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Autore: A_Typing_Heart    08/08/2020    0 recensioni
«Sto cercando un libro sui vampiri... qualcosa che parli di loro, della loro psicologia... qualcosa che non sia solo letteratura.» disse con una certa delusione interiore: nella sua testa suonava molto meno ridicolo. «Esiste qualcosa del genere?»
«Ovviamente esiste.» rispose lui, con uno sguardo che sembrava brillare di eccitazione. «Posso chiederti come mai ti interessa un argomento così singolare o è una domanda troppo intima per il primo incontro?»
«Mi interessano perché non ne so niente e ne devo prendere uno.»
Qualsiasi altra persona a quella frase avrebbe riso o l'avrebbe preso per matto, ma non quell'uomo, che sorrise se possibile ancora di più.
«Stai cercando quell'assassino, il Vampiro di West End.»
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Crowley Eusford, Ferid Bathory, Krul Tepes, Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La spada di Dio'
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Ferid sbadigliò vistosamente mentre aspettava che la saracinesca elettrica del negozio adornata da un disegno a bomboletta spray si sollevasse abbastanza da consentirgli di entrare dalla porta chinandosi solo un po'. La piazzò alla solita altezza, che lui chiamava "livello Krul" perché era alta a sufficienza per lasciar passare comodamente solo una della sua statura o inferiore, proprio mentre sentiva il rumore di uno scooter che gli era familiare. Si girò e l'uomo con i capelli mori e ricci legati una codina e vistosi tatuaggi sulle braccia si fermò accanto a lui.

«Buongiorno, Ferid.»

«Tempismo perfetto anche stamattina… a volte mi chiedo se non mi spii per sapere quando esco di casa.»

«Forse lo faccio… ma se te lo dicessi perderebbe di… magia.» rispose lui, e gli passò un sacchetto. «Un francese zuccherato e uno shakerato con latte e caramello, giusto?»

«Giusto.» confermò Ferid prendendo la busta con la sua ordinazione. «Grazie, Liam, sei un tesoro~»

«Sì, dillo a Maricela, magari smette di dar retta a quella squinternata isterica di sua madre e torna a casa.»

«Non ti parla ancora?»

Ferid si appoggiò di schiena contro il muro per ascoltare i drammi sentimentali del suo vecchio amico con tutta l’attenzione necessaria.

«Certo che mi parla, ogni volta che telefono ha un nuovo insulto per me.» ribatté Liam, amareggiato, e spense il motore. «Qualche traccia di quel libro? Magari riusciamo a far pace se glielo trovo…»

«Oh, sì, in effetti è in arrivo. Mi hanno garantito che lo consegneranno entro venerdì prossimo.»

«Ah, finalmente una buona notizia…»

«Ma credevo che avreste fatto pace prima che arrivasse, le cose vanno così male?»

«Sul serio, lasciamo perdere per adesso, non ti voglio guastare la giornata coi miei problemi… come se tu non ne avessi.»

«Ma io non ho problemi, William, sono felice come un fringuellino~»

«E lo shakerato con latte? Tu non lo prendi, è per il tuo capo.» osservò lui con sagacia. «Se le prendi il caffè è perché avete litigato per qualcosa… che è successo stavolta?»

«Che vuoi che sia successo? Io sono io e Krul è Krul… litighiamo perché è la reazione più logica per due caratteri come i nostri che entrano in collisione. Come mettere un pacchetto di mentine dentro la Coca Cola.»

«E che hai combinato questa volta?»

«Perché dai per scontato che sono stato io a combinare qualcosa, scusa?»

«L'hai detto tu: come mettere le mentine nella Coca Cola… e se lei è quella che scoppia, tu sei le mentine. Che hai fatto per infilarti nella bottiglia e farla scoppiare?»

Ferid scoppiò in una breve risata, non del tutto priva di amarezza.

«Non ne sono sicuro, ma è così alterata da un po'. Credo che sia gelosa perché c'è un uomo che mi piace e ci ho… flirtato un pochino.»

«Ferid... dai, non fare l'idiota. Non finire come me, che Maricela ormai non si fida più che non guardo nessun'altra. Se ci tieni, tienila stretta.»

«Tenere stretta Krul? Conosco almeno cento modi meno dolorosi di uccidersi e mille ragioni più valide per farlo.»

«Sarà, ma non ti ho mai visto bere tanto come quel cinque luglio.»

Solo un leggero scatto del sopracciglio tradì il suo disappunto per ciò che Liam aveva appena rivangato.

«Le due cose non erano assolutamente correlate.»

«Amico mio, io un gran genio come te non lo sono mai stato. Io al massimo leggo il giornale e solo la prima pagina, forse due; e le grandi cose del mondo le lascio a gente più sveglia di me, ma non sono stupido fino a questo punto.» osservò lui. «Non sei l'unico amico che ho e nemmeno il primo che ho visto reagire in quel modo.»

«Dai troppo peso a quella storia, William… sono serio. Posso averla presa un po' male lì per lì, ma aveva ragione lei. Ah, non dirle che te l'ho detto, gongolerebbe fino alla fine dei tempi se sapesse che le ho dato ragione su qualcosa.»

«Beh, lascia che ti dica un'altra cosa da zotico, anche se ti fa male: tu sei un solitario, e uno dei peggiori che ci siano, mi sa… non ti puoi permettere di perdere il tuo capo. È la cosa che più somiglia a qualcuno che si prende cura di te.»

Ferid rimase interdetto da quel commento, anche perché non si sarebbe mai aspettato che il barista del suo locale preferito arrivasse a dargli consigli di vita. Certo, lo conosceva da quando lavoravano entrambi per la stessa ditta, pertanto da diversi anni; ma fino ad allora non aveva fatto altro che chiacchierare del più e del meno e qualche volta raccogliere una sua confidenza quando l'alcol gli scioglieva un po' troppo la lingua. Raccontarsi i guai con le rispettive donne, Krul e Maricela, era stato il punto di contatto più intimo tra loro.

«Beh, fammi uno squillo se il libro dovesse arrivare questo week end.»

«Non ti trovo domani mattina?»

«Faccio solo il turno serale al locale questo fine settimana, ma se ordini il caffè ho già detto a James, quello nuovo, cosa deve fare.» lo rassicurò William. «Ci vediamo lunedì. Fai il bravo.»

William rimise in moto lo scooter e partì per invertire la marcia e si allontanò nella stessa direzione dalla quale era arrivato. Ferid sospirò pensando che avrebbe volentieri passato l'intera giornata perso nella rilettura di Una vecchia storia irlandese, ma prendersi una giornata con un preavviso così breve avrebbe mandato Krul in bestia come mai prima e purtroppo tra le loro residenze non c'era così tanta distanza da sperare che lei non l'avrebbe percorsa a lunghi passi furenti per venirgli a urlare insulti alla porta.

Si abbassò per passare sotto la saracinesca ed entrò nel negozio, come sempre accolto dal suo caratteristico odore di “libreria magica”, come l'aveva sempre definito. Inspirò profondamente l’odore della carta, dell’incenso e della salvia bianca essiccata.

«Non ci potrebbe essere un posto migliore di questo… se fosse privato, ovviamente.»

Raggiunse il banco della cassa e s'infilò dietro la tenda che nascondeva il retrobottega. Non era nulla di interessante: c'era un attaccapanni per i loro cappotti in inverno, un piccolo frigorifero dove tenere pranzo e bibite, un bollitore elettrico corredato di alcune bustine di tè e caffè solubile e una coppia di tazze. Sul lato destro la scrivania e i raccoglitori che servivano a Krul per il lavoro amministrativo erano stipati in meno di un metro e mezzo.

Diede un'occhiata alla tazza nera, che quando conteneva qualcosa di caldo faceva diventare rosa le sagome stilizzate di svariati pipistrelli: quando l'aveva regalata a Krul per tenerla in negozio l'aveva vista sorridere come una bambina. Era probabilmente l'unica volta in cui l'avesse davvero resa felice.

Mise il bicchiere del caffè shakerato nel frigorifero, dato che il suo irascibile capo non si sarebbe palesato per almeno altre due ore, e portò quello tiepido del suo caffè francese sul piano della cassa, accingendosi a prepararla per la giornata, ma poi notò una piccola spia luminosa che lampeggiava sul telefono del negozio.

«Un messaggio in segreteria? Che rarità.»

Lo era realmente dato che gran parte delle informazioni gli venivano richiesta tramite e-mail o da clienti che passavano di persona in negozio, così si avvicinò il blocchetto per gli appunti e fu con curiosità che premette il pulsante per ascoltarlo. La segreteria gli annunciò che era stato lasciato quella notte, ma non fece in tempo a chiedersi chi potesse essere prima di sentire la voce. La riconobbe all'istante.

