Anime & Manga > The Seven Deadly Sins / Nanatsu No Taizai
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Autore: NonLoSo_18    07/08/2020    2 recensioni
[Percy Jackson AU!][Presenti personaggi dell'opera di Riordan]
I nostri personaggi preferiti nei panni dei semidei del Campo Mezzosangue.
Una raccolta di Oneshot in esploreremo i loro comportamenti... in un contesto già strambo di suo come quello del Campo Mezzosangue!
Tra risate, fluff, divinità assurde e ambrosia a colazione, le avventure dei Seven Deadly Sins vi aspettano!
1: Non tutti i figli di Ade sono cattivi (MeliodasxElizabeth)
2: Un giorno ti farò mia (BanxElaine)
3: Ciò che voglio dirti (MonspeetxDerieri)
4: Il semidio non riconosciuto (Arthur)
Genere: Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Il semidio non riconosciuto

 
LIEVE SPOILER PER CHI NON HA LETTO I CAPITOLI DA 336 IN POI

Arthur: lo scoprirete a fine capitolo.


Il sole tramontava sul campo Mezzosangue, sancendo la fine di un’altra giornata di duro lavoro addestramenti, e cose varie.
Tuttavia Arthur Pendragon lo odiava.
Cioè, non il sole, odiava il campo. E tutto ciò che esso rappresentava.
Tre perle si erano accumulate sulla sua collana, tre lunghi anni erano passati da quando era arrivato lì.
E ancora non era stato riconosciuto.
Era legale che potesse passare così tanto tempo prima che ciò accadesse? Faceva così tanto schifo al proprio genitore divino?!
 
Oltretutto, Arthur nemmeno conosceva il suo genitore umano, essendo vissuto per anni in orfanotrofio, quindi non aveva nemmeno il più piccolo indizio sul suo lato divino.
E, a voler essere precisi, spesso gli dei facevano figli con gente dello stesso sesso, quindi nemmeno conoscere padre e madre umani avrebbe aiutato granché…
 
Perfino Elizabeth era stata riconosciuta tra i figli di Apollo dopo appena un paio di mesi.
 
E nemmeno poteva avercela con lei, dopotutto, insieme a Meliodas, aveva fatto di tutto per aiutarlo a farsi riconoscere, in special modo facendogli provare tutte le attività del campo, dal tiro con l’arco al giardinaggio, per vedere in quale riuscisse meglio.
Niente di tutto questo aveva funzionato: con alcune attività, come il tiro con l’arco, era stato una frana totale, con altre, come musica o giardinaggio, se l’era cavata, ma in nessuno di quei casi era scoccata una qualche scintilla.
 
La verità però nessuno l’ammetteva, e cioè che era un fallito inutile. Un semidio così insignificante da non meritarsi nemmeno il riconoscimento, così sacrificabile che nemmeno suo padre o sua madre pensavano a lui.
Demoralizzato, s’incamminò verso l’arena.
Già, l’arena. Nemmeno lì riusciva ad eccellere. Come spadaccino se la cavava, ma tutti sapevano che era stato Luke lo spadaccino più forte del campo.
E nemmeno nel corpo a corpo: la settimana precedente Derieri l’aveva fatto ritirare pieno di lividi.
 
Alla fine, era vero: uno stupido, inutile, semidio.
Nemmeno i mostri s’interessavano a lui.
 
Ripensò a com’era arrivato al campo: scappato dall’orfanotrofio, dove a nessuno, realmente, importava di lui, e stanco dei soprusi che subiva dai ragazzi più grandi, era capitato per caso di fronte al cancello d’ingresso, ed era semplicemente entrato.
 
Tutto qui. Per niente eccezionale, nessun satiro che lo teneva d’occhio, nessun nemico che voleva la sua testa, persino peggio considerato dei figli di Afrodite e di Demetra.
Poi, smistato nella cabina di Hermes, era rimasto lì da allora.
 
Non aveva neanche un potere degno di nota: gli altri semidei avevano tutti abilità potentissime, chi più chi meno, e soprattutto utili in battaglia.
Lui, Arthur, era solo un peso morto. Senza potere, senza abilità combattive particolari, uno adatto solo nella retroguardia.
Forse sbagliava ad essere così depresso e demoralizzato, ma, diamine, forse importava solo ad Elizabeth.
 
Poi ci ripensò: no, non solo per Elizabeth.
Anche per Merlin. Soprattutto per Merlin.
Per ragioni che non riusciva a spiegarsi, la figlia di Ecate l’aveva preso subito in simpatia, in modo talaltro piuttosto inquietante.
 
Sembrava vedere in lui più una cavia, che non effettivamente una persona. Ma Merlin era così con tutti, con la sua costante voglia di scoprire cose e persone. Vedeva un po’ tutti come cavie, insomma.
 
Però lei continuava a ripetergli che in lui vedeva potenziale.
 
Tutte bugie! Pensò di colpo Arthur, bugie stupide e inutili! Lui sarebbe stato per sempre un semidio non riconosciuto, uno scarto inutile.
Di colpo, prese la sua decisione.
 
Avrebbe lasciato il campo, dove non c’era posto per quelli come lui
Dove non si era mai sentito a casa.
Certo, gli dispiaceva di perdere Meliodas, Elizabeth, Merlin e gli altri, ma confidava che sarebbero stati bene anche senza di lui.
 
