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Autore: AleeraRedwoods    08/08/2020    4 recensioni
Dal testo:
“Tu sei nata per una ragione e il tuo cammino non può cambiare.
Ma un destino scritto è anche una maledizione.
Il tuo compito è salvare la Terra di Mezzo,
riunirai i Popoli Liberi e scenderai in battaglia.
Una prova ti attende e dovrai affrontarla per vincere il Male.
Perché la Stella dei Valar si è svegliata.
La Stella dei Valar porterà la pace.
A caro prezzo.”
(Revisionata e corretta)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Aragorn, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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-Colpe-




    Thranduil divise perfettamente a metà un orco, con un unico fendente mortale. Era furente, infervorato da un fuoco antico e senza freni, che gli dilaniava il petto. 
    Quella dannata stella.
    Maledetta lei e le complicazioni che s’era portata appresso.
    Si gettò senza indugio contro i non morti, deciso a sfogare su di loro tutta la rabbia e la tensione accumulate in quelle lunghe settimane. Come se il risentimento verso di lei non bastasse, adesso Thranduil doveva persino ammettere che, per tutto quel tempo, aveva ostinatamente, volontariamente e gratuitamente sottovalutato la potenza del nemico.
    Appurare con i propri occhi che quell’esercito maledetto era composto solo da disgustosi cadaveri, lo scioccava e lo irritava oltre ogni misura. Da quando poi aveva ricevuto le ultime informazioni dai suoi corvi, non riusciva a non provare un cocente odio nei confronti dello stregone Pallando.
    Anzi, degli stregoni in generale: dopotutto, non era certo la prima volta che uno degli Istari faceva tanto danno.
    Sentiva la testa vorticare per la miriade di pensieri che vi si affollavano, senza sosta. 
    Non sarebbe dovuto giungere sino a Minas Tirith.
    Certo, quella era l’unica certezza che lo accompagnava, giorno e notte, dal momento in cui aveva messo piede fuori da Bosco Atro. Eppure, aveva marciato con il suo esercito senza mai rallentare e aveva diretto lui stesso l’attacco, senza il minimo indugio. Coerente.
    Ed era inutile cercare di negare il perché: voleva vederla.
    Sì, voleva guardarla negli occhi e sputarle in faccia il proprio, profondo disprezzo: non sarebbe riuscito a lasciarsi quella storia alle spalle, non prima di aver pareggiato i conti con lei.
    Era servito quel disgraziato di Felon per farglielo capire.
    Però, quel silvano traditore aveva avuto torto su una cosa fondamentale: lei non l’aveva cambiato; aveva solo contribuito a ricordargli di non fidarsi di nessuno al di fuori di sé stesso.
    Quando si conquista qualcosa, si deve fare di tutto per tenersela ben stretta, ecco tutto. E lui aveva permesso a quella ragazzina di scappare: non avrebbe ripetuto lo stesso errore due volte.
    Decapitò quattro orridi orchi con un colpo secco, incurante degli schizzi di melma nerastra che volarono a macchiargli l’armatura argentea. Infine, Thranduil era di nuovo sceso in battaglia, nonostante tutti gli sforzi che aveva fatto per restarne fuori e per risparmiare altre sofferenze al suo popolo.
    Per lo meno, non lo avrebbe fatto invano: non vedeva l’ora di vedere le facce degli alleati, quando li avrebbe costretti a omaggiarlo per la sua sola presenza.
    Senza di lui, erano persi.
    Improvvisamente, dalla ressa intorno a lui, una voce familiare attirò la sua attenzione. -Adar! (padre)-
    Thranduil puntò gli occhi di ghiaccio su suo figlio, ignorando cocciutamente la sensazione di sollievo che provò nel vederlo.
    Contrasse la mascella, seccato: -Mangia Terra, cadaveri che combattono, ordigni esplosivi. Sono sorpreso di trovare qualche inutile umano ancora in vita.- Commentò sprezzante, non senza lanciare una rapida e discreta occhiata a valutare lo stato di salute del figlio.
    Legolas giunse in fretta al suo fianco, stringendo d’istinto i pugni: come poteva lui, giunto solo adesso, parlare in quel modo?
    Gli alleati avevano perso molte vite e altrettante sarebbero state spezzate se non avessero portato a termine il piano in tempo.
    Solo per quel motivo decise di non curarsi delle dure parole di suo padre, controllando le proprie emozioni: -Non avanzate oltre, non servirà.- Lo avvertì. Thranduil spostò lo sguardo sui propri soldati, che stavano ricacciando i non morti verso Sud a suon di legnate. -Li stiamo contrastando, mi pare.-
    Legolas scosse con forza la testa, stizzito: -Stanno per aumentare ancora di più il loro numero, non vedi che i Mangiatori di Terra continuano ad aprire varchi?-
    Poi indicò con un gesto deciso i segni scuri che percorrevano il terreno davanti a loro, sparendo a tratti nell’erba alta e secca: -I Campi del Pelennor stanno per diventare una distesa di fuoco. Abbiamo creato una rete di materiale altamente infiammabile per carbonizzarli: è l’unico modo che abbiamo per distruggere definitivamente i non morti.-
    -E i vostri caduti? Bruceranno con loro?-
    Legolas sollevò il mento, deglutendo a vuoto. Fedele a sé stesso, Thranduil aveva pensato ai loro morti, al popolo: al loro posto, suo padre non avrebbe mai permesso che il corpo di un singolo soldato del Reame Boscoso rimanesse indietro.
