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Autore: EllyPi    07/08/2020    2 recensioni
Dopo la morte del tiranno Galbatorix ognuno prese la sua strada, due donne sedevano sui loro troni, due cavalieri alla ricerca di qualcosa. Il destino a volte porta a risultati diversi da ogni speculazione e previsione. Come procederà la storia di Alagaesia dopo la pace?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castigo, Eragon, Galbatorix, Murtagh, Nasuada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Che cosa faremo della prigioniera, Sire? La stiamo torturando ma da lei non vogliamo informazioni, non ci serve viva eppure non la stiamo uccidendo…” ebbe il coraggio finalmente di dire la figura alta e slanciata, esplicitando i suoi dubbi e i suoi timori che tanto lo tormentavano.  Cercando di non farle trapelare, le travestì in una frase di circostanza tra padrone e fedele servitore. In realtà ogni volta che pensava alla prigioniera avrebbe voluto urlare, non mantenere la calma fingendo distacco. La figura seduta al tavolo squadrò il ragazzo alto con occhi neri e vispi, replicando: “Ho in mente una festa per lei sgradevole, che la segnerà a vita.”
Se dimostrare apertamente le reazioni in volto non fosse stato rischioso, il ragazzo dagli occhi azzurro-ghiaccio avrebbe sfoggiato l’espressione più confusa di cui fosse stato capace. Ma non poteva. Con il re, tuttavia, non bisognava chiedere spiegazioni: adorava parlare con il suo servitore, per ottenere informazioni bastava aspettare.
Finalmente dopo un sorso di vino il re proseguì: “Ho intenzione di renderla una di noi, farla rimanere per sempre qui a corte, è una principessa dopotutto. É già educata alla vita nobiliare”

Da un lato sentire che la sua amata - segretamente - sarebbe rimasta per sempre a coorte rendeva il pensiero del futuro meno amaro. E al contempo aumentava il suo malessere. Sapeva che avrebbe significato costringerla ad una vita che non vorrebbe, in gabbia, prigioniera senza catene del nemico. Era nata principessa, ma aveva scelto di combattere l’oppressione di un tiranno ed essere libera, o morire tentando di esserlo. Non avrebbe mai accettato la sua vita a corte con Galbatorix. “Sono convinto che si toglierebbe la vita non appena avrebbe l’occasione” risposte il ragazzo.
“Non lo permetterei mai. Se si venisse a sapere che la sua vita è a corte l’esercito dei Varden si scioglierebbe in preda alla delusione e smarrimento per perdita del benamato capo.”

“Oppure ce li troveremmo sotto le mura, potendo così combatterli in aperta battaglia e sconfiggerli una volta per tutte” commentò il ragazzo pensando di aver intuito quale fosse il piano del suo tiranno.
“Esatto. In entrambi gli scenari ristabiliremo l’ordine e il benessere nel regno” rispose il re sorridendo. I suoi sorrisi avrebbero convinto chiunque a sposare la sua causa, o comunque a credere alle sue belle parole ma che altro non erano che delle menzogne camuffate. Ma il ragazzo lo sapeva, era abituato. Era già caduto nella sua trappola verbale una volta, e si era ripromesso di non commettere lo stesso errore una seconda volta.
“Non dovremmo smettere con le torture, dunque? Una principessa con cicatrici e denutrita non farà la sua figura a corte, e stenteranno a credere che si tratti di lei.” commentò il ragazzo, cercando di tornare sull’argomento che gli stava a cuore, più che il finto ordine millantato dal re.
“Sì, forse è vero. Ho intenzione di destabilizzare la forza d’animo della ragazza con un ultima tortura, forse la peggiore per una creatura che ha così a cuore la sua libertà”
Il re concluse la frase guardando il ragazzo che aveva di fronte con uno sguardo complice, maligno e divertito. Il cavaliere era molto confuso, forse più di prima.
Stavolta sta tramando qualcosa di grosso, Amico Mio… non mi piace come ti ha fatto sentire il suo sguardo e il suo tono di voce…, commentò una voce nella sua testa, nell’angolo più recondito e nascosto che erano riusciti a ritagliarsi di nascosto alle esplorazioni del re.
Lo so… temo per lei…

