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Autore: Corydona    05/08/2020    0 recensioni
Come in una partita a scacchi, due fazioni si ritrovano schierate l'una contro l'altra, pronte a dichiararsi una guerra che entrambe non vorrebbero. Da un lato gli Autunno, la cui potenza sembra inarrestabile, dall'altra i Primavera-Inverno, che possono contare su un'influenza senza eguali.
Una situazione di apparente stasi: apparente, perché nell'ombra i sovrani cadono e le successioni al trono sembrano più complicate del previsto. La guerra sarà dichiarata? Termineranno i regicidi? Quale delle due parti avrà la meglio?
Un'antica profezia annuncia la disfatta degli Autunno: si realizzerà? O rimarranno solo vaneggiamenti di un passato caduto nell'oblio?
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Selenia '
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Altea correva disperata attraverso i corridoi sfarzosi del palazzo reale, illuminata solamente dal pallore della luna. Le istruzioni di Melissa erano state chiare: doveva affrettarsi nel salvare Nicola, perché l'incendio sarebbe stato appiccato a breve.

Ignorava, la giovane, che dietro quella richiesta c'era la necessità che al momento della fuga lei e il principe non si trovassero insieme all'Autunno e a Luciana Lugupe. La principessa del Ruxuna aveva dosato con attenzione le informazioni da fornire alla cameriera personale della regina Lotnevi, poiché non sapeva quanto lei avrebbe taciuto a Nicola; aveva ammirato la sua fedeltà a Felicita nelle ore che avevano preceduto quel momento, ma era consapevole che quella stessa lealtà avrebbe potuto provocare dei danni al suo piano, altrimenti perfetto.

La fanciulla percorse la reggia arrivando alle segrete, sulla cui soglia trovò due guardie a terra, svenute. Sapeva che non erano morte, perché la sua regina glielo aveva anticipato e l'aveva pregata di non spaventarsi: l'urgenza era più importante di qualsiasi altra cosa, inclusa la paura.

Altea si soffermò solo per un istante a scrutare quei volti, cercando di comprendere se si trattava di uomini dello Cmune o se si trattava dei soldati che Donna Clara Riutorci aveva fatto venire da chissà dove. Uno dei due le sembrava familiare, dunque pensò che fosse lui a custodire le chiavi delle celle. Frugò con cautela nelle tasche della sentinella, finendo per trovare quello che cercava.

Si inoltrò svelta nel lungo corridoio delle celle, senza sapere dietro quale fosse imprigionato il suo principe. Per sua fortuna lo trovò presto: non era così distante dall'ingresso, fattore che avrebbe aiutato nel velocizzare la loro fuga.

Il Lotnevi dormiva rannicchiato sul pavimento, come un bambino intimorito da un destino ignoto. La cameriera gli si avvicinò, e provò a scuoterlo, anche se con un briciolo di timore: non aveva mai toccato il nobile.

«Altezza...» gli sussurrò all'orecchio. «Dobbiamo andare, dovete svegliarvi...»

Lui si mosse, nel sonno, come se cercasse di allontanare un incubo.

La fanciulla insisté ancora. «Altezza... sono qui per salvarvi.»

Quelle parole sortirono l'effetto sperato: il principe di Cmune aprì gli occhi e si destò al vedere la cameriera personale della madre.

«Altea? Cosa ci fai qui?» le domandò, sbigottito.

«Sono venuta per portarvi lontano dal palazzo... dobbiamo fare in fretta» sussurrò lei.

«Pensavo che mi stessero chiamando per l'esecuzione» biascicò lui, alzandosi in piedi. «Come faremo a uscire?»

Nicola si guardò attorno, con il buio che imperava sia di giorno che di notte. Le torce delle guardie della prigione erano spente... che fossero state attirate altrove?

Altea fece strada guidando il principe, nel timore che le tenebre lo avrebbero disorientato. Risalirono al pianterreno, dove il nobile poté notare che il sole era ben lungi dal fare capolino. Lui si fermò per alcuni istanti a guardare fuori da una delle ampie vetrate, perché un particolare insolito aveva catturato la sua attenzione. Da una delle finestre di una camera privata la luce era troppo accecante: qualcosa non andava.