    -Erano consapevoli di questa possibilità, dal momento in cui hanno accettato il piano.- Tagliò corto, con voce bassa.
    Thranduil lo fissò, stringendo gli occhi a due fessure lucenti ma non si oppose: -Bene allora. Vorrà dire che ci limiteremo a spingerli nei Campi.- Si voltò con uno svolazzo del mantello rosso sangue, impartendo ordini secchi ai capi della guardia elfica.
    Legolas abbassò la testa, respirando a fondo: doveva ammettere che una parte di sé, quella più nostalgica e antica, gioiva della presenza forte e rassicurante di suo padre.
    Era improvvisamente tornato un giovane elfo alle prime armi, terrorizzato all’idea di dover affrontare la pericolosa battaglia ma ispirato dal coraggio e dalla destrezza del padre: l’unica differenza era che, adesso, Legolas si sarebbe sotterrato di buon grado pur di evitare la vergogna che stava provando nel desiderare l’aiuto del Re.
    Ad ogni modo, gli elfi di Bosco Atro erano rapidi ed efficienti e, dando man forte agli alleati, circondarono il nemico in brevissimo tempo. Ora, Uomini, Elfi e Nani contenevano i non morti, che si abbattevano come onde nere contro il cerchio formato dalle loro armature e dalle loro armi impietose.
    Per quanto forti fossero però, gli alleati cominciarono quasi subito a dare segni di cedimento: i nemici stavano aumentando a dismisura, presto sarebbe stato impossibile trattenerli.
    Legolas scrutò il crinale con la sua acuta vista, mentre affiancava suo padre: -Avanti Sillen, fai in fretta...- Sussurrò, ansiosamente.
    Non riusciva ad individuarla e gli elfi, per quanto resistenti, cominciavano ad arretrare: non poteva permettere che tutti gli sforzi della stella venissero vanificati proprio all’ultimo.
    Estrasse la spada con fare risoluto: -Adar, vorrei unirmi all’avanguardia.- Thranduil non si oppose, una maschera di indifferenza sul viso affilato: -Come se tu avessi bisogno di chiedere il mio permesso. Fai come desideri.- L’altro si inchinò brevemente, sparendo poco dopo tra le file composte dei soldati, senza guardarsi indietro.
    Thranduil chiuse per un attimo gli occhi, respirando a fondo.
    Perché si comportava sempre in quel modo?
    Quanto poteva essere difficile complimentarsi, esprimere la sua preoccupazione o la sua ammirazione verso il suo stesso figlio? “Ottimo lavoro, Legolas. Stai attento, figlio mio.”
    Ogni padre era in grado di farlo.
    I suoi cupi pensieri furono interrotti dall’arrivo di Galion, che si sistemò rumorosamente la già impeccabile armatura, giusto per far notare al Re la propria presenza.
    Thranduil, regale e immobile come una statua di marmo e argento, si sforzò di non guardarlo, tenendo gli occhi di ghiaccio incollati sulla battaglia. -L’hai trovata?- Chiese solamente, con falsa noncuranza. -Sì mio signore. Ovviamente, non ha accettato il mio aiuto, perciò continuerà da sola. Da quanto ho inteso, appiccherà lei stessa il tanto atteso “fuoco risolutore”. Comunque, è ferita e anche in modo grave. Non so per quanto l’athelas riuscirà a frenare le emorragie ma le conviene fare in fretta o ci lascerà le penne.- Fece l’altro, guardandosi le unghie.
    Thranduil, suo malgrado, rabbrividì a quelle parole ma scacciò in fretta tutte le emozioni che stavano minacciando di invadergli il petto. Dunque quella donna era in pericolo.
    Tanto meglio, voleva dire che non era ancora irrimediabilmente morta. Non gli sarebbe piaciuto venire a sapere che fosse già morta o chissà cos’altro: non poteva vendicarsi su un cadavere.
    L’aria si fece più pungente, ora che il sole stava sparendo oltre la città di Minas Tirith e il Re volse istintivamente lo sguardo sul suo unico figlio, che combatteva poco lontano.
    Somigliava davvero tanto a sua madre ma forse non glielo aveva mai detto. Anche adesso, mentre cercava di far avanzare l’esercito del Reame Boscoso per spingere i non morti dentro la rete di pece e olio scuro, Legolas aveva la stessa espressione risoluta della Regina.
    L’immagine dei capelli d’oro di lei, sparsi sul terreno tinto di cremisi, invase prepotente la mente dell’antico Sindar, che si ritrovò a stringere nuovamente la spada.
    Avanzò verso suo figlio, respirando a fondo, per mantenere più salda che mai la sua maschera di ghiaccio.
    Roteò la lama elfica velocemente, con fare annoiato: -Bene, Galion. Allora non stiamo qui con le mani in mano. Qualcuno dovrà pur dare a quella donna il tempo che le serve. E vediamo di risolvere questa scomoda faccenda prima che faccia buio: odio combattere di notte, lo sai.-
 

 
**

    Sillen arrancò sulla ripida salita, ansimando.
    Strinse nuovamente la fasciatura sul fianco, soffiando tra i denti: -Dannazione, sanguina di nuovo.- Tirò malamente giù la casacca e annodò più stretta l’armatura, per cercare di contenere l’emorragia.
