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Autore: Jane P Noire    08/08/2020    1 recensioni
Rowan Monroe ha sempre fatto di tutto per passare inosservata. Non vuole fare nulla che possa attirare l'attenzione sulle persone che l'hanno cresciuta, i Vigilanti, angeli caduti dal Paradiso e costretti a restare sulla Terra per proteggere la razza umana, e soprattutto su se stessa. La sua vera identità deve restare un segreto perché il sangue che le scorre nelle vene la rende una creatura pericolosa e imprevedibile.
Liam Sterling è l'ultimo ragazzo per cui dovrebbe provare attrazione per una serie infinita di ragioni: perché è un umano, perché a scuola è popolare, perché l'ha sempre ignorata, e soprattutto perché suo fratello è appena stato ucciso in maniera misteriosa e orribile da un demone. Ma quando lui la implorare di aiutarla a scoprire la verità e dare giustizia al fratello, Rowan accetta anche se è consapevole che questa scelta potrebbe essere la fine di tutto ciò per cui ha lavorato negli ultimi diciotto anni della sua vita.
Genere: Horror, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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.4.
 
 
 
 
C’era una fantasma lungo il viale della villa.
All’inizio non ne ero sicura, perché gli spiriti non erano fatti di materia e i loro corpi si confondevano con ciò che li circondava. Poi, però, come un vecchio televisore che finalmente si sintonizza sulla giusta antenna, i lineamenti della figura che camminava avanti e indietro lungo la riva del fiume divennero sempre più chiari. Ed ebbi un tuffo al cuore quando riconobbi una zazzera di capelli castani su una testa dai lineamenti duri ma perfetti, due spalle larghe e un petto ampio, braccia e gambe dai muscoli scolpiti da ore e ore di allenamento.
«D-Daniel?» La mia voce tremava. Mi schiarii la gola e ripetei, con tono fermo e calmo: «Daniel Sterling.»
Il fantasma si volto con uno scatto.
Seth mi aveva insegnato subito che i nomi avevano un grande potere. Eppure, nonostante lo avessi fatto moltissime volte prima, non smettevo mai di stupirmi di vedere uno spirito che si faceva sempre più nitido fino a sembrare che potesse tornare ad essere fatto di carne ed ossa quando veniva chiamato con il suo nome.
Guardai Daniel e cercai di ignorare il profondo taglio sulla sua gola e quelli altrettanto profondi sui suoi polsi. Mi imposi di non distogliere lo sguardo dal suo volto, che con la morte aveva perso del tutto il sano colorito dell’abbronzatura e il rossore delle guance.
Lui mi osservò per eterni istanti. I suoi occhi castani, più scuri di quelli di suo fratello, vagarono per eterni istanti sul mio viso.
Mi tolsi il cappuccio della felpa dalla testa e ignorai la pioggerella che lasciava minuscole goccioline fra le ciocche che erano sfuggite alla mia coda di cavallo.
Gli rivolsi un sorriso. «Mi riconosci?»
Fece un cenno della testa. «Sei Rowan Monroe.»
«Sì.»
Un sorriso amaro gli piegò le labbra quando sollevò i polsi in avanti. «Sono morto, vero?»
Uno stretto nodo mi serrò la gola, impedendomi di dar voce alle mie parole. Mi morsi il labbro e annuii.
«Sono stato a casa mia. Ho provato a parlare con Liam, ma lui non mi vede e non mi sente.» Distolse lo sguardo e lo rivolse al fiume, il torrente che scorreva rapido davanti ai nostri occhi. «Tu, invece, ci riesci?»
«Io sono speciale», dissi, mentre camminavo lentamente verso di lui.
Fece un ghigno, identico a quello che faceva quando era ancora vivo. Solo che era infinitamente più triste e malinconico. «Lo dicevo che eri strana.»
