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Autore: Ardesis    07/08/2020    8 recensioni
E se una piccola deviazione di percorso avesse compromesso l’intera vicenda?
Genere: Erotico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Le sensazioni che Oscar percepiva quando si addentrava nel beato mondo delle cucine di Palazzo Jarjayes erano sempre le stesse, sensazioni calde e fragranti, come le focacce appena sfornate che riposavano sulle teglie appoggiate in fila sul tavolo. Da ragazzina trascorreva parecchio tempo in quella zona del Palazzo, molto più che nelle proprie stanze. Ora, invece, vi faceva visita raramente, così raramente che, non appena apparve nel quadrato dell’ingresso, tutti coloro che popolavano quell’opificio di prelibatezze sprofondarono in un tangibile senso di disagio. Le cameriere interruppero bruscamente i loro cinguettii e i cuochi e i garzoni abbassarono gli occhi. La servitù la vedeva in modo diverso, constatò amara. Provò a salutare e a sorridere con calore. Detestava l’idea che gli ambienti in cui entrava si raffreddassero d’improvviso come accadeva in genere all’ingresso di suo padre.

Mosse un passo sul pavimento di piastrelle di coccio bianche e blu e si addentrò tra i fumi e i vapori profumati che si sprigionavano dai forni e dalle pentole.

-Maggiorana e finocchio?-

Domandò ad un cuoco, protendendo il naso verso la focaccia alle erbe appena sfornata. Il rubicondo cuciniere si irrigidì.

-Sì, Madamigella. Volete favorire?-

-Volentieri.-

Sotto lo sguardo teso dell’altro, Oscar affondò i denti in un pezzo di quella semplice ma promettente opera culinaria. Subito ne fu sedotta. Il gusto era equilibrato, l’aroma della maggiorana e del finocchio si sposava benissimo con quello appena accennato della legna che aveva cotto l’impasto. Le sembrò di non aver mangiato nulla di così buono da anni.

-È una delizia.-

Sentenziò, quasi commossa. Il petto massiccio del cuoco si sgonfiò di tutto il fiato che aveva trattenuto mentre Oscar masticava.

-È merito del lievito, me ne occupo personalmente.- spiegò, impacciato ma orgoglioso -Il lievito è come una moglie, sapete. Necessita di attenzioni, di pazienza e di tenerezza... notte e giorno.-

Oscar sorrise e si concesse un altro morso. 

Non era mai stata una persona golosa, ma sapeva apprezzare i sapori. Aveva avuto in passato un leggero debole per la cioccolata, ma da quando aveva conosciuto la miseria di Parigi e il valore che il popolo attribuiva al cibo, il solo profumo di quella lussuosa bevanda le faceva contorcere lo stomaco.

-Dimmi un po’, è molto difficile reperire la farina di questi tempi?-

Chiese ad un tratto, riemergendo dai propri pensieri. Il cuoco consultò con lo sguardo un ragazzo tarchiato che doveva essere il suo aiutante e scosse la testa.

-No, Madamigella.-

-No? Credevo che la farina scarseggiasse.-

-Non saprei dirvi se è vero che la farina scarseggi, certo è che il prezzo è più alto. Voi non avete sicuramente di ché preoccuparvi. Ci sarà sempre pane in abbondanza sulla vostra tavola.-

Oscar abbassò lo sguardo. L’ultimo boccone di focaccia le sembrò insopportabilmente amaro.

-Mi sapreste dire dov’è Marron?- 

Domandò. Il cuoco scrollò le spalle. Le rispose un garzone seduto accanto al camino spento, chino sopra un mucchio di fagioli. Con voce pigra disse che la governante era in dispensa.

Oscar ringraziò per l’informazione e rifiutò altra focaccia con la scusa di voler preservare un po’ di appetito per il pranzo e si incamminò verso la zona della dispensa, poco oltre i lavabi.

La voce squillante di Marron trapelava ovattata attraverso la spessa porta di legno che divideva l’ambiente caldo e animato della cucina da quello fresco e intimo della dispensa. Oscar la trovò a dirigere con la sua solita energia un gruppo di domestiche che maneggiavano verdure.

