Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |       
Autore: Soul Mancini    04/08/2020    5 recensioni
Estate 1981.
Ives ha tredici anni ed è un ragazzino pieno di vita. Si trova nel periodo magico e doloroso in cui l'infanzia comincia a svanire, per lasciare il posto alla vita vera e senza filtri; la fase in cui si comincia a esplorare il mondo e scoprirlo in tutta la sua crudeltà e durezza, in cui ci si ritrova a prendere le proprie decisioni, cadere, sbagliare e imparare da soli.
In uno dei peggiori quartieri di Los Angeles, dove il mondo crolla ogni giorno e lascia i giovani senza certezze a cui aggrapparsi, Ives e i suoi amici si vogliono soltanto divertire e godersi assieme i mesi più caldi dell'anno; tra prime volte, scelte giuste o sbagliate, risate, musica e delusioni, si prenderanno per mano e impareranno per la prima volta a vivere.
[Una sorta di minilong di cinque capitoli sospesa tra comicità, fluff e dramma.
Nonostante faccia parte di una serie, cercherò di colmare nelle NdA tutte le eventuali lacune per renderla accessibile a tutti ^^]
Genere: Drammatico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Needles'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
I
I
 
 
 
 
Mental wounds not healing
Life's a bitter shame
I'm going off the rails on a crazy train
[Ozzy Osbourne – Crazy Train]
 
 
 
