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Autore: Soul of Paper    03/08/2020    5 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 41 - Tensione


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


“Allora?”

 

“Allora non devi andare al lavoro pure tu? Che farsi bagnare il naso da Capozza è un disonore, Diana!”

 

Dopo che l’avevano portata a casa di sua madre, Capozza se ne era andato dicendo che non poteva fare tardi o chi la sentiva la D’Antonio.


Diana invece l’aveva accompagnata a fare colazione al bar di fronte e poi di nuovo a casa, manco fosse una guardia del corpo.

 

“Mi sono presa mezza giornata di ferie, Imma, che è una vita che non parliamo e domani c’hai l’udienza e poi te ne scappi di nuovo a Roma!”

 

“Perché devo lavorare, io, Diana,” rispose, sarcastica, ma la sua ex cancelliera si limitò a sollevare gli occhi al soffitto e a sedersi ostinatamente sul divano, “e poi non mi sembra che io e te abbiamo mai parlato molto, no?”

 

“Appunto! Infatti è proprio da una vita che non parliamo se non di lavoro, Imma, che sono sempre io a doverti cavare le cose di bocca. Allora? Come va con Ippazio? Era così mogio che quasi mi sono spaventata che ti fosse successo qualcosa! Quello sta proprio perso, Imma! Come diceva la buonanima di mia madre, ti porterebbe l’acqua con gli orecchi se glielo chiedessi!”

 

“Che schifo, per carità!” esclamò Imma, che quel proverbio l’aveva sempre detestato, “e poi che mi diventi pure Frate Indovino, mo?”

 

“Imma, non cambiare discorso! E allora, perché sei venuta da sola? Ci sono problemi?!”

 

“Per caso Vitali ti ha assegnata a fare gli interrogatori dopo che me ne sono andata, Diana? Una volta, sì, eri impicciona, ma dopo un po’ la mollavi la presa.”

 

“Solo perché se no me l’avresti fatta pagare sul lavoro, che non ti conosco? Ma domani torni a Roma, quindi non ho niente da perdere. Allora?”

 

Imma sospirò, indecisa per un attimo se mandare a quel paese Diana, andare a sistemare alla meno peggio casa e poi a farsi un pisolino, o se in fondo, per una volta, non andasse pure a lei di confidarsi. Certo, Diana non era riservata quanto Sabrina, ma in tutti quei mesi che aveva saputo in anteprima di lei e Calogiuri non aveva mai fatto scappare un fiato.

 

“Se te ne parlo mi prometti che non dici una parola finché non ho finito di spiegare? Che vorrei terminare prima dell’udienza di domani!”

 

“Va bene, va bene! Che pazienza che ci vuole con te, Imma! Quel ragazzo è un santo!”

 

“Guarda che sarebbe bastato non chiedermi niente - e non continuare a starmi alle calcagna come una specie di segugio - e la pazienza non ti ci voleva!” esclamò, guadagnandosi un’altra occhiata al soffitto ed un sopracciglio alzato.

 

Che sentitamente ricambiò.

 

*********************************************************************************************************

 

“Calogiuri!”

 

Fece un salto dalla sorpresa, che solo per un soffio non rovesciò il cappuccino a terra.

 

“Do- dottoressa? Che… che ci fate qui?”

 

“Che accoglienza, Calogiuri!”

 

“No, scusate, ma è che… non dovreste essere ancora in ferie?”

 

“Sì, rientro lunedì ma… sono tornata a Roma ieri e ne ho approfittato per venire a recuperare due carte urgenti, che non mi voglio trovare sommersa al rientro ufficiale. Jenny, un-”

 

“Il matcha latte alla dottoressa lo offro io, Jenny!” si inserì, prima che lei potesse protestare, ma si beccò lo stesso un “Calogiuri!” di rimbrotto.

 

“Grazie…” gli sussurrò poi, mentre la barista preparava quella specie di brodaglia verdastra che le piaceva tanto, “e ti ricordi pure cosa prendo!”

 

“Non è difficile, visto che lo bevete praticamente solo voi, dottoressa.”

 

“Ma che fai, sfotti? Anche se… mi sa che fa molto milanese, non è vero? Ma preferisco il tè al caffè, poi il tè verde fa molto bene. Dovresti provarlo pure tu, Calogiuri: ti dà energia e ti tiene sveglio, che con quelle occhiaie sembri uno zombie!”

 

Sospirò, perché aveva passato quasi tutta la notte in bianco in quel letto vuoto, pensando ad Imma in corriera e, soprattutto, al fatto che non l’avesse voluto con lei. Chissà se avrebbe mai avuto il coraggio di affrontare i materani con lui o se….

 

“Calogiuri, ma sei ancora addormentato?” la voce di Irene per poco non gli fece fare un altro salto.

 

“No, no, scusate, è che-”

 

“Invece che scusarti, vieni con me al tavolo, già che hai offerto tu,” proclamò, avviandosi verso uno dei tavolini con la tazza in mano e prendendo posto, per poi chiedergli a bassa voce, non appena si sedette, “che ti succede, Calogiuri?”

 

“No… niente… è che…”

 

“Con quelle occhiaie normalmente penserei ad una notte di fuoco, ma ho visto che Imma è in ferie per due giorni. E tu stai qua. E allora?”

 

“No… è che… è andata a Matera per l’udienza di divorzio,” spiegò, altrettanto sottovoce, anche se sicuramente la voce in procura si era già sparsa.

 

“Ho capito, Calogiuri, non serve che mi dici altro,” ribatté, scuotendo il capo e bevendo un altro sorso di schiuma verde, “senti… perché non vieni con me a vedere uno spettacolo stasera? Teatro all’aperto, Shakespeare. In italiano, non ti preoccupare, che già è difficile così.”

 

“Ma sei sicura di poter uscire stasera?” le sussurrò e lei sorrise ed annuì.

 

Probabilmente con Bianca c’era Maria.

 

Sapeva che Imma non sarebbe stata entusiasta all’idea che lui uscisse con Irene mentre lei non c’era. Ma, prima di tutto, era stata lei stessa a dirgli che non è che dovesse chiedere il permesso per uscire con i suoi amici, Irene inclusa. Capo secondo, lei se ne era andata a Matera senza di lui per sua scelta: non poteva certo pretendere che lui rimanesse a casa da solo a rodersi il fegato mentre lei non c’era.

 

“Va bene, a che ora ti passo a prendere?”

 

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“Imma, ma che t’è saltato in testa? Ci credo che quel poveretto se l’è presa!”

 

“Neanche tu mi pare che sbandierassi la tua storia con Capozza mentre dovevi separarti, o no?”

 

“Imma, e su, non vorrai paragonarmi le due situazioni? Mio marito mi ha dichiarato guerra, tanto che chissà quando riuscirò ad averlo il divorzio, coi tempi della giustizia italiana! Che ci sto perdendo una fortuna in avvocato, ma non avevo scelta! Ma sono andata lo stesso a vivere con Capozza, alla faccia di mio marito, e mica ci nascondiamo! Ormai di te e Calogiuri lo sanno pure i sassi - non che non se lo immaginassero pure prima - che aspetti a portarlo qua, Imma? Proprio tu, che te ne sei sempre fregata del giudizio delle persone e ora-”

 

“E ora ho i giornalisti alle calcagna, Pietro che già è quasi sul piede di guerra ed una figlia chiusa in casa a Milano, che nemmeno una latitante. Forse me ne sono fregata fin troppo, Diana, e mo ne pago le conseguenze. Ma non volevo peggiorare le cose con Pietro e… e rischiare che saltasse l’udienza. E nemmeno che Calogiuri venisse qui a prendersi le frecciatine di tutti quanti. E non voglio che la gente pensi che è per lui che divorzio, che è colpa sua, perché la decisione è mia, e la responsabilità è mia soltanto.”

 

“Imma, ascolta,” sospirò Diana, mettendole una mano sull’avambraccio e prendendola di sorpresa, “la gente tanto lo penserà lo stesso, e poi la maggior parte della colpa la danno comunque a te, perché sei più grande d’età e perché sei una donna. Che cambia tra mo ed in futuro? Lo sai che i commenti ci saranno sempre. O pensi di non metterci mai più piede qui con Calogiuri?”

 

“No, ma-”

 

“Imma, quel ragazzo è stato già tanto paziente! Quanto tempo ti ha aspettata tra Roma e Matera, quando stavate insieme di nascosto? Sapessi quante volte vi ho beccati insieme! Ma sicuramente era da ben prima che me ne accorgessi,” le fece notare ed Imma si sentì in imbarazzo al solo ricordo della loro clandestinità, “ed è giovane, è bello, è gentile... figurati quante ne ha che gli ronzano intorno. Non tirare troppo la corda, Imma, che se poi si spezza….”

 

I cocci saranno i suoi! - le sovvenne la frase di Vitali, forse perché in fondo stavano a pochi chilometri l’uno dall’altra.

 

Fin da quando aveva deciso di lasciare Pietro e di provare ad iniziare una storia con Calogiuri, Roma le era sembrata la soluzione ideale. Per proteggere il loro rapporto e Calogiuri dalle inevitabili pressioni e difficoltà che la vita a Matera avrebbe comportato. Certo, forse l'aveva fatto anche per proteggere se stessa. Con i giornalisti ed i Mazzocca di mezzo, Roma ormai non era più quel porto sicuro di totale anonimato, ma sapeva benissimo che a Matera tutto era moltiplicato almeno per cento, se non per mille.

 

Però se era Calogiuri a volerlo, a voler affrontare tutto quello… forse doveva fidarsi della sua capacità di reggere la situazione. In fondo aveva già affrontato sua madre, che doveva essere lo scoglio più grosso per lui.