    Era uscita dal campo di battaglia senza ulteriori intoppi e aveva superato velocemente la retroguardia dei Rohirrim, riuscendo finalmente a raggiungere il crinale.
    Gli elfi di Bosco Atro erano arrivati proprio al momento più opportuno, un’apparizione provvidenziale. I non morti si erano ovviamente lanciati laddove erano ammassati più soldati, creando così un vero e proprio diversivo, che le aveva permesso di muoversi indisturbata.
    La stella si arrestò sulla cresta più alta del crinale e il suo sguardo poté abbracciare tutta la distesa dei Campi del Pelennor. L’anello composto dai soldati alleati riluceva come un fiume d’argento, e i non morti, come silenziose formiche, vi si ammassavano contro.
    Le voragini da cui fuoriuscivano, tuttavia, erano innumerevoli.
    Sillen strinse i denti, inginocchiandosi accanto alla grossa corda che spuntava dal terreno, fissata a un paletto: la miccia.
    Dipendeva tutto da lei, adesso.
    Frugò nelle tasche interne della casacca ed estrasse due pietre focaie, concentrata.
    Due colpi secchi, come le aveva insegnato Elessar, e le scintille caddero con grazia sulla corda impregnata di pece nera.
    In un secondo, la corda prese fuoco e le fiamme corsero su di essa inarrestabili, divorandola velocemente.
    Sillen scattò in piedi, gli occhi ametistini fissi sulla traiettoria del fuoco: -Ti prego, funziona!- E le fiammelle incontrarono il primo barile, pieno di pece densa e nera: dopo un attimo di silenzio assoluto, un’esplosione violenta la costrinse a tapparsi le orecchie e a rannicchiarsi, per evitare che le schegge la ferissero in viso.
    Subito, le scintille provocate dall’esplosione appiccarono altri fuochi e la rete mortale iniziò a diradarsi. Funzionava!
    Il vento sembrò favorirli e sospinse rapidamente le fiamme verso Sud. Ora era il turno di Minas Tirith.
    Elessar, dall’alto delle mura della città, sorrise trionfante.
    -Tirare!- E le catapulte furono efficientemente azionate. Decine di grossi barili volarono oltre le linee degli alleati, dritti sul campo già disseminato di scie infuocate.
    Altre esplosioni, altro fuoco. Era il turno di Osgiliath.
    Gli elfi di Imladris furono rapidi e precisi e, in pochi minuti, l’intera valle di sterpaglie secche divenne un lago di fuoco.
    Un anello di fiamme, spesso quasi trenta piedi, intrappolò gli orchi, poco distanti dall’avanguardia dell’esercito alleato: dove poco prima sorgevano gli accampamenti del glorioso esercito dei Popoli Liberi, ora bruciavano le legioni nemiche.
    I Mangia Terra si rintanarono vigliaccamente nelle loro oscure voragini e i non morti, incapaci di pensare, continuarono a gettarsi nelle fiamme, avanzando fino a quando del loro corpo morto non rimaneva che un nugolo di cenere e ossa annerite.
    Subito, come lo scroscio violento di un temporale estivo, un coro di voci esultanti superò il crepitio delle fiamme e il tuonare delle ultime esplosioni, giungendo sino alla stella.
    Lei vide i soldati lanciare gli elmi in aria, abbracciarsi, stringersi le mani gli uni con gli altri. 
    Era finita, avevano vinto.
    Sillen saltò, ridendo dalla gioia, ignorando il dolore provocato dalle numerose ferite: Pallando era ancora vivo, gli elfi oscuri ancora in circolazione ma oggi avevano vinto loro.
    E, senza dubbio, avevano inflitto al nemico perdite indicibili.
    Si affrettò lungo il crinale, impaziente di ricongiungersi ai suoi amici. Voleva festeggiare con loro, ringraziarli per aver creduto in lei. Sentì lo stomaco contorcersi al pensiero che, questa volta, anche Thranduil fosse con loro ad attenderla.
    Sibilò dalla fatica: vicino all’incendio faceva un caldo infernale e il fumo scuro cominciò ad avvolgere la valle, facendola tossire.
    Si tenne il fianco con una mano, facendosi  coraggio: un ultimo sforzo, poi avrebbe riposato.
    Tuttavia, come nelle più avvincenti e tragiche storie, quelle di cui lei stessa aveva avidamente letto nei bei libri del Reame Boscoso, il fato non poteva aver esaurito le sue mosse, non ancora.
    Ad un tratto, infatti, la stella arrestò bruscamente la sua corsa, il ghiaccio nelle vene.
    Forse non aveva visto bene.
    Forse i suoi occhi, svelti sulle fiamme e sul fumo nero, avevano soltanto preso uno spiacevole abbaglio.
    Sentì il cuore accelerare i propri battiti e brividi di freddo le corsero lungo la schiena, mentre si voltava: a tratti nascosto dietro le alte lingue di fuoco divorante, il volto di Pallando la osservava, sornione.
    Per un attimo, Sillen e il volto nel fuoco si fissarono, in silenzio, immobili.
    Poi la voce dello stregone, calma e terribilmente reale, fendette il crepitio delle fiamme, ferendole l’anima: -Bene bene, Stella dei Valar. Guarda che bel guaio hai combinato.-
    Sillen deglutì, stringendo i pugni.
    Era un’illusione, lui non era davvero lì, avvolto dalle fiamme.