 
“Andiamo, ma che paragone è? I Police sono molto più interessanti e soprattutto innovativi!”
“Sì, ma senza i Pink Floyd non esisterebbero.”
Lanciai un’occhiata in cagnesco a Ethan. “Ma che ragionamento di merda è? Cosa c’entra il sound dei Police con i Pink Floyd?”
Il mio amico ricambiò con uno sguardo di sufficienza. “Lo vedi? È che tu non capisci un cazzo di musica, Ives Mancini!”
“Dici così solo perché tu sei ottuso e ti piacciono solo i Pink Floyd, i Black Sabbath e i Led Zeppelin” lo presi in giro.
“Ma vaffanculo. Allora rendimi il vinile di Outlandos D’Amour che ti ho regalato!”
“Col cazzo!”
Sammy scoppiò a ridere mentre spingeva la pesante porta dell’Alibi; finalmente eravamo giunti a destinazione. “Avete rotto le palle con queste guerre tra band, lo sapete? Piuttosto… sapete come si chiama il gruppo che deve suonare oggi?”
Entrammo nel locale e ci dirigemmo subito verso il bancone per ordinare da bere; come al solito l’aria era vivace, i tavolini, sia all’interno che nella terrazza sul retro, erano gremiti di ragazzi e dalla vecchia radio abbandonata in un angolo si diffondevano le note di un tormentone estivo dei Men At Work.
Salutai un po’ di gente con cenni e sorrisi, poi poggiai i gomiti sul bancone e attesi che arrivasse il nostro turno di ordinare. “No, sinceramente non mi ricordo. Però dev’esserci una locandina appesa da qualche parte…” Affinai lo sguardo per esaminare le pareti del locale, su cui però svettava solo una vasta collezione di vinili e poster.
“A proposito di nomi, la nostra band non ne ha ancora uno” commentò Ethan. “L’abbiamo fondata quattro anni fa e ancora la chiamiamo band.”
“E non abbiamo nemmeno un cantante. Non ci prenderanno mai a suonare in qualche locale, senza nome e senza voce” aggiunse Sammy.
“Perché non ci chiamiamo davvero Band?” proposi con un sorriso divertito.
“Certo, che grande proposta…” mi sbeffeggiò Ethan con un sorrisetto.
“Stavo scherzando.”
“Non riesco a pensare a niente di produttivo da sobrio” affermò il mio amico, attirando l’attenzione del barista.
Dopo aver ordinato da bere – Ethan ovviamente prese il suo adorato Jack Daniel’s, mentre io e Sammy decidemmo di iniziare con una semplice birra – ci andammo a posizionare in un tavolino sulla terrazza, vicino al palchetto allestito per i concerti estivi.
L’Alibi era un pub piuttosto squallido in realtà, ma era il ritrovo di molti ragazzi della nostra età principalmente per due motivi: suonavano un sacco di rock band locali e non chiedevano mai l’età quando ordinavi da bere. Tra il bancone sudicio e appiccicoso d’alcol, il rettangolo spoglio in cemento che ci ostinavamo a chiamare terrazza sul retro e i bagni che non venivano mai puliti, tanti di noi si stavano lasciando l’infanzia alle spalle.
Cominciammo a sbronzarci e a scambiare quattro chiacchiere con i presenti in attesa che il concerto cominciasse; solo quando ero ormai al terzo o al quarto drink, e dopo aver preso svariati tiri d’erba che imi aveva offerto un nostro amico, notai alcuni ragazzi salire sul palco e imbracciare gli strumenti. Erano poco più grandi di me, avranno avuto al massimo sedici anni, e sfoggiavano capelli lunghi e abiti glam.
“Scommetto che questi saranno una fotocopia dei Kiss” commentò Ethan incrociando le braccia al petto ed esaminando i quattro musicisti con le sopracciglia aggrottate.
“Mmh… tu dici?” biascicai con una risatina.
“Ma non lo vedi che sono vestiti come loro? Quanto ci scommetti che aprono lo show con una cover dei Kiss?”
“Ma no, dai, magari gli assomigliano e basta” supposi.
Ethan piegò appena la testa di lato. “Ripeto: quanto scommetti?”
Ci riflettei un attimo su. “Se perdi, voglio il tuo skate col drago.”
Ethan allungò la mano. “Affare fatto. Fanculo, tanto non lo uso più.”
Gliela strinsi per suggellare il patto. “Non ci credo che me lo daresti davvero!”
“Infatti non te lo darò perché sono sicuro di vincere. Li ho inquadrati appena sono saliti sul palco.”
Trascorse giusto una manciata di secondi prima che il gruppo cominciasse a suonare; sgranai gli occhi e subito dopo scoppiai a ridere quando riconobbi le prime note di I Was Made For Lovin’ You dei Kiss.
“Visto? Che ti avevo detto?” si pavoneggiò Ethan.
“Dai, ma come cazzo hai fatto a indovinare?” gli chiesi, dandogli di gomito.
“Vuoi sapere la verità?”
Annuii.
“Prima ho letto la scaletta che aveva in mano il batterista.”
Risi nuovamente e gli diedi una spinta. “Ma che pezzo di merda! A proposito del batterista… non ti sembra fuori tempo?” osservai.
“E il cantante ha sbagliato tutto il testo, credo stia proprio cantando un’altra cosa” aggiunse lui.
“Ehi, dopo il concerto vado a chiedergli se entra nella nostra band!”
“Ma che si fotta.”
Scoppiammo entrambi a ridere e continuammo a commentare il discutibile live di quei quattro, ma alla seconda canzone – che era esattamente uguale alla cover dei Kiss – avevamo già perso la pazienza.
“Che ne dici di andare a prendere un po’ d’aria in strada?” proposi quindi; in quella piccola terrazza eravamo tutti accalcati e non si respirava.
Ethan annuì e poi si guardò attorno, in cerca di qualcosa o qualcuno. “Volevo chiedere a Sammy se gli andava di venire con noi, ma è sparito.”
“Di nuovo” convenni, scorrendo con lo sguardo tra i volti dei presenti, ma dei capelli rosso acceso del nostro amico non c’era traccia. “Non ti sembra un po’ strano che sparisca così spesso?” feci notare al mio amico mentre ci dirigevamo all’esterno.
Lui si strinse nelle spalle, segno che non sapeva bene come commentare.
Il nostro batterista nell’ultimo periodo pareva davvero assente: gli avevamo proposto tante volte di venire sul lungomare con noi durante il giorno, ma aveva sempre declinato l’invito, e quando uscivamo insieme spariva dopo qualche minuto. Ormai riuscivamo a trascorrere un po’ di tempo con lui solo durante le prove della band.
Una volta in strada, recuperai subito accendino e sigarette, ma nel giro di pochi istanti io e Ethan ci rendemmo conto che qualcosa non quadrava: ci fissammo negli occhi con perplessità prima di volgere lo sguardo dall’altro lato della via.