“Ora va’ a cambiarti, e indossa qualcosa di elegante dopo il bagno. Stasera sarà divertente” gli disse il sovrano, con lo stesso sorriso di prima. Il ragazzo rabbrividì e si costrinse ad uscire dalla sala, sotto gli sguardi d’odio a lui sempre riservati dagli altri nobili per essere il figlio di un Rinnegato, un nobile di alto rango, ma soprattutto per essere l’unico a sedere al tavolo del re, ad essere il più amato e fedele servitore reputato dal sovrano stesso. Se solo avessero saputo che il prezzo da pagare per essere lui era la perdita di libertà assoluta e forzata da un giuramento strappato grazie al suo Nome. Se solo avessero saputo che dannazione fosse essere tanto bello quanto carismatico da essere stato scelto per missioni segrete, segreti scomodi e torture da infliggere persino alla persona amata, le nobildonne non lo avrebbero guardato sempre con i loro sguardi civettuoli e invitanti alla fedifraghìa…

Ma lui era Murtagh Morzansson, bello e dannato, invidiato e odiato, servo fedele di un tiranno. Era nato da un seme maledetto, e non sarebbe potuto morire altrimenti…

 

Scese le scale che conducevano alla cella, come tante sere aveva fatto in compagnia del sovrano, anche se quella volta era solo. Gli era stata consegnata una sottoveste in seta gialla per rendere la prigioniera presentabile al cospetto del sovrano, e il compito di curarla era stato passato a lui dopo che l’addetto precedente era stato ucciso dalla stessa con un cucchiaio rubato ed affilato piantato nel collo del carceriere. Murtagh non poteva che essere orgoglioso di lei per questo, anche se temeva profondamente per le sicure ripercussioni del suo coraggioso gesto. Arrivò in fondo, aprì la cella trovando la prigioniera sulla sua pietra legata e addormentata. Doveva essere sprofondata in un sonno ristoratore dopo le ultime torture ed era tanto il bisogno di riposo del suo corpo da non farla risvegliare come al solito al rumore della pesante porta. Il cavaliere la scosse per destarla delicatamente, ma lei sussultò comunque e il ragazzo non la imitò per poco, nonostante si fosse spaventato per la reazione della bellissima ragazza. “Sei tu…” sussurrò lei cercando con i suoi occhi a mandorla e ambrati quelli del ragazzo. C’era sempre qualcosa di tenero nei suoi sguardi, ma mai di pietà nei suoi confronti. A volte erano tristi, come quelli dei cani al guinzaglio, ma di certo lo sguardo azzurro-ghiaccio del ragazzo non dimostrava altro. Le indicò senza lasciar passare troppo tempo la tunica, ma non parlò come al solito per non incorrere in punizioni del sovrano. Temeva più che punissero lei al posto suo per la sua insolenza nell’averle parlato, poiché lei avrebbe risposto. “Se posso… perché una tunica nuova?” chiese lei con un filo di timore nella voce. Un abito nuovo poteva voler dire che la guerra era persa, e che la sua prigionia fosse ormai inutile. Il cavaliere iniziò a slegarle i polsi e le caviglie, senza rispondere anche se avrebbe voluto urlare, piangere, morire pur di sottoporla a un imminente ma sconosciuto ultimo torto. Le prese le caviglie con una mano e le cinse le spalle con il braccio libero, mettendola delicatamente seduta e sorreggendola. Nonostante la sua forza di volontà e il suo orgoglio era senza forze, il corpo segnato dalle torture e magro, la sua pelle di un marrone un tempo caldo era smorta e giallastra. Quando vide nei suoi occhi che probabilmente la testa aveva smesso di girarle le prese una mano e l’aiutò ad alzarsi, le poggiò la veste pulita in mano e l’accompagnò verso il catino con l’acqua che qualcun altro aveva già riempito. Lei esitò, guardando prima la vasca e poi il ragazzo. Se fosse stata meno provata fisicamente sarebbe arrossita ma non le rimanevano forze e sangue per reazioni superflue come quella. Lui capì e sempre tenendole la mano voltò la testa. “Potrei ucciderti come la guardia” disse tornando in sè, recuperando un barlume di grinta leonina che non le era mai mancata. Lui la bloccò per un istante con la magia, facendole percepire che non era facile uccidere di sorpresa un Cavaliere dei Draghi. Lei più docile si spogliò sorreggendosi a lui, fece il bagno e si rivestì.