    -Codardo.- Sibilò, gli occhi viola che baluginavano luce bianca e bruciante quanto il fuoco tutt’attorno a loro.
    -Saggio, direi. Non codardo, no. Decisamente più furbo di te.- Sorrise lui, con i suoi canini innaturalmente appuntiti, come quelli di una belva.
    Sillen avanzò nel caldo torrido con passo mal fermo, sempre più vicina all’incendio, i pugni serrati. Parlò con convinzione, nonostante la voce tremante: -Abbiamo vinto, non vedi? I tuoi mostri saranno carbonizzati, dal primo all’ultimo.-
    Lui finse di guardarsi attorno con espressione allarmata.
    -Davvero? Oh quale sciagura! Che immane tragedia.- Ridacchiò, tornando a guardarla. -Ammetto di essere rimasto colpito. Non mi aspettavo questo intrigante stratagemma. Ma sai, Sillen- Strascicò il suo nome in modo tanto viscido da darle il voltastomaco -non credo che tu abbia ancora compreso chi io sia e cosa io possa fare.- La rimproverò, dolcemente.
    -Credi che la mia forza fossero questi stupidi cadaveri? Utili, certo. Obbedienti, sicuro. Ma non sono niente.-
    Sollevò una mano e Sillen strinse istintivamente l’elsa di una delle due spade gemelle di Galion.
    Quello che prima era solo un viso fluttuante divenne un’intera figura scura e Pallando portò la mano al petto. Fece per estrarre qualcosa dalla veste, lambita dalle fiamme. Poi allungò una mano oltre la cortina di fuoco, per mostrare alla stella l’oggetto che stringeva tra le dita.
    Sillen ridusse gli occhi a due fessure, per vedere attraverso il fumo denso: quello era solo un dannatissimo pezzo di vetro nero, cosa cercava di dimostrarle?
    -Sai cos’è questo, mia cara Stella dei Valar? Si chiama Palantir. Non è il più grande, né il più potente tra i Palantiri, purtroppo. Tuttavia, si sta rivelando davvero utile. Guarda tu stessa.-
    E strinse leggermente la presa sul vetro traslucido.
    Una lieve luce bluastra lo attraversò. Poco dopo, dal cerchio di fuoco, rotolarono fuori decine e decine di non morti. Spensero le fiamme accese sulle loro vesti luride, dimenandosi sul terreno.
    Piccole e flebili luci bluastre brillavano dentro i loro orrendi corpi neri, mezzi carbonizzati ma ancora in grado di muoversi: dovevano essersi tenuti distanti dall’anello di fuoco… ma perché?
    Sillen non capiva, non riusciva a spiegarsi quell’improvvisa presa di coscienza da parte di quei non morti.
    Decise di continuare ad aggredire lo stregone, pregando che decidesse di tornarsene da dov’era venuto: -Ebbene? Questa manciata di cadaveri non può niente contro i nostri eserciti!-
    Lui annuì, soddisfatto: -Esattamente. Sono proprio inutili. Tuttavia non lo sono i loro frammenti. Non ti dispiacerà se me li riprendo.- Come mosse da fili invisibili, piccole schegge nere lacerarono la pelle carbonizzata dei non morti, fuoriuscendone con un movimento violento. I corpi caddero a terra, come sacchi vuoti e i frammenti continuarono su una traiettoria invisibile.
    Sillen li vide conficcarsi a terra e sparire in un baluginare bluastro, persi per sempre nelle viscere del sottosuolo.
    Sussultò quando, voltandosi nuovamente verso Pallando, lo trovò a una spanna dal proprio viso, chino su di lei come un rapace, curvo e secco.
    Deglutì, impedendosi di piangere, ripetendosi che quella era solo una dannata illusione.
    -Lascia che ti spieghi, mia ingenua stella. Io sono uno Stregone Blu, come ben sai. Tra i due però, non mi vergogno ad ammetterlo, è sempre stato Alatar il più forte. Non che dessi peso alla cosa, beninteso, era il mio adorato fratello.-
    Sorrise, avvicinando ulteriormente il suo ghigno al viso della stella, inchiodandola al suolo con la pressione del suo sguardo allucinato. -Eppure, le cose sono cambiate. Quando mi ritrovai solo, molti anni fa, decisi di non arrendermi ad un destino di dolore e solitudine. Ho studiato, ho imparato il possibile laddove ero… ospite, estorcendo magie antiche da esseri ben più potenti di me.-
    Sillen tremava, scossa dalla paura e dalla tensione, consapevole di essere sola, ferita e incapace di utilizzare il proprio potere.
    Era ancora viva, solo perché lo stregone era solamente una terrificante quanto impalpabile illusione.
    Quello, divertito dalla sua reazione, continuò: -Mi sono impegnato a fondo e ho costruito un nuovo potere, tutto mio, lontano dalla divina influenza dei Valar. Il Palantir si è rivelato lo strumento perfetto, un ritrovamento accidentale che ha fatto di me l’essere più potente mai esistito. E sai perché, Stella dei Valar?- Lei scosse impercettibilmente la testa, assorbita dalle sue parole. -Perché adesso non mi serve nessuno. Io posso agire a mio piacimento senza che nessuno possa tradirmi, abbandonarmi o rivoltarsi contro di me. Questi frammenti- Sollevò piano una mano dalle dita secche e adunche, mostrandole il grosso pezzo di vetro scuro -sono tutto ciò di cui ho bisogno. E attraverso essi, posso controllare qualsiasi cosa. Cadaveri, uomini, piante, animali o pietre, non è importante. Avrò sempre il coltello dalla parte del manico.-
    Senza distogliere lo sguardo, allungò una mano verso il fuoco, che intanto andava lentamente avvicinandosi, divorando l’erba secca: -Aver distrutto questi cadaveri, non è una vittoria. Ne troverò altri. Non mi avete scalfito. Imprimitelo bene nella testa, Stella dei Valar: non puoi battermi.-
    Una sola lacrima d’impotenza solcò la guancia della giovane, che cadde in ginocchio.