Strozzai una risata e nascosi la bocca dietro una mano. Era morto, ma continuava a prendermi in giro. Nonostante tutto, ero davvero contenta che fosse rimasto così se stesso.
Tornai a guardarlo. «Daniel, sai cosa ti è successo?»
«Non ne sono sicuro.» Abbassò lo sguardo sulle sue ferite. «Stavo tornando a casa dopo una festa e c’era qualcuno che mi seguiva, ma ogni volta che mi voltavo non vedevo altro che oscurità. Poi ho sentito qualcosa che mi afferrava per le spalle e…»
«Non devi dirmelo», mi affrettai ad interromperlo, notando il panico nei suoi occhi.
Lui mi fissò per eterni istanti. «Era un uomo. Ma non era un uomo. Ha senso?»
Feci cenno di sì. «Probabilmente era un demone. Alcuni sanno assumere forma umana.»
Lui sgrano gli occhi. «Un demone
Mi limitai a sollevare le spalle.
Daniel fece una risatina rauca. «Immagino che abbia senso. Se esistono gli angeli, perché non dovrebbero esistere anche i demoni?»
«Già.»
«Ma perché un demone dovrebbe farmi una cosa del genere, Rowan?»
«Io… non lo so.» Il nodo nella mia gola si fece ancora più stretto. Le lacrime mi offuscavano la vista e il corpo di Daniel tornò ad essere trasparente. «Ma troveremo un risposta, te lo prometto.»
«Ti ringrazio.» Spostò il peso del corpo da un piede all’altro, come se stesse studiando la sua stessa condizione. Tornò a guardarmi. «Ha detto che non ero quello che cercava.»
«Cosa?»
«Il demone… La cosa che mi ha ucciso. Credo che fossi già morto, perché lo vedevo di spalle e non sopra di me. Però l’ho sentito: ha detto che non ero io quello che cercava.»
Deglutii a vuoto, mentre il panico mi serrava la gola e mi faceva rivoltare lo stomaco nella pancia. Per un istante, tutto intorno a me cominciò ad ondeggiare e le mie ginocchia persero forza.
Che cosa voleva dire?
Aprii la bocca per chiederglielo, ma Daniel aveva nascosto le mani nella giacca che indossava la notte in cui era morto e aveva ancora una volta rivolto lo sguardo sul letto del fiume. Lo fissava con intensità, come tutti gli spiriti che avevo incontrato prima di lui.
«Non so perché sono qui.»
Mi portai le mani al ventre, dove una voragine di paura aveva ingoiato tutti i miei organi interni.
Tirai su con il naso e fissai a mia volta il fiume. «È stata l’acqua ad attrarti qui.»
Lui mi rivolse un’occhiata interrogativa.
«Devi attraversare il fiume», riposi. «In questo modo, potrai oltrepassare il Velo e… andare oltre.»
Sollevò un sopracciglio e, se non fosse stato per la sua figura tremolante e incorporea, avrei facilmente potuto credere che fosse ancora vivo e in piedi al mio fianco. «E la luce? Non dovrebbe esserci una luce bianca e bellissima?»
Mi morsi un labbro per non ridere. Tutti i fantasmi che avevo incontrato da quando ero solo una bambina mi avevano rivolto quella stessa domanda e tutti erano rimasti profondamente delusi nello scoprire la verità.
«Devi solo attraversare il fiume, Sterling.» Feci un cenno del capo verso la riva e un sorriso incoraggiante. «Il fiume è il confine tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti. Solo quando lo avrai superato, potrai andare oltre.»
«Come il fiume Acheronte nella Divina Commedia
Mi strinsi nelle spalle e scossi il capo per allontanare una ciocca di capelli da davanti gli occhi. «Tutte le storie hanno un fondo di verità.»
«Che cosa c’è dall’altro lato della riva?» Sembrava spaventato e, anche se in vita era stato uno stronzo e io lo avevo odiato, in quel momento desideravo soltanto poterlo rassicurare.
