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Autore: Dalybook04    03/08/2020    1 recensioni
Sequel di "Tutti i pomodori con cui mi dicesti ti amo"
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Napoli, ottobre 1722
Il diciannovenne Ludwig Beilschmidt scese dalla nave, un borsone in spalla e un'ombra di sorriso sul bel viso rasato di fresco.
Era a Napoli, nella stessa città del suo amore.
Stava per rivedere Feliciano.
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Feliciano lo guardò, con gli occhi piedi di meraviglia, mentre un enorme sorriso si faceva strada sul suo viso
Cosa doveva fare? Stringergli la mano? Abbracciarlo? Baciarlo?
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Lovino Romano Vargas non era mai stato uno che esprimesse apertamente le sue emozioni, ma nonostante questo suo fratello sapeva bene che stava soffrendo
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La quotidianità di quei mesi venne spezzata da un certo prussiano che amava distruggere ogni tipo di tranquillità
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Dopo tanti anni, finalmente Ludwig riesce a tornare a Napoli dal suo amore d'infanzia, Feliciano, per un anno di vacanza.
L'amore a troverà finalmente un modo?
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Principalmente Gerita, accenni Spamano, Pruaus e Fruk
Genere: Fluff, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del diciottesimo secolo e altre storie'
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Lentamente, i giorni erano passati
Feliciano ormai passava ogni notte da lui. Lovino non si era opposto, non avevano neanche dovuto chiedere il permesso. La sera prima della partenza li invitò a cena da lui. Non appena furono arrivati, Lovino abbracciò forte il fratellino e lo portò in un'altra stanza per fargli vedere qualcosa che Ludwig non sentì, lasciando il tedesco solo con Antonio.
-e così, domani è il grande giorno, eh?- gli diede una pacca sulla spalla -capisco come ti senti- Ludwig era furioso con il mondo quella sera più che mai, un'ira cieca e disperata contro chiunque tranne Feliciano, soprattutto verso sé stesso, e si trattenne a stento dall'urlargli che no, non poteva sapere come ci sentisse. Poi si ricordò che invece lo sapeva benissimo, anche meglio di lui -se me lo concedi, vorrei darti qualche consiglio- Ludwig annuì.
-capisco la pressione che ti mette la tua famiglia. Lo so, ci sono passato anch'io, e so anche che non osi immaginare come sarà la tua vita da domani in poi, ma senti di non avere scelta. Lascia che ti dica ciò che mi ha insegnato Lovino: hai sempre una scelta, sempre. Potresti stracciare quel biglietto, lo sai benissimo, ma non osi farlo, perché non vuoi deludere la tua famiglia e il futuro ti spaventa. Io non avevo scelto e ho passato gli anni peggiori della mia vita- fece una smorfia, ogni traccia di sorriso scomparsa dal suo viso -all'inizio è come una ferita fresca che continua a sanguinare, sai? Ti senti come se ti avessero strappato un pezzo di cuore e lo avessero lasciato qui. Con il tempo, diventa un dolore fantasma, ti illudi che le lettere bastino a colmare il vuoto e passi le giornate a leggere e rileggere le stesse parole, cercando di ignorare la ferita che pulsa e illudendoti di aver fregato il sistema, di aver avuto sia la tua famiglia e sia il tuo amore, anche se da lontano. Sai quando mi sono reso conto dell'enormità del mio errore? Erano passati nove anni, nove dannatissimi anni a soffrire convincendomi che fosse una cosa giusta; ero nella mia stanza e stavo per andare a dormire, era la sera di Natale- fece un piccolo sorriso divertito, ricordando qualcosa -non riuscivo a dormire, così, dopo aver pianto come una fontana, perché sì, si piange in queste situazioni, si piange un sacco, te lo garantisco, per aiutarmi a dormire mi sono immaginato di stringere Lovi tra le braccia, di averlo affianco a me- fece una pausa -sai cosa ho realizzato, Ludwig? Che non ricordavo più che