-Oh, Oscar cara, quando sei arrivata?-

-Proprio ora.-

-Oh, ma guarda, che pelle pallida e che occhi lucidi! Fammi sentire se la fronte è calda, potresti avere un poco di febbre.-

-Sto bene. Ho solo un leggero mal di testa.-

Glissò Oscar salutando il trio di cameriere con un sorriso affabile, ma stanco. Si soffermò un secondo di più sul volto spigoloso di Annette, quindi tornò a rivolgersi a Marron simulando con efficacia uno slancio di buon umore, non del tutto finto.

-Ho chiesto ad André di venire in visita a Palazzo. Ho ragione di credere che si presenterà qui domani sera. È passato del tempo dall’ultima volta che lo hai visto, dico bene? Ho pensato di suggerirti di accoglierlo con una delle tue mitologiche torte di mele.-

Il viso di Marron si illuminò e Oscar ebbe la rassicurante certezza di essere riuscita a scrollarsi di dosso le troppo acute attenzioni della governante.

-Quel disgraziato!- esclamò Marron allegra, ma drammatica -Non si fa più vedere. Chissà cosa combina a Parigi.-

Oscar tese le labbra in un sorriso.

-Non essere ingiusta con lui. Tuo nipote ha la testa sulle spalle, lo sai bene, e poi ha un lavoro che lo impegna molto.-

Marron le diede ragione con un cenno della testa e intanto fece segno alle altre domestiche di portare i panieri di viveri in cucina.

-Gli farò una torta così buona che gli verrà voglia di farmi visita più spesso.-

Esclamò spingendo gli occhiali sulla cima del naso.

-Madamigella Oscar,- si intromise con discrezione Annette mentre le passava accanto con una cesta di rape in grembo. -Desiderate che vi prepari un bagno caldo dopo cena?-

Oscar la fissò in silenzio, assottigliando lo sguardo senza nemmeno rendersene conto. Sondò il grigio azzurrognolo dei suoi occhi e infine rispose:

-Sì, ti ringrazio...-

-Molto bene, con permesso.-

Ma Oscar non la lasciò andare. La sua mano si agganciò come un arpione al paniere di rape e lo tirò un poco verso di sé.

-Per cortesia, Annette,- disse con garbo freddo -questa volta vorrei che tu usassi l’essenza di rose. Ne ho nostalgia.-

Annette, impassibile, sostenne il suo sguardo e annuì piano, poi abbassò gli occhi sulle dita agganciate al bordo della sua cesta. Deglutì e non osò chiedere il permesso di andare. Una vampa le bruciò le guance e un groppo le chiuse la gola. Ma fu questione di pochi istanti. La mano bianca di Oscar si staccò subito dal paniere e Annette poté scappare da quegli occhi di ghiaccio.

-Marron, dimmi una cosa.- attaccò Oscar, quando rimasero da sole -Chi è Annette? E perché l’hai assunta?-

La governante, che non aveva potuto fare a meno di notare lo scambio ambiguo di sguardi tra Oscar e la domestica, trovando quella circostanza già di per sé significativa, impallidì come se avesse ricevuto un rimprovero.

-Pare che fosse una donna sola e che avesse bisogno di un impiego.-

Oscar non si accontentò.

-È parente di qualche membro della servitù?-

Insistette. Marron scrollò la testa. Per qualche inspiegabile motivo, aveva l’impressione che nominare André potesse essere pericoloso. D’altra parte, non era facile gestire la curiosità di Oscar, né la sua tendenza a pretendere dagli altri assoluta trasparenza.

-Come mai questo interesse, Oscar?-

Provò a ribattere cauta.

-Semplice curiosità.-

“Tutt’altro che semplice.” Constatò Marron appena prima di arrendersi.