Però non potevo mentire su una cosa del genere. «Non lo so.»
Stava fissando la sponda opposta del fiume, con le palpebre abbassate sugli occhi. «Credi che ci sia la luce, dall’altro lato?»
«Spero proprio di sì.»
Lui fece un passo in avanti e immerse i piedi nell’acqua verde scuro del fiume. Fece un altro passo e il torrente gli bagnò i jeans fino alle ginocchia.
Quando sarebbe arrivato al centro del letto, lui sarebbe sparito dalla mia vista. Sentii le lacrime salirmi agli occhi, come ogni volta che vedevo qualcuno che oltrepassava il Velo.
Improvvisamente, Daniel si voltò verso di me. La luce del sole che stava tramontando lo trapassava. Era sempre più trasparente, tanto che faticavo a vedere i contorni della sua figura tremolante.
«Non avere paura», lo rassicurai.
«Non ho paura per me.» Scosse la testa e distolse lo sguardo. «Liam non si darà pace, Rowan. Si caccerà nei guai per capire chi mi ha fatto questo e perché.»
Ripensai alla determinazione che aveva scorto negli occhi di Liam solo qualche ora fa, mentre parlavamo nel parcheggio della scuola. Sospirai e incurvai le spalle in avanti. «Lo so.»
«Tu non mi devi niente. Ma, ti prego, non permettere che mio fratello mi raggiunga prima del tempo solo perché vuole darmi giustizia.»

§
 
La villa in cui vivevo era una grande casa di pietra e mattoni scuri, una figura ampia e minacciosa, arroccata al di sopra di una collina i cui pendii si bagnavano direttamente in uno degli affluenti del fiume Columbia.
Sin da quando ero una bambina, mi era sempre piaciuto arrampicarmi sul tetto della casa e guardare le linee delle strade e dei palazzi della città sotto i miei occhi.
I Vigilanti, nella loro vera forma angelica, avevano delle ali capaci di sopportare pesi molto elevati e in grado di resistere in volo per ore. Io potevo saltare molto in alto e riuscivo a lasciarmi cadere da altezze spaventose senza farmi male, ma volare non mi era concesso. E non credevo che fosse del tutto giusto, ma ormai avevo capito presto che la vita era fatta da ingiustizie.
Eppure, nonostante l’invidia e il senso di rabbia che mi bruciava il sangue nelle vene, l’altezza non mi aveva mai spaventata, anzi la cercavo di continuo. Quello era l’unico posto dove riuscivo a concentrarmi e pensare.
Nella mia testa continuavo a ripercorrere la breve conversazione che avevo avuto con Daniel sulla riva del fiume.
Ha detto che non ero io quello che cercava.
Cosa poteva significare? Cosa stava cercando quel demone? Cosa poteva essere così importante da uccidere un ragazzo innocente e ignaro? E soprattutto, se non era Daniel o il suo sangue ciò che voleva, avrebbe ucciso ancora per trovare ciò di cui realmente aveva bisogno?
Più passavano i minuti, più domande si affacciavano nella mia mente.
La notte ormai era calata sulla città e la pioggia aveva smesso di scendere dal cielo. L’umidità mi aveva arricciato ancora di più i capelli, che per una volta tanto avevo deciso di lasciare liberi e indomabili lungo la schiena e sulle spalle. Il vento freddo mi graffiava la faccia e mi aveva intorpidito le dita delle mani e dei piedi.
«Sapevo che ti avrei trovato qui.»
Quando alle mie spalle avvertii il suono di passi felpati sulle tegole del tetto e il fruscio di un battito di ali, come ogni volta, le mie labbra si incurvarono in un sorriso e le mie preoccupazioni si dissiparono in un istante.
Elias, oltre ad essere il padre di Seth, era il leader della legione di Portland e l’uomo incaricato della mia custodia.
La prima volta che lo avevo visto ero rimasta assolutamente senza parole.