 

Ma poteva lei per prima accettare di farsi guardare dall’alto in basso da tutti quelli che in quella città non vedevano l’ora, da sempre, di coglierla in fallo?

 

Non era facile lasciare del tutto andare quell’immagine di sé che si era costruita in quarant’anni di vita nella città dei Sassi.

 

Per niente.

 

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Sono a teatro con Irene. Stacco il telefono per un paio d’ore. Se hai bisogno lasciami un messaggio.

 

Una sensazione tremenda di fastidio le morse lo stomaco nel leggere quel messaggio. La cara Irene non perdeva tempo, come sempre quando lei non c’era. E Calogiuri ovviamente mica si tirava indietro, forse anche per ripicca nei suoi confronti.

 

Ma poi non doveva stare in ferie la gattamorta?

 

Sapeva però di non potergli fare nessuna recriminazione: non solo gli aveva detto lei stessa che non doveva chiederle il permesso per uscire con la cara Irene - chissà cosa le era saltato in mente quel giorno! - ma, per come si erano salutati, sapeva che ulteriori discussioni per telefono sarebbero state probabilmente la goccia che avrebbe fatto traboccare il maledetto vaso.

 

Ciò non toglieva che, con l’udienza che incombeva l’indomani, dover avere pure quella preoccupazione prima di andare a letto fosse l’ultima cosa di cui aveva bisogno. Ed una parte di lei era delusa che Calogiuri non lo capisse, per quanto fosse stato forse sempre fin troppo comprensivo.

 

Ma non su Irene.

 

Sto per andare a dormire. Che cosa vedrete?

 

Messaggio neutro, non troppo indagatorio o geloso. Sicuramente parecchio bugiardo, perché altro che dormire! Sarebbe stato un miracolo prendere sonno.

 

Sogno di una notte di mezza estate.

 

Almeno aveva risposto.

 

Un po’ fuori stagione, ormai. Salutami la collega.

 

Dovette fare uno sforzo quasi sovrumano per non chiedergli di scriverle al rientro a casa. Non voleva sembrare disperata, non voleva dargli quella soddisfazione. Soprattutto se fosse uscito con Irene proprio per infastidirla.

 

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“Imma?”

 

“Sì… ti… ti saluta,” pronunciò, anche se lui stesso faticava a credere a quelle parole.

 

“Sì, me lo immagino, Calogiuri!”

 

“No, veramente, guarda!”

 

Le mostrò il display ed Irene scoppiò a ridere.

 

“Posso sentire il tono sarcastico di Imma fin da qui, Calogiuri, pure se sta a Matera!”

 

E che poteva dirle? C’aveva ragione.

 

“Irene….”

 

“Senti, Calogiuri, tanto l’ho capito che avete litigato perché se n’è andata a Matera da sola. Vi conosco abbastanza ormai, soprattutto te. Ora però spegni il cellulare e concentrati sullo spettacolo, che poi ti interrogo!”

 

Sorrise, nonostante tutto, perché era un sollievo non dover spiegare nulla e perché quelle serate con Irene gli erano veramente mancate più di quanto avrebbe mai pensato.

 

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“Allora, ti è piaciuto lo spettacolo?”

 

“Era… era un po’ complicato da capire il linguaggio… un po’ antico.”

 

“Allora è perfetto per te, Calogiuri, che sei all’antica,” lo prese in giro, salendo in auto al posto del passeggero.

 

Si mise alla guida. Per fortuna il traffico non era molto intenso.

 

“Pure la storia era complicata perché… a tutti piaceva qualcuno che non li ricambiava. E poi il filtro d’amore, con tutti che si innamoravano a caso, e quello strano spettacolo nello spettacolo… era un po’ un casino.”


“Eh, Calogiuri, perché i rapporti amorosi nella realtà non sono un casino? E non si tende quasi sempre ad innamorarsi di chi non ci ricambia o di chi ci fa stare sulle spine e ci fa soffrire?”
 

Si voltò rapidamente per incrociare il suo sguardo ed era più che eloquente.

 

“Parli di te o di me?”

 

“Di tutti e di nessuno, Calogiuri. Ma se ti senti preso in causa, forse c’è un problema, visto che ultimamente con Imma mi sembravi molto felice, a parte i problemi coi giornalisti e Mancini.”

 

“No, è che… temo che… temo che una parte di lei si… si vergognerà sempre di stare con me. Almeno nei confronti di Matera e delle persone che… che la conoscono da prima che…” ammise, anche se gli faceva male, perché aveva bisogno di un consiglio.


E Mariani e Conti difficilmente avrebbero capito, non del tutto almeno.

 

“Calogiuri… e che vuoi che ti dica? Imma… Imma ha già fatto molto di più di quanto mai avrei ritenuto possibile, tra il trasferimento a Roma, l’aver detto tutto a Mancini, il divorzio che comunque mi sembra stia procedendo e-” si interruppe, guardandolo divertita, “perché fai quella faccia stupita?”

 

“No, è che… stai dando ragione a lei? Di solito-”

 

“No, Calogiuri, no, non è quello. Lo sai che… che su te ed Imma non avrei scommesso un euro, no, quando è venuta qui a Roma la prima volta? Diciamo che… per esperienza personale, su questo genere di relazioni ho aspettative bassissime. E finora Imma le ha di gran lunga superate.”

 

“Quindi mi stai dicendo che devo… che devo essere paziente e vedere il bicchiere mezzo pieno?”

 

“Ti sto dicendo che devi mettere su un piatto della bilancia le cose positive e negative, Calogiuri. L’importante per me è che tu sia felice. Essere felice al cento per cento è un’utopia ma… dovresti esserlo almeno per la maggior parte del tempo che sei con lei. Se no non ha senso. Capisci che voglio dire?”

 

“Sì… credo… credo di sì,” sospirò, anche se non sapeva bene cosa dire.

 

Dopo un paio di minuti trascorsi in silenzio arrivò di fronte al palazzo di Irene. Il teatro non era molto distante.

 

“Allora grazie per la compagnia, Calogiuri. Ci vediamo domani,” si congedò, mettendo una mano sulla maniglia della portiera.


“Aspetta!” gli uscì, d’istinto, ed Irene si voltò, sorpresa, “ti andrebbe se… se domenica venissi a trovare Bianca?”

 

“Se non è solo una ripicca verso Imma,” ribatté, con un’altra di quelle occhiate che parevano leggergli dentro.

 

“Non dirlo nemmeno per scherzo! No, è che... ho qualcosa da darle che… le ho preso in vacanza.”

 

Venne stritolato in un abbraccio a morsa e poi avvertì un tocco leggermente umido su una guancia, vicino all’orecchio.

 

“Imma è matta se ti lascia scappare,” sentì sussurrare, poi la morsa si sciolse, infine due dita sulla guancia, “scusa, ti ho lasciato il rossetto.”

 

“N-non fa niente,” fece in tempo a balbettare.

 

Un occhiolino d’intesa ed Irene aveva già aperto e richiuso la portiera, sparendo nell’androne del suo condominio.

 

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Si rigirò sul fianco destro ma le doleva quanto il sinistro.

 

Sembrava non riuscire a trovare pace, e dire che era riuscita a dormire persino in tenda senza problemi.

 

Ma il sonno non ne voleva sapere di arrivare, mentre si immaginava alternativamente sia cosa poteva succedere l’indomani con Pietro, sia Calogiuri in giro chissà dove con la gattamorta.

 

Guardò l’ora: erano le tre di notte e manco un messaggio le aveva mandato.

 

Sicuramente era tornato a casa, o almeno se lo augurava, perché se no….

 

In automatico prese il cellulare dal comodino, la luce che l’accecò momentaneamente, e controllò i messaggi.

 

Niente ma… ma Calogiuri sembrava essere online.

 

Con chi poteva starsi scrivendo a quell’ora? O anche lui non riusciva a dormire ed attendeva un suo messaggio?

 

No, era lui ad essere uscito ed era lui al limite a doverle scrivere. Di sicuro non si sarebbe messa a chiedergli dove si trovasse e perché fosse ancora collegato al cellulare.

 

D’altro canto… se fosse stato in buona compagnia di sicuro non avrebbe avuto il tempo di starsene online.

 

Stava per chiudere l’applicazione quando un messaggio le si aprì sul display e ci cliccò inavvertitamente sopra.

 

Sono a casa già da un po’. Cerca di riposare che ti sei fatta la notte in corriera e pure domani devi viaggiare.

 

Quella sensazione al petto, come se volesse esploderle, tornò, più forte che mai, insieme a quella di essere completamente a nudo.

 

Alla fine la preoccupazione, come sempre, aveva prevalso su tutto e lui la conosceva forse meglio di quanto lei conoscesse se stessa.

 

Si chiese se avesse ragione pure su Matera, sentendosi inadeguata di fronte a tutto quell’amore incondizionato, come non le capitava quasi più da quando l’aveva raggiunto a Roma definitivamente.

 

E tu che ci fai ancora sve-

 

Si bloccò nel mezzo della frase, che suonava troppo come un interrogatorio.

 

Cerca di dormire anche tu. Ti faccio sapere dopo l’udienza. Grazie del messaggio.

 

Forse non era la risposta più romantica del mondo, ma sperava che lui capisse, come sempre.

 

Anche se avrebbe dovuto imparare a non darlo più per scontato, perché non lo era, affatto.

 

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Sospirò leggendo quel messaggio, chiedendosi se avesse fatto bene o no a cedere e a scriverle.