«Altezza, non abbiamo tempo!» esclamò la fanciulla, alzando la voce. «Dobbiamo sbrigarci, non possiamo rimanere qui!»

«Ma lì...» esitò Nicola. «Altea, in quella stanza c'è un incendio!»

«Esatto, c'è un incendio, per questo non c'è tempo da perdere!» ribadì lei. «Non so quanto ci vorrà perché arrivi qui!»

«Arrivi qui? Cosa sta succedendo?» domandò lui.

«So solo che per salvarvi qualcuno sta accendendo il fuoco per un incendio che bruci il palazzo. Ho una lettera di vostra madre che vi spiegherà tutto, ma ora non c'è tempo» bisbigliò la giovane.

Il principe guardò l'andazzo al fianco della vetrata, con le gesta di un antico eroe, che brandiva una spada insanguinata, mentre un mostro giaceva sconfitto a terra. Si sentì ridotto a nulla, al confronto. Lui non sapeva usare le armi e per salvargli la vita sua madre si era ridotta usare un sotterfugio che avrebbe messo in pericolo sé stessa e gli altri residenti della reggia. Ripensò alle parole scambiate con il marchese Tirfusama: era diventato una pedina, questo era certo; ma una pedina preziosa visto quello che liberarlo avrebbe implicato.

Altea era corsa all'altro capo del lungo corridoio, mentre lui non riusciva ad accelerare, pur seguendola. Sentiva che se avesse abbandonato quel luogo non sarebbe più stato lo stesso di prima, che si trattava di percorrere una via dalla quale non poteva fare ritorno.

Ritorno.

«Altezza, sbrigatevi!» lo incitò la fanciulla, che in quel momento tutto sembrava tranne che una giovane donna abituata a stare al suo umile posto all'interno di una reggia. Anche lei si era trasformata, spinta dalla necessità di quella fuga.

Nicola ammirò la sua decisione, quella prontezza che sentiva tanto distante. Non era certo una situazione semplice in cui trovarsi, ma Altea vi si muoveva a proprio agio, mentre lui avvertiva uno strano torpore attanagliargli le viscere: avrebbe desiderato essere preparato a quel momento e non di percepirlo come una valanga pronta a riversarsi su di lui.

«Torneremo qui?» le domandò soltanto.

«Certo che ritorneremo!» rispose lei con convinzione. «Torneremo e voi sarete al posto che vi spetta. Ma ora correte, vi supplico!»

Il principe gettò un'occhiata fuori dalle finestre e vide il fuoco divorare la zona del palazzo di fronte a quella dove si trovavano loro. Le fiamme sembravano fauci di una bestia famelica, che mandavano giù a piccoli bocconi l'intera reggia. La temperatura si stava alzando e il caldo eccessivo anche per la stagione iniziava a insinuarsi negli ampi corridoi, infausto annunciatore.

Nicola si asciugò la fronte madida di sudore con la manica, domandandosi come mai l'improvvisa calura non avesse svegliato nessuno. Raggiunse la cameriera verso l'uscita più vicina per il cortile esterno.

Vi sbucarono assieme, respirando a pieni polmoni l'aria frizzantina della notte. Le chiome degli alberi si scuotevano dolcemente al soffio del vento, ancora lontani dall'incedere del fuoco. L'aria si insinuava gelida sotto le vesti dei giovani, provocando a entrambi dei brividi.

Il nobile sentiva freddo e caldo allo stesso tempo: immaginava le fiamme alle sue spalle rincorrerlo senza lasciargli tregua, come se la sentenza dei Lupfo-Evoco lo avrebbe inseguito anche nel più recondito angolo di Selenia.

I due udirono un ruggito provenire dall'interno del palazzo. Entrambi si voltarono, spinti dalla curiosità, e videro ciò che mai avrebbero voluto vedere: le fiamme avevano avvolto tutta la costruzione elegante che per secoli era stata la reggia dei Lotnevi.