profumo avesse, che sapore avessero le sue labbra; che non ricordavo più l'esatta sfumatura dei suoi occhi. Che lo stavo dimenticando. Che stavo dimenticando la persona più importante di tutta la mia vita, e per cosa? Per una vita di sofferenza e solitudine, per una vita dannata. Ho realizzato che, partendo da Napoli, non era stato il destino, Dio o la mia famiglia a strapparmi il cuore: ero stato io. Ho realizzato che avrei potuto scegliere, che ogni dannatissimo giorno avrei potuto scegliere e prendere la prima nave per Napoli, ma che mi ero illuso di non poterlo fare. Che, Dio mi perdoni, avevo sprecato nove anni della mia vita a piangere e disperarmi fingendo di stare bene, quando avrei potuto scegliere e passare ogni giorno con chi sarebbe stato in grado di rendermi l'uomo più felice del pianeta anche nella povertà più assoluta. Allora mi sono alzato, sono corso nel mio studio e ho scritto a Lovino che sarei tornato, in ogni caso, anche se non mi avesse voluto, perché non riuscivo più a stare così lontano, non sopportavo quel lavoro che mi aveva tenuto distante da lui. Ho mandato una lettera ai miei, ho dato le dimissioni, ho fatto le valigie e sono corso al porto, senza neanche essere sicuro che Lovino ci sarebbe stato, non mi importava. Non avevo avuto il coraggio di aspettare una risposta: sono partito e basta. Prima ancora di scendere dalla nave io ho sentito che era lì, sapevo che era venuto a prendermi e sono corso giù dalla nave. Tu c'eri quando sono arrivato, ricordi la prima cosa che ho fatto?
-hai abbracciato Lovino e lo hai baciato.
-esatto- sorrise dolcemente -se a vederlo mi sono venute le lacrime agli occhi, a baciarlo di nuovo mi sono sentito... rinato. Come se fossi resuscitato dopo nove anni tra la vita e la morte e ti assicuro che è stata la sensazione migliore della mia vita. Non mi sono nascosto, non ho avuto paura: ho scelto, e anche se sono stato ripudiato non potrei essere più felice di così- fece una pausa e bevve un po' d'acqua -non ti biasimo se hai paura. Non ti biasimerò, qualunque sia la tua scelta, nessuno lo farà, neanche Feliciano- fece un sorriso divertito -anche se forse Lovi potrebbe voler prenderti a calci, ma capirebbe comunque. Non ti voglio condizionare, né scegliere per te. Però non voglio che tu faccia il mio stesso errore credendo di non avere scelta: ce l'hai, hai sempre; magari dolorosa, magari difficile, ma ce l'hai. Domani dovrai scegliere tra una vita senza Feliciano o una vita insieme a lui, so che entrambi i casi sono a dir poco terrificanti e hai paura: è normale, chi non l'avrebbe? La scelta però è tua e solo tua. Sei sempre libero di scegliere.
In quel momento tornarono i due fratelli Vargas. Il suo ragazzo gli si sedette in braccio, baciandolo. Ogni bacio di Feliciano era per lui come una ventata d'aria fresca, che finalmente lo lasciava respirare.
-Feli, ti sembra il modo di comportarsi a tavola?- scherzò Lovino, che però era in piedi accanto ad Antonio con un suo braccio intorno alla vita.
-dai, Lovi, lasciali stare. Noi sappiamo essere anche peggio, devo ricordarti cosa...
-quello è colpa tua, bastardo. Li lascio limonare in pace, ma se cominciano a spogliarsi li separo- il castano si rivolse al fratello -capito, Feli? Tenetevelo nei pantaloni fino alla casa del crucco- non ricevendo risposta sbuffò -niente da fare, non si staccano.
-eddai, Lovinito, sono innamorati, che vuoi farci?- Antonio lo attirò a sé e lo fece sedere sul suo grembo -se non puoi combatterli, unisciti a loro- fece un sorrisetto, prima di provare a baciarlo. Sì, provare, perché Lovino si era alzato all'istante e se n'era andato in cucina.
-stocazzo, mi si brucia la cena. Vieni a darmi una mano, bastardo, lasciamo i piccioncini da soli.
Di questo... romantico quadretto, i "due piccioncini" non avevano avuto sentore. Si erano isolati, erano nel loro mondo, neanche un terremoto avrebbe potuto separarli. Per qualche minuto non c'erano angosce, pensieri, ansie, partenze... no, solo loro due.
