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Autore: EleWar    07/08/2020    10 recensioni
Ancora ansante, nella penombra della stanza, lentamente mise a fuoco la sua situazione. Era legata mani e piedi ed assicurata alla testiera in ferro battuto di un letto. Indossava ancora il vestito da sposa.
Non c'è mai pace per i nostri due sweeper tanto amati, cosa succederà in questa mia nuova fic? ;-)
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Kaori Makimura, Nuovo personaggio, Ryo Saeba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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E siamo al n.10, molto vicini alla sospiratissima fine della storia (e spero che sia per voi solo una questione di curiosità e non di “Ti prego non ne posso più, basta!” :D ).
La vostra dedizione mi ha commosso, anche perché, e l’ho detto spesso nelle risposte alle varie e graditissime rec, mi sono messa in gioco con questa fic e insomma, è un po’ particolare, almeno rispetto alle altre che ho scritto prima.
Ma non perdete tempo con questa insulsa introduzione e passate ai “fatti”.
GRAZIE vi lovvo
Eleonora






Cap.10 Missione salvataggio
 
 
 
 
Quella stessa mattina si incontrarono tutti al Cat’s Eye, il loro temporaneo quartier generale, come d’accordo.
Il cartellino sulla porta recava la scritta closed, ma Ryo e Saeko erano già dentro, mentre, in attesa di Mick, Miki e Falcon si affaccendavano dietro al bancone per preparare colazione con tanto di caffè per tutti.
 
In quel momento fece il suo ingresso l’americano, insolitamente spettinato, con la cravatta allentata sul collo della camicia gualcita.
Appena messo piede dentro, sbadigliando a mo’ di saluto, si rivolse direttamente alla barista:
 
“Miki tesoro, un caffè di quelli belli forti e corposi. Ho bisogno di qualcosa che mi svegli.”
 
E si lasciò cadere nel basso divanetto, quasi addosso a Saeko, approfittandone per allungare distrattamente le mani; ma lo sguardo severo di Ryo, seduto di fronte a lui, lo rimise in riga: quando c’era di mezzo Kaori, era vietato scherzare!
Si ricompose.
Sul tavolino, attorno a cui si erano seduti, campeggiavano diversi oggetti lampeggianti, e giacevano cartine e mappe; Mick prese la parola:
 
“Ho praticamente passato la notte al telefono, a contattare tutti i miei agganci negli Stati Uniti. Ma…”
 
S’interruppe per darsi un tono, facendo una spudorata pausa ad effetto, e quando fu soddisfatto della reazione dei suoi amici, poiché li vedeva tutti pendere dalle sue labbra, terminò con:
 
“Ho delle buone notizie.”
 
Miki raggiunse il resto della banda, seguita dal suo corpulento marito che portava un vassoio con tazzine e caffettiera, e servì i suoi amici.
Mick stava per ragguagliarli sui suoi progressi, ma Ryo prese la parola:
 
“Ho deciso di vederci qui prima dell’arrivo di Murakami, perché si possa discutere con calma di tutta la parte tecnica del piano e, soprattutto, perché ero sicuro che Mick avrebbe trovato qualcosa su di lui. Sceglieremo al momento se metterlo a parte degli altarini scoperti oppure no, e vedremo che faccia farà. Secondo me, infatti, non ha detto tutto. Quest’attrezzatura invece” e indicò quelle strane scatole metalliche con tante lucine lampeggianti, led, levette e pulsantini “sono dei derivatori di chiamata che ci permetteranno di intercettare tutte le telefonate in entrata e in uscita di Murakami, sia da linea fissa che da mobile, e di localizzare la cellula telefonica a cui si agganciano, così non solo riusciremo anche noi a sentire cosa avranno da dire i rapitori, ma scopriremo da che parte del Giappone provengono le chiamate. Io, comunque, sono dell’idea che Kaori sia relativamente vicina a Tokyo, ma impossibilitata a fuggire o a mandarci un qualsiasi segnale. Me lo sento.”
 
Con questa ultima frase fu chiaro a tutti quanto in realtà lui fosse fiducioso sulle capacità della socia, nonostante la denigrasse sempre, o non le desse mai il giusto riconoscimento come sweeper professionista.
 
“Bene, Angel, a te la parola.”
 