 

Ma, dopo averla trovata online quattro volte nel giro di un’ora, alle tre del mattino….

 

Avrebbe dovuto dormire ed invece era lì a controllare se lei stesse bene o meno, come il cretino che era sempre stato.

 

Stava per posare il cellulare quando sentì una vibrazione tra le dita.

 

Magari Imma stavolta era riuscita a scrivere qualcosa di vagamente simile a delle scuse? O almeno qualcosa di più affettuoso e non solo implicitamente?

 

Sbloccò il display e si stupì di fronte ad un nome familiare.


Melita Baleari

 

Che ci fai sveglio a quest’ora in settimana? Sei ancora in ferie? Tutto bene?

 

Non avrebbe saputo dire se lo stupisse più il contenuto o il messaggio in sé: dopo che se ne era andata da Maiorca non l’aveva più sentita.

 

Aprì la chat, indeciso su cosa rispondere e notò che Melita stava scrivendo nuovamente.

 

Scusa se mi impiccio a quest’ora, ma sei l’unico dei miei contatti online e col mio lavoro non è un buon segno per te.

 

Gli venne spontaneo sorridere: in effetti tutti i torti non ce li aveva.

 

E tu stai lavorando?

 

No, stasera ho riposo, la stagione è quasi finita. Ma ormai vivo di notte. Turno di notte o insonnia?

 

Non voleva certo dirle di Imma e quindi adottò quella che in fondo non era del tutto una scusa.

 

Insonnia dopo troppi turni di notte.

 

Ci fu un attimo di pausa e stava per rimettere il telefono sul comodino, quando arrivò un ulteriore messaggio.

 

Ho letto la storia del ricatto ad Imma e ho visto le vostre foto da internet. Alla fine siete la coppia più VIP che ho incontrato questa stagione ;). Spero che vi lasceranno in pace presto.

 

In effetti ce l’aveva tra gli amici sui social, quindi sicuramente il post di Imma l’aveva visto da lì, quando lo aveva ricondiviso. Non sapeva bene cosa rispondere, ma Melita era andata offline e quindi probabilmente non si aspettava alcuna risposta.

 

Le scrisse un semplice, “grazie!”, posò il cellulare e sperò di riuscire a dormire almeno un paio d’ore.

 

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“Dottoressa! Mi pareva di aver letto il suo nome nelle udienze di oggi!”

 

“Le pareva, eh?” sibilò, con un sopracciglio alzato.


Nicoletti Rocco, uno dei cancellieri più anziani e più impiccioni del tribunale. La aspettava al varco e sicuramente aveva pure già allertato tutto il tribunale della sua presenza, visto che non teneva la bocca chiusa manco per mangiare, da come sbocconcellava sempre quelle volte in cui lo aveva incrociato al bar.

 

“Suo marito, anzi, il suo ormai quasi ex marito non è ancora arrivato,” proseguì, confermando che stava lì di vedetta e non di certo per caso, “certo che è un peccato: eravate proprio una bella coppia lei ed il signor De Ruggeri. Lui poi sempre tanto gentile, sa che abbiamo fatto pure delle partite di calcetto insieme, fino a che mi sono ritirato? Eh, un signore pure in campo! Sentendo come parlava di lei non avrei mai pensato di trovarvi in tribunale per un divorzio. E invece… eh… è difficile competere con uno come il maresciallo, almeno fisicamente. Poi di testa-”

 

“Poi di testa il maresciallo la memoria ce l’ha buona, e non solo per spettegolare, e non ci impiega mesi per ritrovare i fascicoli, Nicoletti. E non è stato a grattarsi la pancia per anni all’università dando un esame, come ha fatto lei, prima che la buonanima di sua madre le trovasse questo lavoro da cancelliere. Vuole che prosegua su come ci prova spudoratamente con tutte le poverette che fanno il tirocinio qui - e che ovviamente la ignorano - o mi vuole dire qual è l’aula dell’udienza e se il presidente sarà puntuale?”

 

Nicoletti sembrava avere appena inghiottito un rospo. Quanto le era mancato sapere vita, morte e miracoli di tutti quelli che incontrava e poter ribattere colpo su colpo quando alzavano un po’ troppo la cresta. A Roma non lo poteva fare.

 

“L’aula è la solita al quarto piano. E non ha altre udienze prima, quindi-”

 

“Quindi si prenderà il solito quarto d’ora di ritardo. Buona giornata a lei!” si congedò, non aspettando il saluto e procedendo a passo marziale verso l’ascensore.

 

Vide chiaramente alcune teste che si sporgevano dagli uffici, alcune familiari, altre meno, a ricordarle che mancava da lì da quasi un anno ormai. Almeno fisicamente, perché pure quelle facce giovani e sconosciute sussurravano “la Tataranni!” manco lei fosse sorda e non potesse sentirli.

 

Si chiese se la fama fosse dovuta al maxiprocesso, al suo pessimo carattere o ai giornali.

 

Ma tirò dritto per la sua strada e, quando l’ascensore arrivò al piano, ci si infilò dentro, decisa ma senza fretta: non voleva far sembrare che stesse fuggendo.

 

Stava per premere il pulsante col numero 4, quando sentì una voce familiare chiedere, “sono qui per una causa di divorzio, mi può dire l’aula? De Ruggeri, Pietro.”

 

Bloccò l’ascensore prima che si chiudesse. In quel momento Pietro alzò gli occhi ed i loro sguardi si incrociarono. Rimasero per qualche istante fermi, quasi a studiarsi, poi lui fece un cenno a Nicoletti e si avvicinò all’ascensore.

 

Era elegante, elegantissimo, come erano forse anni che non lo vedeva. Completo giacca e pantaloni scuro, camicia bianca, cravatta, taglio fresco di barbiere: pareva più pronto per un matrimonio che per un divorzio.

 

“Imma…” esordì, salendo in ascensore, civile ma asciutto.

 

“Pietro,” rispose, schiacciando finalmente il bottone, le porte che si richiusero con un cigolio poco rassicurante ma al quale era abituata.

 

Dopo qualche attimo di silenzio, carico di un sacco di cose, si sentì di commentare, “come mai ti sei vestito così? Sei elegantissimo!”

 

“Tu invece sei… come al solito,” ribatté lui, ma non c’era più quell’affetto con il quale commentava sempre le sue mise animalier.

 

Non era nemmeno una presa in giro, più una constatazione.

 

Del resto, con il suo vestito tigrato sfigurava rispetto a lui, ma non si era voluta mettere in nero. Alla fine il loro matrimonio era finito già da tanto tempo e quella era solo l’ultima firma su un atto compiuto, di fatto, ben più di un anno prima. Ma ora, a vederselo così, si sentiva ancora più un pesce fuor d’acqua, pur essendo in tribunale, il suo elemento.

 

Finalmente l’ascensore arrivò al piano e si affrettò a scendere, sperando di spezzare quell’atmosfera così opprimente.

 

Si avviò verso l’aula a loro designata, fermandosi poco davanti, in attesa dei comodi del presidente del tribunale. Pietro la raggiunse con più calma.

 

“Non lo hai riconosciuto, vero?” le chiese all’improvviso ed Imma lo guardò, confusa.

 

“Che cosa?”

 

“Il mio completo. Era quello dei nostri dieci anni di matrimonio, mi va bene ancora.”

 

Spalancò gli occhi, mentre una sensazione stranissima la prese in pancia. Era il vestito più elegante che avesse mai avuto Pietro, messo solo quella volta. Più elegante anche di quello del matrimonio: erano giovani, con pochi soldi e con la madre di lui che rinfacciava qualsiasi cosa, dalla cerimonia al buffet, troppo povero per lei. Per l’anniversario dei dieci anni, invece, Pietro aveva insistito e, oltre alla cerimonia celebrata da Don Mariano, si erano concessi una cena con tutta la famiglia in un ristorante fin troppo elegante e poi un viaggio a Parigi insieme a Valentina. Uno dei pochissimi che avevano fatto al di fuori da Metaponto.

 

I vent’anni non erano arrivati a festeggiarli, si erano separati prima.

 

“Sai… quando l’ho comprato… dopo dieci anni bellissimi, pensavo davvero che sarebbe stato per sempre e che noi due qua non ci avremmo mai messo piede. Pensa che… avrei voluto metterlo per i nostri vent’anni di matrimonio,” pronunciò, sembrando leggerle nel pensiero, “ed invece… mi sembrava giusto usarlo un’ultima volta per… per chiudere definitivamente questo capitolo.”

 

Un nodo in gola, annuì perché non sapeva che altro fare. Non c’era rabbia in Pietro, solo amarezza e rassegnazione.

 

“A proposito di… tigrato... “ continuò, guardando il vestito di lei, “le cose tue che stanno ancora a casa mia… la statua e tutto il resto… potresti portarle a casa… di tua madre? Sto pensando di rinnovare un po’ i mobili, sai come si dice, vita nuova….”

 

Lo guardò negli occhi, ma non sembrava una ripicca. Forse Pietro veramente stava provando a voltare pagina. Se perché deluso da quanto successo con Valentina negli ultimi mesi o se perché quello che provava per lei fosse realmente passato o mutato… in ogni caso era giusto così.

 

Ma una botta di malinconia la prese comunque, nonostante fosse pure un sollievo che lui stesse guardando avanti. Era una sensazione agrodolce e, ancora più della firma di quel giorno, simboleggiava la chiusura totale di più di vent’anni di vita insieme.

 

“Va bene… solo che… alcuni di quegli oggetti sono pesanti. Devo organizzarmi con qualcuno per spostarli, Pietro.”

 

“Non può darti una mano il tuo maresciallo?” le domandò, con una punta di sarcasmo, anche se sembrava pure sorpreso.