«Ahm, uhm… ciao, Ferid… spero che stia ascoltando tu il messaggio, non vorrei metterti di nuovo nei guai con il tuo capo… sono Eusford, della squadra omicidi e… e già lo sai, non so perché te lo dico di nuovo… scusami, il mio cervello va in pappa quando parlo alle segreterie.»

Ferid si ritrovò a sorridere, quasi provando tenerezza nel sentire quell'uomo così impacciato sul nastro. Non lo sentiva né vedeva da tre settimane dopo quel bacio mancato di pochissimo e si chiese se l'imbarazzo di allora non avesse peggiorato l'agitazione del poliziotto.

«Il punto è che… sai che cosa sta succedendo con il Vampiro, immagino… io… non so come dirtelo, ma…»

Ferid prese un sorso di caffè e si appoggiò al bordo del bancone guardando il telefono, divertito come se avesse quel bell’uomo di fronte e potesse vederlo annaspare, esitare e distogliere lo sguardo alla ricerca di un aiuto.

«Ho bisogno del tuo aiuto. Nessuno di noi riesce a capire, a prevedere… nessuno di noi riesce a pensare come il Vampiro di West End, e ho bisogno di qualcuno che sappia pensare nello stesso modo straordinario. Per favore, Ferid, puoi aiutarmi? Se solo potessi venire in centrale a Satbury a parlare con noi, a darmi la tua opinione... per aiutarmi a vedere con altri occhi… sarebbe davvero apprezzato. Appena puoi, per favore, richiamami. Ti lascio il mio numero…»

La voce di Crowley scandì due volte il numero di telefono e Ferid lo scrisse sul blocchetto.

«Non avrei voluto chiederti questo dopo tutto quello che hai fatto per me, ma… sei la mia ultima possibilità. Richiamami presto.»

Ferid smise di sorridere e riascoltò il messaggio dall'inizio, concentrato sulle sue parole più che sul suo tono incerto. Sentì di nuovo la sua richiesta e non se ne stupì meno della prima volta: voleva davvero che lo aiutasse a prevedere le mosse di un assassino seriale?

Disattivò la segreteria e prese un altro sorso di caffè. Il Vampiro di West End era veramente qualcuno che si credeva un vampiro? Le informazioni date dai giornali parlavano di massicce carenze di sangue nei bambini ritrovati, ma da qui a credere che lui potesse riuscire a prevedere le mosse di un suo simile il passo era lungo.

E poi non sono un vero vampiro, perciò… beh, posso solo pensare che la mia conoscenza in merito possa far luce su qualche dettaglio. O che vogliano vedere se mi tradisco per arrestarmi.

«Devi essere disperato in entrambi i casi, detective Eusford… beh, per rivederti vale la pena anche di rischiare un’incriminazione per omicidio plurimo~»

Sollevò la cornetta del telefono e digitò il numero, dando un'occhiata fugace all'orologio. Era certo un orario sgradevole per ricevere una telefonata, ma non poteva farne a meno. Attese impaziente diversi squilli, tamburellando le dita sul bancone, e alla fine uno scatto anticipò una voce ancora impastata dal sonno.

«Pronto…»

«Buongiorno, Principessa~»

«Cosa… cosa c'è? È successo qualcosa in negozio? Una vetrina?»

«Una vetrina cosa?» domandò Ferid, momentaneamente spiazzato.

«Si è di nuovo bloccato il registratore di cassa?»

«No… Krul…»

«È venuto un controllo dell'immigrazione?! Parla!»

«Ci stavo provando, ma non me lo lasci fare!» obiettò Ferid. «E non è successo nulla al negozio, rilassati…»

La sentì sospirare sonoramente.

«Non spaventarmi in questo modo…»

«Ti è passato quel mal di testa di ieri?» le domandò lui, iniziando a rigirarsi la penna fra le dita. «Ti ho preso un caffè freddo con il latte e il caramello amaro come piace a te~ vuoi che te lo porti a letto? Ci metto tre minuti a venire a casa tua~»

«Certo, vieni. Puoi lasciarlo davanti alla porta e andartene.»

«Non importa quanto faccia caldo, tu resti sempre gelida… ma fa parte del tuo fascino, immagino…»

Krul non rispose ma Ferid riuscì a sentire una serie di rumori come una porta e dei fruscii, il che lo indusse a credere che avesse messo il vivavoce. Ne ebbe conferma quando parlò di nuovo e sentì l'eco della propria voce.

«Hai messo il vivavoce? Come mai? Sei in bagno, Krul?»

«Anche se lo fossi non te lo direi di certo, pervertito.»

«Pervertito? Sarei un pervertito se ti chiedessi di farmi sentire il rumore mentre fai pipì. Questo che sarebbe da pervertiti.»

«Se non devi dirmi niente metti giù, pago io il conto del telefono del negozio.»

Un rumore di acqua e un cigolio gli lasciarono intuire che stava riempiendo la vasca da bagno con i piedini a forma di serpente, un pezzo di casa sua del quale era troppo orgogliosa per non averglielo mostrato nella precedente occasione in cui era stato invitato a superare la porta.

«Quando hai risposto eri ancora a letto, vero? Avevi la voce assonnata… porti quella camicetta bianca, per caso?»

«Non te lo direi se la portassi.»

«O te la sei tolta adesso per fare il bagno?»

«Idem come sopra.»

Sarà stata solo un’impressione, ma Ferid aveva sempre la sensazione che Krul si divertisse a stroncare quelle che lei definiva “frasi da Casanova” molto più di quanto non volesse ammettere, tanto che non gli attaccava mai il telefono in faccia in momenti simili.

«Mi fa piacere che la metti ancora. Dopotutto io ho buon gusto nel farti dei regali, non puoi negarlo.»

«Non lo negherò.»

«E poi il bianco ti dona. Quando dormi con quell’aria beata e la camicetta bianca nel tuo letto a baldacchino sembri l’angelo che non sei.»

«FERID!»

La vaga nota di panico nella voce di Krul gli era sconosciuta. L'aveva vista indifferente, irritata, furiosa, persino triste e confusa, ma mai l'aveva vista spaventata da qualcosa o qualcuno nei sette anni che aveva passato alle sue dipendenze. Fu sorpreso tanto da non riuscire a chiederle niente quando sentì una voce maschile parlare.

«Krul, che cosa diavolo sta dicendo?!»

«Non sta dicendo niente, sta solo provocando!»

«Co… Krul? Chi c'è con te?»

«Chi è questo tizio?!»

«…Ma chi sei tu.» replicò secco Ferid.

«Non peggiorare le cose, Ferid!»

«Chi è questo Ferid?!»

«Ehi, dammi il telefono!»

«Non ti avvicinare a mia sorella!»

Sorella?

Ferid ebbe l'insensato istinto di guardare la cornetta, come se potesse rimandargli un'immagine di questo misterioso uomo, ma ovviamente non poteva quindi la riaccostò all'orecchio. Li sentì scambiarsi qualche battuta dai toni decisamente accesi e tacque, rovistando nella memoria alla ricerca di una volta in cui Krul gli avesse detto di avere un fratello. Non trovò neanche un vago accenno.

«Se non è nessuno dimmi chi è!» gridò la voce del ragazzo, tanto vicina al microfono da farlo sobbalzare.

«Non te lo dico perché non sono comunque affari tuoi, Ash.» ribatté Krul, feroce. «Se voglio un uomo me lo prendo, e non chiedo certo il permesso a te. Né a nessun altro, e tu puoi risparmiare il fiato perché i tuoi urli non servono a farmi tornare vergine.»

Ferid emise un sottilissimo fischio a quel commento, ma non disse nulla. Seguì un silenzio e poi un tonfo.

«Tch. Che idiota.»

«È stato davvero brutale, Krul.»

«Con lui è sempre così, se non gli sbatti le cose in faccia non le capisce.» rispose lei. «E comunque è colpa tua… dire quelle cose sulla mia camicia e il mio letto, sei pazzo?»

«Come facevo a sapere che c'è un uomo in casa con te alle sei di mattina? Non lo sapevo che vivevi con tuo fratello!»

«Non viviamo insieme, è venuto a trovarmi per questo week end, lui vive in California.»

«A maggior ragione, come potevo…»

«Che cosa vuoi, Ferid? Hai telefonato a quest'ora solo per fare il romantico? Perché io non sono una Giulietta e tu non sei Romeo.»

Ferid prese un gran sospiro ma non rinunciò a sorridere, anche se con un vago senso di amarezza.

«Dovresti sostituirmi in negozio oggi…»

«Ed è ovvio che dopo questo brusco risveglio la risposta è no.»

«Krul, non sono capricci. Sono convocato al distretto di polizia.»

«Certo, dal tuo detective, immagino!»