“Grazie. Dicevo, ho smosso mari e monti al di là dell’oceano, e ho scoperto cose strabilianti. Il nostro Akira Murakami ha avuto una relazione, durata almeno un paio di anni, con una bellissima ragazza di nome Fujiko Nakazawa, alias Naoko” e fece un’altra pausa ad effetto.
Umibozu fu il primo a commentare:
 
“Intendi Naoko la cantante?”
 
“Oh, polipone, non dirmi che la conosci!” esclamò Ryo.
 
E mentre Falcon arrossiva come un peperone, sua moglie Miki intervenne, sorridendo:
 
“Oh sì, lui ne è un grande fan, ha tutta la discografia completa, e la sua canzone preferita è Kiss me again! Vero, orsacchiotto?” gli chiese lei, pizzicandogli la guancia, per poi aggiungere: “Il mio Falcon è un romanticone, e me la canta spesso” mandando così il marito temporaneamente in tilt.
 
“Hai capito, lo scimmione?” gli fece eco Mick. Ma stranamente Ryo non partecipò agli sfottò dell’amico, perché, serio, domandò:
 
“Che legami ci sono? Come è possibile che un magnate dell’industria si leghi ad un’artista dello spettacolo?”
 
“Come si siano conosciuti non lo so, però sembra che abbiano voluto tener segreta la relazione proprio perché lei è famosa, e non desideravano intrusioni nella loro vita privata; immagino per non dover combattere con i fotografi e i giornalisti di cronaca rosa, sempre a caccia di scoop e gossip.”
 
“Mmm… mi aveva accennato una cosa del genere, ma si era ben guardato dal rivelarmi l’identità della ragazza.”
 
A quel punto Miki esclamò:
 
“Che peccato che si siano lasciati! Chissà per…” ma non finì la frase, perché proprio in quel momento gli apparecchi iniziarono a lampeggiare e ad emettere segnali acustici; tutti tacquero e si fecero attenti.
Ryo disse con un filo di voce:
 
“Una telefonata in entrata!” e premette un pulsante, cosicché tutti potessero sentirla, mentre faceva segno a Saeko di tenersi pronta a segnare sulla mappa la cellula da cui proveniva la chiamata; una voce femminile e metallica s’impose in quell’improvviso silenzio, e scandì in maniera atona:
 
Akira Murakami, come avevamo promesso ci siamo fatti risentire. Nel frattempo non ha contattato la polizia, giusto?
 
No-no… ho fatto tutto quello che mi avete richiesto. La polizia non sa niente, e mi sono mosso per reperire i soldi. Ma Kaori? Kaori come sta? Voglio parlare con lei!
 
La voce di Akira tradiva nervosismo e preoccupazione; i cinque si guardarono in silenzio, col fiato sospeso.
 
Tutti, specialmente Ryo, avrebbero voluto sentire la voce squillante di Kaori invadere gli altoparlanti del congegno, ma la Voce non diede segno di voler accontentare nessuno di loro.
Saeko invece era tesa, e impalpabili goccioline di sudore imperlavano la fronte del suo viso impassibile; sperava che la telefonata non s’interrompesse troppo presto, perché più parlavano e più il rilevatore avrebbe avuto un segnale potente e duraturo da poter registrare.
 
Abbiamo deciso che lo scambio avverrà fra due giorni, a partire da adesso. Nelle prossime ore le faremo sapere dove e quando con esattezza. Le ripeto che non è saggio avvertire la polizia, né nessun altro” e sembrava che la Voce avesse ormai detto tutto, ma prima che riattaccassero, Akira si affrettò a dire:
 
A-aspettate! Io voglio sentire Kaori, come sta? Come faccio a sapere che non le avete fatto del male? Io sto facendo la mia parte, ma esigo delle garanzie, altrimenti non se ne fa niente!
 
I cinque tornarono a guardarsi: Akira era tosto e coraggioso, non si faceva intimidire facilmente.
 
Lei non è nella condizione di dettare le regole… Possiamo soltanto dirle che Kaori sta bene e non le è stato torto un capello.
 
E a quell’ultima affermazione Ryo pensò che, in caso contrario, gliel’avrebbe fatta pagare in maniera atroce, fino a spingerli ad implorare il colpo di grazia e porre così fine alla loro miserabile vita.
 