 

“Faresti venire Calogiuri a casa… a casa tua? E poi… in ogni caso, al momento è a Roma, quindi mi dovrei organizzare.”

 

“A Roma?” chiese, ancora più stupito, “e comunque… come se non ci fosse mai venuto in quella casa! E si è portato via qualcosa a cui tenevo giusto giusto un poco di più che ad una tigre in ceramica.”

 

“Pietro…” sospirò, anche se se l’era pure un po’ cercata, “e no, Calogiuri non ci ha mai messo piede in… quella che era casa nostra. Al massimo si è fermato sulla soglia quando mi ero fatta male.”

 

“Sì, come i vampiri. Va beh… almeno quello, anche se tanto il mobilio è da cambiare comunque. Ed organizzati come vuoi, però al massimo entro natale, se no mi tocca farli mettere in un deposito.”

 

“Va bene, va bene,” acconsentì, anche perché non era convinta nemmeno lei di volerli quegli oggetti ed i ricordi che rappresentavano.

 

“De Ruggeri Pietro, Tataranni Immacolata.”

 

La voce solenne di un altro cancelliere la portò a guardare verso la porta dell’aula, che si era aperta.

 

Conosceva pure questo, naturalmente, che li fissava come se fossero una coppia di animali allo zoo. O almeno come se lo fosse lei.

 

Si voltò verso Pietro e lui annuì, avviandosi verso il cancelliere.

 

“Signor De Ruggeri, dottoressa,” li salutò il presidente del tribunale, formalissimo, una volta che furono entrati, e poi iniziò con la procedura di rito, verificando i loro documenti e chiedendo loro conferma che fossero entrambi concordi sia nel divorziare che sull’accordo di separazione a cui erano addivenuti l’anno prima.

 

“Sì, guardi, concordo su tutto. Mi dice solo dove devo firmare, così la facciamo finita?” chiese Pietro, non appena il presidente ebbe finito di parlare.

 

Fu uno schiaffo morale, anche perché il presidente, nonostante conoscesse molto meglio lei di Pietro - o forse proprio per quello - gli rivolse un’occhiata più che comprensiva, come di sostegno quasi, e rispose, “capisco, signor De Ruggeri. Ma io devo espletare tutte le formalità, è il mio lavoro, non che poi ci siano contestazioni anche se in questo caso… ne dubito.”

 

Lo sguardo che la trafisse fu più che eloquente, pareva un tanto lo so che sei tu quella rompiballe, ma che questo divorzio sei tu che lo vuoi più di tutti!

 

Chiaramente pure il presidente del tribunale leggeva i giornali. E poi a Matera chissà che voci giravano su lei e Calogiuri.

 

Scartabellò fino ad arrivare alla pagina giusta e poi porse la penna a Pietro, che non perse tempo ad afferrarla e a posarla sul foglio.

 

Imma notò un lieve tremore, quasi impercettibile da chi non lo conosceva bene, ma firmò con tanto di svolazzi e poi mollò la penna, senza nemmeno guardarla in faccia. Se perché gli fosse tornata l’arrabbiatura, o se perché non se la sentisse, non l’avrebbe saputo dire e forse, in fondo, non aveva nemmeno importanza.

 

Prese a sua volta la penna tra le dita, il metallo che ancora tratteneva il calore della mano di Pietro. Firmò, come al suo solito, senza orpelli, provando un’emozione fortissima, paragonabile quasi a quella del giorno del matrimonio, seppur completamente diversa.

 

Il suo matrimonio era realmente finito, anche di fronte alla legge. Non era più una donna sposata, non era più la signora De Ruggeri - non che qualcuno l’avesse mai chiamata così.

 

Se il lutto era stato già superato, pur avendolo provocato lei stessa a tutti e due, non poteva evitare di commuoversi, pensando alla Imma ventiseienne - vestita per una volta di bianco, anche se con un abito poverissimo - che firmava tremante l’atto di matrimonio. Con i fiori - altrettanto poveri - ancora stretti nella mano sinistra, tanto che sua suocera non aveva perso tempo a farle una battuta sul fatto che poteva pure mollarli, tanto non glieli avrebbe rubati proprio nessuno, brutti com’erano.

 

Lasciò la penna e si voltò verso Pietro, che però continuava a tenere gli occhi bassi. Era emozionato pure lui e si vedeva.

 

Rimasero per un attimo così, come sospesi, finché il cancelliere non tornò con le copie dell’atto, porgendole al presidente che gliele consegnò, proclamando, “queste sono vostre. Il cancelliere provvederà domani stesso a fare la comunicazione all’ufficiale di stato civile. In ogni caso, da questo momento siete ufficialmente divorziati.”

 

“Grazie,” rispose Pietro ed Imma si limitò ad un cenno del capo, perché non si fidava della sua voce e perché tutte quelle cose le sapeva già benissimo, ovviamente.

 

Si congedarono, il presidente che strinse la mano e diede una pacca sulla spalla a Pietro, come se fosse un vecchio amico - che ci giocasse pure con lui a calcetto? - mentre a lei rivolse un saluto molto formale.

 

Non fiatarono finché giunsero sull’ascensore. Poi, col sincronismo che avevano una volta, allungarono entrambi la mano per pigiare il tasto del piano terra. Nessuna scossa, nessun brivido, almeno finché i loro sguardi infine si incontrarono e fu vinta dalla commozione, nel vedere quegli occhi azzurri brillare dalle lacrime trattenute.

 

Si rese conto di essersi mossa solo quando lo teneva già tra le braccia. Lo sentì irrigidirsi per un secondo ma poi ricambiò l’abbraccio, stringendola forte come era da una vita che non faceva più. Dopo qualche istante interminabile, fu come se la situazione in cui si trovavano fosse tornata improvvisamente chiara alla mente di entrambi. Fu lui a staccarsi per primo e, oltre alla commozione, ora c’era soprattutto stupore.

 

“Questo… questo non cambia nulla su ciò che penso della situazione con Valentina,” le disse dopo un po’, quasi a conferma che avesse capito anche lui che si trattava di un gesto di addio.

 

“Lo so…” gli rispose, il cicalino dell’ascensore che interruppe del tutto il momento.

 

Si affrettò verso l’uscita, non vedendo l’ora di poter essere a casa da sola, anzi, di essere sul bus del ritorno verso Roma, dopo tutte quelle emozioni contrastanti.

 

Udì i passi più calmi e lenti di Pietro dietro di lei.

 

Fece in tempo ad aprire la porta del tribunale e a farlo passare, onde evitare che gli si richiudesse in faccia, quando un “amore, amore mio!” la portò a voltarsi verso il marciapiede, chiedendosi chi fosse che urlava come una pescivendola di fronte al tribunale.

 

Cinzia Sax, con tanto di sua ex suocera al seguito.

 

L’amore suo diede un colpo di tosse e parve un poco in imbarazzo, prima che Cinzia lo travolgesse in un abbraccio, che per poco Pietro non finiva addosso ad una delle guardie.

 

“Cinzia…” provò a bofonchiare, mentre lei non lo mollava peggio di una sanguisuga, afferrandoselo per un braccio anche dopo aver allentato leggermente la stretta.

 

“Allora? Tutto a posto?” gli chiese, guardandolo con un sorriso ad ottocento denti e Pietro assentì flebilmente. Lei non perse tempo e lo abbracciò per una seconda volta, proclamando, “allora adesso sei tutto mio!”

 

“Veramente era tutto tuo già da prima,” non potè evitare di rimarcare Imma, perché d’accordo tutto, ma la pazienza sua aveva un limite pure in quelle circostanze.

 

“Di sicuro non era più tuo! Per fortuna, che la Santa Maria Vergine ci ha fatto la grazia!” si inserì la sua ex suocera, tagliente come sempre, facendosi il segno di croce.

 

“Dubito che la Santa Maria Vergine approvi i divorzi, almeno secondo quanto sostiene la Chiesa Cattolica, se non mi sono persa qualche cosa,” ribatté, perché la signora De Ruggeri gliele tirava proprio fuori dalla bocca.

 

“Ma questo non è un divorzio, è una liberazione, dopo tutto quello che hai fatto passare al mio povero figlio! A proposito, il tuo giovane carabiniere non ti fa da guardia del corpo oggi?”

 

Il mio giovane carabiniere sta a Roma a lavorare, anche perché non sembrava opportuno a nessuno dei due che venisse qua in tribunale,” spiegò, pure se era una mezza bugia, ma era sicura che comunque Calogiuri la figura di Cinzia Sax non l’avrebbe mai fatta, piuttosto si ammazzava, discreto com’era.

 

“Ed invece era opportuno che si infilasse nel vostro talamo coniugale quando eravate ancora sposati, immagino?”

 

“Mamma!” provò ad intervenire Pietro, mentre Cinzia se la rideva sotto i baffi, ma lei sollevò una mano, come a dirgli che non faceva niente.


“Veramente l’unica che ha provato ad infilarsi nel talamo coniugale - per fortuna non in tutti i sensi - ogni volta che io mi dovevo allontanare anche solo per un giorno per lavoro, eravate proprio voi, con la scusa di fare compagnia a Valentina! Ma, fortunatamente per voi e per me, quei giorni sono finiti. Mo te la sopporti tu, Pietro, e anche tu Cinzia, buona fortuna che ne avrai, anzi ne avrete molto bisogno!”

 

E, con un ultimo sguardo eloquente, tra il mortificato di Pietro, lo scandalizzato di Cinzia e della di lei futura suocera e quelli divertiti delle guardie, girò sui tacchi ed attraversò la strada, senza guardarsi indietro.