Lo avevo fissato a lungo, mentre posava i piedi sul pavimento di quella vecchia chiesa e camminava lentamente verso di me, con la braccia tese in avanti. Brillava di una luce bianca e calda che mi faceva pizzicare gli occhi ma che non riuscivo a smettere di fissare, le sue ali dalle piume bianche erano spiegate in tutta la loro ampiezza dietro la sua schiena e si estendevano ben oltre le sue spalle larghe. Si era inginocchiato per poter raggiungere l’altezza del mio viso e mi aveva rivolto un sorriso rassicurante. Mi aveva promesso che mi avrebbe portato in un luogo sicuro, poi mi aveva avvolto il busto con le sue braccia forti ed enormi e avevamo spiccato il volo nel cielo.
Ancora oggi, quando lo vedevo, tornavo ad essere per qualche istante quella bambina spaventata nascosta dietro l’altare di quella chiesa.
Elias richiuse sulla schiena le ali, fino a ritrarle completamente all’interno delle scapole. Si lisciò le pieghe sulla maglietta termica nera della sua tenuta da combattimento e si inginocchiò per poter prendere posto al mio fianco. «Hai saltato la cena, scricciolo.»
Non distolsi lo sguardo dallo scheletro della città di fronte ai nostri occhi. «Non mi sono accorta del passare del tempo.»
«Seth ti ha messo da parte qualche cosa, ne sono certo.»
Non risposi, ma sorrisi.
Non era la prima volta che saltavo i pasti e non era la prima volta che Seth litigava con metà legione per costringerli a lasciarmi qualche avanzo in modo che potessi mangiare quando più ne avevo voglia. E ogni volta, mi attendeva in cucina per potermi fare compagnia.
Elias mi accarezzò una guancia con il dorso della mano. «Che succede, scricciolo?»
Mi morsi il labbro inferiore, ma non dissi niente.
«Puoi parlare con me, Rowan. So che Seth ti ha detto la verità su cosa è successo a quel ragazzo.» La sua mano scivolò sulla mia spalla e la accarezzò sopra il tessuto del maglione che indossavo. «Non sono arrabbiato, né con te né con lui.»
«Ti ha anche detto che ho sognato la sua morte?» domandai in un filo di voce.
«Sì, me l’ha detto.»
Aprii la bocca, poi cambiai idea all’ultimo secondo e la richiusi. Guardai il suo profilo, con le parole che mi morivano in gola.
La sua barba bionda era spessa e folta, ma curata sulle guance magre e sulla mandibola dalla linea morbida. Il naso aveva una piccola gobba, nel punto in cui era stato rotto più volte. Gli occhi, della stessa tonalità ambrata di Seth e tutti i Vigilanti, erano fissi su un punto indefinito davanti a noi.
«Cosa credi che significhi?»
«Non lo so ancora», mi rispose. «Dovrò conferire con gli Arcangeli al più presto, per avere delle risposte più chiare.»
Gli Arcangeli erano i capi dei Vigilanti: erano loro a prendere le decisioni importanti. Tutto ciò che facevamo era osservato ed esaminato da loro, e il loro giudizio era definitivo.
Sapevo di averne visto uno quando ero una bambina, ma non ricordavo nient’altro se non l’accecante luce bianca che lo avvolgeva e l’odore del cioccolato che mi riempiva le narici.
Mi morsi il labbro e fissai lo sguardo sulla riva del fiume. Daniel era sparito da ore, ma per qualche strana ragione continuavo a guardare il punto in cui lo avevo visto per l’ultima volta. «Ho visto il suo fantasma.»
Elias si voltò verso di me. «Il fantasma del ragazzo Sterling?»
Annuii, il labbro ancora stretto nella morsa dei denti.
Elias spostò lo sguardo sul fiume, poi tornò a guardare me. «Ha oltrepassato il Velo?»
Ancora una volta, feci cenno di sì.
«Ti ha detto altro?»