-È stato André ad indicarmela.- ammise -Pare che Annette fosse una… squattrinata donna nubile che abitava nel suo stesso edificio. Sai com’è lui, un irrefrenabile altruista. Sapeva che io non avrei disdegnato il supporto di un paio di braccia in più per governare la casa, così ha pensato di aiutare me aiutando questa poveretta.-

L’ombra che calò sul viso di Oscar le fece intendere che non solo non si fosse aspettata quella risposta ma che soprattutto non le fosse piaciuta. “Chissà cosa mai c’è dietro!” pensò la vecchia donna rabbrividendo.

-Annette ha forse combinato qualche guaio?-

Azzardò incrociando le braccia sul petto. Oscar scosse la testa, lo sguardo cupo e assorto come quello di chi prova a compiere un complicato calcolo a mente.

-Te l’ho detto.- dichiarò infine -Semplice curiosità.-

 

 

 

 

 

Un tappeto omogeneo di erba alta e gonfia, d’un verde brillante, copriva il suolo di terra inzuppata dalle recenti piogge. Una corrente impetuosa rimescolava la acque fangose del canale che costeggiava la strada e gorgogliava con arroganza logorando gli argini fragili. Alcuni uccelli saltellavano tra le fronde degli alberi sparsi, in silenzio, come sfuggenti sentinelle intente a tener d’occhio i passanti.

André guardò le lunghe nuvole dorate che vestivano il sole basso sull’orizzonte. Non era ancora l’ora del tramonto, ma la luce già cominciava a tingersi di tonalità calde e lanciava ombre sempre più lunghe sui campi. 

Di riflesso controllò la borsa, una breve occhiata solo per assicurarsi che i documenti che conteneva non fossero magicamente scomparsi. Li vide, rabbrividì e richiuse la cinghia. 

L’indicazione di Saint Just, alla fine, si era rivelata esatta: Moreau si serviva dei libri meno interessanti della propria biblioteca come cassaforti per le carte di una certa importanza. Uno stratagemma astuto, di cui André non aveva mai sospettato nulla. Grazie all’indizio di Saint Just, trovare quei documenti scottanti era stato semplice e, in un certo senso, perfino comico. La sua bocca si era riempita di una risata amara quando aveva scoperto che quei documenti non erano stati occultati in un libro qualunque, bensì proprio tra le pagine del vecchio codice di diritto la cui copertina portava ancora i segni di un atto di negligenza del garzone Jean. André non aveva mai dimenticato quell’episodio. Se quel giorno non avesse difeso Jean con Moreau, Jean non avrebbe poi difeso lui a Saint Antoine. Un curioso incastro di coincidenze, avrebbe detto Bernard con fare pratico. Ma André ormai tendeva piuttosto a credere di essere il giocattolo preferito di una Sorte capricciosa.

Ogni avvenimento della sua vita sembrava essere regolato da un buffo disegno provvidenziale, contorto ma perfettamente logico. Persuaso di ciò, non aveva avuto dubbi che le carte di Saint Just dovessero trovarsi proprio all’interno di quel particolare volume. E, infatti, così era stato. Non gli era servito consultare altri libri della corposa schiera che si affacciava dagli scaffali. In pochi istanti, prima che Moreau rientrasse in studio e lo sorprendesse a ficcanasare, aveva fatto sparire nella propria borsa quel vecchio codice con la copertina annerita e se n’era andato.

Ora, mentre percorreva a cavallo la strada per Palazzo Jarjayes, sentiva che la tracolla della borsa gli scavava la spalla come se quel libro rubato fosse fatto di piombo. La coscienza gli faceva male, ma ancor più male gli faceva la paura di arrivare a Palazzo e scoprire che le minacce di Saint Just erano reali. Gli si contrasse lo stomaco.

La facciata imponente e pallida di Palazzo Jarjayes emerse da dietro le fronde frementi degli alberi quando il sole aveva ormai raggiunto una tonalità ambrata e le nuvole erano grossolane pennellate di rosa antico su un cielo di carta da zucchero. André sorrise d’istinto e prese atto del tenero sentimento di pace che quella visione familiare gli infondeva nel petto. Il suo cuore, nonostante tutto, avrebbe sempre chiamato quel luogo “casa”.

