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Autore: Ksyl    03/08/2020    3 recensioni
Castle e Beckett si sono incontrati solo una volta, durante quell'unico caso risolto durante il Pilot e da lì più nulla. Si rivedono solo alcuni anni dopo. E a quel punto inizia questa storia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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6 Beckett

"Devi andare al lavoro anche stasera, mamma?"
Una vocina limpida si insinuò attraverso la porta semiaperta della sua camera da letto, riaccendendo la cenere mai sopita degli onnipresenti sensi di colpa materni. Si stava, in effetti, preparando per uscire, proprio come aveva notato suo figlio, a cui non sfuggiva mai nulla.

Distolse l'attenzione da quello che stava facendo e la rivolse a Tommy, che la stava scrutando con aria inquisitoria e carica di aspettativa, appoggiato allo stipite. Lo aveva lasciato qualche minuto prima a colorare sul tavolino basso in salotto, da tempo la sua postazione personale, dotata dell'innegabile vantaggio di tenerlo a portata di sguardo in qualsiasi punto della casa si fosse trovata. Si era mosso in silenzio, contrariamente al suo solito, e per questo non lo aveva sentito arrivare.

Il solito nodo arrivò a stringerle la gola – capitava ogni volta - rendendosi conto di come Tommy desse per scontato che lei fosse sempre impegnata altrove per motivi professionali. Accettava come un fatto naturale di doverla dividere con il suo lavoro, presenza ingombrante nelle loro vite. Inghiottì uno sgradevole miscuglio di tristezza e frustrazione.
Anni prima, quando era rimasta incinta, si era trovata costretta a ponderare con attenzione le alternative a sua disposizione, essendo l'unico genitore presente. Dopo qualche titubanza, aveva deciso di affrontare il concorso da capitano, che non solo era il passo successivo della sua carriera, ma che avrebbe avuto il vantaggio di offrirle maggiore flessibilità e una posizione meno pericolosa. Quando era infine riuscita a raggiungere il traguardo che si era prefissata, si era però accorta che le cose non erano esattamente come le aveva immaginate. Aveva sì smesso di rincorrere criminali e arrestare assassini, ma si era trovata invischiata in un'infinita girandola diplomatica travestita da occasioni mondane, e complesse dinamiche politiche, a cui doveva dedicare molto più tempo di quanto non avesse previsto.

In ogni caso, questa volta non era il lavoro a essere al centro della questione. Lo era Castle, invece. E la loro famosa cena, proprio quella che non aveva mai cancellato.
Dopo qualche giorno trascorso tra numerosi messaggi e molti sorrisi rubati e subito nascosti, divisa tra la crescente voglia di rivederlo e la tragica consapevolezza di commettere una sciocchezza di proporzioni immani, si era decisa a chiamarlo per fissare la data. Era stata felice, nervosa e tutto quello che c'era nel mezzo. Lo era ancora.
Lo aveva fatto, non senza che la coscienza le rimordesse a tratti, solo quando suo padre Jim, ignaro, si era spontaneamente offerto di prendere Tommy con sé per la notte. Non aveva preteso di avere la serata libera, giusto? Doveva attenersi ai fatti, principio basilare della sua vita. Le era piovuta dal cielo senza che lei facesse alcuna pressione. Non aveva chiesto un favore a nessuno per correre a cenare con Castle. Non avrebbe mai spinto Tommy fuori casa solo per concedersi un appuntamento. Eppure, era proprio così che si sentiva.

Lo guardò negli occhi, che tutti dicevano essere identici ai suoi. Non era in grado di valutare se fosse così, non le era facile ritrovare se stessa in lui, ma per fortuna – teneva per sé queste considerazioni – non assomigliava molto nemmeno al padre.
Tommy stava aspettando una risposta al suo interrogativo e sapeva per esperienza che niente sarebbe stato in grado di distrarlo.
Avrebbe potuto diplomaticamente porre fine alla questione confermando che sì, sarebbe andata al lavoro, lui non avrebbe mai sospettato niente. O poteva dirgli la verità. Fin da quando era piccolo si era ripromessa che non gli avrebbe mai mentito; gli avrebbe però sempre offerto una versione della realtà adatta al suo livello di comprensione. Non si era mai pentita della sua scelta. Finché non era arrivato Castle.