“Ho terminato, grazie per avermi aiutata” disse quando ebbe finito, accorgendosi di aver stretto la mano del cavaliere per tutto quel tempo, forse anche con forza mentre si alzava dalla vasca e si rivestiva. Ogni piegamento era un giramento di testa e la mano del cavaliere era salda, e la sua galanteria aveva fatto sì che non si voltasse minimamente a guardarla, nonostante sapesse delle sue occhiate furtive quando si erano incontrati nel Farthen Dur. La destò dai suoi pensieri tirandola delicatamente di nuovo verso il suo giaciglio di pietra. La aiutò a rimettere le gambe che le sembravano dei macigni sopra la tavola, e iniziò a legarle di nuovo le caviglie, quando fu fermato da un ordine del re: “Non serve, sarà necessario che la nostra ospite stasera stia in piedi”. Senza mostrare confusione ed esitazione slegò quel poco che era stato legato e la tirò in piedi, stavolta senza aspettare che finissero i capogiri. Nasuada cadde, e venne afferrata dal Cavaliere, che la tirò in piedi delicatamente e la sorresse per un gomito.

“Ripulita e con una veste non stracciata vedo la bellezza che decantano tutti di voi” disse il re con tono suadente. Le nobildonne della corte normalmente sarebbero quasi svenute ad un complimento in tale voce del re, ma la ragazza si accigliò. “Vorrei sapere il perché di tutto questo” disse infastidita lei. “Ho deciso di prenderti alla mia corte, principessa”

“Non ho intenzione di farlo. Preferisco rimanere qui nelle segrete piuttosto che comportarmi da dama beneducata sorridendo falsamente e gioendo ai vostri discorsi di pace utopica!” disse lei concitata. Se fosse stata in forma avrebbe urlato, ma quello che uscì fu poco più di un sibilo.
“Per accoglierti però devo darti un titolo. Perciò stanotte unirò te e il figlio del mio caro amico in matrimonio” concluse spostando lo sguardo su Murtagh e facendo il sorriso di chi ti fa un regalo, voluto o meno. Il ragazzo non riuscì a rimanere impassibile, aprì la bocca per dire qualcosa che non uscì, si guardò incredulo l’abito elegante che aveva indossato, senza sospettare nulla, diventando complice ignaro di un torto alla ragazza che amava. “Non ci sono testimoni, non è un’unione valida!” disse lei, il tono leggermente acuto e agitato, sentendosi come una tigre mentre la chiudono in gabbia. “Quale miglior testimone del sovrano del paese?! Nessuno potrebbe obiettare la validità della mia parola. Ora iniziamo: Murtagh prendile la mano sinistra nella tua”