La nonna lo accolse nel cortile sul retro con un sorriso dolce ed un abbraccio energico. Mentre lo stringeva a sé, gli tastò il viso, il petto e i fianchi con lo scrupolo di un medico per assicurarsi che non fosse dimagrito e infine gli annunciò che proprio in quel momento nel forno stava cuocendo una torta di mele con il suo nome sopra.

-Hai letto nei fondi del tè che sarei venuto a farti visita?-

Chiese André ridendo. La nonna lo invitò a seguirla verso l’ingresso della servitù.

-Oscar mi aveva detto che forse saresti arrivato questa sera.-

Varcarono la soglia e trovarono le cucine in fermento. I fuochi scoppiettanti e i corpi che si mescolavano in un aggrovigliato via vai rendevano il clima caldo e gioviale. André lanciò qualche saluto e si mise a fiutare l’aria come un bracco nel tentativo di rintracciare, in mezzo alle tiepide fragranze che impregnavano l’aria, il dolciastro profumo della preannunciata torta di mele.

-Dov’è Oscar?-

-Credo che si trovi in cima alla torre. Le piace rifugiarsi lassù, è un’abitudine nuova che ha preso da te.-

André sorrise, poi si fece subito serio.

-Dimmi nonna, hai notato qualcosa di strano in lei negli ultimi tempi?-

Il viso tondo di Marron divenne una maschera tragica.

-È taciturna e tende ad isolarsi. Ma è comprensibile. Ha così tanti pensieri per la testa!-

André rubò una mandola da un canestro e la masticò soprappensiero.

-Lascerò la borsa nella mia stanza e la raggiungerò sulla torre.-

Decise.

-Bene,- agganciò la nonna -dal momento che hai voglia di salire fin lassù, avvertila da parte mia che la cena sarà pronta a breve e che a tavola sarà presente solo Madame Marguerite. Il Generale è stato trattenuto a Versailles.-

 

 

 

 

 

La loggetta in cima alla torre era un piccolo spazio arioso, invaso di luce rosata. Il panorama che si apriva a ventaglio da lassù offriva allo sguardo di arrivare distante, molto oltre i confini della magione. 

André scavalcò l’ultimo gradino ed emerse dalla botola delle scale. Fece scudo con la mano al proprio occhio destro, sano ma sensibile, e gli concesse qualche istante per abituarsi alla luce, poi strinse lo sguardo e gradualmente mise a fuoco la vista. In lontananza, verso sudovest, al di là dei campi e della fitta boscaglia, si intravedeva la sagoma scura e allungata della Reggia di Versailles, mentre verso est, sotto il manto violaceo del cielo, brillava Parigi.

Oscar gli dava la schiena e assisteva in silenzio al declino del sole, in piedi, appoggiata di spalla ad una colonna, con un libro in mano e le dita infilate tra le pagine a tenere il segno di una lettura interrotta da molto o forse nemmeno iniziata. I suoi capelli si gonfiavano ad ogni sbuffo di vento mandando bellissimi bagliori d’oro e di rame.

-Ti ho visto arrivare.-

Gli disse senza voltarsi, ancora prima che lui si facesse riconoscere, con una raucedine nella voce che si affrettò subito a correggere con un colpetto controllato di tosse. André fece un passo verso di lei, ma fu distratto da un improvviso frullio d’ali. Una coppia di colombi bianchi si infilò in volo in un’apertura tra le colonne e andò a cercar rifugio per la notte sopra le grosse travi scure che sorreggevano il tetto.

-Mi ricordo che venivi spesso quassù, André.-

Lo sguardo di lui abbandonò i due piccioni e calò su Oscar. Scoprì che si era voltata e che ora lo guardava con un sorriso mite e uno sguardo languido. Gli parve pallida, pallidissima, nonostante la sfolgorante tavolozza di colori caldi del tramonto in cui era immersa.

