fargli ancora del male, io…”
“Va bene, va bene. Calmati. Per prima cosa devi calmarti.” Sua madre sospirò attraverso la linea, poi la sentì aprire e chiudere il frigo.
“Sono calma.” Mentì, accarezzando nervosamente i corti capelli di Erik. Sembrava che fosse un po’ meno caldo, ma poteva sentire sul collo il suo respiro accelerato e bollente.
“Se quello che dici è vero gli serve un medico, tesoro. Delle medicine.” Quello lo sapeva anche lei.
“Mamma…”
“Lo so, cara, ma un’infezione non è qualcosa con cui puoi scherzare. Rischia di morire.”
“E se lo uccidessero? Se lo portassi lì e gli facessero del male?”
“… mi pentirò molto di quello che sto per dire.” La voce di sua madre si abbassò di colpo, poi la sentì sospirare di nuovo. “Lava la ferita, puliscila meglio che puoi, disinfettala, poi mettigli addosso tutti i vestiti e le coperte che hai e portalo qui. Sono più di tre ore di macchina, perciò potrebbe peggiorare parecchio nel frattempo. Cercherò di venirti incontro a metà strada.”
“Grazie, mamma.”
“Aspetta che finiamo tutti in carcere prima di ringraziarmi…”
“Amy… Non fa troppo freddo per te? Stai bene?” La voce di Erik zittì sia lei che sua madre per un attimo.
“Mamma, si è svegliato! Mi hai spaventato a morte, zuccone. Non fa freddo, ci sono trentasei gradi, è che hai la febbre alta.”
“Bene, cara, ora riaggancia e fai come ti ho detto. Sbrigati, d’accordo?”
 
Erik era cosciente e aveva più o meno smesso di delirare, ma non era del tutto in sé. Non si era spaventato o arrabbiato perché aveva chiamato sua madre o per l’idea di portarlo da lei, aveva accettato la cosa passivamente. Era sembrato molto più presente a se stesso dopo che gli aveva lavato la ferita, pareva che il dolore avesse aiutato la sua mente a schiarirsi. Per fortuna si era anche reso conto che non c’erano molte alternative e così non aveva fatto resistenza a salire in macchina.
C’era polizia ovunque.
Il cielo era di quel buio pallido delle ore che precedono l’alba e le strade erano totalmente vuote, fatta eccezione che per loro due e una marea di auto della polizia.
“Non riusciremo mai ad andarcene” Erik sembrava spaventato e la radio si spense sull’onda delle sue emozioni.
“Ce la faremo. Dobbiamo solo…”
Un posto di blocco le fece cenno di accostare. Amelia sentì il cuore accelerare e fece la prima cosa che le saltò in mente: tirò dritto senza fermarsi.
Un attimo dopo un’altra auto le si accostò e il momento in cui l’uomo al volante vide Erik fu evidente perché sgranò gli occhi e la sua guida cambiò, facendosi aggressiva.
Amelia cercò di evitarlo o di superarlo, ma lui continuava a stringerla sempre di più verso un lato della strada.
“Accosta, Amy, accosta!” Erik aveva gli occhi sgranati, lei scosse testardamente il capo e lui le sorrise, addolcendo il tono: “senti, va tutto bene. Sapevo che prima o poi mi avrebbero trovato. Ora va bene, davvero. Se continui così rischi che…”
L’auto della polizia la spintonò di lato andandole addosso volontariamente e facendola finire fuori strada, dritta contro un albero. L’impatto fu violento e i vetri del parabrezza le graffiarono volto e braccia. Rimase stordita per un po’, poi sentì Erik lamentarsi accanto a lei. Scese dalla macchina arrancando, praticamente strisciando fuori. Era ancora talmente confusa da non pensare alla polizia che si stava mettendo in formazione, ma la ignorarono. Non era lei che volevano, anzi, era quasi come se lei neanche esistesse. Stavano agendo come se Erik fosse armato e pericoloso, ma per quanto ne sapeva lei non era nessuna delle due cose. Entrambi gli sportelli erano integri, per fortuna, e lei strisciò verso il lato del passeggero tenendosi il più possibile al riparo, poi aiutò anche Erik a uscire dal veicolo. Che fare? Tre auto della polizia erano sul ciglio della strada, i poliziotti erano vicino alle vetture con le pistole spianate. Sembravano spaventati quanto lo erano loro.
Erik alzò le braccia facendo qualche passo nella loro direzione, i lampioni più vicini sfarfallavano come non mai. “Non sparate, mi ar…”
Un colpo partì.
Amelia vide chiaramente lo sguardo terrorizzato di chi aveva fatto fuoco. Sia lei che Erik si trovarono a terra, il sangue fresco era schizzato e sporcava il viso di lui come una scia di lacrime cremisi.