    Pallando, o meglio, l’immagine di Pallando, troneggiò su di lei, l’espressione tranquilla: -Ora che i frammenti sono di nuovo in mano mia, non ho altro da fare qui. Tenetevi pure questi simpatici cadaveri, non li avrei comunque ricondotti da me. Come ho detto, non sono importanti.-
    Si chinò, portando una mano fumosa sotto il mento della stella.
    Le sue dita fredde, nonostante la loro inquietante consistenza, sembravano più che mai reali mentre sollevavano il suo bel viso per incontrare nuovamente i suoi occhi color ametista: -Hai fallito e tutti i tuoi compagni lo verranno a sapere. Con quanta vergogna tornerai da loro per chiedere scusa? Chi ti seguirà, dopo aver causato tutte queste morti?-
    I tratti della stella si accartocciarono sotto il peso di quelle parole, dure ma terribilmente vere.
    -Mi ritengo un uomo misericordioso, Sillen. Perciò te lo chiederò un’ultima volta: unisciti a me e aiutami. Io non ti abbandonerò. Vieni via con me e aiutami.-
    Sillen tremò violentemente, stringendo le labbra tanto da farle sbiancare. Poi le schiuse in un sospiro sfinito, sconfitto: -A fare cosa? Che cosa vuoi Pallando?- Sussurrò.
    Gli occhi dello stregone si strinsero appena, come se quelle parole lo avessero sorpreso.
    Invece, parlò con voce ferma: -Uccidere tutto.-
    Lei non capì: -Tutti?- Lo vide scuotere la testa pazientemente e sorridere. -No mia cara. Tutto. Deve morire tutto.-
    Sillen alzò una mano tremante e la posò lentamente sulla spalla dello stregone, concentrata. Lui non si scostò, in attesa della prossima mossa della stella.
    Quello che avrebbe fatto da quel momento in avanti, avrebbe segnato le sorti della Terra di Mezzo.
    Tornare indietro dai suoi compagni comportava confessare il suo fallimento, assumersi il peso di tutti i loro morti… guardare in faccia i suoi amici per essere infine giudicata. Sillen chiuse gli occhi, respirando a fondo: non era quello che voleva. Lei era la Stella dei Valar e non voleva che qualcuno osasse giudicarla, non dopo che tutta la sua breve esistenza era stata messa al loro servizio, senza possibilità di sottrarsi al suo triste destino.
    Aprì gli occhi, furiosa, decisa a far valere la propria volontà almeno per una volta.
    Con un movimento secco e fluido, conficcò la spada destra di Galion nel ventre di Pallando.
    Sapeva che non poteva ferirlo davvero ma sperò con tutta se stessa di avergli spiegato il suo punto di vista nel modo più esaustivo possibile.
    Lei non voleva essere giudicata ma non per questo poteva privare i suoi compagni del diritto di farlo. La loro rabbia, la loro delusione, erano legittime. Si sarebbe fatta valere con loro e per loro, non avrebbe gettato la spugna proprio quando era tempo di dimostrare di essere in grado di sopportare le sue colpe e rimediare ai suoi fallimenti.
    Pallando, deformando il proprio viso in un’espressione tra la delusione e il disappunto, guardò la lama elfica trapassare il suo corpo astrale.
    Sillen lo fulminò con lo sguardo, sibilando: -Antolle ulua sulrim, Nadorhuan! Amin feuya ten’ lle! (Sai solo dar aria alla bocca, vile cane! Mi disgusti!)-
    Lui si allontanò bruscamente, irritato.
    Finalmente, pensò Sillen, era riuscita ad incrinare quella maschera di presunzione e sarcasmo che lo stregone amava tanto esibire.
    Pallando lanciò via la spada elfica e osservò Sillen a lungo, soppesando la situazione. La stella, caparbiamente, riprese nel proprio pugno la spada lucente e si rialzò in piedi, premendo forte sulla ferita al fianco.
    Stettero a scrutarsi, immobili, fino a che, con un sonoro sospiro, lo stregone si passò una mano sul viso: -Non mi lasci altra scelta, Stella dei Valar. Faremo come vuoi tu.- E prese ad osservare il cielo, come in attesa.
    Non capendo, Sillen seguì il suo sguardo, aguzzando la vista.
    Qualcosa si avvicinava a grande velocità, riusciva a percepirne i contorni nel fumo nero.
    Era un’aquila? Sì, senza dubbio, era un figlio di Landroval.
    Allora perché non si fermava ai richiami dei suoi compagni? Pallando rise forte, iniziando a svanire, come fosse fatto dello stesso fumo che si levava dall’incendio: -Arrivederci, Stella dei Valar! E goditi lo spettacolo. Questa volta, concedimelo, mi sono davvero superato…-
    Sillen, attonita, seguì la traiettoria dell’aquila, che guadagnava sempre più velocità e, improvvisamente, capì: il Maia si stava dirigendo su Minas Tirith.