-Non ho mai condiviso con te la passione per questo posto.- continuò lei socchiudendo gli occhi -Ora ho scoperto che mi piace stare qui, l’aria, il silenzio, la solitudine...-

Andrè la raggiunse e, mentre lei gettava lo sguardo di lato, verso il cielo, lui si dedicò a decifrare i segni di fiacchezza sparsi su quel viso d’avorio, nelle ombre intorno agli occhi, sotto le palpebre pesanti, sulla pelle tesa, tra le screpolature delle labbra esangui. Le sfiorò una guancia con le dita e volle credere che il suo aspetto stanco e stinto fosse solo una spiacevole conseguenza delle lunghe giornate senza sole che trascorreva rinchiusa nel suo ufficio.

-Qui venivo a conservare tutte le mie gioie e le mie malinconie.-

Le rispose, lanciando uno sguardo intorno a sé per indicare con gli occhi lo spazio della loggetta.

-Forse è per questo che mi piace qui, André. Ci trovo un po’ di te.-

Mentre parlava, Oscar si staccò dalla colonna e gli si appoggiò addosso con la stessa grazia con cui i colombi si erano appollaiati sulle travi, gli cinse il busto con le braccia senza stringere e posò un lato del viso sul suo petto, appena sotto la spalla, in modo tale da non dover distogliere gli occhi dal panorama. 

-Da quassù Versailles e Parigi non sembrano distanti tra di loro, eppure lo sonoSono molto molto distanti, Andrè.-

Lui la ascoltò, ma le sue parole lo sfiorarono appena, e non rispose, distratto da una nube di pensieri che si rimescolava nella sua testa. Era consapevole delle braccia di lei che lo circondavano, del suo corpo caldo in cui forse scorreva il veleno di quel serpente di Saint Just, che se ne stava rintanato in qualche buco a Parigi, mentre la sua mente pensava al volto livido di Moreau di fronte al vuoto lasciato dal libro rubato, e poi alla torta di mele di Marron che cuoceva nel forno e infine ad una favola tedesca che parlava di una bella fanciulla pallida e di mele avvelenate. Si accorse quasi per caso che lei stava tossendo e quel suono rauco che emergeva dalla sua gola non gli piacque affatto.

-Ancora quella tosse?-

Le chiese.

-Un innocente malanno di stagione che l’estate si porterà via.-

-Hai parlato con un medico?-

Oscar gli rispose con un silenzio dal sapore ostile, quel genere di silenzio di cui ci si serve per non dover mentire quando non si vuol dire la verità. In molte altre occasioni lui aveva lasciato che lei seppellisse in quel modo i suoi piccoli segreti, ma questa volta non poteva impedirsi di scavare più a fondo.

-Nel biglietto mi comunicavi di avere urgente bisogno di riposo.-

-È la verità.-

-Si tratta di questa tosse?-

-No.-

“A me non puoi proprio mentire, Oscar” pensò con un sospiro. Ormai aveva naso per le menzogne, le fiutava come un cane barbone fiuta i tartufi, ma sapeva anche quanto fosse arduo riuscire a cavar di bocca ad Oscar qualcosa che lei aveva deciso di non dire. Leale con se stessa fino al midollo.

Insistette ancora a tastare con garbo l’argomento, cercando i punti giusti da oliare per scioglierle la lingua, ma Oscar passò dai monosillabi ad una serie di sbuffi e André si trovò costretto alla resa.

Lasciò che il lento incupirsi del cielo e il calore dei corpi li cullassero in un dolce, gradevole torpore. Si ritrovarono così a fissare in silenzio l’ultimo spicchio rosso di sole che trascinava via con sé le luci del giorno, ognuno con i propri turbamenti e i propri segreti ingarbugliati nello stomaco.

-È un bel tramonto.- commentò lei, con una voce così fievole da sembrar provenire da qualche punto distante del parco o da un momento lontano del passato. -Sono contenta di averlo visto con te. Non mi sarebbe sembrato tanto bello se tu non fossi stato presente.-

Lui annuì, mentre lambiva con la mano la curva della sua nuca sotto i capelli, su e giù, dolcemente, chiedendosi se si sarebbe mai abituato al privilegio di poterla toccare in quel modo.

-Dovremmo tornare ad Arras o in Normandia insieme, André, non credi? Tutta quella bellezza ci sembrerebbe infinita.-

Lui annuì ancora, un po’ perso tra i suoi pensieri confusi, poi di colpo si irrigidì.