Avevano sparato su un ragazzo disarmato che si stava arrendendo. La paura verso il suo essere un Evoluto non poteva giustificarli, non aveva alcun senso. Sapeva che la gente tende a voler eliminare ciò che non comprende, ma questo andava oltre. Si predicava tanto perché gli Evoluti ricevessero un trattamento uguale agli altri e poi…
Amelia si alzò e posò la mano sul cofano accartocciato della macchina. Il calore del motore era lì e lei lo assorbì completamente, aprendosi come non aveva mai fatto prima, riempiendosi più di quanto avesse mai pensato di poter fare. Quando aveva freddo era debole e stanca, incapace di trascinare il suo stesso peso, quando era sazia, invece, era piuttosto forte e molto resistente per una ragazzina della sua stazza. In quel momento si sentiva in grado di sollevare una montagna.
Afferrò l’auto con entrambe le mani senza sapere davvero che cosa farne, aveva sperato di usarla come scudo, forse, ma si sentiva forte, fortissima e con una spinta la lanciò verso i poliziotti. Rimase a guardare mentre si cappottava un paio di volte volando dritta sui loro cofani, poi Erik l’afferrò per un braccio e la tirò via. I poliziotti gridavano dietro di loro, non sapeva che danni avesse fatto con la macchina, forse aveva preso qualcuno di loro. Non era certa che le importasse.
Si inoltrarono nel parco cercando di confondersi con le ombre degli alberi, rese più scure dall’alba imminente. L’energia che le scorreva dentro grazie all’adrenalina e al calore che aveva assorbita stava scemando, facendo sì che cominciasse a sentire le ferite che aveva addosso e il dolore che ne derivava.
Amelia abbassò lo sguardo su di sé. Il lato destro della sua felpa era inzuppato di sangue e una curiosa debolezza cominciava a rendere difficile impedire alle sue ginocchia di piegarsi e cedere.
“Mi hanno colpita.” Notò, senza particolari inflessioni nella voce. Erik continuava a camminare, arrancando e trascinandosela dietro. Sembrava pazzo, gli occhi stralunati e il viso pallido imperlato di sudore. Amelia pensava che stesse lottando con tutto se stesso per non cedere alla febbre e al dolore. “Almeno non ha preso di nuovo te.” Stranamente, quella consapevolezza alleviò un po’ la sofferenza che sentiva. Era stata accecata dalla rabbia al solo pensiero che gli avessero fatto male per la seconda volta, talmente accecata da aver lanciato una macchina. L’aveva fatto davvero? Sembrava impossibile. Comunque, non avevano colpito lui. Per fortuna.
La forza che l’aveva sostenuta venne meno all’improvviso.
“No, no, Amy! Non mollare. Ci siamo quasi!”
Il corpo di Erik era caldo fino a sembrare in fiamme quando la sollevò fra le braccia. Cercò di prendere un po’ del suo calore, di prendere un po’ della sua febbre.
“Dimmi qualcosa, per favore.”
“Puoi… chiamarmi… Amy. Solo perché… sei tu.” Parlare era faticoso. Non sentiva dolore, il mondo si riduceva al calore cocente della pelle di Erik e ai suoi occhi azzurri freddi come il ghiaccio, terrorizzati.
“Come, non ti piace? Io trovo che sia molto dolce.” Il fiatone gli rendeva la voce più profonda, come se dovesse sforzarsi per farla uscire direttamente dalla gola. Teneva lo sguardo puntato su qualcosa in lontananza e avanzava testardamente in quella direzione. Nonostante fosse stordita e confusa, Amelia riusciva a sentire quanto lentamente e faticosamente costringeva il suo corpo a fare un passo dopo l’altro. La teneva in braccio come una principessa, stringendola contro il petto come se avesse paura che potesse scivolargli via dalle mani da un momento all’altro e forse era proprio così. Le sue braccia si indebolivano a ogni passo, ma lui non sembrava intenzionato ad arrendersi. “Ci siamo quasi, capito? Non lascerò che ti succeda nulla.”
C’erano quasi davvero. Amelia riconobbe il pronto soccorso mentre passavano dal parcheggio. Erano esposti, ma per fortuna la distesa di cemento era vuota e silenziosa. Ci volle qualche manovra perché Erik riuscisse finalmente ad aprire le porte, erano pesanti e lui aveva le mani occupate. Amelia poteva vedere il suo viso, affaticato e frenetico mentre si faceva strada all’interno. Fece qualche passo verso l’accettazione ondeggiando come un ubriaco.
“Aiuto…” mormorò con un filo di voce, poi perse i sensi. Lei cadde con lui, rotolando via dalle sue braccia. Rimase immobile per un attimo, troppo stordita e confusa per muoversi, poi si costrinse a strisciare fino a raggiungerlo e se lo strinse addosso come per nasconderlo.
“Svegliati.” Lo pregò a voce bassa. Tutta quella che le rimaneva.
Intorno a loro si stava formando un assembramento di persone, Amelia riconobbe dei camici e delle divise da infermiera fra coloro che si inginocchiarono al suo fianco.
“Non fategli del male,” supplicò, rendendosi conto che avrebbe dovuto lasciarlo andare perché loro potessero aiutarlo. Incontrò lo sguardo gentile di una ragazza che doveva essere un’infermiera. Aveva il viso a forma di cuore e le accarezzò i capelli con delicatezza. “Non lo faremo, siamo qui per aiutarvi,” assicurò.