Quando si separarono, Ludwig stava già sorridendo. Gli veniva istintivo: se c'era Feliciano, sorrideva. Certo, un sorriso dei suoi, quindi piccolo e impercettibile, ma pur sempre un sorriso era. Il resto del mondo non avrebbe colto quella felicità, ma Feliciano sì. Feliciano lo conosceva troppo bene per non accorgersene. Feliciano aveva passato ore, giorni, settimane a studiare ogni curva del suo corpo, ogni linea del suo viso, ogni sfumatura dei suoi occhi e dei suoi capelli. Feliciano era semplicemente troppo attento per non notarlo. Aveva l'occhio dell'artista: così come distingueva un blu di Prussia da un blu oltremare, sapeva riconoscere ogni lieve differenza nel viso di Ludwig. Quanto gli piaceva! Era un po' una sfida cogliere sempre ogni dettaglio, eppure gli veniva quasi naturale. Al tempo stesso, sapere di essere l'unico a poter godere di quella piccola meraviglia che era il sorriso di Ludwig lo riempiva di orgoglio e lo faceva anche sentire un po' speciale.
Feliciano ricambiò il sorriso. Il suo di sorriso era luminoso, aperto, solare e bellissimo. In quel momento, era a dir poco mozzafiato. L'italiano lo baciò sulla fronte e si alzò dalle sue gambe, sedendosi al suo fianco e prendendogli la mano, sempre in quel modo che aveva conservato dall'infanzia: con gentilezza ma decisione, come se volesse stringerlo a sé ma gli lasciasse anche la libertà di lasciarlo, se avesse voluto. Da piccolo aveva pensato fosse un'accortezza dolce ma inutile, perché già allora gli piaceva tenergli la mano. Ora però non ne era così certo.
Le mani di Feliciano erano calde e sottili. Aveva le dita lunghe e un po' callose, mani che sarebbero state perfette per un musicista, mani da pittore, sempre sporche di tempera o pittura. Il contrario di quelle di Ludwig, ruvide e fredde, abituate a reggere armi e libri, non altre così delicate. Eppure sapevano essere così gentili, sia nel girare pagina sia nel stringerlo tra le braccia.
In quel momento tornarono Lovino e Antonio con la cena e il resto venne temporaneamente scordato.

-ve, Luddi...- lo chiamò, demolendo il silenzio.
Erano sdraiati a letto, con solo le coperte a coprirli, abbracciati. Erano stanchi, ma nessuno dei due voleva dormire. Non con la consapevolezza che quella sarebbe potuta essere la loro ultima notte insieme.
-dimmi, Feliciano.
-ecco, io non... ve, volevo dirti queste cose da un po', ma non... non trovavo il coraggio perché sono un fifone e...
Ludwig annuì, invitandolo a continuare e scostandogli una ciocca dal viso.
-volevo dirti che...- era una cosa seria, si capiva subito. Quando parlava di qualcosa di serio il suo tono di voce cambiava completamente e persino il suo solito ve scompariva -che ti amerò comunque, qualsiasi cosa succeda. E che...- gli morì la voce, se la schiarì prima di continuare -che non... cioé, non mi importa se dovrò aspettare o... o se ci vedremo solo poche volte all'anno. Sono disposto a fare delle rinunce, certo non rinuncerei a tutto... cioé no aspetta, volevo dire che non rinuncerei al fratellone, non potrei abbandonarlo per sempre, insomma neanche tu lo faresti con Gilbert, no?
Ludwig annuì -ho capito cosa intendi, non preoccuparti- lo baciò sulla guancia rossa.
-sì, ecco... e uhm, che stavo dicendo? Ah sì, che sono disposto a fare delle rinunce, ad aspettare eccetera. Volevo dirti questo perché... cioé non voglio che tu stia male, capisci? Voglio che tu sia felice, Luddi. Quindi, uhm, per quanto riguarda domani...- sospirò -fai quello che ritieni migliore per te. Non preoccuparti per me, me la caverò. Non... non voglio che tu faccia qualcosa solo per fare felice me, mi sentirei in colpa. Per favore, Luddi, scegli quello che ritieni giusto, non quello che pensi voglia io. Anche perché tutto quello che voglio io è che tu e il fratellone siate felici, del resto non mi importa granché, davvero. Quindi promettimi che domani farai ciò che renderà felice te, per piacere- esitò, mordendosi il labbro -ve, come sono andato? Sono terribile a fare discorsi, Luddi, scusa.
