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Autore: storiedellasera    03/08/2020    3 recensioni
Storia di fantasmi ambientata nel secolo scorso.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nonostante l’impellente necessità di scrivere le mie memorie, prego ognuno di voi di non proseguire con questa lettura.
Ma i più temerari e sciocchi che arriveranno alla fine di queste pagine comprenderanno il terrore che mi attanaglia ogni volta che vedo una scalinata.

Sono nata nel 1912 in una villa di campagna lontana dai rumori e dal caos urbano.
La dimora apparteneva alla mia famiglia da quasi duecento anni.
Era immensa e dotata dell’antico fascino di un’era ormai trascorsa. Ero abituata a muovermi nella penombra delle numerose stanze, guidata solo dalle lampade ad olio o dalla pallida luce del sole che filtrava attraverso le finestre.
Le sale ospitavano un gran numero di armadi scuri, poltrone e vecchi tappeti.
I corridoi erano decorati con busti, colonne e quadri di varie epoche.
Passavo molto tempo a guardare, oltre le finestre, l’enorme giardino della villa che confinava con un bosco tetro e misterioso.
Quasi tutti i giorni la nebbia avvolgeva l’intera campagna.
In quelle occasioni potevo scrutare i primi alberi della foresta e nulla più. Ero in grado di catturare solo alcuni elementi del bosco come la sagoma di alcuni tronchi o i loro rami scheletrici mossi dal vento. Certe volte, quando la nebbia si faceva più densa, avevo l’impressione di scorgere delle persone, tra quegli alberi, intente a fissarmi.

Mio padre, uno stimato medico, aveva contribuito ad arredate la villa. Poiché appassionato di caccia, aveva posto in diverse sale alcuni dei suoi macabri trofei: sul camino della grande sala, al pian terreno, erano esposte delle imponenti corna di cervo. E sulle altre pareti si trovavano le teste imbalsamate di diversi animali come cinghiali, alci e lupi.
Nelle notti più nere avevo l’impressione di intravedere una crudele scintilla di vita guizzare nei loro occhi artificiali.
Ma l’animale che più mi spaventava era un'aquila impagliata e posta in alto nella sala, con ali spiegate e le zampe che artigliavano un tronco di quercia.
La luce del focolare del camino danzava con fare sinistro sul corpo del rapace, generando riflessi ambrati sulle sue piume scure e sul suo becco affilato.
Non avevo l’ardore di fissare quel demone alato ma con la coda dell’occhio, di tanto in tanto, avrei giurato di vederlo muoversi.
E allora fuggivo da quella maledetta sala.
Spesso trovavo conforto nella stanza della musica, dove mia madre si esercitava con il suo pianoforte, un magnifico strumento nero a coda lunga.
Suonava melodie malinconiche e io amavo ascoltarla.
La stanza della musica era il mio luogo preferito della casa anche se al suo interno c’era qualcosa che mi inquietava. Si trattava di una piccola porticina, sempre chiusa a chiave, che conduceva a un vecchio sgabuzzino sotterraneo dopo esser scesi per una lunga e sinistra scalinata.

Avevo sette anni quando ebbi un fratellino. Un bambino piccolo e vivace.
Cinque anni più tardi una terrificante febbre portò via mia madre.
La seppellimmo nella tomba di famiglia, un luogo lugubre che non voglio più visitare. La cerimonia fu fatta durante una tetra mattina, con una fitta nebbia che accompagnava il corteo funebre.  
Mio padre non riuscì mai a superare il lutto.
Divenne sempre più silenzioso e distante. Tornava a casa dal lavoro per accasciarsi su una poltrona di fronte al camino della sala grande, circondato dai suoi trofei di caccia.
Allora prendeva del whiskey o del vino nella speranza di trovare sua moglie nel fondo della bottiglia. Lo sentivo spesso parlare da solo, con voce stanca, mentre i corpi imbalsamati degli animali da lui uccisi lo tenevano sott’occhio.
Non riusciva a darsi pace poiché, nonostante fosse un abile medico, non era riuscito a curare la donna che amava.