Li trasferirono su due lettini diversi e Amelia non riuscì ad afferrargli la mano prima che l’equipe che l’aveva assistito sfrecciasse via lontano dalla sua vista.
 
Ricordava poco dei momenti successivi. Aveva perso conoscenza e poi si era risvegliata un paio di volte, stremata e infreddolita. A un certo punto era arrivata sua madre e aveva una vaga immagine del suo viso mentre le chiedeva qualcosa, poi nulla fino al momento in cui si era svegliata in una delle stanze dell’ospedale.
Nonostante gli antidolorifici, che di sicuro le avevano già somministrato, si sentiva come se fosse passata in un tritacarne e probabilmente era proprio così, anche se sul momento non si era resa conto di quanto gravemente si fosse ferita coi vetri durante l’incidente.
Sua madre era accanto a lei, ma non era sua la mano fasciata che la stringeva. “Erik,” mormorò, sorridendo. Era coperto di fasciature e cerotti, ma aveva un bel colorito sano sulle guance. “Stai bene.”
Lui rispose allegramente al sorriso allungando l’altra mano per accarezzarle i capelli. “Anche tu adesso. Ci hai fatto prendere paura, però.”
“Perché? Cosa…?” Non ricordava abbastanza da capire.
“Sei finita in ipotermia, i medici non sapevano della tua condizione e inizialmente non capivano perché la temperatura continuasse a calare anche se ti avevano coperta. Sei andata in arresto cardiaco e solo dopo hanno cominciato il riscaldamento rapido tramite dispositivi da cui hai potuto assorbire calore. Fra quello e la perdita massiccia di sangue sei rimasta priva di sensi per tre giorni. Stanno anche facendo degli esami perché la Commissione per la Protezione degli Evoluti pensa che tu possa essere una di loro visto che hai letteralmente lanciato una macchina.” Si decise a spiegare sua madre, con dovizia di particolari per non farle mancare quel brivido di terrore in più che ogni ricoverato vorrebbe. Oltretutto, lei un’Evoluta? Doveva essere la più sfortunata del mondo visto che quello che credevano essere il suo potere era anche ciò che la portava a rischiare il congelamento ogni poche ore.
Erik attirò la sua attenzione con un ghigno e, indicando che si portava dietro una flebo attaccata a un’asta: “io me la sono cavata meglio. Hanno dovuto rimuovere il proiettile perché era rimasto dentro, ma poi la febbre è scesa e ora sono come nuovo. Più o meno.”
Il proiettile era ancora dentro. Amelia ripercorse mentalmente i momenti in cui gli aveva pulito la ferita rendendosi conto solo in quel momento che quello di cui si era occupata era il foro d’entrata, ma non c’era mai stato nessun foro di uscita. Sarebbe stato importante notarlo.
“E la polizia?” Domandò, notando che né lei né Erik erano ammanettati a qualcosa come invece si sarebbe aspettata.
A rispondere fu di nuovo sua madre: “Tuo padre e tuo fratello si sono occupati di quello.” Amy alzò un sopracciglio per chiedere qualche dettaglio in più. D’accordo che erano entrambi avvocati in gamba, ma quello non sembrava qualcosa che potesse risolversi così facilmente. Che lei ed Erik avessero drammatizzato un po’ troppo? Il foro nella sua spalla diceva di no. “C’erano testimoni che avevano assistito alla scena la sera in cui Erik è stato fermato dal poliziotto al posto di blocco. Siamo riusciti a dimostrare sia che l’agente era da solo -cosa già illegale di per sé- e che quindi la testimonianza a suo favore del collega era falsa, sia che Erik non aveva fatto niente per minacciarlo. Meglio ancora, è venuto fuori che l’uomo è un razzista convinto e aveva già maltrattato degli Evoluti in passato, la stampa ci è andata a nozze. Insomma, alla fine l’unica cosa di cui siete accusati è non esservi fermati al posto di blocco.” Concluse sua madre, assecondando l’implicita richiesta di spiegazioni.
“Quindi è tutto finito? Papà e David hanno messo tutto a posto?” Domandò per sicurezza, non era sicura di poterci credere davvero.
“Sì, va tutto bene. Probabilmente ci saranno dei processi e dovrete testimoniare, ma non è il caso di preoccuparsene adesso.” La donna si abbassò a baciarla sulla fronte, poi si stiracchiò annunciando di aver bisogno di un caffè. Uscendo dalla stanza le lanciò un sorrisetto scaltro e persino un occhiolino, Amelia si lasciò sfuggire una risatina in risposta.
“Grazie, Amy.” Quando rimasero soli, Erik tornò improvvisamente serio.
“Per averti fatto schiantare contro un albero?” Buttò lì cercando di farlo ridere, funzionò ma solo per un istante.
“Per avermi creduto.” Si chinò su di lei fino a sfiorarle le labbra con le sue. Fu un contatto breve, ruvido per il taglio che le segnava il labbro inferiore, dolce come nessun bacio prima di allora.
Amy esitò un istante, poi un sorriso timido le si affacciò sulle labbra. “Non c’è di che.”

  
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