 

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Tutto fatto. Rientro domattina come previsto. Mi passi a prendere tu alla stazione?

 

A quel tutto fatto il cuore gli aveva fatto un balzo nel petto. Imma era una donna libera, il suo matrimonio era ufficialmente finito.

 

Eppure… eppure c’era qualcosa che gli impediva di essere felice quanto avrebbe pensato, persino di fronte a quella notizia così tanto attesa e sperata. Perché Imma poteva pure essere libera per la legge dai vincoli del matrimonio, e forse lo era pure mentalmente. Ma da altri vincoli no, come testimoniava il fatto che Matera per lui rimanesse off limits.

 

E quindi quel traguardo non gli sembrava poi così importante. Era una vittoria vuota se poi, in fondo, certi limiti e paletti restavano in piedi, impedendole ed impedendogli di viversi il loro rapporto senza condizionamenti.


Sapeva che non era facile per lei, ma nemmeno per lui lo era, eppure non aveva esitato ad inimicarsi pure la sua famiglia per starle accanto. Lei invece… sì, aveva affrontato l’opinione pubblica, soprattutto da quando erano uscite quelle foto ed erano diventati - almeno per il momento - relativamente noti. Ma affrontare Matera, che era stato e restava il mondo di Imma, molto più di Roma, quello sembrava non riuscire proprio a farlo.

 

“Calogiuri! A che punto sei con quel rapporto? Che se stai al cellulare non si scrive da solo!”

 

Santoro. Simpatico come sempre, ancora di più da quando aveva saputo di lui e di Imma.

 

“Ho quasi finito, dottore. Glielo invio tra poco.”

 

Con uno sguardo da ti tengo d’occhio! Santoro riprese a lavorare, lanciandogli ancora qualche occhiata di tanto in tanto.

 

Anche per quello si affrettò a rispondere ad Imma con un laconico:

 

Sì. A domani.

 

E proseguì a lavorare.

 

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Manco un telegramma sarebbe stato tanto sintetico.

 

Lei aveva appena chiuso vent’anni di vita coniugale e lui le rispondeva in quel modo? Sapeva che fosse arrabbiato con lei ma… cominciava veramente ad irritarsi.

 

Finì di buttare le ultime cose nel borsone, si assicurò di avere spento, staccato e chiuso tutto ed uscì di casa, per andare a piedi alla stazione delle corriere.

 

O almeno ci provò, perché un “Imma!” familiare dall’altro lato della strada la fece avvedere che Diana era passata a prenderla con l’auto. Stavolta senza Capozza.

 

“Diana, ma pure per il ritorno mi devi controllare? Ordini del maresciallo?” ironizzò, buttando il borsone nel sedile posteriore e poi salendo dal lato del passeggero.

 

“Non è solo per il maresciallo, che comunque è preoccupato per te e fa bene ad esserlo, con tutto quello che è successo! Volevo… volevo sapere come stavi dopo….”

 

Non pronunciò la parola divorzio, ma non fu necessario.

 

“Come sto? Non lo so… è una sensazione strana, Diana, ma… le mie preoccupazioni principali al momento sono altre.”

 

“Ippazio lo hai avvertito? Che sarà stato sulle spine tutto il giorno!” le chiese, mentre avviava la macchina con una lentezza estenuante, forse per trattenerla il più possibile a parlare.

 

“Sì, gli ho scritto che era andata bene e se mi veniva a prendere. E lui mi ha risposto letteralmente con tre parole. Sì, a domani.”

 

“Ma tu che gli hai scritto, Imma? E poi una telefonata potevi pure fargliela, e su!”

 

“Ma era al lavoro e poi… sì, sono stata stringata pure io, ma…”

 

“E allora di che ti lamenti? E dai, Imma, cerca di essere un po’ più… oddio, forse romantica è impossibile per te. Ma perché non gli fai capire che ci tieni a lui e che non ti vergogni, magari con un gesto, se con le parole ti viene difficile, che ti conosco e tu per dire quanto ci tieni a qualcuno bisogna cavartelo di bocca!”

 

Forse Diana aveva ragione, anche se con Calogiuri era già migliorata tantissimo nell’esprimere ciò che sentiva. Ma… ma lui glielo aveva fatto capire in ogni modo, a parole e a gesti, che la amava. Lei invece….

 

Il problema era che non sapeva nemmeno da che parte iniziare: una vacanza romantica non sarebbe servita a niente, a parte che le ferie ed i fondi scarseggiavano e c’erano sempre i giornalisti tra i piedi.

 

Doveva farsi venire un’idea, anche perché temeva che parlare, in ogni caso, non sarebbe bastato.

 

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“Imma!”

 

Incrociare gli occhi azzurri di Calogiuri, nonostante fossero stanchi e con delle occhiaie da far spavento - o forse proprio per quello - le causò un tuffo al cuore.

 

Era tanto bello quanto triste e le sembrava un miraggio dopo una notte insonne sulla corriera. Si sentiva esausta, come doveva esserlo lui, e li aspettava una giornata intera di lavoro.

 

Si avvicinò, con l’intento di abbracciarlo, ma lui si abbassò, le prese di mano il borsone con una rapidità da mariuolo e si voltò dicendo, “la macchina è da questa parte.”

 

Altro che gli schiaffi morali ricevuti da Pietro! Quello sì che era uno schiaffo vero, tanto che rimase per un attimo stordita sul marciapiede, incredula.

 

Persino quando era stata solo il suo capo l’aveva salutata con molto più calore di così. Ricordava ancora quando Calogiuri aveva accompagnato per la prima volta lei e sua madre alla corriera. Sua madre - ma pure lei - se lo era mangiato con gli occhi, mentre si allontanava tutto felice, dopo aver ricevuto gli ordini. Sembrava di ripensare ad un mondo diverso, per tanti versi più semplice, anche se la sua vita non lo era mai stata.

 

Sapeva per esperienza che Calogiuri quando si impuntava su una cosa, poteva essere tremendo anche se, almeno quella volta, glielo aveva detto chiaramente perché se la fosse presa.

 

E quindi in teoria toccava a lei parlare, cercare di spiegare, ma era difficile quando lei per prima faticava del tutto a capirsi, a capire perché Matera no. Stanca com’era poi, era proprio impossibile.

 

Si limitò quindi a salire sull’auto di servizio e, quando lui le chiese, “vuoi che andiamo direttamente in procura o preferisci passare da casa?”, esitò un attimo prima di rispondere.

 

“In procura,” decise infine, perché non avrebbe potuto dormire in ogni caso. E stare da sola con lui avrebbe significato soltanto altri silenzi, come quello che riempì l’abitacolo, lasciandole addosso una sensazione fredda, nonostante il caldo di settembre.

 

Avevano appena superato il Tevere, mancava poco all’arrivo, quando le venne spontaneo dire, “stasera sono troppo stanca ma… dovremmo festeggiare il mio divorzio, no? Che ne dici se… se facessimo qualcosa questo fine settimana?”

 

Calogiuri rimase un attimo immobile, muto come un pesce, ma poi si voltò e le spiegò, con un tono stranissimo, “domenica ho promesso ad Irene che sarei andato a trovare Bianca.”

 

“Ah…” si limitò a rispondere, chiedendosi se lo avesse fatto apposta per infastidirla.

 

Ma no, Calogiuri non avrebbe mai usato una bimba in quel modo e lui a quella piccoletta ci teneva davvero.

 

“Ma sabato sarai libero, no?”

 

“Sabato non torna Valentina? Dobbiamo andarla a prendere alla stazione e poi… non so se sia il caso che attiriamo le attenzioni dei giornalisti, no?”

 

Come aveva potuto dimenticarsene? Era vero che era talmente stanca da non distinguere né il giorno né l’ora, ma come aveva fatto a scordarsi del ritorno di Valentina, che aveva un esame da dare quel lunedì?

 

Ma la risposta non era da Calogiuri, affatto, pur con tutta la preoccupazione del mondo. Normalmente le avrebbe come minimo proposto di festeggiare a casa - in più di un senso - o le avrebbe organizzato una sorpresa delle sue.

 

Avrebbe dovuto pianificare qualcosa lei ma non c’era tempo, tra il lavoro e Valentina, e poi sarebbe servita ben di più di una cena fatta in casa per fargli cambiare umore.

 

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“Vale, tutto bene?”

 

Alzò gli occhi dal portatile, che teneva sulle ginocchia sul letto, e vide Penelope sulla porta della stanza. In effetti era da quella mattina che non ne era più uscita ed era già tardo pomeriggio.


“Niente… ho… ho confermato il biglietto per Roma per sabato. Tanto ormai… se doveva uscire qualcosa sui giornali, probabilmente sarebbe già uscito.”

 

Penelope rimase in silenzio, anche se sembrava un poco delusa, ma magari era solo la sua immaginazione che le giocava brutti scherzi.

 

Come quando si era convinta di poterle piacere.

 

“Pensi di… di tornare ancora qua o… rimarrai definitivamente a Roma?”

 

“Stai tranquilla, torno a Roma, non ti darò più disturbo,” rispose, forse più dura di come avrebbe voluto, ma la situazione degli ultimi giorni era stata terribilmente frustrante.

 

“Ma che disturbo, Vale! Ma che scherzi?!” esclamò, con un tono dispiaciuto che le sembrava sincero.

 

“Sono giorni che ci parliamo a fatica e…” si interruppe, cercando di fermare quello sfogo che non sarebbe servito a niente, ma non riuscì proprio a mordersi la lingua, “insomma, come ti sentiresti se… se avessi aperto il tuo cuore ad una persona e le avessi detto qualcosa che magari non ti è stato facile ammettere neanche a te stessa, e questa persona facesse finta di niente, come se non fosse successo nulla?”