Riconobbi May, una ragazzina mora che frequentava spesso l’Alibi, illuminata dalla fioca luce di un lampione e bloccata al muro da un ragazzo molto più alto e grosso di lei, che le si incollava addosso con prepotenza; la ragazza gridava e lo implorava di lasciarla stare, ma lui non accennava a toglierle le mani di dosso.
Lasciai cadere a terra la sigaretta appena accesa, senza nemmeno preoccuparmi di schiacciarla col piede, mentre sentivo il cuore pulsarmi nelle orecchie e l’adrenalina pomparmi nelle vene.
Nessuno doveva azzardarsi a toccare una ragazza in quel modo contro la sua volontà.
Nessuna doveva subire il trattamento che era stato riservato a mia madre.
Agii d’istinto: prima ancora di rendermene conto, avevo attraversato la strada di corsa e mi ero avventato su quel tipo, strattonandolo via. “Lurido bastardo, lasciala in pace!” strillai, fuori di me dalla rabbia.
Poco prima di trascinarlo via da May, avevo fatto in tempo a vederlo mentre tentava di insinuare le mani sotto la gonna della ragazza e la cosa mi fece ancora più incazzare.
Lo spinsi via e gli mollai un pugno in pieno petto; lui inizialmente parve sorpreso e colto alla sprovvista, ma in pochi secondi si riscosse e ghignò malignamente, afferrandomi per la maglietta e sbattendomi al muro con forza. “Cosa cazzo vuoi, marmocchio?” sputò tra i denti.
Mi piegai in avanti e la vista mi si offuscò per il colpo appena preso, ma prima che potessi riprendermi l’aggressore mi sferrò un pugno in pieno viso, spaccandomi il labbro; il sapore metallico del sangue mi riempì la bocca, ma feci in tempo a gridare: “May, scappa!”.
Era un susseguirsi rapido di fotogrammi: attraverso la cortina di lacrime che mi offuscava lo sguardo per il dolore, notai gli occhi sgranati di May poco prima che fuggisse via. Un attimo dopo misi a fuoco il volto di un altro tizio, forse un amico dell’aggressore, che mi rivolgeva un’occhiata truce.
Oh, bene, arrivano i rinforzi…
Eravamo due contro uno, non potevo niente, mi avrebbero gonfiato di botte. Non ero nemmeno abituato alle risse, non avrei saputo difendermi.
Ma non importava. Avrebbero potuto pestarmi fino a togliermi il respiro, la cosa che contava davvero era che May si fosse salvata.
“Questo è perché non ti fai i cazzi tuoi” disse il primo, colpendomi sullo stomaco. Mi piegai in avanti, in preda a un dolore lancinante e un forte senso di nausea, ma subito il secondo bastardo mi afferrò per i capelli e li tirò con forza per farmi sollevare il capo e guardarmi negli occhi.
Ma la sua stretta ben presto si allentò; sbattei le palpebre, confuso, finché non mi resi conto che alle spalle dell’aggressore si trovava Ethan.
“E così oggi è giornata di pulizia della merda dalle strade! Bene, spero di sistemarvi in tempo per quando passerà il camion della spazzatura” ringhiò il mio amico, cercando di tenere a bada entrambi i nostri avversari.
Mi gettai nuovamente tra di loro senza nemmeno rifletterci, pronto a fiancheggiare il mio amico.
Ci gonfiarono di botte e noi gonfiammo di botte loro; fu un groviglio di corpi, calci, pugni e sangue che sgorgava a fiotti. Durò solo qualche istante, ma a me parvero secoli.
Andò avanti finché i due assalitori non si resero conto che ormai May, l’oggetto del loro interesse, era lontana anni luce da loro e non potevano farci niente, quindi ci lasciarono ad ansimare sul marciapiede mentre correvano via e ci intimavano di andare a farci fottere.
Avevo gli occhi pieni di lacrime, le labbra piene di sangue e provavo un dolore talmente atroce che non sapevo più localizzarlo.
Ethan, in condizioni leggermente migliori rispetto alle mie, mi afferrò per un braccio e mi riportò dall’altro lato della strada, in cui si era radunata una piccola folla di curiosi. Il mio sguardo andò subito a cercare May, che trovai in lacrime poggiata alla parete del locale.
Lottai contro le gambe che tremavano e i dolori alla schiena e mi accostai a lei. Era una ragazzina così carina, con un fisico snello e slanciato e i capelli scuri raccolti in una treccia; non avrei mai permesso che le capitasse qualcosa e che quello stronzo si approfittasse di lei.
Non sapendo che dire, compii l’unico gesto che mi veniva spontaneo in quel momento: la abbracciai con delicatezza e i nostri corpi tremavano insieme, così fragili e provati.
Lei si strinse a me e continuò a piangere. “Grazie Ives, tu… nemmeno mi conosci e te la sei vista brutta per salvarmi.”
“Macché, non mi devi ringraziare. Non potevo mica rimanere a guardare mentre quel pezzo di merda ti metteva le mani addosso! Anzi, vorrei picchiarlo ancora” ammisi, ed era vero: la rabbia che mi era montata dentro non era ancora svanita.
Mentre riempivo di pugni quei tizi, era come se mi fossi sfogato anche sullo stupratore di mia madre.
May sciolse l’abbraccio e tirò su col naso. Ci scambiammo un sorriso – il labbro mi bruciava terribilmente –, poi lei cominciò a guardarsi attorno in cerca di qualcuno. I suoi enormi occhi scuri si illuminarono quando avvistò una figura sulla porta del locale; mi rivolse un’ultima occhiata grata prima di dirigersi verso un ragazzo dalla pelle bruna e i lunghi capelli scuri. Lui la accolse subito tra le braccia, facendole posare la testa sulla sua spalla.
“Carina, vero?”
Sobbalzai e mi voltai di scatto: non mi ero accorto dell’arrivo di Ethan alla mia sinistra, eppure lui era lì.
“Sì, ma… quel tizio chi è?” chiesi.
“Alick Jacobs. Non sapevi che lui e May si frequentano?”
Avvampai. “Ah. Sembrano fratelli, si somigliano un sacco” borbottai, leggermente deluso. May era davvero carina e per un istante avevo sperato che, dopo averla salvata, lei potesse interessarsi a me, ma evidentemente avevo fatto male i calcoli.
Ethan ridacchiò. “Strano, il pettegolo tra i due sei tu.”
“Ma quale pettegolo… sei un coglione! Non ti picchio solo perché ci hanno già pensato quei pezzi di merda.”
“Altrimenti sarei molto preoccupato, sì…” ribatté lui ironico.
Lo fulminai con un’occhiataccia, ma ben presto la mia espressione si addolcì: il mio amico mi aveva aiutato senza esitazioni, si era messo in mezzo alla rissa per difendermi, seppur non fosse tenuto a farlo. Del resto l’iniziativa era partita da me.
Probabilmente non sarei mai stato in grado di esprimere appieno la mia gratitudine nei suoi confronti.
 