Ludwig si sentiva, per farla breve, una merda. Ricordate tutto il discorso fatto lo scorso capitolo sui suoi sensi di colpa? Ecco, dopo quel discorso erano triplicati. Aveva davanti un ragazzo così tenero, dolce e premuroso che gli aveva esplicitamente detto di essere egoista perché voleva che fosse felice. Diamine, che aveva fatto per meritarsi un angelo del genere?
-sei andato benissimo, Feliciano- lo baciò, stringendolo come la cosa più preziosa al mondo -davvero benissimo...
-Luddi, non essere triste- gli prese il viso tra le mani e lo guardò dritto negli occhi -so che sei arrabbiato e preoccupato eccetera, però...- gli sorrise -ve, non lasciamo che i sentimenti negativi ci rovinino la nostra ultima notte, va bene?
Ludwig annuì -scusami, hai ragione.
Feliciano gli tirò su gli angoli della bocca con le dita -ve, Luddi, fammi un sorriso, su- il biondo si sforzò di obbedire, ricevendo in cambio un bacio, baciò che per magia esorcizzò tutte le sue ansie e lo fece tornare a sorridere -ecco, così va meglio- lo baciò di nuovo, intrufolandosi tra le sue labbra sottili con delicatezza -Luddi, posso chiederti una cosa?
-certo- Feliciano gli salì sopra, abbracciandolo con le braccia e le gambe. Lo baciò sulla fronte.
-baciami come se fosse l'ultima cosa che farai- lo baciò di nuovo, sentendo la solita disperazione avvolgerlo. Non la cacciò: ci si avvolse come in una coperta e decise di sfruttarla per rendere quella notte speciale. Tutti erano convinti che la tristezza fosse per forza negativa, ma era sbagliato. La tristezza non è cattiva, così come la felicità non è buona. Sono due stati d'animo, niente di più. Il trucco è saperli sfruttare al meglio.
Così si strinse a Ludwig, facendo aderire il bacino con il suo, baciandolo in maniera tanto profonda quanto la sua angoscia. Gli seppellì le mani nei capelli, li accarezzò, li strinse, li tirò. Si lasciò baciare il collo, stringendo le gambe intorno ai fianchi dell'altro con un gemito. In breve tornarono a essere uno e, cavolo, era un rapporto così profondo, disperato ed emozionante che Feliciano si sentiva sempre di più in Paradiso. Era uno solo con Ludwig, ma non solo fisicamente. Erano così immersi l'uno nell'altro che anche le emozioni, i cuori e le anime sembravano fuse. Sfiorarono le stelle insieme, quella notte, e Feliciano ebbe la certezza che un piccolo pezzo della sua anima ora era nell'altro e viceversa. Sentiva Ludwig sotto la pelle, come se nelle vene al posto del sangue avesse lui. Di certo avrebbe conservato quel pezzettino di lui per sempre, così da averlo con sé anche se distanti. Gli sorrise, infilando la testa nell'incavo del suo collo e lasciandosi stringere fino ad addormentarsi. Non servivano parole. Per qualche motivo, Feliciano era sicuro che l'altro sentisse le stesse cose. Ah, e anche che Ludwig si fosse addormentato insieme a lui, perdendo, insieme al fortino dietro al quale nascondeva le sue emozioni, anche l'insonnia, che pure era stato certo che lo avrebbe tormentato anche e soprattutto quella notte. E invece Feliciano si era dimostrato come sempre sorprendente e sconvolgente tanto da mandare all'aria tutti i suoi piani.
In fondo, se lo sarebbe dovuto aspettare.

La mattina successiva non si staccarono un attimo. Per tutto il tempo Feliciano gli rimase appiccicato, anche mentre mangiavano. Ci misero un'eternità a uscire di casa, in parte anche per colpa di Ludwig, che pure amava la puntualità. Ogni volta che aprivano la porta per uscire, quella veniva richiusa subito, per lasciare spazio all'ultimo bacio. Si diedero qualcosa come quindici ultimi baci, quel giorno.