Aspettate, bastardi!” abbaiò Akira, ma un clic inequivocabile li avvertì che i rapitori avevano terminato la chiamata; gli altri poterono sentire Murakami aggiungere “Dannazione!” prima che anche lui chiudesse la comunicazione.
 
Ryo si voltò di scatto verso Saeko che confermò le sue speranze: era riuscita a localizzare la chiamata dei rapitori e già stava controllando la cartina dei dintorni di Tokyo, quando  gli apparecchi tornarono a pigolare; trattennero il fiato nuovamente.
Una lucina rossa indicava che era una telefonata diversa; un cellulare, in uscita.
 
Di nuovo, nel silenzio del locale, si udì la voce di Akira:
 
Ho bisogno di vederti
 
 
 
 
***
 
 
 
Naoko aveva appena messo in moto la sua Honda e aveva già ripreso la strada che l’avrebbe riportata alla villa, quando sentì il cellulare vibrare nella tasca interna del giubbotto.
Si portò la mano al torace, in corrispondenza del suo Sony, e constatò che non era un semplice messaggio, ma una chiamata.
Accostò sul bordo della strada, girò la chiavetta arrestando il motore, e si tolse il casco.
Doveva essere una telefonata importante perché, nonostante lei stesse perdendo tempo non riuscendo a rispondere subito, districandosi fra cerniera a lampo e fodera interna, ancora il telefono squillava.
Chi era mai che la stava chiamando con così tanta urgenza?
Era arrivata in Giappone in incognito, e nemmeno il suo agente sapeva dove fosse.
 
Quando finalmente prese in mano il cellulare, e sul display vide il nome di chi la stava chiamando, ebbe un tuffo al cuore.
Accettò la chiamata in entrata e sentendo quella voce tanto amata e quella richiesta decisa e accorata, le sfuggì un singhiozzo; non riusciva nemmeno a parlare, tanta era l’emozione.
Lui… Lui l’aveva chiamata.
 
 
 
***
 
 
 
“Mi hanno chiamato!” esordì Akira Murakami, entrando come una furia nel Cat’s Eye.
Ma rimase sconcertato, quando nemmeno Ryo si dimostrò interessato alla novità.
Si guardò intorno e vide quello strano consesso, tutti gli occhi puntati su di lui.
Si riscosse:
 
“Allora? Signor Saeba, non ha da dirmi niente? Non ha sentito quello che le ho appena detto? Mi hanno telefonato i rapitori!!!”
 
“Lo sappiamo. Siediti.”
 
“M-ma come…” poi, abbassando lo sguardo, finalmente notò tutto l’armamentario sul tavolino.
 
“Gradisce del caffè?” chiese cordialmente Miki.
 
“Sì, credo di averne bisogno…”
 
“Bene, ora che sei qui chiariamo un po’ di cose…” iniziò lo sweeper.
 
 
 
***
 
 
 
Dopo quell’ultimo vivace scambio di battute fra le due donne, Naoko se n’era andata via sgommando, alquanto turbata, e a Kaori non era rimasto altro che vederla partire, seguendola con lo sguardo, in una nuvola di polvere che piano piano si dissolveva.
Sconsolata, si era seduta sugli scalini della veranda, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia, a reggersi il viso con le mani.
 
Poi, quando si era stancata di restarsene lì, era tornata stancamente in casa e aveva cercato di passare il tempo in qualche modo: le ore si trascinavano penosamente e non sapeva più cosa inventarsi.
Però, pur non avendo nemmeno un orologio a cui fare riferimento, capiva dalle ombre che si stavano allungando che presto sarebbe scesa la sera; e quasi impensierita dall’assenza prolungata di Naoko, uscì nuovamente sulle scale dell’entrata, a scrutare la strada sterrata.
La cantante aveva detto che sarebbe rincasata presto, e invece fra poco si sarebbe fatto buio e ancora non si vedeva.
E pensare che il giorno dopo sarebbe stato il suo matrimonio, e diversamente a quell’ora avrebbe passato la serata correndo a destra e sinistra, per gli ultimi preparativi, con Miki, Kazue, Saeko, Kasumi, e forse anche Reika.
 
Sospirò.
 