 

Ecco, le era uscita fuori di getto, come al suo solito, e Penelope restò per un attimo di sasso.

 

“Vale, un bacio da ubriaca non mi pare sia aprire il tuo cuore. E non è che faccio finta di niente, tanto che appunto non ci parliamo molto, ma perché sei tu per prima che mi sembri sempre incazzata!”

 

Si aspettava qualsiasi reazione ma quella no.

 

“Vorrei vedere te al posto mio, quando… quando una persona a cui tieni e che pensavi che ci tenesse a te, anche solo in amicizia… sottovaluta così quello che provi e… e non ti crede!”


“Vale-”

 

“Non ti ho solo dato un bacio, porca miseria! A parte il fatto che non ero per niente ubriaca, ma ti ho detto che mi piaci e che è da tanto che ci penso a… a quello che provo per te. Forse ti è sfuggito o forse hai preferito fare finta di non sentirlo e-”

 

Una mano sulla sua, alzò lo sguardo e trovò Penelope in piedi accanto a lei, che poi si sedette sul bordo del letto.


“Vale… non è che… che volevo sottovalutare, ma se sono prudente è anche per te. E poi… se non ne ho più parlato è perché pensavo che anche tu non ne volessi parlare, che magari te ne fossi pentita e-”

 

“No che non me ne sono pentita! Anche se avrei sperato… in una reazione diversa,” ammise, abbassando lo sguardo per l’imbarazzo.

 

“E… da quando sarebbe che hai… questi dubbi su me e te?”

 

“Qualche… qualche pensiero mi era venuto già a Capodanno ma… era una cosa indefinita. E poi nell’ultimo periodo si è fatta sempre più chiara, ma non è perché mi sono lasciata con Samuel o perché siamo state tanto tempo insieme. Cioè… forse stare tanto con te mi ha dato la conferma che… che sono attratta da te, ma-”

 

“E come?”

 

“Cioè… dovrei spiegarti in che modo sono attratta da te?” le chiese, incredula, e sentendosi in imbarazzo quasi più che a baciarla, “perché i sintomi sono sempre gli stessi, anzi, diciamo che… che quello che ho provato mentre mi facevi il ritratto… e poi quando ci siamo baciate… non l’ho mai provato prima, non così forte e-”

 

La frase le morì in gola quando sentì qualcosa di morbido sulle labbra, insieme ad una scossa elettrica, e si rese conto che stava baciando Penelope, anzi, che Penelope l’aveva baciata. E poi non capì proprio più niente, mentre sembrava che il suo corpo andasse col pilota automatico, che non aspettasse altro da una vita.

 

Si trovò distesa sul letto, con un corpo morbido sotto il suo, mentre le mani vagavano e sentì tessuto tra le dita e poi pelle e poi-

 

“Vale, Vale!”

 

La voce di Penelope la bloccò completamente. Aprì gli occhi la guardò, temendo di avere esagerato, o che Penelope non provasse un’attrazione forte come la sua, e di stare per beccarsi l’ennesimo due di picche.

 

“Calma, Vale, abbiamo tutto il tempo!” si sentì invece sussurrare sulle labbra, una carezza sul viso che le provocò un altro brivido.

 

“Non abbiamo tutto il tempo, visto che tra due giorni parto e che ne abbiamo già sprecato troppo!” ribatté, ricambiando il sorriso di Penelope.

 

“Almeno per la prima volta potresti lasciarmi guidare, no? Di solito sono tutte timide ed insicure, tu invece-”

 

“Potresti evitare di parlarmi di com’erano a letto le altre, mentre ci stai con me?” le chiese, un poco infastidita.


“Ma che sei gelosa?”

 

“Non mi conosci?”

 

“Vale…” sussurrò, scuotendo il capo, ma poi si sentì baciare nuovamente e si ritrovò con la schiena sul materasso, il cuore a mille, come forse mai in vita sua.

 

La prospettiva di lasciarsi guidare, almeno per il momento, non era poi così male.

 

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“Vuoi una mano?”

 

Forse per la stanchezza, forse per la sorpresa, la gonna che aveva in mano e che stava levando dal borsone le cascò sul pavimento.

“Calogiuri!” esclamò, voltandosi verso la porta della stanza da letto.

 

Era ancora più distrutto di quella mattina, pareva quasi malato, non che lei fosse messa molto meglio, dopo un’intera giornata di lavoro.

 

“Non ti preoccupare, ho quasi finito. La gonna la butto a lavare e… e poi ci sono solo più queste….”

 

Estrasse la cartellina con le carte del divorzio, che aveva lasciato sul fondo, protette da tutti i vestiti.

 

Calogiuri alternò lo sguardo tra la sua mano ed il suo viso e poi annuì.

 

“Credevo… credevo che saresti stato più felice, Calogiuri. Era da tanto che… che lo aspettavi, ma-”

 

“Ma le carte non bastano, Imma. A me importa quello che… quello che pensi e senti tu. E… e a volte non lo capisco e… ho paura che non lo capisca neanche tu cosa provi, non del tutto.”

 

“Calogiuri, ma come fai a dubitare di quello che provo per te? Ho terminato un matrimonio ventennale per stare con te e-”

 

“Ma non era una decisione soltanto tua in cui io non c’entravo?” la interruppe, con un tono ed un’espressione familiari, perché glieli aveva insegnati lei nei controinterrogatori.

 

E fin troppo bene aveva imparato!

 

“Sì, ma… io non sono tanto brava a parole, Calogiuri, ma sto andando contro tutto il mondo per stare con te e lo sai.”

 

“Ma ti pesa. Per te… per te non è facile stare così al centro dell’attenzione, Imma, ti conosco. Ora sopporti perché… perché mi ami o comunque provi per me qualcosa di forte. Ma nel tempo… mi ci vedi davvero nella tua vita, a… ad invecchiare insieme a Matera?”

 

“Veramente io invecchierò, tu sarai ancora giovane, mannaggia a te!” provò a stemperare la tensione con una battuta, ma Calogiuri rimase serissimo.

 

“Non sviare il discorso. Mi ci vedi accanto a te a Matera o no?”

 

“E tu? Davvero vorresti finire la tua carriera a Matera, con tutte le opportunità che hai in una grande città?”

 

“Se fossi con te sì, Imma. A me basta fare bene il mio lavoro e stare con te, te l’ho già detto. Tu invece ancora non mi hai risposto,” le fece notare, con uno sguardo che le fece malissimo, “e comunque almeno metterci piede a Matera, pure senza invecchiarci, sarebbe già un passo avanti. Va beh… vado a farmi una doccia, che è tardi, ed è meglio se ce ne andiamo a dormire.”

 

“Calogiuri…” provò a chiamarlo, ma si era già chiuso in bagno.

 

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“Pentita?”

 

Sollevò la testa ed incontrò due occhi azzurri che la studiavano, un po’ in apprensione.

 

“Ti sembro pentita?” chiese con un sorriso, allungando le dita per sfiorarle una guancia, “o è la versione femminile del ti è piaciuto? dei maschi?”

 

“No, no, per carità!” rise Penelope, ricambiando la carezza.

 

“Che poi dovrei chiederlo io a te, visto che avevo zero esperienza in materia.”

 

“Diciamo che impari in fretta, Vale, fin troppo!” la punzecchiò. facendole l’occhiolino.

 

“Ma posso imparare ancora meglio con un po’ più di pratica…” le soffiò in un orecchio, approfittando della distrazione per spingerla sul materasso.

 

“Vale! E poi dicevi di tua madre! Anche se almeno so da chi hai preso!” rise, facendole il solletico sulla vita.

 

“Potresti evitare di nominare pure mia madre in certi momenti?” le chiese, prendendole le mani per ripararsi dall’assalto, ma Penelope divenne improvvisamente seria.

 

“Che c’è?”

 

“Lo… lo sai che… che non sarà facile se… se decidessi di… di dire alla tua famiglia che… che stai con me?”

 

“Quindi stiamo insieme?” le domandò, mentre il sollievo si alternava alla preoccupazione, perché sapeva benissimo che Penelope aveva ragione.

 

“Vale, dopo che hai insistito così tanto lo spero, o-”

 

La zittì con un altro bacio e le sorrise sulle labbra, ma Penelope si staccò nuovamente, “Vale, te lo ripeto, lo sai che non sarà facile, vero?”

 

Sospirò, capendo che non c’era modo di affrontare il discorso in un altro momento, “sì, lo so, mica sono scema! Ma a me più di tutto preoccupa la distanza. Ho già provato ad avere una relazione così e… e da un lato forse mantiene più a lungo quella voglia di vedersi in continuazione ma… ma non ci si conosce mai davvero.”

 

“Beh… ma io e te già ci conosciamo di più di te e Samuel quando avete iniziato la vostra storia, no? E poi… da Roma a Milano sono tre ore di treno. Possiamo vederci quasi tutti i weekend che non sei a Matera.”

 

“Ad avere i soldi…” sospirò Valentina, perché i treni ad alta velocità non erano così economici.

 

“E va beh… basta organizzarsi con le offerte e poi… e poi mio padre mi può pure finanziare qualche abbonamento o convenzione.”

 

“Beata te! I miei al massimo mi finanziano la corriera per Matera e-”

 

“E poi, se ti muovessi tu, dovresti spiegare loro perché vieni spesso a Milano, no?” le chiese, con un’altra occhiata che valeva più di mille parole.