Ebbe l’impressione, anche se piuttosto vaga, che il suo tono si fosse ulteriormente inacidito.

«Sì. Dal detective Eusford alla squadra omicidi.» confermò lui con la massima serietà. «Ora… mi sostituisci o devo lasciare chiuso il negozio?»

«… Stai dicendo sul serio?»

«Sì, sono serio.»

«Perché devi andarci?» domandò lei con una velata agitazione. «Sei nei guai? Non penseranno che tu… sia…»

«Se lo pensano non me lo vengono certo a dire… ma vogliono farmi qualche domanda. Capisci che devo andarci?»

«Sì… io… apro io il negozio.»

«Grazie.» le disse, ed esitò un po' a proseguire. «Scusami per prima, con tuo fratello. Non volevo farti litigare con lui.»

«È uno stupido. Gli passerà. In ogni caso, io faccio quello che mi pare con chi mi pare e non è affar suo.»

«Capisco. Meglio così. Allora mi preparo per andare.»

«Ferid.»

Fermò il dito sul tasto della linea appena prima di chiudere la telefonata, con un certo stupore.

«Sì, Principessa?»

«Quando… torni a casa o… beh, fammi sapere qualcosa.»

«Sei preoccupata?»

«Voglio sapere se ti sbattono a Coniston.»

«Così mi porterai una torta con una lima dentro? La voglio alle mele. La torta, non la lima.»

«Così so se devo trovare un altro impiegato.»

«Non mi sbatteranno a Coniston… o almeno, me lo auguro. L'arancione è un colore che fa a pugni con la mia pelle d'alabastro.»

«Beh, non smetto di sperare.»

Questa volta fu Krul a interrompere la chiamata. Ferid sospirò, mise giù la cornetta e si lasciò trasportare dalla corrente di pensieri torbidi per qualche istante fissando lo sguardo sulle piume di un acchiappa-sogni appeso al soffitto. Poi, così come si era perso, si riebbe del tutto e scrisse un biglietto per Krul, che appiccicò sul display del registratore di cassa. Rilesse le parole che vi aveva scritto in bella calligrafia, goditi il tuo caffè nel frigorifero, poi prese quello dove aveva trascritto il numero di Crowley Eusford infilandolo in tasca.

«Dovrei proprio cambiarmi d'abito… non posso certo presentarmi al distretto conciato in questo modo.» considerò, guardando i propri abiti nel riflesso della teca più vicina. «Dopotutto è un'occasione speciale… nessun uomo mi aveva mai chiesto di richiamarlo con tanta premura.»

 

 

Crowley si alzò dalla sedia malconcia di una sala riunioni del dipartimento solo per andare a versarsi un altro goccio di pessimo caffè a temperatura ambiente dalla caraffa che avevano posato in cima a uno schedario per mancanza di spazio sul tavolo. Durante tutto il tragitto distolse lo sguardo dal suo cellulare solo per assicurarsi di centrare la tazza versando, ma quello rimase buio e silenzioso fino al suo ritorno. Si sedette di nuovo con un gran sospiro che De Stasio classificò all'istante come non normale.

«Che succede, Crowley…? Vedo che fissi il telefono, aspetti notizie da casa o qualcosa del genere?»

«Ah… sì e no… aspettavo una chiamata, ma… niente di grave.»

«Mh, capisco…»

Prese un sorso di caffè disgustoso e si ritrovò a chiedersi che cosa gli avrebbero detto il suo stomaco o la sua lingua se avessero potuto articolare una protesta, ma quel suo stupido pensiero e il resoconto della testimonianza che De Stasio stava facendo furono interrotti da un un rumore insolitamente forte di sedie spostate e passi, oltre a qualche voce sovreccitata rara da sentire in centrale. L'uomo di origini italiane si voltò per guardare dal vetro alle sue spalle e Crowley notò che i due agenti alle scrivanie visibili si erano alzati andando all'ingresso.

I due ex compagni si scambiarono uno sguardo perplesso e poi si alzarono per andare a vedere cosa stesse succedendo, senza dirsi una parola. Crowley, che uscì per primo, notò che alcuni agenti erano schierati davanti all'ingresso come se si aspettassero un rapinatore armato.

«Vi ho già detto che non c'era nessuno a perquisirmi di sotto. Che cosa credete che sia, un terrorista?»

Crowley trattenne il respiro e si avvicinò alla piccola folla che si era accalcata, e a quel punto intravide un viso familiare con lunghi capelli color argento.

«Sono stato convocato dal detective Crowley Eusford, potete almeno dirgli che sono qui?»

«Ferid!»

Ferid distolse lo sguardo dall'agente che gli stava impedendo l'accesso e puntò gli occhi rossi su di lui. Un attimo dopo esibì un ampio sorriso.

«Ah, eccoti, detective… potresti dire a questi signori che mi hai chiamato tu? Sembra che in questo paese sia diventato un problema presentarsi quando hai un nome arabo.»

«Sì… Harry, è vero, gli ho chiesto io di venire… è a posto.»

«Grazie davvero. Sentito? Comunque, per farvelo sapere, sono ungherese

Tre agenti decisero che era il caso di tornare al lavoro o almeno di non far notare ai loro superiori che fossero troppo interessati a quell'insolita apparizione, e solo allora Crowley ebbe un violento colpo d'occhio della figura intera di Ferid. Senza riuscire a battere le palpebre né a distogliere lo sguardo studiò i suoi stivali di pelle lucida dal tacco vertiginoso e acuminato, alti fin sopra le ginocchia e chiusi da nastri neri intrecciati lunghi probabilmente quanto un intestino umano; i suoi pantaloni stretti chiusi davanti con un intreccio di lacci simile a quello di un paio di scarpe stringate, la maglia aderente dalle maniche lunghe che avvolgeva il suo busto e le braccia e la bizzarra mantella che gli copriva il petto e dietro l'intera schiena. Avesse avuto una falce in mano sarebbe potuto passare per un Triste Mietitore di tutto rispetto, dato che era completamente in nero dai tacchi agli orecchini.

Ferid si tolse il mantello con uno svolazzo, mostrando a tutti i presenti che la sua maglia gli lasciava completamente scoperta una spalla con il suo taglio asimmetrico, e apparentemente ignaro dell'effetto che faceva su tutti porse la sua cappa a Gillespie.

«Posso lasciarlo a te?»

«Ah… sì, certo.»

«Grazie… con una certa cura, per favore. Non vorrei si stropicciasse.»

Il piccolo sipario diede a Crowley il tempo di riprendersi dal lieve shock del suo abbigliamento, molto più estremo e appariscente di quelli che aveva esibito in sua presenza al negozio. Quando i loro occhi si incontrarono di nuovo gli sorrise, perché aveva focalizzato qualcosa di molto più importante dei suoi vestiti: aveva ascoltato il suo messaggio, era venuto da lui e aveva una possibilità in più di risolvere il mistero.

«Non hai idea di quanto sia felice che tu sia qui.»

«Oh, credimi, si vede~»

«Prego, eravamo giusto in riunione… da questa parte.»

Crowley gli sfiorò la schiena senza riflettere mentre indicava la prima porta del corridoio e non associò a quel gesto l'aria infastidita sulla faccia di Horn. Gli occhi di diverso colore di lei incrociarono quelli rossi di Ferid; vide solo per un attimo il viso di lui ma Crowley capì all'istante che la situazione della sua squadra omicidi si era appena complicata: per motivi che non comprese, si detestavano.

«Oh, quasi dimenticavo… si potrebbe forse avere del caffè?»

«Ah, certamente… De Stasio, puoi…?»

«Certo, torno subito.»

De Stasio oltrepassò la porta della sala riunioni mentre Ferid ci si fermò davanti, guardando il poliziotto italiano con un'aria profondamente rapita. Crowley se ne accorse solo quando entrò e non sentì i suoi tacchi seguire i suoi passi. Fu piuttosto sorpreso di vederlo così assorto nella contemplazione del suo collega, almeno finché Ferid non si decise a dare voce ai suoi pensieri.

«Non sapevo che fosse un tuo collega, detective…»

«Lo conosci?»

«Sì. È venuto in negozio una volta a dirmi cose un po' strane… oh, ma certo.» disse lui, con un sorriso. «Sei stato tu a mandarlo da me, vero? Volevi sapere se ti avrei tradito con un altro uomo affascinante?»

Crowley notò con la vista periferica l'espressione glaciale di Horn, che guardava Ferid come avrebbe guardato una carogna divorata dai parassiti davanti alla porta di casa sua. Il piccolo problema poteva diventare un grosso problema se i suoi due consulenti si prendevano in antipatia reciproca, specialmente se lo facevano perché sentivano di essere in competizione per lo stesso uomo… che fondamentalmente non desiderava nessuno dei due.