    Le parole di Pallando, ormai scomparso, le risuonarono nella mente, cupe: -Questi frammenti sono tutto ciò di cui ho bisogno. E attraverso essi, posso controllare qualsiasi cosa.- Sussurrò lei, ricordando. Cominciò a correre, nonostante sapesse di non avere abbastanza tempo, di non essere abbastanza veloce.
    -Allontanatevi! L’aquila! L’aquila è morta!- Gridava, ma i soldati erano lontani, nessuno poteva sentirla.
    Con orrore, vide il corpo senza vita del possente Maiar sfrecciare sopra di lei, diretto verso la città. Gli alleati nemmeno alzarono lo sguardo al suo passaggio, ignari di ogni cosa.
    Le aquile invece gridarono, sconcertate, riconoscendo infine il loro compagno caduto.
    Un attimo dopo, nella valle riecheggiò uno schianto secco e tra le fila alleate scese un silenzio sconvolto, inorridito.
    Sillen sentì la testa vorticare quando udì il corpo del Maiar collidere con l’alta Torre di Ecthelion e cadde carponi a terra, senza nemmeno rendersi conto di quanto sangue stesse perdendo.
    I suoi occhi erano incollati sulla Torre: era una scena già vista, qualcosa di fin troppo familiare.
    Vide il corpo senza vita del Maiar scivolare lungo il muro bianco della sottile Torre, un muro che adesso era crepato, rotto.
    Per un secondo, ci fu solo silenzio.
    L’intera valle smise di respirare, in attesa.
    Poi, un rumore sordo, violento scaturì da dentro la torre e Sillen gridò. La Torre di Ecthelion, incrinata e instabile, cominciò a cedere, una pietra dopo l’altra. In pochi secondi, la parte più alta e sottile di questa crollò rovinosamente in basso, falciando con una pioggia di blocchi di pietra candida le mura esterne.
    E, con esse, i soldati di Minas Tirith e le loro catapulte che, fino ad un attimo prima, parevano aver deciso la schiacciante vittoria degli alleati.
    Era proprio come nella sua visione: tutto bruciava e la torre bianca crollava. Non aveva impedito che ciò accadesse, non aveva salvato nessuno, non era stata in grado di fare niente.
    Tutti i morti di quel giorno erano colpa sua, il crollo della Torre era colpa sua, la vittoria di Pallando era colpa sua.
    Singhiozzò senza ritegno mentre guardava la città bianca, impotente. -Elessar…- Sussurrò, tremando di terrore all’idea che potesse essere rimasto coinvolto nel crollo.
    La Gemma di Eärendil, appuntata alla sua camicia, le pungeva il petto e ricordò le commosse parole di Glorfindel come una stilettata al cuore: “Elessar deve avertela ceduta in custodia, nel caso dovesse accadergli qualcosa durante la battaglia.”
    No. Si tirò su a fatica, spinta solo dalla paura e dalla preoccupazione: -Vi prego Valar. Non questo, non questo!-
    Ripeté, trascinandosi lungo il crinale per aggirare le fiamme.
    Raggiunse le retrovie dell’esercito dei Rohirrim, muovendosi scompostamente: -Un cavallo… datemi un cavallo.- Rantolò, cercando di attirare l’attenzione degli uomini, caduti nella più totale confusione.
    -Sillen!- La stella non si voltò, perché non udiva la voce che la chiamava insistentemente. -Sillen, sei ferita, fermati!-
    Ignorò la mano che la trattenne per un braccio e se la scrollò di dosso, talmente confusa da non capire niente: -Elessar… Elessar era là…- Ringhiò, le lacrime che non accennavano a fermarsi.
    Tra il vorticare dei manti bruni dei cavalli, dei mantelli verdi dei soldati, delle bende bianche dei feriti, i suoi occhi furono catturati dall’oro intenso e sfavillante di un’armatura. Glorfindel le aveva sbarrato la strada, tenendola per le spalle.
    -Fermati! Sono certo che stanno già soccorrendo i feriti. E comunque non è detto che il Re degli Uomini sia tra loro, sai?- La rassicurò lui, con voce calma, senza capire che la stella lo fissava senza vederlo davvero. Anzi, si guardava attorno, senza capire da dove fosse spuntato l’elfo. -Adesso devi stenderti Sillen, perdi davvero troppo sangue.-
    Quando si sentì spinta a sedere, lei singhiozzò e spinse via il Vanyar, piantando gli occhi viola su di lui, sconvolta: -Non voglio! Aiutami a raggiungere Elessar!- Urlò, in preda al panico.
    L’elfo, nonostante il sollievo che aveva provato nel ritrovarla, sentì una stretta meschina arpionargli il cuore.
    La guardò con apprensione: il suo volto era sporco di sangue, terra e cenere, i suoi capelli scomposti e incollati al collo ferito.
    Era in uno stato orribile, febbricitante.
    Lui si scostò i capelli dorati dalla fronte, valutando il da farsi:
-Va bene, va bene. Vieni con me: prima troviamo Elessar, prima potrai essere medicata.- Cercò la sua mano per guidarla nella ressa ma la stella era debole e quasi non riusciva a camminare sulle proprie gambe.
    Con un sospiro, l’elfo dorato la sollevò da terra, senza tanti complimenti. La issò su un giovane cavallo roano rimasto senza cavaliere e salì a sua volta, spronandolo verso la città.