Si abbassò sulle ginocchia. Tommy ne approfittò per abbracciarla, cogliendola alla sprovvista e togliendole il fiato. Era sempre sopraffatta dalle sue esplicite e molto fisiche manifestazioni d'affetto, considerandosi al contrario di lui una persona più riservata. Era un'anima gentile, un bambino poco o nulla problematico, molto solare e socievole. Qualche volta si chiedeva da chi avesse preso certi tratti caratteriali, non potendoli imputare a nessuno dei suoi genitori, soprattutto se si consideravano il buon carattere e la sua amabilità. Si era sempre considerata estremamente fortunata che avesse scelto lei come madre per venire ad abitare questo lato dell'universo.
Per un attimo considerò molto seriamente l'idea di rimandare la cena con Castle, per starsene con suo figlio, anche se era lui il primo ad avere programmi che non contemplavano la sua presenza. E a cui, a differenza sua, non avrebbe rinunciato.
"Nonno Jim verrà a prenderti tra poco per trascorrere la serata con te, ricordi?"
Tommy si illuminò all'idea, sorridendole felice.
"Hai preparato il tuo zainetto?"
Annuì. Avrebbe dato lei un'occhiata più tardi e avrebbe aggiunto quello che mancava. Il suo pupazzo preferito senza il quale non si sarebbe addormentato, qualche nuovo libro illustrato che gli aveva appena comprato. Per quanto riguardava il resto suo padre era fornito di tutto il necessario, avendo trasformato una camera del suo appartamento nel regno privato di Tommy, talmente pieno di articoli per l'infanzia da far invidia a un negozio di giocattoli.

"Ma tu dove devi andare?", insistette il bambino, senza mollare la presa. Vedeva per lui un roseo futuro da detective.
"Devo incontrare un amico che non conosci", ammise coraggiosamente, fedele al suo proposito di non concedersi comode scappatoie.
"Perché non lo conosco? E perché non è anche mio amico?", la incalzò implacabile al punto da iniziare a farla innervosire sotto il suo sguardo severo. Stava per confessargli che Castle aveva una lunga serie di crimini efferati alle spalle, di cui lei era complice.
"Magari un giorno lo incontrerai e potrete diventare amici anche voi due".
Che cosa le saltava in mente? Questo era mettere le mani molto, molto avanti e non era quello che aveva avuto intenzione di dirgli. "Non vuoi portare dal nonno il tuo pigiama con le astronavi? Perché non vai a prenderlo?"
Non le sembrò molto convinto, ma fece come gli era stato suggerito. Era piuttosto ubbidiente, quando riusciva a convincerlo della validità delle sue indicazioni, nonostante avesse usato quello stratagemma solo per evitarsi ulteriori imbarazzi.

Tornò di corsa da lei, che si stava dando l'ultima passata di mascara, cercando di non ficcarselo in un occhio, agitata com'era.
"Quando viene papà?", domandò Tommy cambiando discorso e facendole sanguinare il cuore.
Abbandonò i preparativi, lo prese in braccio e andò ad accomodarsi nella poltrona in camera da letto. Era il loro posto privato, quello in cui gli aveva raccontato fiabe e cantato ninnananne da quando era nato. Era lì che andavano ad acciambellarsi quando avevano bisogno di stare vicini.
Valutò come muoversi al meglio su un argomento scivoloso come quello che Tommy aveva stranamente tirato in ballo. Non era da lui chiedere di suo padre di punto in bianco.
La verità era che non aveva nessuna idea di quando Josh sarebbe tornata dall'ennesima peregrinazione in giro per il mondo, organizzata con il nobile intento di salvare chiunque tranne suo figlio. Pensarci le faceva venire travasi di bile, emicranie e impulsi omicidi. Cercava di farlo il meno possibile.
A intervalli irregolari si faceva vivo con lei per annunciare visite future, che la maggior parte delle volte non rispettava, annullandole all'ultimo da qualche palafitta sperduta con la linea che si interrompeva in continuazione. E queste erano le circostanze più piacevoli, quando almeno si degnava di avvisare che non sarebbe tornato.
A un certo punto aveva smesso di dirlo a Tommy, volendo evitare che la sua vita fosse un susseguirsi di promesse non mantenute da parte di suo padre. Non sopportava di essere testimone del suo crescente entusiasmo, delle aspettative miseramente infrante e del suo faccino triste. Quando Josh si degnava di tornare in patria e lei era certa che fosse effettivamente atterrato e fosse incline a incontrare suo figlio - le due cose non sempre combaciavano –, informava Tommy con tatto dell'incontro.