Stava giusto per rientrare in casa, quando, nella luce dorata del crepuscolo, vide un puntino nero in lontananza avvicinarsi velocemente, seguito da una scia di polvere.
Una moto.
Forse era Naoko che tornava, e quasi si sentì rincuorata, nemmeno fosse una madre apprensiva.
Anche se… aveva uno strano presentimento, e si mise a guardare con maggiore attenzione quella moto: più si avvicinava, e più il suo cuore inspiegabilmente accelerava i battiti, perché la figura che si stava delineando all’orizzonte, non era quella di una donna, ma di un uomo; e lei, prima ancora di vedere chi fosse, sapeva già che era Ryo, se lo sentiva, senza sapere il perché.
Con il cuore in tumulto, scese a passi incerti gli ultimi gradini e avanzò incontro al suo salvatore, temendo e sperando che fosse realmente lui, che non si fosse sbagliata, e che non stesse sognando.
 
Ma quando il centauro misterioso fu a pochi passi da lei, la ragazza lo riconobbe in tutto e per tutto, e quasi si mise a saltare di gioia.
Ryo piombò sullo spiazzo davanti alla casa, quasi in derapata, facendo schizzare da tutte le parti la ghiaia del vialetto; vedendola lì, ritta in piedi, scese al volo dalla moto, una Yamaha da enduro che non gli apparteneva e che con movimenti secchi e precisi assicurò sul cavalletto; velocemente si liberò del casco, appendendolo con impazienza allo specchietto, e corse da Kaori nello stesso istante in cui lei aveva già iniziato a corrergli incontro.
 
“R-Ryo…” e gli volò fra le braccia, che subito l’accolsero e la strinsero come non avevano fatto mai, nemmeno dopo il più pericoloso dei rapimenti.
 
“Stai bene? Sei sola?” le chiese, preoccupato ed emozionato al tempo stesso.
 
“Sì-sì- sto bene…  e sì, sono sola.”
 
E rimasero lì così, stretti in un abbraccio che voleva dire tanto, tutto; che parlava della felicità di essere nuovamente insieme, e che non era solo quella provata per la fine di quell’assurda prigionia, ma di essersi ritrovati  veramente.
Un abbraccio che parlava di scuse reciproche, per le incomprensioni, le ripicche, le prese di posizioni, le litigate sterili e sfiancanti.
Con quell’abbraccio si azzeravano i giorni in cui si erano tenuti a distanza, troppo orgogliosi per cedere, troppo egoisti per avanzare; un mese tremendo in cui avevano rischiato di perdersi per sempre.
 
Persi in quel magico momento, furono però richiamati al presente dallo squillare insistente del telefono satellitare che Ryo teneva sotto il giubbotto; a malincuore si staccò da Kaori che, stupita, guardò il socio armeggiare con quella specie di ricetrasmittente.
 
“Sì Mick, l’ho trovata. Sana e salva.”
 
Sia lodato il cielo, tutti i santi e le divinità tutte” esclamò l’americano.
 
E Kaori, sottovoce, chiese al partner:
 
“Ma come mi avete trovata?”
 
“Poi ti spiego” sussurrò rivolgendole un sorriso disarmante, che si spense all’istante quando, dall’altro capo del telefono, si udì la voce di Akira:
 
Saeba, allora l’ha trovata? Sta bene? Me la può passare per favore?
 
Ryo non rispose nemmeno ad Akira, e passò il telefono direttamente alla ragazza, con uno sguardo addolorato che la turbò assai.
Kaori prese in mano l’apparecchio che lui le porgeva, lentamente, sempre senza smettere di guardarsi.
La voce di Murakami li aveva riportati alla dura realtà, perché c’era ancora una cosa da chiarire: c’era Akira fra di loro, e il giorno dopo ci sarebbe stato il loro matrimonio che, con Kaori ormai libera e sana e salva, si sarebbe anche potuto celebrare.
 
Ryo fissava Kaori come a chiederle cosa avrebbe scelto, se mai di scelta si potesse parlare, perché lui non le aveva ancora detto niente; era solamente corso a salvarla; e nuovamente le parole gli erano morte sulle labbra.
Sarebbe bastato così poco…
 
Lei, infine, portò il ricevitore all’orecchio e, abbassando lo sguardo a fissarsi le scarpe, rispose:
 
“Akira, tesoro! Sì, sto bene. Naoko non mi ha fatto mancar niente, solo mi sono annoiata un sacco!” E concluse scoppiando a ridere; di nuovo Ryo si sentì morso dalla gelosia.
 