«Non vedo come tu possa tradirmi, visto che non abbiamo nessun genere di relazione amorosa… De Stasio che io sappia è interessato alle donne, ma comunque è single. Se ti interessa sentiti pure libero di corteggiarlo come ti pare e piace.»

«Mh, single un uomo come quello? Di sicuro lavora troppo, non c'è altra spiegazione.»

Ferid si sporse per guardare lungo il corridoio alla ricerca dell'avvenente detective. Evidentemente non ne trovò traccia, perché rientrò nella stanza e mosse qualche passo verso il tavolo. Il suo sguardo venne catturato dalla moltitudine di fogli sparpagliati lì sopra, quello di Crowley invece fu attratto dai fiocchi annodati con precisione millimetrica sulla sommità degli stivali, che così alti gli facevano sembrare le gambe lunghe come quelle di una modella. Ma di certo non avevano l'eleganza adatta a una passerella d'alta moda.

«Belli i tuoi stivali da squillo, Ferid.»

Non aveva intenzione di commentare così brutalmente, ma almeno riuscì a strappare un accenno di sorriso a Horn. Ferid lo guardò per un attimo con stupore, poi sorrise anche lui. Girò intorno al tavolo, sollevò la gamba e poggiò suola e tacco affilato sul bracciolo della sua sedia con la disinvoltura di una spogliarellista che provoca un cliente facoltoso. Crowley non sapeva se sentirsi offeso o lusingato da quell'atteggiamento.

«Mica male, eh? Guardali pure da vicino~»

«Ferid... tu non fai servizio escort, vero?»

«Se lo facessi vorresti sapere la mia tariffa?»

Avrebbe dovuto evitare questo tipo di provocazione per svariati motivi: poteva dare a Ferid l'idea che fosse interessato a lui, avrebbe plausibilmente indispettito Horn, era sul posto di lavoro, rischiava di essere ripreso da De Stasio o peggio dal tenente, poteva anche irritare Ferid al punto da farlo tornare sulla decisione di aiutarlo… ma non riuscì a resistere alla curiosità. Posò la mano sullo stivale all'altezza della caviglia e passò il pollice sul lato interno verso l'alto, poi sull'interno della coscia.

Porca miseria, non c'è una cerniera. Li ha davvero infilati e allacciati, ma quanto ci ha messo a indossarli?

Soddisfatto di essersi tolto il dubbio e divertito nell'immaginarlo a stringere quei lacci e infiocchettarli, sorrise e alzò gli occhi sul suo viso.

«Se lo facessi vorrei sapere tutto, e chiamerei anche un mio amico.»

«È affascinante quanto te?»

«In realtà no, ma lavora alla buoncostume.»

Ferid accusò il colpo per una frazione di secondo, ma poi il suo sorriso tornò smagliante e abbassò la gamba troppo lentamente per non essere una manovra voluta.

«Presentami a tutti i tuoi amici, non importa se non sono tutti aitanti come te e il tuo collega qui fuori…»

Crowley lo guardò perplesso, chiedendosi se intendesse dire davvero quello che aveva capito o se la sua peggiore mentalità malpensante stava galoppando. Il ritorno di De Stasio fu provvidenziale per tirarlo fuori dall'imbarazzo dell'incertezza, ma gli rimase il dubbio annidato nella mente.

De Stasio, non notando o forse ignorando intenzionalmente l'atmosfera tesa della sala, sorrise e porse una tazza di caffè a Ferid.

«Alla fine ci siamo rivisti, Ferid.» lo salutò. «Latte e zucchero?»

«Solo zucchero… oh, abbonda con quello, mi piace dolce.» gli disse Ferid mentre gliene aggiungeva diverse dosi. «Ah, basta così… grazie, Dante. Sei gentilissimo.»

Crowley fu piuttosto sbalordito che De Stasio avesse detto il suo nome a qualcuno di completamente estraneo e che quell'uomo estraneo lo usasse con tanta confidenza, dato che nemmeno lui – che lo conosceva oramai da svariati anni – aveva mai avuto l'ardire di chiamarlo Dante. Cosa che a quanto ne sapeva non faceva nemmeno De Stasio senior, Francesco, che lo chiamava per cognome come un conoscente qualunque. Anche vedere De Stasio sorridere cordialmente non era abituale.

Certo ne avete di confidenza per esservi visti una volta soltanto. Il tuo collo dev'essere un capolavoro, De Stasio.

«Beh… mi pare di capire che vi conoscete già abbastanza bene.» commentò, sorpreso di sentire la propria voce così mesta.

«So che risponde al nome di Ferid Bathory, che lavora in una libreria e che… ha un buon naso.»

Quell'affermazione gli giunse del tutto incomprensibile, ma strappò un accenno di risata a Ferid.

«Dante… De Stasio, è giusto? Ora so che lavoro fai.»

«Non proprio, sono in prestito alla squadra omicidi. Lavoro per la narcotici.»

«Ah, una volta ho visto un'operazione della narcotici in un capannone del South River!» esclamò lui allegro. «Avevano i giubbotti antiproiettile, la giacca con la sigla e dei fucili lunghi così~ erano proprio sexy~»

«Tu non eri dentro il capannone, eh, Ferid?» domandò Crowley, senza riuscire a trattenersi.

«Purtroppo no~»

De Stasio si accigliò senza capire quel commento e Crowley si trovò a sorridere divertito ripensando a quello che Ferid gli aveva detto il primo giorno riguardo manette e manganelli.

«Ah, niente… probabilmente gli dispiace non essere stato buttato a terra da poliziotti bardati, ammanettato e preso a manganellate.»

«Prima o poi riuscirò a farmi arrestare in grande stile, e sarà il giorno più bello della mia vita~»

«Fidanzati con un poliziotto o con uno a cui piacerebbe giocare con te a guardie e ladri, piuttosto che farti arrestare per davvero…»

«Oh, è vero! Dante, tu ce l'hai un manganello?»

«In effetti uno ce l'ho, ma non so se è dello stesso tipo che vuoi.»

Le ironie di De Stasio si potevano contare sulle dita delle mani nel corso di un anno, ma di battute a sfondo sessuale Crowley non ne ricordava neanche una e per questo l'osservò basito esattamente come avrebbe fatto se un mattino avesse trovato l'intero dipartimento in tutù rosa.

La cosa che meno si spiegò fu che Ferid lo stava guardando quasi altrettanto sconvolto e sembrava aver perso le parole; a quel punto il poliziotto irlandese capì che aveva avuto ragione a inquadrarlo come un fuoco di paglia: se l'oggetto delle sue avances gli rispondeva con provocazioni dello stesso tipo si trovava senza difese. Si affrettò ad andargli in soccorso.

«Che ne dite se ci mettiamo al lavoro, adesso? Ferid, a te piace leggere, e qui ho un sacco di cose da farti leggere…»

Cercò di raccapezzarsi tra le carte sparse, ma erano finite ovunque.

«Horn, per cortesia, aiutami a… ah, non vi ho presentati… Horn Skuld, profiler in prestito dall'FBI… questo l'avrai capito, è Ferid Bathory, ed è… beh, il nostro consulente speciale.»

«Eh?» fecero in coro lei e De Stasio.

«Sì, beh, è il Vampiro di West End che dobbiamo prendere, no? Ora ne abbiamo uno anche noi.» tagliò corto lui, e ficcò i rapporti nelle cartelline. «È un suo simile, saprà dirci qualcosa che non capiamo.»

«Crowley… sei serio?»

«Sono serio come un infarto, e se qualcuno ha delle rimostranze vada dal capitano a presentargliele, così ne dico quattro anche a lui. Mi taglia le risorse, da qualche parte dovrò pur attingerle.»

Sapeva benissimo che Horn lo stava prendendo per matto, anche se dall'alto della sua elevata istruzione in materia di malattie mentali gli avrebbe affibbiato un'etichetta più precisa; si rendeva conto che sembrava una follia, ma c'era un'unica questione da considerare: non avevano niente, nemmeno con il profiling dell'FBI, quindi sarebbe andato a bussare anche al portone di un castello transilvano per impedire ad altri bambini di morire. Era pronto a dirglielo, ma nessuno dei due colleghi aggiunse nulla e Horn riordinò alcuni fascicoli.

«Ecco… d'accordo, Ferid, so che sono un mucchio di carte, ma dopotutto stiamo indagando da febbraio… troverai le deposizioni di chi ha trovato i bambini, i verbali dei sopralluoghi, i risultati delle analisi della scientifica e i referti del medico legale… se ti disturbano questi dettagli posso…»

«Non serve, grazie. Ho un alto grado di tolleranza per queste cose.»

«D'accordo… allora, comincia dall'inizio… non possiamo farti una copia da portare a casa, comunque puoi riprendere domani da dove ti sei fermato.»