-Facciamolo.- mormorò incerto, poi ebbe uno scatto e avvampò.

-Facciamolo!- ripetè ad alta voce, in un tremore di nervi eccitati, turbando il riposo dei colombi sulla trave, che protestarono scrollando sonoramente il piumaggio. -Partiamo, Oscar, domani stesso.-

Lei sollevò il capo e lo guardò con gli occhi un po’ commossi e un po’ confusi.

-Forse un giorno...-

-Un giorno, Oscar, ha il sapore di un mai.-

“È la soluzione! Se soltanto potessi spiegarti.” esclamò lui dentro al cuore.

-Andiamo ad ubriacarci di bellezza, di vino, di mare, di tutto ciò che vuoi, Oscar, senza vincoli, senza pensieri...-

“...senza ricatti, senza veleni!”

L’ombra di un sorriso smosse le labbra di Oscar, che sospirò e abbassò le palpebre. I contorni della torre e i colori del tramonto si sciolsero e si confusero nella sua mente fino a perdere forza, creando nuove forme, nuove immagini. Si ritrovò a galoppare sulla spiaggia d’oro, sconfinata, della costa normanna, tra gli spruzzi verdi delle onde, guardando ora la criniera di Cesar sciolta nel vento, ora il volto raggiante di André che le cavalcava accanto, in una gara senza competizione, su una battigia scintillante di sole. Riaprì gli occhi e trovò sul viso di lui lo stesso vigoroso sorriso che gli aveva attribuito nella propria fantasia.

-Che follia, André.- gli disse con voce dolce e occhi tristi -Non è proprio possibile.-

-Perché?-

-I nostri mestieri ci impongono obblighi a cui non possiamo sottrarci con tanta leggerezza.-

“Oh Oscar, temo che presto io non avrò più un mestiere.”

-E poi,- fece lei, spostandosi i capelli dalla fronte -a giorni Bouillet renderà ufficiale la decisione di assegnare a me e ai miei uomini l’incarico di garantire la sicurezza durante gli Stati Generali.-

André si freddò di colpo. I guizzi verdi che gli avevano acceso gli occhi si ritirarono dietro al fondo cupo del suo sguardo e le sue spalle si incurvarono all’ingiù, insieme agli angoli della sua bocca.

-La tentazione di prendere il cavallo e di lasciarmi portare più lontano che può mi solletica il cuore, André, ma non posso permettermelo. Il dovere mi grava sulle spalle e la terra sotto i miei piedi trema in continuazione. E ci sono faccende… che non capisco e che annientano la mia serenità.-

-A cosa ti riferisci?-

Non gli rispose. André la vide rabbrividire e stringere gli occhi come a voler scacciare un pensiero molesto, e capì che la sua mente, abituata al metodo e all’ordine, era davvero in subbuglio. Si sentì preso in causa, senza riuscire ad immaginarne il motivo.

-Ora sarebbe meglio scendere, Oscar.- le disse con voce calda e profonda -La cena sarà servita a breve. Trascorreremo qualche momento insieme più tardi.-

Oscar riaprì gli occhi, lo fissò a lungo con sguardo ombroso, poi si protese verso di lui e spinse le labbra sulla sua bocca.

-Ho bisogno di te, in un modo che faccio fatica a concepire e che non saprei esprimere.-

Gli disse in un sussurro, prima di indietreggiare di un passo, lasciandogli sulle labbra l’ impronta di quel forte bacio. Tornò quindi ad assumere la sua solita aria dura, fredda e solenne da cariatide e si avviò verso la botola delle scale, per poi bloccarsi e voltarsi indietro, come se di colpo le fosse venuto in mente qualcosa di importante:

-Marron ti ha preparato la torta di mele?-

Chiese, seria, quasi severa, come se l’argomento della domanda fosse di tutt’altra natura.

-Sì. È stato un tuo suggerimento?-

Oscar annuì piano, poi diede un’ultima occhiata ai colori sempre più scuri del cielo e prima di andarsene, stabilì:

-Nella tua stanza.-

   
 
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