"Non lo so, tesoro. È molto impegnato a costruire scuole e ospedali nella giungla per le persone che ne hanno bisogno".
A che punto della vita Tommy si sarebbe reso conto che questo padre salvatore dell'umanità, come lui credeva arrogantemente di essere, aveva tempo ed energie da dedicare a tutti tranne che a lui? Fremeva sempre di rabbia quando era costretta a toccare da vicino l'indifferenza con cui il suo ex si rapportava a Tommy mentre si spendeva generosamente per i figli di chiunque altro.
"Posso chiamarlo?"
Un'altra stilettata. Non poteva rifiutarsi, non era giusto che passasse sempre lei per la cattiva. Non lo era affatto, era solo molto protettiva. E non era colpa sua, a meno che non si considerasse tale il peccato ancestrale di essersi messa in quella situazione e aver trascinato un bambino con sé. Tommy, con l'innocenza dei suoi pochi anni di vita, coltivava un'idea romantica di suo padre, che lei aveva in parte contribuito a costruire, e non se la sentiva di distruggere le sue illusioni. Non così presto.

Valutò la differenza di fuso orario tra New York e l'ultimo indirizzo che Josh le aveva comunicato durante una breve telefonata intercontinentale avvenuta in piena notte e interrotta da continui crepitii che avevano reso difficoltosa la già ostile comunicazione tra loro e poi si rassegnò a comporre il numero.
Inaspettatamente Josh rispose al primo squillo. Dopo aver scambiato a fatica qualche parola, lo passò subito al figlio, in trepidante attesa. La conversazione tra i due fu stentata e non percepì grande entusiasmo né da una parte né dall'altra del ricevitore. Niente di diverso dal solito, purtroppo. Tommy era sempre felice delle rare briciole di attenzione che Josh gli dedicava, ma usciva dai loro incontri – reali o virtuali - sempre un po' deluso. Non voleva che imparasse che il mondo andava affrontato con disincanto. Voleva il meglio per suo figlio, voleva magia e meraviglia, ma si rendeva amaramente conto che, dal fronte paterno, non riceveva nemmeno il minimo sindacale.
Quando ebbe riattaccato, dopo solo qualche minuto, lo abbracciò più forte, appoggiando il mento sulla sua testolina ricciuta. Chissà se il suo infinito amore avrebbe compensato tutte le mancanze che aveva dovuto sopportare. Era una domanda che non aveva smesso di porsi, fin da quando era solo un segno appena accennato sul test di gravidanza che aveva fatto da sola nei bagni del distretto.

Vennero interrotti da un deciso scampanellio. Tommy dimenticò in fretta la telefonata e si scagliò sul pavimento, gridando di gioia quando vide il nonno comparire sulla soglia di casa.
Li lasciò ai loro saluti pieni di pathos – non si vedevano da un paio di giorni – e ne approfittò per svignarsela per concludere una buona volta i suoi impacciati tentativi di rendersi presentabile, sapendo per esperienza che nell'euforico congiungimento di due anime divise dalla sorte avversa non ci sarebbe stato spazio per lei.

Dopo qualche minuto di eccitato borbottio, sentì bussare discretamente alla porta della sua stanza.
"Chi sarebbe questo amico con cui devi uscire, Katie?" chiese suo padre disinvolto, sorridendole gongolante.
Gli lanciò un'occhiata torva attraverso lo specchio, in preda al bisogno urgente di calarsi dalla finestra con qualsiasi mezzo, anche quelli più rudimentali.
Lei e il padre non avevano mai avuto quel genere di confidenza, erano abituati a rispettare con discrezione lo spazio dell'altro, ma da quando Tommy aveva iniziato a parlare era stata costretta a rivedere il proprio concetto di privacy, visto che suo figlio era impermeabile a ogni tentativo di contenere la sua propensione alla condivisione pubblica di qualsiasi dettaglio, soprattutto quelli che riguardavano sua madre. E suo padre, inaspettatamente, si era rivelato più impiccione del previsto. Lui e il nipote viaggiavano in perfetta sintonia.
Il colpevole arrivò saltellando dietro al nonno.