 
Presi una boccata dalla mia sigaretta, cercando di reprimere il dolore al labbro, e lanciai un’occhiata fugace a Ethan, che fumava al mio fianco. Dovevo ringraziarlo di cuore per avermi portato fuori da quella situazione, senza di lui non avrei saputo come fare; in realtà non sapevo nemmeno come avevo potuto ficcarmici, non era proprio da me.
Il mio amico aveva un livido violaceo sullo zigomo che spiccava anche nell’oscurità della notte e la maglietta macchiata di sangue – forse mio, forse dei tipi con cui avevamo fatto a botte.
“Quella è la tua maglietta dei Led Zeppelin, quella che ti ha regalato Davi” osservai. “Adesso è rovinata.”
Ethan si strinse nelle spalle mentre sbuffava una nuvola di fumo dalle labbra. “Resiste a tutto, questa t-shirt. Un viaggio in lavatrice e tornerà come nuova.”
Calò nuovamente il silenzio tra noi; distolsi lo sguardo da Ethan e lo posai sulla mezzaluna che brillava in cielo. Mi sentivo un po’ in colpa per ciò che avevo fatto, ma quando avevo visto quel bastardo mettere le mani addosso a May non avevo saputo trattenermi, pur sapendo che ero in netto svantaggio e sarebbe andata a finire male. Non riuscivo proprio a tollerare le mancanze di rispetto nei confronti delle donne, forse perché erano delle creature davvero speciali e che ammiravo tantissimo.
Erano quasi delle supereroine, un po’ come zia Maura.
“Oggi ho picchiato quel tizio perché mi ha fatto pensare alla faccenda di mia madre” ammisi, lo sguardo sempre perso tra le stelle. “Io sono nato per colpa di uno stupro, mia madre ha sofferto tantissimo e alla fine si è suicidata. Non posso sopportare che una ragazza subisca delle violenze perché ogni volta mi ricordo di lei: nessuno merita di vivere quello che ha vissuto lei. Per questo sono partito come un treno in corsa.”
Ethan non ribatté subito, si limitò ad appoggiarsi meglio al muretto basso su cui avevamo preso posto, e fummo nuovamente avvolti dal frinire dei grilli e le voci allegre in lontananza – i classici suoni delle notti d’estate come quella.
Gettai il mozzicone ormai consumato a terra e lo schiacciai con la suola della scarpa. Ero stremato, ma non sarei tornato a casa per niente al mondo.
“Che faresti se tuo padre comparisse all’improvviso e pretendesse di farti da genitore?” chiese Ethan di punto in bianco, rompendo il silenzio.
Mi voltai lentamente verso di lui con gli occhi sgranati, colto alla sprovvista: non era da lui porre delle domande, tanto meno su argomenti così delicati. Lo trovai che mi scrutava con attenzione, gli occhi scuri estremamente seri che luccicavano sotto la luce della luna.
“Ma che cazzo dici? Mio padre si è scopato mia madre ed è sparito nel nulla, nemmeno sa di avere un figlio” gli feci notare, leggermente nervoso. In effetti era una cosa a cui non avevo mai pensato, ma la sola idea di scoprire l’identità dello stronzo che aveva violentato mia madre mi faceva salire il sangue al cervello.
“E che cazzo, lo so, ma lavora di fantasia! Che gli diresti se si presentasse alla tua porta?”
Scrollai le spalle. “Gli direi di dimenticarsi per sempre di avere un figlio e che per quanto mi riguarda potrebbe anche morire. Io non odio nessuno e sono disposto a perdonare tutti, ma non lui; chiunque sia, è la persona peggiore che possa esistere” risposi senza esitazioni, e alla fine la mia voce aveva assunto un tono quasi rabbioso.
Ethan scosse appena il capo, prese una boccata di fumo e smise di guardarmi, perdendo lo sguardo davanti a sé. “A volte un padre è meglio non averlo” sputò tra i denti.
Il mio cuore perse un battito quando udii quelle parole. Non sapevo i dettagli del passato di Ethan, lui preferiva parlarne il meno possibile, ma sapevo per certo che era fuggito dal Brasile con tre dei suoi fratelli perché suo padre era un mostro; non mi aveva mai raccontato cosa facesse di preciso, ma ogni volta che lo nominava il suo sguardo si riempiva d’odio.
Forse ero davvero stato fortunato a non conoscere il mio, l’avrei odiato se possibile ancora più di quanto già non facessi.
“Domani andiamo sul lungomare?” cambiai discorso, forse perché l’atmosfera si era fatta un po’ troppo pesante.
“Va bene, ma prendiamo il pullman delle undici, non ne ho voglia di svegliarmi presto.”
Sorrisi, e non mi importava niente anche se il labbro spaccato tirava e faceva male.
 