Quando finalmente si decisero ad uscire, andarono al porto. Ludwig avrebbe preso una nave che lo avrebbe portato in Ungheria, poi da lì una carrozza lo avrebbe condotto in Austria, da suo fratello e Roderich. Poi, lui e suo fratello sarebbero andati insieme fino a casa loro, per il matrimonio di Ludwig.
Al solo pensiero gli venivano i brividi. Si trascinò insieme a Feliciano fino al negozio di Lovino, dove i due li stavano già aspettando per accompagnarli. Probabilmente, si disse Ludwig, Lovino è venuto per dare sostegno a Feliciano e Antonio per darne a Lovino.
Il tragitto fino al porto fu molto simile a una marcia funebre.
In qualche modo, però, Feliciano sorrideva. Parlò tutto il tempo a macchinetta, per riempire il silenzio e ravvivare l'atmosfera. Da dove tirasse fuori quel sorriso, Ludwig proprio non riusciva a capirlo.
Arrivarono che la nave era già lì. Ludwig le diede le spalle e si preparò ai saluti.
Antonio gli strinse la mano con un sorriso -buona fortuna, Ludwig. Salutami Gil.
Il tedesco annuì -certo.
Venne il turno di Lovino. Ludwig fece per stringergli la mano, ma quello sbuffò divertito.
-rimarrai un crucco ottuso fino alla fine, eh?- a sorpresa lo abbracciò, lasciando scioccati sia lui che Feliciano -buona fortuna, crucco- gli lanciò un'occhiata eloquente e si fece indietro, tornando da Antonio e lasciando spazio al fratellino.
Quello era l'arrivederci che Ludwig temeva di più. Di sicuro non poteva limitarsi a stringergli la mano.
Feliciano gli sorrise, un sorriso meraviglioso, e lo abbracciò. Ludwig lo strinse, cercando di imprimersi il più possibile il ricordo nella mente. Quando si allontanarono, Feliciano continuava a sorridere, con gli occhi che brillavano alla luce del sole. Solo dopo Ludwig avrebbe realizzato che quel luccichio era dovuto alle lacrime.
-ciao ciao, Luddi. Alla prossima- lo salutò così, come se Ludwig stesse solo andando via per un giorno o due, come se fosse stato certo che una prossima volta ci sarebbe stata. E in effetti Feliciano lo era. Forse in quella vita, forse in un'altra, forse in Paradiso: prima o poi si sarebbero rivisti. Aveva cercato di essere più allegro, voleva che anche quel momento fosse un bel ricordo e non voleva rendere quella separazione più difficile di quanto già non fosse.
Per questo continuò a sorridere, anche mentre guardava l'altro allontanarsi e salire sulla nave. Si sarebbero visti, si ripeteva, anche se quello comunque non rendeva tutto quanto più facile o meno doloroso. Era un arrivederci, non un addio, ma non era facile comunque sopportarlo: ci avrebbe provato.
Solo quando il tedesco fu scomparso all'interno della nave si concesse di piangere.

Ludwig salì sulla nave e si diresse nella sua cabina come un morto che camminava.
Sentiva il cuore pulsare sordo, la testa ovattata e gli occhi bruciare. Un vuoto doloroso lo riempiva fino alle ossa, misto al dolore di quel pezzettino di Feliciano, quello che gli era quasi sembrato fosse entrato in lui la notte precedente, che cercava di fuggire per tornare dal suo proprietario.
Sospirò e si sedette sulla branda, prendendosi il viso tra le mani. Era strano, in effetti. Era autunno, e insieme alle foglie quel giorno sarebbe morto un giovane amore. Il destino è molto ironico, no?
...no.
No. No, Ludwig si rifiutava di credere che la loro storia sarebbe finita così. Ripensò a Feliciano, al suo sorriso dolce velato di lacrime mentre lo abbracciava e con voce sottile, ma sicura, lo salutava, certo che si sarebbero rivisti, che l'amore avrebbe trovato un modo.