«Domani?»

Ferid si sedette lanciandogli uno sguardo vagamente stupito e Crowley si accorse di quello che aveva appena detto.

«Ah, scusami, sei al lavoro? Quando pensi di poter tornare?»

«Detective Eusford, ti prego… mi hai chiamato perché sai che posso essere persino più sensazionale di quanto pensi… ora, da bravo, lasciami leggere. Voi potete discutere le vostre cose da poliziotti, non mi date fastidio.»

Detto ciò prese il fascicolo in cima alla pila, si appoggiò contro lo schienale, accavallò le gambe appoggiandovi le carte sopra e iniziò a leggere. Crowley fu rapito da quanto velocemente i suoi occhi si muovevano avanti e indietro e in pochi secondi aveva già sfogliato la prima pagina. De Stasio attirò la sua attenzione con un colpetto di tosse e Crowley si sentì proprio come quando al liceo George gli mostrava fumetti o riviste sotto il banco e il loro insegnante li richiamava tossicchiando con insistenza.

«Prima che ci interrompessero, stavo dicendo che ho parlato con il proprietario del negozio di alimentari…»

«Ah, sì, che cosa ha detto?»

De Stasio sedette al tavolo e Horn lo imitò, poi iniziò a parlare di alcuni problemi del quartiere che avevano causato il tragico ammanco di telecamere di sorveglianza sul luogo dell'ultimo rapimento del Vampiro. A un certo punto si bloccò a metà frase con aria irritata puntata proprio su di lui.

«Crowley, perché non andiamo nell'altra sala e lasciamo Ferid a leggere in pace?»

«Ah… beh… d'accordo, sì.»

Non capiva perché avesse tanta urgenza di lasciarlo solo dato che era stato chiaro nel dire che le voci di altri non gli davano fastidio; arrivò a chiedersi se dai commercianti della zona non fosse arrivata qualche informazione spinosa a carico di Ferid che non voleva che sentisse in anteprima, ma De Stasio sedutosi al nuovo tavolo riprese esattamente dallo stesso punto senza rivelare nulla di compromettente. Attese qualche secondo la bomba che aveva temuto, ma non arrivò altro che uno sguardo confuso di De Stasio.

«Che c'è?»

«Scusa, ma perché non volevi farglielo sentire?»

«Non ho cambiato stanza perché non volevo fargli sentire qualcosa.» replicò il collega. «Eri tu a darmi sui nervi.»

«… Io?»

«Continuavi a spostare gli occhi da me a lui ogni volta che girava una pagina. Non te ne sei accorto?»

«Cosa? Davvero?»

«Sì, sembravi uno che assiste a una partita di ping pong… tu l'hai visto, Skuld?»

«Sì, lo stavi facendo, Crowley.»

«Ma dai, davvero?» chiese di nuovo, vagamente divertito. «Non me ne sono accorto per niente! Dev'essere la sua ipnosi.»

«La sua cosa?»

«Ipnosi. È una cosa che fanno i vampiri per attirare le loro prede fuori di casa, perché non possono entrare se non li inviti a farlo.»

«Crowley… sul serio, non è che stai avendo dei disturbi per colpa di quei proiettili?» domandò Horn.

«Ferid è un vampiro, dopotutto.»

«Un vampiro a cui ho appena portato un caffè?»

«Un caffè che non ha nemmeno toccato, De Stasio. È normale. Lo fa per sembrare come te e me.»

«Lui è come te e me… beh, con qualche rotella in meno, ma…»

«Non importa, non lo capite? Ferid è quello che crede di essere. Dategli corda e vedrete. Fidatevi del mio istinto.»

«Mi stai chiedendo di parlare a quello svitato come se fosse un vampiro vero?» domandò Horn con un tono freddo che sfumava nell'indignazione. «Se io credessi ai vampiri, e non ci credo, lui sarebbe un insulto alle mie convinzioni.»

«Svitato, eh? Da te mi aspettavo una classificazione più accurata, Horn.»

«Potrei dirti che è un narcisista con sindrome istrionica di personalità, ti risulterebbe più chiaro?»

«Sindrome istrionica, uh? Suona bene su di lui.»

«Crowley, per favore, ascoltami.» disse Horn, cambiando del tutto il tono. «Perché l'hai voluto qui? Hai dei validi poliziotti, hai me… perché hai chiesto a un civile di leggere dei rapporti di polizia? Cosa pensi che ti possa dire che noi non possiamo capire?»

«Se lo sapessi non avrei bisogno di lui… Horn, ascoltami tu per un minuto.» le disse quando cercò di interromperlo. «L'ho chiamato proprio per questo: perché lui non è come noi, non è come te… pensa in modo diverso. Conosce un sacco di cose, compresa mitologia, esoterismo, campi di cui noi non ci interessiamo perché le consideriamo idiozie per mitomani. È un uomo intelligente, ed è speciale. Non è un ritardato con strane manie.»

De Stasio tacque passandosi le dita sulla corta barba mentre Horn unì le mani e cambiò sguardo. Crowley capì immediatamente che da collega era appena passato a paziente; difatti la sua analisi non tardò ad arrivare.

«Quello che parla è il poliziotto che cerca un assassino o il poliziotto che è stato salvato da un oggetto che quell'uomo gli ha dato?»

«L'amuleto che mi ha dato mi ha impedito di andare al Creatore prima del tempo. Quindi? L'ho conosciuto. È strano, è imprevedibile, è intelligente, ha una memoria incredibile e ha anche uno spirito d'osservazione sbalorditivo.» snocciolò Crowley, convinto ma molto tranquillo. «Sbatte in faccia agli uomini il suo interesse sessuale per loro, ma questo non è né un crimine né un difetto, è un suo modo di fare che credo non corrisponda nemmeno alla sua reale personalità. Se ha un ritardo è sicuramente quello sociale visto come tende ad approcciarsi agli altri, ma è il prezzo che paga per la sua stravaganza; vive in un mondo in cui regna il conformismo e l’essere diversi è un dono svilito.»

Horn non replicò anche se era fin troppo ovvio che volesse farlo, ma De Stasio accennò un sorriso.

«Apologia di Ferid, di Crowley O'Brian Eusford. Prossimamente in tutte le librerie, non solo quelle del West End.»

«Ho un po' esagerato, eh?» chiese Crowley con un sorriso vagamente imbarazzato.

«Forse, ma mi hai convinto. In fondo non può farci alcun danno avere un punto di vista nuovo, ma ricordiamoci di dirgli di non sbandierare in giro quello che scopre quando è qui.»

«Tu, Horn? Sei convinta almeno un po'?»

Horn si mosse nervosamente sulla sedia, ma prima che potesse parlare qualcuno bussò sul vetro della porta. Ferid aveva un'aria seria che portò Crowley ad andare ad aprirgli la porta con insolita fretta.

«Che c'è, Ferid? Perché quella faccia scura?»

«Mi mancano ancora due fascicoli, ma devo dirti qualcosa.»

Era scioccante che fosse riuscito a leggere cinque fascicoli completi in poco più di quindici minuti, ma era molto più interessato a quel qualcosa per pensarci.

«Sarebbe?»

«Beh, che il Vampiro di West End non è un vampiro.» sentenziò lui. «Voglio dire… a noi non interessa prendere gli organi interni di qualcuno. Non li mangiamo, non ci sono di alcuna utilità. Al massimo certi vampiri interessati alla magia prendono ossa dai sepolcri e ne ricavano piccoli oggetti esoterici, ma non siamo degli esibizionisti. Te l'ho detto che preferiamo passare inosservati.»

«Ma ci mette delle ore per dissanguare i bambini… che cosa… cosa pensi che sia?»

«Onestamente? Un impostore.»

«Questo… vuol dire che non puoi aiutarmi, Ferid?»

«Questo non lo so ancora… posso vedere le foto dei bambini?»

«Oh… non erano nei fascicoli? Le abbiamo spostate? De Stasio?»

«Le abbiamo attaccate alla lavagna vicino alla tua scrivania, ricordi?»

«Ah, è vero… vieni, te le faccio vedere.»

Si avviò nel corridoio seguito da Ferid e, dopo un’occhiata tra i due come a cercare l’intesa, sia da De Stasio che da Horn. Ferid calamitò istantaneamente l'attenzione di tutte le persone nell'open office, compresi testimoni e avventori: impossibile stabilire se per l'abbigliamento sopra le righe o semplicemente perché tutti si chiedevano come potesse non stare sciogliendosi dato il caldo afoso.

«Ecco… sono in ordine cronologico… questa è Sarah, poi Sophie, e...»

«Neva.»