    Mentre si avvicinavano, Glorfindel premette una mano sulla ferita della stella, sul fianco sinistro, cercando di curarla con il proprio potere. In pochi secondi sentì il suo respiro tornare regolare e la sua pelle riacquistare colore ma, prima che potesse fermare l’emorragia, Sillen gli spinse via la mano pallida: -No, non voglio.- Lui espirò, sorpreso: -La ferita è grave, lasciami fare il possibile per-
    Lei scosse con forza la testa, le lacrime che scendevano copiose, nascoste dalla cortina di capelli neri: -Non voglio!-
    Glorfindel era senza parole. Cosa le era successo?
    Perché non voleva il suo aiuto?
    Ai piedi delle mura, intanto, Uomini e Nani erano precipitati nel caos più totale. Tutto intorno a loro si udivano urla di dolore, richieste di aiuto, pietre che venivano spostate e altre che continuavano a franare, ancora instabili.
    -Sillen!- Faramir li intercettò, tossendo a causa del fumo e della polvere. La stella scivolò giù dall’animale, di nuovo capace di reggersi in piedi con un discreto successo. Glorfindel la vide raddrizzarsi, soffocando ogni traccia di dolore.
    -Faramir, dov’è Elessar?- Lui la prese per le spalle e lei lesse nei suoi occhi la sua stessa paura: -Che cosa è successo? Perché quell’aquila ha causato il crollo? Non abbiamo battuto il nemico?- La investì, con voce carica di ansia.
    Sillen scosse la testa, cercando di non mostrarsi debole ma Glorfindel vide le sue spalle tremare violentemente: -Ascoltami, Faramir. Adesso dobbiamo trovare il Re. Troviamo Elessar.-
    L’altro annuì, ricomponendosi quanto possibile: -S-sì, Aragorn. Era sulle mura, proprio sopra le porte della città, i soldati della retroguardia lo stanno cercando.-
    Sillen respirò a fondo, analizzando la situazione con più lucidità possibile: all’altezza delle porte in mithril, le mura non avevano ceduto, tuttavia erano state colpite comunque in modo massiccio. Dovevano cominciare a cercare dall’alto.
    Glorfindel e Faramir la seguirono, interrogando i soldati della retroguardia e quelli che si aggiravano tra i feriti, ma di Elessar non vi era traccia.
    -Vado a cercarlo sulle mura.- Dichiarò lei, il viso rivolto verso l’alto. Glorfindel lanciò uno sguardo ai blocchi di pietra pericolanti che coprivano i camminamenti delle mura, a svariati piedi da terra: non era una buona idea lasciarla andare fin lassù, ancora sanguinante, ma sapeva che non sarebbe comunque riuscito a fermarla.
    -Stai dove posso vederti.- La ammonì, aiutandola ad arrampicarsi sulle rocce cadute. Lei annuì, affaccendandosi contro il muro: era pieno di crepe profonde, poteva scalarlo senza troppi problemi.
    Raggiunse il camminamento, il fiato corto e si voltò a cercare gli occhi dorati di Glorfindel, più in basso.
    Lo sguardo di lui si fece eloquente, senza ammissione di replica: “sta’ attenta, non fare nulla di pericoloso o insensato”.
    Non che lei avesse intenzione di dargli ascolto.
    Faceva caldo, troppo caldo e i colori del tramonto avevano lasciato spazio al blu intenso del cielo notturno, offuscato dal fumo e dalla luce prepotente del fuoco, che ancora ardeva nei Campi del Pelennor, senza controllo. Non si vedevano nemmeno le stelle più luminose.
    Sillen si riscosse quando un soldato la scontrò e la superò velocemente, reggendo una torcia accesa. Lei lo seguì d’istinto, arrancando verso sinistra.
    Un gruppo di soldati stava accalcato attorno ad un ammasso di blocchi di pietra bianca e la stella si fece largo tra loro: -Sto cercando il Re. Qualcuno l’ha visto?- Li apostrofò, cercando i loro sguardi. Questi tenevano gli occhi puntati sulle pietre cadute dalla Torre e un giovane dal viso sporco di sangue le indicò, lentamente: -Lui era lì. Proprio lì.- Sussurrò.
    Sillen fissò a sua volta i blocchi bianchi, sentendo il calore abbandonarle le membra.
    Nonostante il fuoco rendesse l’aria della valle bollente, sentì improvvisamente freddo.
    Si avvicinò alle pietre franate, il volto serio e concentrato. D’impulso, afferrò un blocco con entrambe le mani e cominciò a tirare. Era pesantissimo, troppo pesante ma non si sarebbe fermata. Il sangue sgorgò dalle sue ferite, colando e gocciolando ai suoi piedi in una pozza scura e brillante e i soldati intorno a lei lanciarono grida inorridite: -Mia signora fermati! Serviranno almeno due cavalli per spostarlo! Ti ucciderai così!-
    Lei li ignorò, continuando a tirare, sempre più forte, tendendo tutti i suoi muscoli allo spasimo.
    Perdendo sempre più sangue.
Incredibilmente, il blocco prese a spostarsi.
    -Impossibile…- Sussurrò il giovane soldato, fissandola sconcertato e quasi spaventato da tanta potenza. Sillen gemette per lo sforzo e gli altri soldati spintonarono il compagno rimasto pietrificato, imprecando: -Aiutiamola! Forza!- Molte mani si aggiunsero a quelle della stella e il blocco prese a muoversi, finalmente.