«Ha detto che a ucciderlo è stato un uomo, che non era un uomo. Ho immaginato che si riferisse ad un demone di alto rango, capace di assumere sembianze umane.»
«Hai immaginato bene.» Elias fece un cenno del mento, la mascella serrata e i pugni stretti. «Grazie per averglielo chiesto. Questo ci aiuterà molto nella ricerca.»
«Ha anche detto che…» I denti tagliarono la carne del mio labbro e io succhiai via il sangue. Sentii la paura tornare a contorcermi le budella. «Ha sentito il demone che diceva qualcosa. Diceva che lui non era quello che stava cercando.»
Elias assottigliò le palpebre sugli occhi. Mi fissò in silenzio per eterni istanti. «Ha detto così?»
Feci un cenno d’assenso. «Che cosa può voler dire?»
Non mi diede alcuna risposta.
Si sforzò si mostrarsi rilassato, ma lo conoscevo da tutta la vita e riuscii comunque a notare i segni della tensione che cercava di nascondermi. Le sue labbra si incurvarono in un sorriso che però rimase teso e rigido sulla bocca. La linea della sua mascella restò immobile e dura, le sue spalle rigide come se fossero fatte di pietra.
Mi accarezzò la testa. «Non ti devi preoccupare di queste cose, Rowan. Ci pensiamo noi.»
La rabbia mi incendiò i sensi, ma tentai di scacciarla. L’orgoglio mi ruggiva come un leone nel petto, ma lo ignorai. Serrai i pugni sulle ginocchia e drizzai la schiena. «Elias, ad un certo punto io dovrò fare qualcosa.»
«No, tu devi restare al sicuro.»
Mi alzai in piedi con uno scatto e lo fulminai con lo sguardo. Le mani mi tremavano lungo i fianchi e avevo il respiro affannato. «Il mio diciottesimo compleanno è fra qualche mese. Ho tempo fino a quel giorno per essere degna della grazia, poi sarà game over.»
I muscoli del suo viso si fecero ancora più tesi. «Non ho dimenticato.»
Le lacrime mi salirono dalla gola agli occhi, mentre dall’esasperazione mi stringevo delle ciocche di capelli fra i pugni. «Come posso dimostrarmi degna, se non faccio mai niente?»
Anche Elias si sollevò in piedi. Le sue ali spuntarono dalla schiena e si spiegarono in tutta la loro ampiezza. Anche nel buio della notte, erano bianche e splendenti. I suoi occhi erano fissi nei miei, e bruciavano come fiamme. «Non puoi uscire per affrontare i demoni, Rowan. Non posso permettere che tu ti esponga a questo pericolo, a questa…»
«A questa tentazione?» lo sfidai, facendo un passo in avanti. Ma quando lui non replicò e, abbassando lo sguardo, richiuse le ali sulla schiena, io barcollai all’indietro come se mi avessero colpita in pieno petto. «Oh, Dio.» Lo guardai, con le lacrime che mi pizzicavano gli occhi e la gola che mi bruciava ad ogni respiro. Mi portai le mani alla bocca, per soffocare il singhiozzo che mi aveva squarciato il petto. «Tu hai paura che io mi dimostri essere tutto ciò che gli Arcangeli temono. Tu non credi che io possa essere degna della grazia
Elias allungò un braccio in avanti, mentre il fuoco nei suoi occhi si trasformava in dolore. «Rowan…»
«Tu credi che non abbia una possibilità, per questo mi hai sempre tenuta nascosta.» Arretrai fino a raggiungere il bordo del cornicione. «Tu pensi che io sia come gli altri della mia razza. Io sono un’arma pericolosa.»
«Rowan…» ripeté, la voce roca e gli occhi sofferenti. Fece un passo in avanti.
Ma io avevo smesso di ascoltarlo.
Gli voltai le spalle e, senza esitazioni, saltai giù dal tetto.
   
 
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