Forse l'amore l'avrebbe trovato davvero, ma Ludwig si rifiutava di aspettare anni e anni, ne aveva aspettati fin troppi. Forse c'era davvero un Dio che controllava, che vigilava. Forse era stato davvero Dio o chi per Lui a mandare ad Antonio quei segnali, quella notte di Natale. Forse l'avrebbe fatto anche con lui o Feliciano, forse lo stava facendo anche in quel momento, ma a Ludwig piaceva pensare di essere lui l'artefice del suo destino. Volle convincersi di essere lui a cambiare le cose.
Forse l'amore avrebbe davvero trovato un modo, ma Ludwig lo avrebbe fatto prima.
Ripensò a Feliciano, al suo sorriso, alle sue mani delicate, ai suoi vestiti sporchi di pittura, ai suoi occhi luminosi anche mentre lo salutava; ricordò il modo in cui lo abbracciava; sorrise pensando che Feliciano lo sfiorava di continuo, con una scusa o l'altra, cercando un contatto di qualsiasi tipo; ripensò al suo modo di parlare, al suo accento unico, al suo modo di esprimersi infantile ma anche profondo nei momenti giusti, a quel ve che gli era diventato così caro, a tutte le sue premure e attenzioni; ripensò a lui, a ogni cosa di lui, mentre afferrava le sue cose, si asciugava le ultime lacrime e usciva correndo dalla sua cabina, precipitandosi all'uscita.

Feliciano stava piangendo.
Lovino lo aveva abbracciato non appena il tedesco se n'era andato, accarezzandogli la schiena e i capelli e sussurrandogli parole di conforto in latino. Sapeva che quella lingua gli ricordava la sua infanzia, la mamma e soprattutto il nonno, lo rincuorava sempre così quando da piccolo aveva qualche incubo o si spaventava per qualcosa. Quella però era la vita reale, ben più spaventosa di qualsiasi incubo.
Feliciano piangeva, tanto, il viso sepolto nella maglia di suo fratello, gli occhi che sembravano voler lacrimare l'intera laguna di Venezia per quante lacrime stavano tirando fuori. Era crollato, ormai non c'era niente da fare: non sarebbe riuscito a smettere di piangere finché non avesse terminato le lacrime, e anche allora forse avrebbe pianto sangue, morendo lì, come un fiore appassito dopo aver perso tutta la sua linfa. Era una bella metafora, avrebbe potuto farci un disegno. Con Ludwig progettava di far crescere fiori nel loro giardino...
-dai, Feli. Andrà tutto bene. Me l'hai detto anche tu: l'amore trova sempre un modo- gli sussurrò con tono dolce, baciandogli poi la testa. Lovino stava cercando di fare del suo meglio, ma in fondo sapeva che certi dolori non se ne andavano di certo per qualche parolina di conforto.
-s-sì ma... v-ve, fa male comunque e... e non voglio as-aspettare! Voglio Luddi!- singhiozzava, disperato, il viso sepolto nella camicia di suo fratello, senza neanche rendersi conto di aver usato istintivamente un misto tra veneto e latino, le sue due lingue natali, anche se non le usava da anni.
Non riusciva a smettere di piangere, non ci riusciva. Tremava, singhiozzava, senza preoccuparsi di essere troppo rumoroso.
Per fortuna c'era anche Antonio con loro.
Sì, perché Lovino era troppo occupato a consolare il fratello per accorgersi del biondo che correva fuori dalla nave e Feliciano troppo impegnato a singhiozzare per sentire, nel caos del porto, una voce che lo chiamava, una voce dal forte accento tedesco, che diceva il suo nome per intero, senza diminutivi o nomignoli.
Ma Antonio si era tenuto in disparte, lasciando ai due fratelli il loro spazio, e nonostante stesse osservando il loro abbraccio preoccupato, niente gli impedì di vedere Ludwig correre, per quanto i bagagli glielo permettessero, verso di loro. Lo spagnolo si avvicinò a Lovino e gli mise una mano sulla spalla sorridendo, indicandogli, quando ebbe la sua attenzione, il tedesco. Anche Lovino sorrise.
-Feli... guarda- allontanò il fratellino da sé e indicò il biondo.
Feliciano si voltò, asciugandosi gli occhi con i pugni chiusi. Quando riuscì a mettere a fuoco Ludwig tornò a respirare, si aprì in un sorriso enorme e luminoso e cominciò anche lui a correre.
   
 
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