La voce con cui Ferid disse quel nome stupì Crowley, che per un attimo non fu nemmeno sicuro che fosse stato lui a pronunciarlo: era una voce del tutto priva dei consueti artifici, simile a quella che aveva registrato, ma se possibile ancora più pura e carica di grande sofferenza concentrata in sole due sillabe.

Le palpebre di Ferid sbatterono più volte mentre distoglieva lo sguardo dalla foto della bambina biondissima per un attimo prima di passare alle lentiggini e ai rossi capelli di Gaia; fu un attimo soltanto ma rimase impresso nella mente di Crowley come marchiato a fuoco.

Quando scorse tutte le fotografie quella sua debolezza sembrava svanita, ma non la sensazione che aveva dato all'irlandese. Quanto a Horn, lo fissava come un cane da caccia che punta una tana di coniglio. Ferid incrociò le braccia e spostò il peso su un piede. Da detective Crowley li interpretò come segnali di nervosismo: stava cercando di sottrarsi da qualcosa, di proteggersi da una minaccia o da un dolore.

De Stasio notò le stesse cose e si avvicinò alla lavagna. Senza un fiato ma con gesti risoluti attaccò sotto i ritratti le cruente fotografie dei ritrovamenti. Crowley lo guardò ma non fece nulla per impedirglielo.

Brutale, ma immagino fosse necessario.

Puntò gli occhi blu su Ferid scoprendo che aveva detto una cosa vera: aveva lo stomaco forte per un uomo che presumibilmente non aveva mai visto cadaveri o brutte ferite. Guardare bambini mortalmente pallidi, esangui, con uno squarcio scuro nel petto non era facile nemmeno per i membri della squadra omicidi. Tirò un sorriso che colse di sorpresa tutti e tre.

«Dopotutto, sembra che ti potrò aiutare.»

«Che cosa hai visto?»

«Non avete trovato alcun collegamento tra i bambini, vero?»

«Nemmeno l'ombra.» confermò De Stasio.

«Beh, io ne ho uno.»

«Quale?»

Crowley lanciò un'occhiata alle foto, chiedendosi se fosse davvero così tanto ovvio da poter essere visto subito, ma poi guardò Ferid e si accorse che il suo sorriso era del tutto privo di allegria.

«Sono io.» disse, e indicò le foto con un cenno della mano. «Li conosco. Li ho conosciuti tutti.»

Per un attimo la rivelazione lo lasciò ammutolito, così come lasciò senza parole l'investigatore italiano e la profiler. Scambiò un'occhiata confusa con loro, poi tornò a guardare lui. Aveva ancora quel sorriso di mascheratura del tutto privo di gioia.

«Ferid… tu… tu mi avevi detto di non avere niente a che fare con le bambine… ricordi di avermelo detto quando sono venuto a registrare la tua voce?»

«Certo che lo ricordo, ma non ti ho detto che non le avevo mai viste… ho detto che non avevo fatto loro niente che tu dovessi sapere.» precisò Ferid. «E poi non sapevo di conoscerli tutti quanti… non sapevo il nome di nessuno di loro, a parte quello di Neva.»

«Che rapporto avevi con questi bambini? Nessuno dei loro parenti ti ha mai nominato.»

«Come ho già detto, Dante, non conoscevo nessuno di loro così bene, e loro non mi ricordavano nemmeno, probabilmente. La sola che mi conoscesse è Neva, perché le ho parlato più di una volta.»

«In quali occasioni?»

«Il vostro cosiddetto vampiro caccia alla Wilde Library di West End.» disse Ferid, e l'indicò sulla cartina dove dei puntini rossi evidenziavano gli omicidi dei bambini. «È lì che li ho visti, tutti questi bambini. È quello il collegamento che vi mancava.»

«Aspetta… vuoi dire che tutti i bambini frequentavano la biblioteca?»

«Non sono sicuro che fossero tutti abituali, ma Neva lo era, e anche la bambina rossa. Me la ricordo, era molto bella.»

«Non ce l'hanno detto. Nessuno, né genitori né parenti.»

«È proprio vicino alla fermata degli scuolabus… ci vanno tanti bambini che aspettano la corsa.»

«Non abbiamo trovato nessuna tessera, però.»

«La tessera serve soltanto se prendi qualcosa in prestito o per accedere alla sezione universitaria.» spiegò Ferid. «La zona dei bambini è accessibile a tutti senza tessera. Prendono i libri e li sfogliano, ci sono dei tavolini in un angolo… si mettono lì e leggono, disegnano, e quando è ora se ne vanno lasciando tutto. Probabilmente nessuno di loro ha mai fatto il tesseramento.»

Crowley non poteva credere che fosse così semplice. Il collegamento tra le vittime che avevano cercato come disperati era sotto il loro naso, ma senza conoscere le regole della Wilde Library non avevano minimamente considerato la sua vicinanza a una zona frequentata da bambini.

«A Neva piacevano i cavalli.»

Ferid osservava la foto di Neva con la maschera che non riusciva del tutto a coprire la sua tristezza.

«Sì… era una piccola promessa dell'equitazione, a sentire il suo istruttore.»

«Lo so, sfogliava sempre libri con foto di cavalli. Il suo si chiama Muka. Mi ha detto che in russo significa "farina".»

«Ferid… come mai hai parlato con Neva? Hai detto che gli altri non sapevi nemmeno come si chiamavano… perché di lei sai così tante cose?»

Crowley gli lanciò un'occhiata, indeciso se fosse o no il caso di mettere le carte in tavola. Alla fine decise di farlo.

«Non è che era, che so… tua figlia data in adozione?»

«Per quanto sbalorditivo sia, non ho figli.» rispose lui sorridendo, ma con la massima serietà.

«Come fai a essere così sicuro? Non lo sono io e sono praticamente cliente vip gold della Play.»

Horn gli lanciò un'occhiata così simile a quelle di sua madre che quasi si aspettava di sentirla dire con forte accento irlandese “questo potevi anche evitarlo”. Lui alzò le spalle.

«Beh? Il sesso responsabile non è mica un crimine!»

Ferid emise una breve risata, anche quella quasi del tutto spogliata del suo tono mellifluo.

«Ne sono sicuro… ho avuto una donna soltanto e se l'avessi messa incinta me ne sarei accorto. Le sono rimasto vicino per un anno intero, dopo quella volta.»

Woah, cosa? Ferid con una donna? È proprio vero, mai dire mai…

«Semplicemente, una volta Neva stava cercando di prendere un libro che stava su uno scaffale alto… ero lì vicino e gliel'ho dato, e abbiamo iniziato a parlare di cavalli e di dressage. Una volta andavo anch'io a cavallo, avevamo qualcosa di cui parlare. Per questo la conoscevo e so come si chiamava.»

«Capisco… ma questo è un aiuto prezioso. De Stasio, dobbiamo andare alla biblioteca. Chiediamo tutti i filmati, interroghiamo tutti i dipendenti, chiediamo gli alibi e mostriamo le fotografie.»

«Vedo se Lesky è libero per darci una mano.»

«Io… aggiorno il capitano.» disse Horn, e si allontanò verso l'ufficio.

Crowley mosse un passo verso la porta, ma si fermò di colpo e si voltò verso Ferid. Era ancora assorto nei suoi pensieri, guardando le tremende foto dei bambini, stringendosi le braccia come se avesse freddo. Era turbato; non c'era modo che potesse nasconderlo nonostante l'invidiabile autocontrollo.

«Ferid… non stare a guardarle più del necessario. Hai già fatto molto e non so come ringraziarti per il tuo tempo.»

«Prendi la creatura che ha fatto questo e mi riterrò ripagato, detective.»

«Te lo prometto… ma adesso vai a casa, rilassati un po'… con un libro, il tuo gatto, o quello che vuoi.»

«Sì… credo che andrò a casa, dopo che avrò finito di leggere gli altri due fascicoli.»

«Bene… hai il mio numero. Chiamami se ti viene in mente qualcos'altro, o se hai bisogno di qualcosa.»

Ancora una volta fece per allontanarsi ma si fermò dopo qualche passo. Si voltò e gli occhi blu scrutarono senza malizia i suoi pantaloni stretti e la maglia attillata. Non avevano tasche visibili. Dopo qualche istante in cui Ferid lo ricambiò con uno sguardo incuriosito si decise a fare quella domanda.

«Come sei arrivato fin qui, Ferid?»

«Mh? Con la metro.»

«Con la metro dal West End?»

«Sì, con la linea dieci… mi sposto sempre con la metro. Non ho la macchina.»

«Prendi la metro… vestito in quel modo?»

«Oh, sei preoccupato per me, detective Eusford? Non serve, come ho detto, la prendo sempre. Non mi è mai successo niente, neanche di notte.»

«Prendi la metro di notte vestito in quel modo?»

«Anche vestito in questo modo, sì.»

«E nessuno ti ha mai molestato? Sul serio?»