 

“Senti… gliene voglio parlare, davvero, ma… ti dispiace se aspettiamo qualche mese prima di… di fare l’annuncio? Che non voglio averli col fiato sul collo fin da subito.”

 

“Se fossi un ragazzo saresti corsa ad annunciarlo in famiglia?” domandò, con uno sguardo strano.

 

“Sinceramente? Visto come sono fatti i miei no,” rispose ed era soltanto la verità.

 

Penelope rise ed annuì, “va bene… prenditi il tempo che ti serve. Ma ti avviso che io la fidanzata clandestina, che finge di essere l’amica del cuore, non la faccio a vita.”

 

“Lo so. Ma… ma tu sei anche la mia amica del cuore. Che poi amica del cuore pare una cosa da tredicenni!”

 

“Ed infatti vorrei che ti facessi più amicizie a Roma, Vale. Non perché ora… stiamo insieme…” pronunciò, in un modo come se non potesse credere alle sue parole, “ma perché non voglio che stai da sola a Roma, e che aspetti solo me per non avere una vita sociale da settantenne.”

 

“Va bene, te lo prometto. Almeno non sei troppo gelosa!” scherzò, anche se sentiva un mezzo nodo in gola per la preoccupazione di lei.

 

“Se dovessi essere gelosa di tutte le ragazze ed i ragazzi che incontri non vivrei più, Vale!”

 

“Io invece… sono gelosa. Ma ti va bene che ho preso più da mio padre che da mia madre in questo, se no altro che i carabinieri appostati qua fuori di vedetta!”

 

Risero insieme e Valentina si sentì felice e leggera come non le capitava più da troppi mesi, per non dire da più di un anno, come minimo.

 

Allungò il collo per baciare Penelope e la spinse di nuovo sul cuscino, decisa a recuperare il tempo perduto e a fare molta pratica prima che si dovessero salutare.

 

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Si svegliò avvolta da un piacevole tepore, con un cuore che batteva ritmicamente sotto al suo orecchio.

 

Anche nella penombra riconobbe i lineamenti addormentati di Calogiuri. La sera prima era crollata dalla stanchezza e forse pure lui. E, nonostante il clima freddo che si respirava tra loro, evidentemente nel sonno dovevano essersi cercati ed abbracciati.


Quanto le era mancato in quei giorni stare così, sentire la sua pelle ed il suo profumo. Maledisse la sveglia che, inevitabilmente, avrebbe interrotto quel momento da lì a poco, almeno a giudicare dalla luce che filtrava dalle imposte.

 

Sarebbe voluta rimanere così per sempre ma-

 

Ma puoi rimanere così per sempre, Imma! Basta che ti svegli e che ti decidi! Di che hai paura ancora?!

 

La Imma interiore, dopo un lungo periodo di latitanza, era tornata a farsi sentire con la voce di Diana.

 

In fondo, darle retta l’aveva portata, al netto di tutti i casini, ad essere più felice di quanto avrebbe mai potuto sognare. Doveva soltanto capire come agire ed in fretta, prima che la situazione con Calogiuri degenerasse ulteriormente.

 

Lo sentì muoversi leggermente e stringerla: chissà cosa stava sognando esattamente.

 

“Im-ma,” bofonchiò, gli occhi ancora chiusi.


Ed Imma non resistette: gli accarezzò una guancia e gli diede un bacio, provando un sollievo immenso quando fu ricambiato, prima con tenerezza, poi con passione.

 

Si staccò leggermente per riprendere fiato, aprì gli occhi e trovò Calogiuri che la guardava con occhi scuriti, forse dal sonno, forse dal desiderio.

 

Stava per baciarlo nuovamente quando la sveglia, stramaledettamente puntuale, trillò in tutta la sua cacofonia.

 

Lo sentì irrigidirsi ancora prima di notare come l’espressione di lui fosse mutata. Più triste, più malinconica.

 

“Meglio… meglio che ci alziamo mo… che se no facciamo tardi,” proclamò, lasciandola andare.

 

Sapeva che aveva ragione e che non c’era molto tempo per rendersi presentabili ed arrivare in ufficio.

 

Ma le veniva lo stesso da piangere.

 

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“Dottoressa!”

 

“Mariani! Come va? La vedo un po’ stanca! Quando avrà le ferie?”

 

“Ad inizio ottobre, dottoressa, sa… con i turni… andrò a Capo Verde, che è ancora caldo per fortuna.”

 

“Bene, se lo è meritato dopo tutto il lavoro di queste settimane. Allora, ha qualche novità per me?”

 

“Sì, dottoressa.”

 

“Le intercettazioni di Coraini?”

 

“No, dottoressa. C’è una novità sul caso Spaziani.”

 

Non se lo aspettava quasi più: Galiano era ormai a casa in attesa del processo, già da un po’, e Chiara Latronico non la sentiva da quell’ultima telefonata. Forse era soddisfatta che il figlio quantomeno non fosse in carcere.

 

“Che è successo?”

 

“La lista dei medici della clinica da cui è stata sottratta l’insulina. Ho dovuto fare parecchie ricerche ed il tempo in questo periodo è stato poco ma… ho scoperto che uno dei medici di turno in quelle sere, un certo Renato De Carolis, era il medico curante della signora Spaziani. Cioè, la prima signora Spaziani, quella che era ricoverata presso quella clinica prima di morire. Infatti è stato lui a firmarne il certificato di morte. L’ho notato mentre facevo le ricerche patrimoniali su Spaziani ed il nome mi era parso familiare.”

 

“Sì, ma potrebbe essere una coincidenza, no? Parecchie persone che lavorano in quella clinica conoscevano Spaziani madre, padre e figlio.”

 

E Spirito Santo! - le venne spontaneo aggiungere tra sé e sé, dandosi della cretina per la scelta di parole.

 

“Sì, ma… ho fatto altre ricerche su questo medico. E ho trovato delle foto di lui con Amedeo Spaziani, il figlio della vittima, guardi.”

 

Le piazzò davanti un tablet e fece scorrere le foto: effettivamente c’era Spaziani Jr. insieme ad un uomo di mezza età, belloccio, dall’aria molto curata. Erano ritratti con una coppa, vestiti da tennis, e poi c’era un’altra foto di loro due insieme, molto eleganti, ad una cena di gala, con la fidanzata di Spaziani e, presumibilmente, la compagna del medico.

 

“Ho anche scoperto che Spaziani figlio è stato operato ad un ginocchio proprio presso quella clinica. Ed indovini chi l’ha operato?”

 

“De Carolis?” chiese e Mariani annuì, con sguardo soddisfatto.

 

“Mariani, ha fatto un ottimo lavoro, brava!” si complimento, guadagnandosi un altro sorriso fiabesco, prima però di dover fare l’avvocato del diavolo, “il problema è che con solo questi elementi in mano non abbiamo prove che possano reggere nemmeno ad un’udienza preliminare. Teniamolo più sott’occhio però. Sia il figlio che questo medico. Cerchi di avere tutti i tabulati e le informazioni che può trovare. Con la receptionist dello studio legale dove lavora Galiano come va?”

 

“Dottoressa, effettivamente il giorno prima a quello in cui è stata piazzata l’insulina nell’ufficio di Galiano, la receptionist ha ricevuto una chiamata da un numero che l’aveva già contattata diverse volte nelle settimane precedenti. Ho fatto controllare ma…”

 

“Un prestanome?”

 

“Un numero svizzero, di quelli prepagati. Ho cercato di capire a chi fosse intestato ma a quanto pare è stato preso in un supermercato e… nessuno ha controllato bene i documenti.”

 

“Svizzero? O è un criminale professionista o uno che viaggia per lavoro: la Svizzera non è esattamente dietro l’angolo.”

 

“No, dottoressa.”

 

“Ed uno come Amedeo Spaziani, nonostante le sue finanze non siano solide quanto vuole far credere, sicuramente viaggia spesso per lavoro. Dobbiamo capire se se ha fatto dei viaggi in Svizzera di recente e se lui e la receptionist si conoscono.”

 

“Vuole interrogarla, dottoressa?”

 

“No, prima voglio provare a capire se si frequentino ancora, sempre se la chiamata è di Spaziani. Falla seguire la sera e nei finesettimana e vediamo che succede.”

 

“Chi mando, dottoressa?”

 

“Rizzuto o Palermo, non Carminati, per carità, che la receptionist è una bella ragazza e non le voglio male fino a questo punto.”

 

“Va bene, dottoressa, provvedo subito,” fece per congedarsi ma si fermò quando era quasi sulla porta, rivolgendosi a lei, un po’ in apprensione, “dottoressa… sia lei che Calogiuri mi sembrate molto… stanchi. Non avete una bella cera. Se vi serve che vi aiutiamo di più con la storia del ricatto… sia io che Conti siamo disponibili.”

 

“La ringrazio Mariani, ma avete già fatto tantissimo. E poi non voglio spremerla troppo in quest’ultima settimana che le resta prima delle ferie. Passi un buon fine settimana.”

 

Non voleva certo approfittarsi della disponibilità degli amici di Calogiuri. Anche perché la stanchezza aveva ben poco a che fare con le indagini.

 

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“Sei sicura che non vuoi che ti accompagni?”

 

La faccia da funerale di Penelope doveva assomigliare alla sua. La verità era che era stata molto tentata di rimandare l’esame alla sessione invernale e rimanersene lì fino all’inizio delle lezioni, Ma i suoi genitori le avrebbero fatto troppe domande.