    Sillen nemmeno aspettò che questo fosse messo in sicurezza e si precipitò a cercare sotto le macerie. Scostò con le mani la calce e la polvere, lanciando via pietre e assi di legno, finché le sue dita non incontrarono una consistenza diversa. Si mosse alla cieca, febbrilmente, riconoscendo però la forma di una mano.
    Si alzò di colpo, strappando la torcia dalla mano rigida del giovane soldato, e tornò tra la polvere, illuminando ciò che si trovava davanti a lei. E il suo cuore si fermò bruscamente.
    -Elessar!- Gridò, inginocchiandosi al suo fianco. Cosparso di detriti e sangue, il Re degli Uomini giaceva supino a terra, gli occhi chiusi. Immobile.
    Sillen gli tastò il corpo, levandogli velocemente l’armatura.
    -Elessar, apri gli occhi, ti prego!- Lo scrollò, in preda al panico.
    Ma lui rimaneva immobile, il viso disteso.
    La stella accostò l’orecchio alla sua bocca: respirava, seppur troppo debolmente. Doveva aver sbattuto la testa, il sangue gocciolava dalla nuca e dalla tempia destra e la posizione del suo braccio sinistro era del tutto innaturale.
    Stava morendo.
    Lei si voltò verso i soldati, rimasti a guardarla con il terrore negli occhi: -è ancora vivo ma servono dei curatori, subito!- Ordinò e questi scattarono come molle, lasciandosi andare a esclamazioni speranzose.
    Poi, Sillen tolse a sua volta l’armatura e posò le due spade gemelle di Galion a terra.
    Per quello che stava per fare, doveva essere il più libera e leggera possibile, priva di ogni peso o distrazione.
    Posò le mani sul corpo del Re, respirando a fondo e i suoi occhi di stella brillarono intensamente, luminosi come il sole.
    Le lacrime che sgorgavano da questi parevano gocce di pura luce stellare e le bruciavano le guance.
    Sapeva che i guaritori non sarebbero arrivati abbastanza in fretta, doveva sbrigarsela da sola.
    Lo avrebbe salvato, a qualsiasi costo.
    -Hai capito? Io ti salverò. Ti renderò la Gemma di Eärendil, rivedrai Miniel e la Regina e regnerai per tanti anni ancora, mi hai sentito!?- Singhiozzò, cominciando a trasferire il proprio potere in lui. La collana viola ciondolava sul suo petto, vuota, senza luce ma a Sillen non importava.
    Che la prosciugassero pure della sua energia vitale, Elessar sarebbe sopravvissuto.
    Non fece caso al tremito delle sue mani e continuò l’operazione, imperterrita. Quando sentì le forze abbandonarla e la vista oscurarsi, si tirò un violento schiaffo sul viso.
    -No, no! Non osare!- Urlò, fuori di sé. -Salvalo!- Parlò come se il suo potere avesse coscienza di sé e potesse sentirla: -Non m’interessa di quello stupido destino! Io non ti voglio e mai più ti vorrò, uccidimi pure ma salvalo! Se non lo salvi sarò io ad ucciderti, lo giuro!-
    Continuò anche quando il suo sangue finì per tingere le macerie e la polvere attorno a lei, prosciugandola goccia dopo goccia.
    D’un tratto, Elessar spalancò gli occhi, espirando forte. Lei lo vide sbattere le palpebre e contrarre i muscoli del viso, gemendo dal dolore. Incontrò il suo sguardo limpido, grigio come il mare d’inverno e, per un secondo, scorse in lui la sua stessa luce bianca: -Elessar…- Sussurrò.
    Aveva funzionato, era vivo.
    Era al sicuro.
    Lui sgranò gli occhi, notando lo stato critico in cui la stella versava e si fece forza per tirarsi a sedere. Sillen sorrise, tremando per il sollievo e sentì il mondo vorticarle attorno:
-Scusami, Elessar... è colpa mia, tutta colpa mia...- Gemette. Con un ultimo gesto stanco, la stella chiuse la propria mano su quella del Re, rendendogli la sua preziosa spilla.
    -è stata solo colpa mia…-
    -Sillen!-
    Lei non sentì più nient’altro e crollò su di lui, completamente svuotata.




   



N.d.A

Ebbene sì, sono passati tipo due mesi dall’ultimo aggiornamento. Purtroppo è andata così, mi dispiace davvero! T-T” Non ha senso tediarvi con il perché e il percome non sono più andata avanti per così tanto tempo ma voglio dirvi che adesso va tutto bene e che ho ripreso con grande entusiasmo. Spero possiate perdonarmi per aver lasciato i puntini di sospensione così a caso, senza nemmeno una spiegazione e vi ringrazio già solo per aver aperto il nuovo capitolo, invece che spedirmi direttamente a quel paese (reazione comprensibile: sì Chiara, lo so che volevi insultarmi ma sei troppo un tesssoro XD) :’)
Detto questo, grazie di cuore a tutti coloro che hanno letto, seguito, recensito e aggiunto alle proprie liste questa fanfic e grazie a chi avrà voglia di ri-intraprendere questo percorso insieme a me! <3

Con affetto
e con tanta voglia di andare avanti

Mille baci

Aleera



 
   
 
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