Ferid assunse di nuovo l'espressione che più gli riconosceva: quella che aveva sempre tenuto in negozio in sua presenza, con gli occhi che sembravano volerlo spogliare e il sorriso intriso di malizia. Gli si avvicinò con un passo lento e leggermente ondeggiante, dovuto forse ai tacchi o forse semplicemente voluto.

«Mh? Perché, vedermi vestito così ti fa venire voglia di toccarmi, per caso?»

«Non era questo che intendevo dire.»

«No? Sembravi sorpreso che a nessuno fosse venuto in mente.»

«Perché è un abbigliamento provocante… di notte in metropolitana c'è gente poco raccomandabile, gente ubriaca che aspetta solo una scusa per fare a botte o peggio…»

«Molto carino, detective… davvero, non sono in molti a preoccuparsi della mia incolumità… ma non corro alcun pericolo.»

«Senti, ti posso accompagnare io a casa, in fondo sto andando a West End…»

«Hai molto lavoro da fare adesso, no? Non te lo dirò di nuovo: non preoccuparti per me

Crowley esitò qualche secondo, ricambiandogli lo sguardo. Ferid gli diede un giocoso buffetto sotto il mento. Il detective gli afferrò il polso prima che abbassasse la mano e gli fece appoggiare il palmo sul petto, sopra la sottile maglietta bianca di cotone. Ferid non celò la sua sorpresa e non sembrò capire il senso di quel gesto.

«Il tuo amuleto mi ha regalato tutti questi battiti. Mi preoccuperò sempre per te, non c'è modo che non sia così.»

Ferid assunse un'espressione decisamente stordita e meravigliata, quasi turbata, e Crowley sorrise lasciando la presa.

«Crowley, sei pronto?» domandò la voce di Lesky alle sue spalle.

«Sì, eccomi.» gli rispose, e posò la mano sulla spalla di Ferid. «Fai attenzione fino a casa.»

Ferid non gli rispose e Crowley non attese che lo facesse; infilò la sottile giacca color denim che aveva posato sullo schienale della sedia quel mattino e seguì De Stasio, Gillespie e Lesky fuori dal dipartimento.

 

 

La biblioteca intitolata a Oscar Wilde era molto più grande di quanto Crowley pensasse: tutto l'edificio che credeva comprendesse anche qualche facoltà dell'università era in realtà interamente occupato dalla fornitura di testi su migliaia di scaffali. Attraversando la sala principale scorse con lo sguardo le scaffalature alte fino al soffitto cariche di volumi e non poté non pensare a quanto quel posto dovesse piacere a un maniaco della lettura come Ferid: persino lui ne rimase in una certa misura affascinato e si rammaricò di avere così poco tempo per leggere che per smaltire le sue letture sui vampiri aveva dovuto approfittare di un ricovero ospedaliero di un mese.

«Ecco la zona per i bambini.» disse Lesky.

Fu abbastanza inutile che gliela indicasse: i colori vivaci, le scaffalature basse e i piccoli tavolini verdi circondati da sedie e sgabellini rendevano evidente la destinazione d'uso di quello spazio. Non c'era nessun piccolo avventore in quella zona a quell'ora del mattino, ma Crowley la osservò comunque. Era proprio come aveva detto Ferid: c'erano scatole di colori su ogni tavolo, pile di fogli su un ripiano basso e diversi libri presi, sfogliati e abbandonati da qualche piccolo lettore.

«Lì c'è una telecamera.» gli fece notare Lesky, indicandola. «Chiediamo i filmati di quella.»

«Sperando che li abbiano conservati così a lungo.»

«Se non lo chiediamo non lo sapremo mai.» ribatté lui con un tono particolarmente brusco. «Vediamo se il tuo eroe è in quei video.»

«Non è il mio eroe.»

«No? Lo tratti come tale.»

«Sono riconoscente a un uomo che mi ha salvato la vita. Posso chiedere cosa ci trovi di tanto fastidioso?»

«Il modo in cui lo guardi, per esempio. Cosa c'è tra di voi?»

Crowley sentì la muscolatura della schiena irrigidirsi, come sempre quando qualcosa lo irritava sensibilmente. Sapeva che cosa era in arrivo, e non gli piaceva affatto. Era una delle cose che odiava di più in assoluto.

«Niente. Siamo amici, possiamo dire, estendendo un po' il senso della parola.»

«Lo vedono tutti come lo guardi.»

«E come lo guarderei, secondo tutti i piccoli Sean nella tua testa?»

«Beh, se quello è il genere di… uomo… che ti entusiasma capisco perché mi hai mollato.»

«Se tu ti sentissi parlare con le mie orecchie sapresti perché ti ho mollato.» ribatté Crowley. «E a proposito, grazie di ricordarmi che ho fatto una cosa saggia ogni volta che ci rivediamo!»

«Crowley, non volevo che finisse così…»

«Certo che non volevi, hai fatto di tutto per farmelo capire, compreso piantonare casa mia e minacciare la donna con cui sono uscito dopo di te. Sei fortunato che non abbia voluto denunciarti, e ti assicuro che se avevo anche solo un vago ripensamento me l'hai fatto passare.»

«L'ho fatto solo perché ero disperato, tu non…»

Crowley tirò avanti il braccio non appena sentì che gli veniva sfiorato: dai tempi in cui credeva di amarlo gli sembrava incredibile non riuscire a tollerare più nemmeno il contatto della sua mano.

«Io non sopporto che mi si tenga alla catena, te l'ho già detto! Tu non ti fidavi di me e io non tollero la mancanza di fiducia!»

«Avevamo un bel rapporto, non volevo che…»

«Un rapporto senza fiducia non è niente, Sean!»

Non voleva affrontare quella discussione per l'ennesima volta e ancora meno in un luogo pubblico: non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire diceva il detto, e Crowley non aveva mai trovato esempio più palese di Sean Lesky del significato di quel proverbio.

Non importava quante volte gli dicesse di non provare a tenerlo al guinzaglio, di controllarlo o di non piantargli scenate di gelosia. Aveva litigato con lui per decine di motivi, tutti ridicoli pretesti che alimentavano la sua morbosa sfiducia, fino a che dopo quattro mesi di agonia si era deciso a dare il colpo di grazia a quella misera parodia di relazione.

La sua gelosia non era diminuita di un'oncia neanche dopo la rottura, anzi; per mesi Sean aveva continuato a cercarlo fuori dall'ufficio, al pub e nei posti che soleva frequentare per cercare di farlo tornare sulla sua decisione, fallendo miseramente poiché tendeva a criticare i suoi nuovi partner con indomita ferocia.

Lesky lo guardò con lo stesso sguardo di allora, lo stesso delle sue tante scenate. Crowley a sua volta non era meno arrabbiato di allora.

«Non voglio litigare, Crowley…»

«Allora smetti di parlare, subito.»

«Non vorrai dirmi che ti fidi di quel tipo?»

«No, non posso dire di fidarmi. Lo conosco ancora poco.»

«Dimmi allora cos'ha quello scoppiato che lo rende meglio di me!»

«Diverse cose, Sean.»

A partire dal fatto che lui non mi fa domande da sfigato come con chi esco, perché e cos'ha più di lui.

«Dimmi cosa, Crowley!»

Crowley non era un tipo vendicativo, tendenzialmente. Non amava ricambiare le scortesie, convinto che rispondere negativamente a un torto generasse le condizioni perché altri torti ne scaturissero di rimando; pertanto era abituato a ignorare la maggior parte delle insinuazioni, delle offese e delle inciviltà che gli venivano rivolte. Tuttavia Lesky lo faceva impazzire e se solo avesse potuto gli avrebbe messo le mani al collo già da tempo.

Lo guardò con aria truce che avrebbe messo in fuga persino alcuni suoi parenti per la paura, ma Lesky restò lì: era troppo arrabbiato per accorgersi del pericolo in cui rischiava di mettersi… in cui si era già messo, facendolo irritare in quel modo.

«Beh, lui è bello, almeno.» rispose Crowley con il tono più velenoso riuscisse a produrre. «Ogni volta che ti parlo so perché ti ho mollato, ma ancora non ho capito perché ti ho voluto.»

Senza lasciargli il tempo di replicare si allontanò a grandi passi da lui. In realtà ricordava perché l'aveva voluto: quando lo aveva conosciuto sembrava un uomo brillante, affascinante e la sua passione per il teatro gli conferiva un'aura di maturità che andava oltre la sua età. Inoltre era già stato sposato e con un uomo, cosa che all'epoca aveva stuzzicato non poco la curiosità di un Crowley ancora giovane e ingenuo.