Perché agli altri veniva così bene parlare di sé stessi, dei propri stati d’animo, delle emozioni che vivevano? Sicuramente Akira le stava dicendo che gli era mancata tantissimo, che era impazzito sapendola nelle mani di misteriosi rapitori, e poi chissà cos’altro.
E lui?
Lui era stato capace solo di stringerla forte, come non si era permesso mai, affidando a quel moto d’affetto e sollievo, tutte le sue parole non dette.
 
E mentre era al telefono con Murakami, discretamente Kaori si allontanò da Ryo; evidentemente non voleva farsi udire da lui per qualcosa che doveva dire al suo fidanzato: più che logico, ammise lo sweeper; più che tragico, constatò l’uomo innamorato di lei.
Il tempo di torturarsi un po’ nella gelosia, che Kaori era di nuovo lì accanto a lui, a ridargli l’apparecchio, sorridendogli; lui lo prese, e nel microfono chiese:
 
“Pronto? Potrei parlare con Angel? Grazie” e poi: “Allora Mick noi ripartiamo ad…”
 
“No, aspetta!” lo interruppe Kaori, allungando una mano sul braccio che reggeva il portatile, allontanandoglielo dall’orecchio.
Ryo la guardò sorpreso, ma lei, arrossendo leggermente, gli disse, quasi con un filo di voce:
 
“Volevo dire… si sta facendo buio, e non ci conviene partire adesso; potremmo farlo domattina con calma, magari all’alba. Restiamo qui per questa notte… insieme” terminò in imbarazzo, ma speranzosa.
Temeva un suo rifiuto, ma effettivamente era scesa la notte, e partire da lì, per quelle strade di campagna, in due su una moto, non sarebbe stato l’ideale.
 
Pronto? Pronto? Ryo, mi senti?” quasi urlava dal telefono Mick. Al che, lo sweeper si riscosse e, riportando il telefono in posizione, rispose:
 
“Sì, ti sento, cosa sbraiti! Cambio di programma. Per stanotte rimaniamo qui: la mia socia dice che è meglio ripartire domattina.”
 
Ryo aveva cercato di parlare con il suo solito tono scanzonato, ma Mick giurò di averci sentito dell’altro: forse compiacimento, forse contentezza.
Se ne rallegrò.
Quei due testoni avevano ancora una notte a disposizione per chiarirsi, e pregò che Ryo non sprecasse anche quell’occasione.
L’americano rispose:
 
Ricevuto! Allora vi lasceremo in pace, cari i miei piccioncini; al resto penseremo io e Saeko. Buona notte e a domani” chiuse la telefonata più allegro che mai.
 
Leggermente a disagio, per essere rimasti soli e senza più nulla da fare, i due sweepers si guardarono intorno indecisi.
Allora la ragazza gli propose, quasi titubante:
 
“Ti va di fare due passi… con me?” ma poi si affrettò ad aggiungere, quasi giustificandosi: “Questa villa ha un giardino magnifico.”
Era così felice di poter stare finalmente un po’ con lui, però aveva paura che lui se ne uscisse con una battutaccia delle sue, che la deridesse, considerando quella passeggiata serale una mera perdita di tempo, una sciocchezza sentimentale. Così, in tono remissivo, finì per dirgli:
 
“Oppure sei troppo stanco, e preferisci rientrare a mangiare qualcosa?”
 
Ma Ryo la sorprese rispondendole:
 
“Con molto piacere, cara la mia socia” e le diede il braccio.
 
Lei, raggiante, raccolse l’invito e lo prese a braccetto, stringendolo leggermente a lei.
Si sentiva un po’ come quella sera che erano usciti insieme, e lei aveva finto di essere Cenerentola.
 
Il giorno dopo si sarebbe sposata, ma voleva dare un’ultima possibilità a lui, a loro.
E se le avesse detto che l’amava, o anche solo resta, lei avrebbe mandato tutto all’aria.
L’alba era ancora lontana, e lei avrebbe sfruttato ogni briciolo di tempo a sua disposizione per stare accanto a lui.
   
 
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