La mano del ragazzo si mosse sotto l’impulso invisibile della magia del re, ma la ragazza non poteva sapere che lui era tanto incredulo quanto lei, non finché non fosse riuscito a proferire parola, ma ogni secondo era sempre più incredulo. Il re aveva legato loro i polsi con un nastro bianco, e stava già chiedendo al cavaliere di ripetere i voti nuziali, non avendo lui imparatoli a memoria. Il re fece pronunciare a forza i voti a entrambi, il volto di Nasuada era rossa di rabbia nel sentirsi le labbra muoversi e pronunciare frasi che mai avrebbe voluto pronunciare in prigionia. Aveva sposato una causa, ottenendo il posto di suo padre nonostante fosse una donna, la ascoltavano, avevano timore e soggezione di lei. Mai si sarebbe aspettata di essere costretta a sposarsi. Trattenne le lacrime che le gonfiavano gli occhi appena e lasciò che il re pronunciasse “Bene, miei cari. Ora siete uniti in matrimonio per il resto della vostra vita. D’ora in poi Nasuada apparterrà al mio fidato servo Murtagh figlio di Morzan.” prima di scoppiare in lacrime quando si rese conto dell’ultimo schiaffo morale, di essere possessione di un uomo secondo l’usanza della capitale. Almeno se si fosse sposata secondo le usanze del suo popolo avrebbe mantenuto la sua dignità da individuo, avrebbe avuto potere decisionale su se stessa e sulla sua casa. La capitale e in generale il Centro di Alagaesia - a differenza del Sud e del Nord - erano abitati da popolazioni patriarcali e le donne non erano nulla se non un possedimento capace di procreare eredi. Pianse, senza pensare al contegno, ma il re se n’era già andato lasciando loro il compito di consumare il matrimonio, ma nessuno dei due giovani sembrava propenso, l’una per la rabbia e la debolezza fisica, l’altro per l’incredulità e la delusione in sè stesso per non aver capito prima in cosa stava architettando il crudele sovrano nei confronti della povera ragazza. Nasuada cadde in ginocchio singhiozzando rumorosamente, destando Murtagh dal suo intorpidimento. Si abbassò e le mise un braccio attorno alle spalle. Lei alzò gli occhi, andando a incrociare i suoi. “Tu, lo sapevi?” chiese in un singulto. Lui scosse la testa e la fissò negli occhi con sguardo dolente, riuscendo sorprendentemente a farla calmare. Poteva ancora fidarsi di lui, non era partecipe di quell’affronto. “Mi dispiace” disse lui con voce roca, con un nodo alla gola dovuto alla vista della sua amata in lacrime disperate. Nei suoi sogni più reconditi in cui la sua mentre lo illudeva con un’utopica loro unione non v’era mai stato dolore. Ma la sua vita era dolore e dannazione perché lui era il figlio di Morzan, Cavaliere del drago Castigo e dalla spada rossa Miseria come il sangue…

 

Murtagh si risvegliò nel suo letto di paglia di colpo. Faceva spesso quel sogno. Il suo sonno era negli ultimi tempi tormentato dalla figura dell’unica ragazza che avesse mai amato e che aveva abbandonato.

 

Calmati…, intervenne il suo Compagno.

Non è facile…

Lo so, vorresti essere con lei, ma nessuno ci accetterebbe. E finirebbero con la sfiducia anche verso di lei… e tu la ami, non le toglieresti mai quello che ha ottenuto con tanto sangue e sofferenza…

No, non tornerò mai da lei in nome dell’amore che provo… lei non merita di stare con un uomo rotto e rinnegato…

 

Dopo la sconfitta del re era partito, per ritrovare se stesso, per lavare via le lordure della sua anima, per fare un favore a Nasuada e sparire dalla sua vita, con il suo nome dannato e le sue azioni maledette e i suoi voti nuziali strappati con la forza. Ansimava nel letto, sua moglie era il suo unico vero amore, l’unica persona capace di fargli mettere in secondo piano se stesso. Sua moglie ora era regina, aveva vinto la sua causa per cui era stata tanto coraggiosa e tenace, stava risistemando una nazione da troppo governata da un sovrano usurpatore. Era lontana, gli mancava così tanto, eppure sapeva che non esistere fosse un bene per Nasuada. Ma soprattutto era un bene che dopo la morte del re nessuno sapesse del loro matrimonio segreto.

  
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