 
 
 
♠ ♠ ♠
 
 
Benvenuti nella mia prima minilong slice of life! Non so nemmeno se possa esistere una cosa del genere, però diciamo che questa è più o meno una raccolta di vari momenti sparsi ma collegati tra di loro, che andranno a formare una trama-non trama… sì, va bene, non so nemmeno io cosa sto dicendo, ma andando avanti con la lettura capirete XD spero!
Era da un sacco di tempo che volevo scrivere questa storia e raccontare un po’ di aneddoti dell’adolescenza di Ives&Ethan! Ho scelto proprio l’estate del 1981 perché all’epoca Ives aveva tredici anni e Ethan ne aveva quattordici; erano quindi in una fase di passaggio molto importante, in cui la crudeltà della vita viene sbattuta loro in faccia con ancora più violenza.
Forse non sono proprio partita col botto con questo capitolo, ma prometto che la storia migliorerà col tempo XD
Piccole notine di spiegazione per chi non conosce la serie ^^
Ives, Ethan e Sammy, rispettivamente basso, chitarra e batteria, ai tempi avevano una band, che però appunto non aveva ancora un nome o un cantante.
L’Alibi è un luogo di mia invenzione; a Los Angeles, la città in cui è ambientata la storia, in realtà era pieno di locali in cui si tenevano dei live e che erano frequentati dai musicisti dell’epoca, ma ho deciso di creare un luogo apposta come “punto d’appoggio” per i miei personaggi, anche perché mi viene più comodo parlare di un posto che non esiste XD
I Men At Work, che nomino a un certo punto nel testo, per chi non lo sapesse sono un gruppo australiano che proprio nel 1981 ottenne un grande successo con due brani molto carini ed estivi (Who Can It Be Now? e Down Under), quindi non ho fatto fatica a immaginarli come tormentone estivo dell’epoca :)
Per chi invece non avesse presente i Kiss e la loro I Was Made For Lovin’ You, ecco il link:
https://www.youtube.com/watch?v=ZhIsAZO5gl0
Zia Maura, che viene citata nei pensieri di Ives e definita una supereroina, è la zia di Ives, sorella della madre suicida, che si è presa cura di lui per tutti questi anni come se fosse un figlio, dividendosi tra lavoro e famiglia.
Infine quando faccio riferimento allo skate col drago di Ethan, parlo di un oggetto tanto caro al nostro chitarrista: quando era piccolo ha decorato lui stesso il suo skateboard con un enorme drago, avvalendosi delle sue capacità nel disegno (ma vabbè, Ethan sa fare tutto XD).
Dovrei aver detto tutto!
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate! Grazie a chiunque sia giunto fin qui :3
Al prossimo capitolo!!! ♥
 
 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Soul Mancini