Passò un anno ma il tempo non riusciva a lenire le sofferenze di mio padre.
Per questo motivo fui costretta ad occuparmi non solo della casa ma anche di mio fratello.
Ma io restavo pur sempre una bambina e di tanto in tanto sentivo il bisogno di giocare.
La casa era immensa e io adoravo esplorarla, convinta di non aver visitato tutti i posti celati tra le ombre di quelle mura.
Io e mio fratello amavamo giocare a nascondino.

Una sera toccò a mio fratello nascondersi.
Come sempre iniziai a fissare il grande orologio a pendolo vicino la cucina. Avrei atteso un minuto mentre mio fratello correva a cercare un nascondiglio.
Sentivo il debole tonfo dei suoi passi riecheggiare nei bui corridoi.
Dopo sessanta secondi iniziai a cercarlo.
Raggiunsi il terzo piano della casa poiché ero attirata dal rumore che mio fratello faceva quando camminava. In una stanza da letto scorsi il movimento dell’anta di un armadio che veniva chiusa da una manina. Era appena visibile tra gli abiti posti all’interno del mobile.
Entusiasta di aver già trovato mio fratello, sorrisi e feci per aprire l’armadio.
Ma il ragazzino balzò alle mie spalle con l’intento di spaventarmi.
Era sempre rimasto fuori dalla stanza, nascosto dietro le pesanti tende damascate di una finestra.
Fui pervasa da brividi di terrore. L’orrore mi impediva di ragionare e iniziai a dubitare di aver visto la piccola mano all’interno dell’armadio socchiuso.
Ricordo solo che presi mio fratello e corsi via da quella stanza il più fretta possibile.
Mentre fuggivo, ebbi l’orrenda sensazione di essere inseguita da qualcosa di indescrivibile.

Dopo quella terrificante vicenda iniziarono a susseguirsi eventi misteriosi e spaventosi.
Durante le notti restavo sveglia nel mio letto ad ascoltare ogni scricchiolio sommesso della casa.
La dimora era antica e si udivano spesso quei rumori, eppure non potevo far a meno di attribuirgli un origine sovrannaturale.
Gli spifferi d’aria gelida che attraversavano le pareti facevano agitare dolcemente le bianche tende nei corridoi. Spifferi d’aria che, forse solo nella mia mente spaventata, si tramutavano in sussurri che ricordavano una voce di donna.

Una notte… una terribile notte …percepii chiaramente un odore pungente aleggiare nella mia camera da letto. Era un fastidioso aroma simile all’incenso.
Sapevo di averlo già sentito ma, in quel momento, non rammentai in quale occasione.
La stranezza di quell’evento mi spinse ad alzarmi.
Potevo quasi scorgere le sinuose scie di odore permeare nel buio della notte, tracciando un percorso che si dilungava nell’oscuro corridoio oltre la porta della mia stanza.
Ancora oggi non sono sicura se ero desta o se stavo sognando.
Confusa e incuriosita, scesi dal letto e mi inoltrai nel buio della villa.
Seguii quel misterioso profumo ed ebbi l’impressione che le persone ritratte nei dipinti, posti sulle parerti dei corridoi, mi stessero seguendo con lo sguardo.
Fuori dalle finestre potevo vedere un banco di nebbia adagiato sul giardino di casa e sul bosco.
La luna irradiava d’avorio le bianche tende delle finestre vicino a me.
Mi sentivo strana, come se non fossi più in grado di controllare il mio corpo.
Una forza misteriosa mi stava guidando tra le varie stanze oscure della casa.
La traccia olfattiva mi condusse di fronte ad una porta chiusa.
Oltre si trovava la stanza della musica. Feci per aprire la porta ma proprio in quel momento sentii una malinconica melodia provenire dall’interno della stanza. Qualcuno stava suonando il pianoforte. Note di una triste e familiare melodia riempivano il silenzio attorno me.
Sapevo che mio padre non era capace di suonare il pianoforte… e tantomeno mio fratello.