-E poi, quel figlio di Apollo di nome Escanor, sempre appiccicato a Merlin, lo faceva sentire a disagio…-
 
Avrebbe parlato con Chirone ed il Signor D quel giorno stesso per comunicare loro la sua decisione.
 
 
«Signor Chirone, è permesso?» Chiese, entrando nello studio, timidamente.
Il centauro era intento a parlare con un tipo basso e calvo che beveva Diet Coke.
«Mi sorprende che tu non lo chieda a me, Arvon, visto che sono il direttore» Disse quest’ultimo.
Arthur fece finta di non aver sentito che ne sbagliava il nome.
«Buon pomeriggio, Signor D, la vedo bene»
«È ovvio che tu mi veda bene, sono un dio, posso avere l’aspetto che voglio!» Rispose piuttosto sgarbatamente, roteando gli occhi con aria di sufficienza.
 
Chirone stesso lo ignorò, preferendo rivolgersi al giovane «Ciao, Arthur, a cosa dobbiamo la tua visita?» Gli domandò, con un sorriso gentile. Chirone era uno di quelli che gli sarebbe dispiaciuto lasciare.
 
Disse il motivo della sua visita senza troppi giri di parole.
«Voglio lasciare il campo»
«Finalmente!» Fu la risposta soddisfatta del dio con la lattina.
 
«E come mai vorresti lasciarlo?» Continuò a chiedere Chirone, con voce dolce.
«È perché io qui sono inutile»
«Caro ragazzo! Finalmente qualcuno che ha neuroni funzionanti in testa!» Esclamò il dio, con gioia.
«Insomma»     Proseguì Arthur «Nemmeno il mio genitore divino vuole saperne qualcosa di me, non ho talenti o poteri particolari, i mostri non mi filano, forse perché il mio odore è troppo debole. Che ci sto a fare qui, sono solo d’intralcio!»
 
Terminato lo sfogo, si accorse che stava per piangere, mentre la stanza era scesa nel silenzio.
Strano, si sarebbe aspettato quantomeno la solita risata sarcastica del Signor D, ma niente. Nessuno rispondeva.
 
«Ascoltami» La sua voce sembrava provenire dal fondo di una caverna, e lui stesso mentre parlava dimostrava tutti i suoi anni, e visto che era insegnante da tremila, probabilmente era piuttosto vecchio.
«Arthur Pendragon, tu sei molto meno inutile di quello che pensi»
«Eh?»
«Il tuo vero potenziale non si è ancora espresso, e non lo dico per farti rimanere o crearti illusioni, ma perché è vero. Molto spesso un’abilità si manifesta tardi perché ha bisogno di tempo per crescere e rafforzarsi. E tuo padre può non averti ancora riconosciuto, semplicemente perché può, nel frattempo… Avere altro da fare»
«O essersi dimenticato di me?» Arthur non si faceva illusioni.
 
«Anche essere stato dimenticato lui stesso. Il punto è, che tutti noi siamo importanti, magari alcuni potrebbero esserlo più di altri, ma tutti noi siamo come ingranaggi di un’unica, grande macchina, dove ognuno serve a qualcosa. Ovviamente tu sei libero di andare via quando vuoi, ma sappi che il campo Mezzosangue sarà come una seconda casa, per te»
«Sempre che tu non finisca ammazzato prima» S’intromise, calmo e scocciato, il Signor D.
 
Arthur adesso era confuso, e Chirone, affettuosamente, gli scompigliò i capelli.
«Ora sei stanco e confuso, perché non ti prendi un momento per riflettere, e magari ne approfitti per legare con gli altri?»
 
Arthur annuì soltanto, mentre il Signor D diceva, «Bene, Arnold Pennington, ci si vede quando deciderai di non rompere più le scatole»
 
Ignorando di nuovo come ne avesse sbagliato il nome, il ragazzo scivolò via allegramente trotterellando, il che era ironico, visto che si lasciava dietro un cavallo.
 
«Non glielo hai detto, non è vero?» Chiese il dio Dioniso al centauro non appena il ragazzo si fu allontanato.
«No, semplicemente non ne ho avuto il coraggio»
Chirone non poteva ancora dirgli che il motivo per cui i mostri lo scansavano non era il fatto che il suo odore fosse debole o insignificante, ma il fatto che, al contrario, era un odore così forte e spaventoso che nessun mostro aveva così tanto spirito suicida da attaccarlo.
 
Non poteva nemmeno dirgli che in realtà lui era figlio di Chaos, la divinità più potente esistente, colei che aveva creato i mondi. Colei che poteva distruggerli. Come Arthur. Il suo potere era pericoloso oltre ogni limite.
 
E che il ragazzo era legato ad un destino che nemmeno lui immaginava.
 
Ma tutto questo avrebbe potuto aspettare.



Angoletto di Elly
Stavolta nessuna coppia, ho preferito piuttosto concentrarmi sull'insicurezza di Arthur, già evidente per chi legge il manga o vede l'anime, e la sua sofferenza per essere senza poteri particolari, ma, come vedremo questi si manifesteranno più avanti.
Alla prossima,

Elly

 
   
 
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