Nicola indietreggiò, fino a quando non si accorse di avere la schiena contro l'inferriata che circondava il cortile esterno. Il freddo del metallo premeva contro la pelle lasciata scoperta dai vestiti, sollevatisi nella fuga; ma a lui non importava. Guardava ipnotizzato le mura sfaldarsi e ridursi in cenere, mentre il fuoco, in alcuni punti sembrava essersi spento o che avesse diminuito la sua intensità.

«Dobbiamo andare, non possiamo rimanere qui» sussurrò la cameriera della regina, sebbene neanche lei riuscisse a distogliere lo sguardo dalle fiamme. Le si formò un nodo alla gola, che le impedì di dire altro, così provò a strattonare il giovane, come per costringerlo ad allontanarsi in fretta e a correre lontano da lì.

«Altea...» mormorò il principe. «Mia madre è in salvo, vero?» Guardò la fanciulla, i cui occhi erano lucidi, nonostante l'aria infuocata. «Dimmi che lo è.»

«Mentirei.»

Fu l'unica parola che lei riuscì a dire.

Lui cadde sulla terra resa arida da quell'improvviso caldo torrido, incapace di accettare quello che era accaduto. Sua madre, la donna che era stata tanto forte e risoluta, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui... aveva deciso di agire nella maniera più estrema che ci fosse.

In quel momento era cenere anche lei, divorata, dilaniata dalla ferocia di quell'incendio. La regina Felicita di Cmune non era più nulla. Se si fosse sollevato del vento forte, come quello che spolvera i viali in primavera, lei sarebbe stata spazzata via, dispersa nell'aria, e chissà in quale angolo di Selenia le sue spente energie vitali sarebbero finite.

Nicola non riuscì a versare una lacrima, ma se solo non ci fosse stata l'afa ad asciugargli le guance, il suo viso sarebbe stato solcato da freddi torrenti. Guardava, incredulo, incapace di fare nulla.

A riscuoterlo furono delle grida.

«Il palazzo va a fuoco!»

«La regina! Il principe!»

«Saranno in salvo?»

«Spegniamolo, prima che colpisca la città!»

Ma l'incendio sembrava essersi saziato con il nobile banchetto che gli era stato offerto e già si stava estinguendo.

«Andiamo, Altea» mormorò Nicola. «Nessuno deve vederci qui, o penseranno che siamo stati noi.»

In realtà gli importava poco di ricevere un'altra accusa: dopo il regicidio e il parricidio, il matricidio non sembrava così grave.

La giovane si destò da quell'incubo e guidò il principe verso l'uscita secondaria più lontana dalla folla. Fuori dal cancello trovarono due mantelli da viaggio con dei cappucci, che indossarono per allontanarsi senza attirare attenzioni. Nella capitale tutti conoscevano la fisionomia dell'erede Lotnevi, perciò era bene dileguarsi il più in fretta possibile. Imboccarono uno dei sette raggi che conduceva verso sud-ovest, quando una voce richiamò la loro attenzione.

«Questo non è possibile... sembra magia.»

Nicola si fermò e guardò l'uomo, che riconobbe per un ricco proprietario di botteghe di sartoria, da cui si riforniva il palazzo. Forse nelle sue parole sbigottite c'era il recondito timore di aver perso il più ricco cliente.

«Sì, nonno, è magia!» gridò invece un bambino accorso assieme a lui.

Il principe di Cmune sospirò amaramente: per incendiare la reggia erano state usate le arti magiche e, che lui sapesse, solo una persona su Selenia era in grado di padroneggiarle. Raissa Autunno.

Si vide perso, il suo futuro sgretolato davanti ai suoi occhi: se lei era stata in grado di far ricadere sul suo capo l'omicidio di Guglielmo, avrebbe potuto fare altrettanto con la morte della madre e, forse, dell'intera corte. Tuttavia a rinfrancarlo, sebbene non del tutto, c'era la constatazione che l'esistenza della magia era divenuta un fatto conosciuto e che il popolo avrebbe potuto credere che Raissa l'avesse usata anche per uccidere il re.

Riuscirono a raggiungere la periferia della città in brevissimo tempo e ne varcarono uno degli ingressi ad arco mentre a est la luce del sole iniziava a farsi largo tra alcuni strati di nuvole. Mai l'arrivo di un nuovo giorno aveva riempito il regno di incertezza.

 

   
 
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