Era infastidito: infastidito dall'essere tornato ancora una volta su quella sterile discussione con lui, infastidito per la superficialità con la quale si era lasciato conquistare, infastidito per avergli concesso di fargli perdere le staffe e infastidito anche perché aveva la faccia tosta di prendersela con Ferid, che non era neanche nel novero delle sue conoscenze intime, dopo la bellezza di cinque anni dalla loro rottura.

Quando arrivò al bancone l'aria spaventata della segretaria gli suggerì che non aveva celato a sufficienza il suo malumore e si affrettò ad aggiustare il tiro, tirando un accenno di sorriso mentre esibiva il suo distintivo.

«Sono O'Brian Eusford della polizia di New Oakheart.» si presentò, e la giovane donna bionda si aggiustò gli occhiali scrutando con entusiasmo il distintivo. «Stiamo svolgendo delle indagini. Crediamo che alcune delle vittime del… Vampiro di West End siano state qui come clienti. Ne ricorda qualcuno?»

«Oh, è per questo che volevate i video di sorveglianza…»

Crowley lanciò una rapida occhiata dietro il bancone e vide De Stasio sparire dietro una porta con un'altra segretaria più anziana.

Non perdi tempo, come al solito.

«Sì, ma potremmo dover visionare un bel po' di ore. Se ricordassi qualcosa…»

Lanciò uno sguardo al cartellino, appuntato con cura sulla giacca che conteneva a stento un seno generoso.

«Justine… ci faresti davvero un grande favore. Hai notato qualcuno dei bambini o qualcuno che stona nella sezione dei bambini?»

«N-no, detective, non direi che ci fosse nessuno di sospetto, anche se non ricordo i bambini… a meno che non facciano rumore, non bado molto a loro, devo essere sincera…»

«Justine, forse dovresti dirgli di quel tipo…»

«Eh? Ma no, lui è innocuo…»

«A me sembra sospetto!»

«Di chi parla, signora…?»

«Brenda, detective, sono Brenda Ferreira. Lavoro qui da vent'anni.»

«A chi si stava riferendo riguardo a un tipo sospetto?»

«È un tizio che viene qui tutte le settimane, si aggira nel reparto dei bambini, ma non porta via niente e non accompagna nessuno. Non lo trova sospetto? Quale adulto passa un pomeriggio a gironzolare tra libri illustrati?»

«Brenda, lui non fa niente di male…!»

«Tu non vuoi vedere perché lui ti corteggia!»

Justine iniziò a balbettare arrossendo vistosamente e negò con poca convinzione, mentre Brenda tornava all'attacco come decisa a non mollare finché non avesse convinto un poliziotto della sua teoria.

«Lo tengo d'occhio quando viene, perché un uomo che gironzola intorno ai bambini è di certo un pedofilo, questo mi dicevo, ma forse è proprio il Vampiro di West End!»

«N-non è un pedofilo, è un insegnante!» protestò Justine, riprendendo un po' di coraggio. «Un giovane insegnante, per questo guarda cosa interessa ai bambini, studia nuovi modi di facilitare l'apprendimento!»

«Come sei ingenua, benedetta ragazza!»

«Okay, signore, calma.» le interruppe Crowley. «Ditemi una cosa… state forse parlando di un uomo con i capelli lunghi, con gli occhi rossi e vestito in modo bizzarro?»

Lo sguardo che si scambiarono tradiva una perplessità che gonfiò le speranze di Crowley: non parlavano di Ferid, quindi doveva esserci un altro uomo, un altro sospettato.

«Non direi che è lo stesso uomo che avete in mente, detective… lui è… un uomo molto a modo… veste in modo molto classico, come immaginereste un insegnante… la settimana scorsa per esempio indossava dei pantaloni azzurri, una maglia bianca, scarpe eleganti e una giacca leggera, blu… porta gli occhiali… in inverno mette sempre camicia e gilet… ecco, è questo tipo di uomo.»

«Però ha i capelli lunghi.» osservò Brenda, che non era disposta a cedere le sue posizioni.

«Sì, in effetti… porta una treccia di capelli lunghi…»

«Mostragli la foto!»

Crowley guardò sorpreso Brenda.

«Avete una foto di questa persona?»

«Beh, non proprio, noi…»

«Sì, lei ne ha una!» insistette Brenda, indicando la giovane collega. «Gli ha scattato una foto di nascosto mentre era seduto in quella sedia là a sfogliare un libro! Justine, avanti, è la polizia!»

«S-sì, io… i-in effetti, ho… una foto…»

«Potresti mostrarmela?»

La donna non si mise, come credeva, a cercare una fotografia nello smartphone o nel computer e si allontanò verso un reparto della biblioteca. Indeciso se seguirla o no rimase bloccato lì.

«Ha un forziere sepolto nel cortile o qualcosa del genere?»

Brenda scoppiò in una grassa risata.

«Non è che mi stupirei se avesse altre fotografie di quell'uomo, quando è qui si spenzola dal bancone come se sperasse che lui la prendesse in braccio e la portasse via! Sciocca e romantica, quella ragazza, sciocca e romantica.»

Justine fu di ritorno pochi istanti dopo con un leggero fiatone e porse a Crowley una polaroid. Davanti alla sua perplessità si affrettò a spiegarsi.

«Abbiamo tenuto un evento in primavera… abbiamo restaurato il reparto dedicato alla fotografia e abbiamo avuto Kira Richards, la fotografa paesaggista, come celebrità e…»

«Justine, taglia corto!»

«Ah, sì, insomma… in quei giorni abbiamo scattato delle foto agli avventori della libreria per farne un piccolo pannello e per far vedere ai bambini com'erano le prime polaroid… io… ho… fotografato anche lui.»

Crowley prese la polaroid e la guardò. Rimase a fissarla per un tempo incommensurabilmente lungo o così almeno gli parve, ma fu comunque abbastanza da spingere le due donne a chiedergli spiegazioni.

«È il vostro sospetto, detective?»

«Oh mio Dio, no!» gemette Justine.

Crowley si ritrovò a sorridere e poi a ridere, senza quasi accorgersene, e continuò a studiare la fotografia. Il misterioso professore che frequentava la biblioteca era senza dubbio Ferid, anche se quella sua mise distorceva del tutto l'idea che aveva di lui: indossava pantaloni neri di taglio classico, i mocassini, una camicia verde o azzurro pallido e un gilet nero forse lavorato a treccia; indossava anche gli stessi occhiali che gli aveva visto mettersi per leggere il suo foglio di appunti. Nel momento dello scatto era seduto su una sedia nella zona lettura con un libro aperto su una fotografia di cavalli, e dall'altro lato del tavolo era seduta la piccola Neva.

Niente che non ci abbia detto chiaramente: frequenta questa biblioteca nel reparto dei bambini e conosceva Neva per via dei cavalli.

La briciola di frustrazione che sentiva per aver nuovamente mancato di trovare L'Altro Vampiro, come aveva preso a definirlo nella sua testa, non intaccò il piacere della scoperta di quel lato normale di Ferid, ma nemmeno quella gioia spazzò via del tutto l'amarezza. Quella bambina sorridente non c'era più, il suo cavallo non l'avrebbe più avuta come compagna di passeggiate e Ferid non le avrebbe più parlato. I suoi genitori non avrebbero più collezionato foto della figlia mentre cresceva.

«Potete farmi una copia di questa fotografia?»

«Oh… certo, sì…»

Anche questa volta Justine lo sorprese perché non gli prese la polaroid per fotocopiarla, ma si affrettò a digitare sulla tastiera e cliccare con il mouse sul computer, e dalla stampante uscirono due copie a colori della fotografia che gli consegnò sulle spine, come una studentessa che presenta un pretenzioso progetto scolastico al suo professore.

«Uhm… ho… scannerizzato tutte le polaroid di quel giorno.»

Prima che Crowley potesse dire altro o Brenda potesse sparare la cartuccia che aveva già in canna De Stasio fu di ritorno con una scatola di nastri da visionare e la segretaria più anziana puntò dritto a lui.

«Un'altra firma per la ricevuta, per favore, vogliamo essere certi che nessuno ci accusi di aver fatto sparire qualcosa!»

Mentre Crowley firmava la ricevuta che attestava l'avvenuto sequestro dei nastri della sorveglianza Lesky si palesò, facendo qualche domanda alle segretarie riguardo l'uscita di sicurezza sul retro. I tre poliziotti esposero la possibilità di tornare per sopralluoghi qualora avessero trovato informazioni utili nei video e lasciarono la biblioteca.

Solo alcune ore più tardi, quando Crowley si tolse la giacca per accomodarsi sulla poltrona girevole per visionare filmati, si accorse che insieme alle fotocopie aveva preso anche la fotografia originale dello scatto. Con un accenno di sorriso la ripose nella tasca con cura e si versò del buon caffè preparato da De Stasio, mentre questi avviava la cassetta dei filmati.

   
 
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