"Nessuno", tagliò corto. Non aveva avuto conversazioni di questo tipo con suo padre durante l'adolescenza, non era certo intenzionata a iniziare adesso solo perché aveva un figlio che non sapeva tenere la bocca chiusa.
"Non può essere nessuno", sottolineò la voce della ragione dall'alto del suo metro scarso.
"Ha ragione, Katie. Perché non ci dici chi è? Come si chiama?"
Strinse i denti, rimpiangendo la sua ferma intenzione di essere sempre trasparente con suo figlio, nel limite del possibile. A quel punto avrebbe potuto convincerli che sarebbe uscita per recarsi al lavoro e nessuno avrebbe fatto storie. L'integrità era decisamente sopravvalutata. Da lei, soprattutto.
Lanciò un'occhiata ammonitrice al padre, che invece se la stava spassando un mondo.

"Tommy, vai a raccogliere le tue cose, così tu e il nonno potete uscire", replicò sbrigativa.
"Sbaglio o stai cercando di cacciarci di casa non troppo velatamente? Deve essere un appuntamento a cui tieni molto". Era permesso aver voglia di strozzare il proprio padre? Perché era esattamente quello che sarebbe successo, se non avesse smesso di parlare a vanvera.
"Non è niente di importante", bofonchiò per non farsi sentire dal figlio.
"Speravo di sì. Sarebbe bello se iniziassi a divertirti un po'. Tommy ha quattro anni, ormai".
Aveva confabulato con Lanie? Perché d'un tratto erano tutti preoccupati che lei non si divertisse? Ne aveva abbastanza di gente che le faceva notare le sue tendenze monastiche.
"È solo una cena, papà. Non farti strane idee". Era impossibile che non se le fosse già fatte.
"Vuoi dirmi di chi si tratta o preferisci che io e Tommy ci nascondiamo all'angolo per spiarvi?"
"Sei troppo onesto per fare una cosa del genere e, soprattutto, insegnarla a tuo nipote".
"Mettimi alla prova", sogghignò Jim.

Fortunatamente la spiacevole conversazione con un uomo che all'anagrafe risultava essere suo padre, ma che si era trasformato in uno sconosciuto ficcanaso venne interrotta da un rumore proveniente dall'ingresso.
Doveva essere Castle, realizzò con un improvviso attacco di tachicardia. Certo che era lui, chi altri poteva essere? Casa sua non era solitamente frequentata da estranei che bussassero senza preavviso alla sua porta. Era lui a essere in anticipo o era lei ad aver sbagliato a calcolare i tempi, peccando di ottimismo?
Gli aveva dato appuntamento – era stato lui a insistere per passarla a prendere a casa, come l'ultimo dei gentiluomini - convinta di avere abbastanza margine temporale per accoglierlo in tutta tranquillità dopo aver salutato Tommy e suo padre e aver augurato loro di trascorrere una bella serata insieme.
L'esperienza con un bambino avrebbe dovuto insegnarle l'inutilità di predisporre dei piani così poco lungimiranti. In più tutte quelle chiacchiere sull'uomo misterioso con cui sarebbe uscita l'avevano distratta e non le avevano permesso di seguire la sua tabella di marcia. E, quindi, il danno era fatto. Chissà se il mascara applicato al volo avrebbe resistito.

Si precipitò ad aprire, nel tentativo di anticipare gli uomini presenti – magari sarebbe riuscita a convincere Castle a nascondersi nella rampa delle scale comunicandoglielo a gesti - ma suo figlio fu più rapido di lei e, sgattaiolandole tra le gambe, spalancò la porta di slancio.
Si preparò allo schianto dell'incontro imprevisto tra Tommy e Castle, rassegnata all'idea che ormai la situazione fosse ormai oltre le sue possibilità di controllarla.
Da sopra la testa del bambino osservò il sorriso di Castle - inizialmente convinto di trovarsi di fronte solo lei-, farsi un po' incerto, per poi riprendere vigore quando divenne cosciente del contesto in cui si era suo malgrado ritrovato.

Gli fece un debole cenno di saluto con la mano, senza sapere di preciso che cosa stesse cercando di comunicargli, forse solo la sua disperazione. La casa era in disordine e al loro primo, vero appuntamento si faceva trovare con l'intera famiglia riunita per sottoporlo a un esame. Perché non la banda e un comitato di accoglienza, già che c'erano?
Castle le rivolse un sorriso rilassato. "Ciao, Kate", la salutò, lanciandole uno sguardo che la rimescolò. Abbassò gli occhi, imbarazzata. Sperò che nessuno si fosse accorto che era arrossita. Intercettò un'occhiata meravigliata del padre, arrivato con tutta calma a posizionarsi accanto a lei, che mimò enfaticamente con le labbra: "Richard Castle?"
Lo ignorò, concentrandosi sul disastro in corso.