 

“No, meglio di no. Tanto vado in taxi e… e non so se ce la farei a salutarti senza… senza poterlo fare come vorrei, per via dei giornalisti e-”

 

“E non solo dei giornalisti, Vale. Per carità, Milano è una delle città dove è meno peggio non essere etero in Italia, ma a baciarsi in pubblico in certi posti c’è ancora rischio, purtroppo. Te l’ho detto che non sarà semplice.”

 

“Lo so, ma ne vale la pena, no?” le chiese, prima di prenderle il viso e di darle proprio un bacio di saluto, “dopo l’esame devo tornare da mio padre a Matera, che se no chi lo sente, ma il prossimo fine settimana sono libera.”

 

“E allora vengo io da te. Anche se ci dovremo nascondere dai giornalisti. Potrei vestirmi da brava ragazza di buona famiglia, così non mi riconoscerà nessuno!”

 

“Ma tu sei una brava ragazza di buona famiglia.”

 

“Non facciamolo sapere troppo in giro, che mi rovino la reputazione!” scherzò Penelope, dandole un altro bacio.

 

Non avrebbe voluto staccarsi mai ma doveva farlo: il taxi già era sotto che attendeva.

 

“Ci vediamo presto e fai la brava!”

 

“Pure tu, Vale! Anche se non ho i carabinieri con cui controllarti io!”

 

Un ultimo bacio, prese dalla valigia ed uscì da quell’appartamento, che aveva sentito molto più casa sua in pochi giorni, che quello che divideva con Samuel in quasi un anno.

 

Ma era ora di tornare alla vita di tutti i giorni.

 

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“Valentì! Sono qua!”

 

“Mà! Ma come ti sei conciata?”

 

“Ma come? Per una volta che sono tutta vestita di nero!”

 

“Appunto! Che è, sei in lutto?”

 

“No, è che… è per non dare nell’occhio con i giornalisti. Sai… i miei abiti soliti si notano parecchio e non volevo che ti accogliessero pure loro qui a Roma.”

 

“Quindi devo ringraziare i giornalisti, se per una volta non fai sanguinare gli occhi col tuo abbigliamento? A saperlo dovevi diventare famosa prima, tipo quando venivi ai miei colloqui a scuola, anche se per fortuna ci veniva più spesso papà!”

 

“Stare a Milano non so se ti abbia fatto bene o male, signorina, Ma ti vedo in forma, sembri… quasi raggiante.”

 

“Eh… lontana da te e da papà, un sogno praticamente, nonostante fossimo quasi rinchiuse in casa!”

 

Scosse il capo, di fronte all’ennesima frecciatina affettuosa della figlia. C’era qualcosa di diverso in Valentina, in meglio. Nonostante tutto quello che era successo, sembrava serena e spensierata come era da tanto che non la vedeva.

 

Forse l’amicizia con Penelope le faceva pure meglio del previsto.

 

“Tu invece sembra che sei uscita da un film di Halloween, a parte il nero, c’hai delle occhiaie! Notti di fuoco col tuo maresciallo per festeggiare il divorzio?”

 

“Valentì!” esclamò, sentendosi avvampare un poco, anche se una parte di lei non poté fare a meno di pensare un magari fosse!

 

“Andrò da papà qualche giorno dopo l’esame. Sembrava… diciamo che non sembrava molto felice che me ne fossi andata a Milano senza chiedergli il parere prima. E non sembrava molto felice neanche con te.”

 

“Eh, lo so, Valentì. Dobbiamo… dobbiamo cercare di includere di più papà nelle decisioni che ti riguardano, nonostante la distanza geografica ed il fatto che sei maggiorenne.”

 

“Agli ordini, dottoressa!” sospirò, mentre finalmente uscirono dalla stazione ed individuarono l’auto di servizio.

 

Calogiuri non perse tempo e si precipitò a scendere dall’auto, prendere la valigia di Valentina, metterla nel bagagliaio e rimettersi al volante.

 

“Certo che pure tu come occhiaie… sei quasi messo peggio di mamma! Ma che fate la notte esattamente, anche se forse non lo voglio sapere? Manco alle Baleari eravate così stravolti!”

 

“No, è che… Calogiuri sta facendo i turni di notte per la storia delle foto ed io devo ancora riprendermi dal viaggio a Matera,” tagliò corto, perché non voleva certo far capire a sua figlia che erano in lite.

 

“In realtà anch’io devo ancora riprendermi dal viaggio di tua madre a Matera,” si inserì Calogiuri, sarcastico, ma Valentina rise, probabilmente pensando che gli fosse mancata, e non di certo tutto il casino che era successo.

 

Lo guardò in tralice ma Calogiuri continuava a fissare la strada, come sempre quando c’era tensione tra loro.

 

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“Ma… ma è bellissima!”

 

Bianca aveva gli occhi che le brillavano mentre si abbracciava la scatola della Barbie che le aveva comprato in Spagna: mora e vestita con un abito rosso e nero da flamenco.

 

“Da parte mia e di Imma,” aggiunse, anche se non era del tutto vero, ma Bianca sapeva che erano stati in vacanza insieme, perché glielo aveva detto prima di partire.

 

“Sarebbe bella Imma vestita così!” esclamò la piccola con tono innocente ed entusiasta.

 

Ma Calogiuri notò con la coda dell’occhio come Irene si trattenesse dal ridere.

 

“In effetti ce la vedo Imma con questo vestito. Poi, visto quanto vi piace ballare, è proprio adatto, Calogiuri,” lo prese in giro, facendogli l’occhiolino.

 

Un poco gli dava fastidio per Imma, ma alla fine che si vestisse in modo particolare era un dato di fatto ed Irene non lo diceva con cattiveria.

 

“Come mai non è venuta anche Imma?” gli chiese poi Bianca e Calogiuri si scervellò per trovare una risposta.

 

“Doveva stare con sua figlia, che poi deve tornare a Matera dal papà. Però, se hai piacere a vederla, possiamo invitarla la prossima volta, no?” chiese, rivolto a Irene, che annuì.

 

“Bianca, perché non vai ad aprire la scatola della bambola, che poi ci giochiamo tutti insieme? Sai, continua a ripetere quanto sei più bravo di me a giocare e non solo con le bambole, quindi devo carpire i tuoi segreti!”

 

Bianca sorrise, si alzò in piedi e corse verso la sua stanza.

 

“Sei ancora… in lite con Imma?” gli sussurrò, non appena Bianca fu sparita dalla vista.

 

“Sì…” ammise, perché sarebbe stato inutile negare.

 

“Per… per la storia che non ti porta a Matera con sé?” gli domandò poi, con uno sguardo indecifrabile.

 

Calogiuri assentì, prima di rivolgere lo sguardo, un po’ in apprensione, verso la stanza di Bianca.


“Senti… non… non ti ho trattenuto qui solo per farti il terzo grado su Imma. Il prossimo fine settimana hai già degli impegni? Perché… Romaniello ha assunto un altro legale, uno che ha tirato fuori di galera pure gente che tutti avrebbero pensato che, come minimo, avrebbero buttato via la chiave. Uno di Milano che conosco dai… dai tempi del maxiprocesso là. E… avrei bisogno del tuo aiuto per fare un po’ di ricerche e… dovremmo andare a Milano. Da sola non me la sento e… e sei l’unico della PG che conosce tutta la mia storia, nonché l’unico di cui mi fido davvero. Partiremmo il venerdì sera e torneremmo il lunedì sera, così non rubo troppi giorni all’indagine che stai facendo con Mancini ed Imma sul ricatto fotografico.”

 

“E… e dovrebbe essere proprio il prossimo fine settimana?” le chiese, perché il lunedì subito dopo, come giorno, ed il martedì, come data, ricorreva l’anniversario di quando aveva raggiunto Imma a Matera ed avevano iniziato una relazione a tutti gli effetti.

 

Ed essere via proprio in quei giorni… con Irene poi… Imma difficilmente l’avrebbe presa bene.

 

Ma del resto ne andava della sicurezza di Irene, visto quello che le era successo a Milano. Il lavoro era lavoro e lo sapeva anche Imma. E poi… e poi non era dell’umore adatto per organizzarle delle sorprese e sicuramente Imma manco ci pensava, tra l’orgoglio ed il fatto che non era tipo da ricorrenze.

 

“Sì, perché poi diventa troppo tardi: si avvia l’appello e con Mancini devo prendere delle decisioni importanti prima di tornare in tribunale.”

 

“Va bene… ne parlo con Imma ma… va bene,” cedette, perché sapeva che fosse la cosa giusta da fare, ed Irene lo guardò di nuovo in un modo strano, diverso dal solito.

 

Anche se non riusciva a capire come o perché.



 

Nota dell’autrice: Mi scuso innanzitutto per la pubblicazione di lunedì invece che di domenica, ma purtroppo queste ultime settimane con il lavoro sono state pienissime ed il tempo per scrivere scarseggia.

Imma e Calogiuri sono in un momento di grande tensione che rischia di far scoppiare tutto. Chissà che succederà nel fine settimana del loro primo anniversario ma, soprattutto, chissà come la prenderà Imma la decisione di Calogiuri di passarlo a Milano con Irene?

Nel prossimo capitolo ci saranno altri ritorni e… parecchi casini da risolvere.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio tantissimo per avermi seguita fin qui per tutti questi mesi. Le vostre recensioni mi fanno sempre molto piacere e mi danno una grande carica per continuare, nonostante tutti gli impegni, quindi se vorrete farmi sapere che ne pensate vi ringrazio di cuore.

Grazie mille a chi ha aggiunto questa storia tra i seguiti o i preferiti.

A causa delle vacanze estive, il prossimo capitolo arriverà non questa domenica ma la successiva, il sedici di agosto.

Grazie ancora e buone vacanze!

 
   
 
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