La mia mano stringeva la gelida maniglia della porta. Ma non volevo più aprirla.
L’aroma attorno a me si era fatta più intensa e finalmente rammentai di cosa si trattava.
Era una miscela di erbe e sali usata nelle camere mortuarie per occultare l’odore dei cadaveri. Solo una volta, prima di quella notte, sentii quell’odore, ossia quando tale miscela fu cosparsa sul corpo senza vita di mia madre.
La paura mi strinse il cuore e ritrassi subito la mano dalla porta. Chiunque si trovasse nella sala della musica era riuscito, in qualche modo, a percepire il mio terrore.
La musica cessò di colpo e nell’immane silenzio della notte sentii chiaramente lo sgabello del pianoforte che veniva trascinato sul pavimento.
Qualcuno si era alzato dal pianoforte e con passi sommessi si stava avvicinando alla porta.

Iniziai a correre ma non ricordo i particolari della mia fuga.
Il terrore che provai era immenso quanto incomprensibile e aumentò a dismisura quando, durante la mia corsa, passai vicino la grande sala con i trofei di caccia di mio padre. L’aquila impagliata osservava ogni mio movimento.  
Tornai in camera mia, saltai nel letto e mi nascosi sotto le pesanti coperte.
Chiusi gli occhi e tremai per il resto della notte.

I giorni passarono, divennero settimane e poi mesi.
Mio padre era ormai l’ombra di se stesso. L’alcol aveva indebolito il suo fisico e la sua mente. Era pallido e magro. Si recava a lavoro con la barba incolta e aveva perso gran parte della stima dei suoi colleghi. Ma a lui tutto questo non importava.
Non gli importava neanche saltare le cene o prendersi cura di me e di mio fratello. Voleva solo ubriacarsi e dialogare con il fantasma di sua moglie che la sua mente annebbiata dall’alcol evocava ogni sera.

Mio fratello era rimasto molto impressionato dai modi di quell’uomo.
Suggestionato da quel malsano comportamento, anche lui iniziò a parlare da solo. Le sue lunghe e solitarie chiacchierate mi inquietavano sempre di più.
Ma io volevo stargli vicino e passavo le mie giornate con lui.

Una sera, mentre fuori infuriava un temporale primaverile, tornai a giocare a nascondino con mio fratello. Due volte riuscì a trovarmi e due trovai lui.
Andò poi a nascondersi per la terza volta.
Iniziai a cercarlo in ogni stanza della casa, scacciando dalla mia mente i ricordi spaventosi dei giorni passati. Volevo eliminare ogni timore dalla mia anima, volevo comportarmi come se nulla di orribile e inspiegabile fosse mai accaduto nella villa.
Ma mentre ero impegnata a cercare mio fratello, quest’ultimo iniziò a chiamarmi a gran voce.
Lo sentivo euforico ed entusiasta al piano terreno, nella stanza della musica.
Mi pregava di raggiungerlo il prima possibile poiché aveva appena visto nostra madre.

Corsi più veloce che mai mentre mio fratello continuava a urlare di gioia.
Entrai nella stanza della musica ma non vidi nessuno.
Dopo una manciata di secondi mi resi conto che la porticina dello sgabuzzino era aperta. Allora la spalancai e vidi, in fondo alle scale, mio fratello venir trascinato nel buio da una scura sagoma femminile. Prima di sparire dalla mia vista, scorsi un gelido luccichio negli occhi di quella nera figura.

Mio padre, quando tornò dal lavoro, mi trovò in preda alle urla e ai deliri.
Ero ancora nella stanza della musica, in cima alle scale dello sgabuzzino. L’uomo tentò di calmarmi ma non ricordo nulla dei momenti che seguirono. Tale era la paura che provavo.

Ricordo solo i poliziotti entrare, il giorno dopo, nella mia casa e portar via mio padre.
A lungo cercarono mio fratello senza riuscire a trovarlo. Non dissi nulla alle autorità, non avrebbero mai creduto alla mia storia… che mio fratello era stato rapito da un’ombra e trascinato nel buio in fondo alle scale dello sgabuzzino per poi sparire dalla faccia della Terra.

Passai alcuni mesi in un orfanotrofio.
Fui infine adottata da una coppia amorevole che non era in grado di concepire figli. Posso ritenermi soddisfatta della mia nuova vita e sono felice che la mia nuova casa sia piccola, umile e, poiché composta da un solo piano, priva di scale.  


   
 
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