"Sei tu il nuovo amico della mamma?" cinguettò Tommy con un tono fintamente cortese che tradiva invece intenzioni non del tutto pacifiche. Nemmeno suo padre aveva mai avuto un atteggiamento così sospettoso nei confronti dei ragazzi che aveva frequentato durante il liceo.
Castle si abbassò per essere alla sua altezza e gli tese la mano, con grande serietà.
"Ciao, tu devi essere Tommy. Io sono Rick. Sì, sono un amico della tua mamma".
Il bambino gli strinse la mano con altrettanta solennità. Si accorse di aver trattenuto il fiato e di avere lo stomaco contratto. Castle sembrava invece molto tranquillo e a proprio agio. Innegabilmente, aveva sangue freddo da vendere.
"Ti ho portato un regalo, vuoi vederlo?", proseguì Castle, cogliendo tutti di sorpresa. Si rese conto solo in quel momento che doveva avere qualcosa nascosto dietro la schiena.
Tommy annuì, eccitato. Castle fece lentamente comparire un coniglietto di peluche e lo mostrò al bambino, che si entusiasmò battendo le mani. Dopo essersi accertato che la madre fosse d'accordo, lo accolse con delicatezza tra le braccia, ringraziando compito. Per fortuna si era ricordato delle buone maniere.

Si volse verso di lei per mostrarle il suo nuovo tesoro e lo osservarono insieme. Il coniglietto aveva lunghe orecchie pelose molto morbide, un cappellino messo di traverso sulla testa e una salopette di jeans. Per qualche assurdo motivo, le parve che assomigliasse curiosamente a suo figlio, forse per via di quell'aria nerd e sbarazzina insieme. Come aveva fatto Castle ad azzeccare i gusti di Tommy?
Il gesto la intenerì anche se non aveva minimamente idea del motivo per cui Castle, convinto di incontrare solo lei – il fatto che avesse la serata libera era stata la premessa imprescindibile del loro appuntamento -, si fosse presentato con un dono per lui.

Tommy era estasiato. Il coniglietto sarebbe diventato in fretta uno dei suoi preferiti, se già non lo era, conosceva abbastanza bene i suoi gusti da sapere che avrebbe ottenuto il posto d'onore nella schiera di peluche destinati ad accompagnarlo nel mondo dei sogni.
"Come si chiama?", domandò Tommy, che teneva sempre molto che le presentazioni si svolgessero nel totale rispetto delle consuetudini formali.
"Non ha ancora un nome. Come vuoi chiamarlo?", rispose Castle. Ci sapeva davvero fare con i bambini, dovette ammettere. Era un punto in più in suo favore, come se già non ce ne fossero abbastanza per farle perdere la testa.
"Rick", decise Tommy senza esitazioni. Kate dovette controllare il tremito nervoso, per non farsi sopraffare dalle emozioni. Era un grande onore da parte sua. Lei aveva ottenuto un peluche che portasse il suo nome per esteso solo molto recentemente.
"Rick, allora". Anche Castle era visibilmente colpito da quella netta svolta in suo favore.

"Vuoi diventare anche mio amico? O sei solo un amico della mamma?"
Castle le lanciò un'occhiata per sapere come comportarsi. Molto rispettoso. In pratica, un uomo perfetto. E lei doveva avere gli ormoni impazziti. Un binomio disastroso.
"Posso anche essere tuo amico, se ti fa piacere".
"Non ho ancora deciso", esclamò suo figlio dopo qualche istante di riflessione, da sempre grande sostenitore dell'onestà a ogni costo, riportando il necessario realismo a una situazione troppo idilliaca. Del resto, glielo aveva insegnato lei. Castle rimase spiazzato. Fu costretta a intervenire, anche se aveva una gran voglia di scoppiare a ridere.

"Tommy, è ora di andare, il nonno mi ha confidato che ti porterà a cena in un posto speciale". Non era vero, ma sarebbe servito a farli finalmente uscire di casa. Dopo qualche protesta, molti baci e abbracci e reiterati saluti, riuscì finalmente a dedicare la sua intera attenzione a Castle.

   
 
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