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Autore: whitemushroom    07/08/2020    3 recensioni
"In un mondo dove dimenticare è un dogma, accetteresti di diventare la mia eresia?"
Monologo delirante di Kazusa Futahito.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Kazusa Futahito
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I want to hear your voice
To ease the fear inside,
Just let me know that you’ll be here,
Always right by my side
Let me take you in my arms and hold you tight
If I’m with you and you’re with me, we can get through the night


Sai, oggi io ed Emina abbiamo discusso. Dice che, chiunque tu fossi, devo lasciarti andare.
Ma perché?
Perché devo lasciarti scivolare via quando ciò che mi uccide non è il tuo ricordo, bensì questo oblio forzato che non ho chiesto mai?
Mi ritorna in mente quella storia che girava ai tempi dell’Accademia, quella dei Quattro Campioni di Rubrum. Era così famosa che l’avrai sentita pure tu. Ecco, è saltata fuori durante la nostra litigata: tutti noi sappiamo che sono esistiti questi fantomatici eroi, questi “Campioni”, ma nessuno, nessuno ricorda i loro nomi, i loro visi, non c’è nemmeno una statua nel Peristilio. Quattro guerrieri che saltano da un racconto all’altro come dei fantasmi, di cui si narra che l’unico sopravvissuto scrisse nel sangue i nomi dei suoi amici prima di vederli morire tra le sue braccia, e le sue grida scossero talmente tanto le valli innevate che persino i guerrieri nemici chinarono il capo davanti a quel dolore.
E anche il sopravvissuto deve essersene andato, perché sia io che Emina ci siamo guardati negli occhi, sforzandoci di ricordare l’ennesimo nome perduto.
Io non voglio che ti succeda una cosa simile.
Non voglio far sbiadire negli anni questi sentimenti che forse mi immagino soltanto, ma non li regalerò al tempo per un sollievo che so che non avrò mai. E mi rifiuto di credere che tu desideri soltanto volare via da questo mondo senza sapere quanto qualcuno ti abbia amato, perché io stesso non lo vorrei.
In un mondo dove dimenticare è un dogma, accetteresti di diventare la mia eresia?




I know the way you feel
You don’t have to lie to me
So close your eyes now
I’ll stay right here with you , it’ll all be fine – you’ll see
And I know that if I promise it’s not over
It’ll only make the end come even sooner than expected


Se chiudo le palpebre so che sei vicino a me, un tenue movimento che si riflette solo nella mia retina. Le nostre spalle che si sfiorano mentre rimettiamo in ordine i libri sullo scaffale, il tuo corpo che emana una piacevole frescura come se fossi Amor Shiva fatto carne.
Con questo caldo che ti fa appiccicare il camice alla pelle, nel mio laboratorio dove il condizionatore è guasto da due mesi ed i tecnici non si scomodano certo per un ricercatore “volontario” … credo che ti avrei fatto una corte spietata anche se fossi stato l’essere più brutto di Orience.
Ah, per tua informazione l’aria condizionata è ancora guasta.
Finalmente potrò scoprire se i Tonberry sudano come gli esseri umani.




But when the day comes and there’s nothing left to do,
I’ll be here to reach my hand out
‘cause the end won’t come as long as I’m with you


Se avessi il tuo nome potrei almeno cercare qualcosa negli archivi; una data di nascita, il recapito del tuo COMM, che classe dell’Accademia hai frequentato. Ho bisogno di dati per riportarti indietro, non lo capisci? O vuoi davvero lasciare tutto alla mia immaginazione? Sarebbe un bel casino, in caso non te ne fossi accorto, perché non c’è giorno in cui non butto i fogli del lavoro in un cassetto e mi perdo a fantasticare per te ogni giorno una vita differente, sempre nuova, sempre adorabile.
Magari lavoravi nel mio ufficio e ci siamo conosciuti per caso davanti all’ennesima macchinetta del caffè guasta tra una lamentela e l’altra sulle nostre misere paghe da ricercatori “volontari”, oppure venivi ogni tanto come tirocinante, spazzolone e secchio alla mano, e ti guardavo mentre cercavi di non vomitare davanti agli ennesimi resti della mia chimera andata male. Oppure … oppure lavoravi in quel bar sotto da me, quello elegante con le poltroncine azzurre, e da dietro il vetro guardavamo sfilare i cadetti borbottando tra noi che la nostra nazione fa davvero schifo per arruolare dei ragazzi così giovani. Forse un giorno hai buttato il grembiule e sei corso ad arruolarti perché questo mondo ti ha fatto schifo.
Ma perché mi prendo in giro?
Quello nella foto è un ragazzo con indosso un mantello della Class First, l’élite.
Sì, tu eri uno di quelli che scendeva in battaglia mentre io rimanevo qui ad aspettarti, ad ascoltare i notiziari con in testa solo il tuo viso e la mia paura. Forse quando sentivo le sirene d’allarme risuonare per tutta l’Accademia volevo morire per il dolore, e stavolta dovrei solo ringraziare il Cristallo per non sentire più quell’angoscia che mi chiudeva il petto e mi piegava le gambe.
Ma non lo ringrazierò.
Non lo ringrazierò perché non ricordo se ai tempi della scuola eri quello che se ne stava in disparte stile Cactuar o se eri l’anima della festa, se noi due ed Emina ci ritrovavamo ogni sabato sera ubriachi in mezzo alla strada o se per invitarti a ballare dovevano pregarti in ginocchio. Se magari ti ho tenuto il broncio dopo aver litigato o se sono dovuto venirti a recuperare perché ti era scappato il chocobo durante una scappatella notturna non autorizzata con le tue amichette, ed io probabilmente finivo per venirti a prendere anche se avrei lasciato volentieri le tue spasimanti annegare nel fiume. Ed ogni sera continuano questi dettagli, questi frammenti di specchio che non so più se siano una mia fantasia, una lastra di vetro con il tuo viso che non riesco più a ricomporre perché i vetri mi tagliano le dita.
L’unica consolazione è che, almeno nei miei sogni, sei solo per me.

Errata corrige: non avevo calcolato che, quando lo scienziato col bisturi incontra il Tonberry col coltello gigante, lo scienziato col bisturi va in cucina a lavare i piatti mentre il Tonberry col coltello gigante riscuote l’ambito premio di saltarti tra le braccia e ricevere carezze sulle tue ginocchia mentre guarda il nemico sconfitto con i suoi occhietti maligni.
Forse avrei dovuto essere più specifico quando talvolta ho pensato che sarebbe stato divertente fare “qualcosa a tre”.
  
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