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Autore: Emmastory    10/08/2020    4 recensioni
Muovendosi lentamente, anche ad Eltaria il tempo ha continuato a scorrere, dettando legge nella selva, al villaggio e nelle vite dei suoi abitanti. Il freddo inverno ha fatto visita a sua volta, e solo pochi giorni dopo un lieto evento che cambierà le loro vite per sempre, in modi che solo il futuro potrà rivelare, la giovane fata Kaleia e Christopher, suo amato protettore, si preparano ad affrontare mano nella mano il resto della loro esistenza insieme, costellata per loro fortuna di visi amici in una comunità fiorente. Ad ogni modo, luci e ombre si impegnano in una lotta costante, mentre eventi inaspettati attendono un'occasione, sperando di poter dar vita, voce e volto al vero e proprio rovescio di una sempre aurea medaglia. Si può riscrivere il proprio destino? Cosa accadrà? Addentratevi di nuovo nella foresta, camminate assieme ai protagonisti e seguiteli in un nuovo viaggio fatto di novità, cambiamenti, e coraggiose scelte.
(Seguito di: Luce e ombra: Il Giardino segreto di Eltaria
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
 
Capitolo XI 
 
Amore in bilico 
 
Il freddo febbraio aveva da poco iniziato a farci visita, e non avevo ancora ringraziato Sky per aver fatto da babysitter ai piccoli mentre Chris ed io non eravamo in casa. Certo, doveva ancora abituarsi alla loro presenza e al solo fatto di essere diventata zia, e a riprova di ciò li chiamava mostriciattoli, ma la conoscevo, sapevo che scherzava, e che quel suo essere tanto dura era un comportamento appreso nel tempo, una sorta di meccanismo di difesa da tutto il dolore che il mondo sembrava averle inflitto. Pensierosa, mi abbandonai a un lieve sospiro, e alzandomi dalla sedia in cucina, mi avvicinai al piano cottura, già pronta a mettere sul fuoco la caffettiera ancora fredda. Lenta e metodica, mi assicurai di non fare troppa confusione così presto al mattino, e proprio quando afferrai la caffettiera, metallica e gelida come al solito, notai qualcosa. Piccolo e probabilmente scritto in fretta, un biglietto con un messaggio. “Sono stati veri angeli, e in cambio non mi devi nulla... stavolta.” Come al solito, semplice e di poche parole, ma senza firma. Divertita, lo rilessi una seconda volta, e fu allora che capii. “Sky.” Pensai, ridacchiando fra me e me. “Che ti succede?” chiese all’improvviso una voce alle mie spalle, divertita quanto e forse più della mia. “Niente, niente, scusa, leggevo.” Risposi appena, la voce bassa a causa di un’abitudine che l’essere madre doveva avermi portato a imparare. Voltandomi, mi scambiai una veloce occhiata con Christopher, arrivato come me in cucina per la colazione, poi gli passai il biglietto. “Tieni, guarda tu stesso.” Gli dissi, trattenendo a stento una seconda risata. Annuendo, lui non se lo fece ripetere due volte, e silenzioso, lesse quelle poche righe senza scomporsi. “Sempre la solita, vero?” commentò a lavoro finito, sul volto la chiara espressione di chi la sapeva lunga. “O non sarebbe lei, non credi?” replicai, sicura di conoscere mia sorella come il palmo delle mie stesse mani. “Hai ragione.” Non tardò a rispondermi, metaforicamente sconfitto a parole. “Ma ora... dov’eravamo?” disse poi, regalandomi una carezza sulla guancia e un lieve sorriso. “Stavamo per far colazione. Sicuro di non volere un po' di caffe?” mi limitai a dirgli, tentando quell’offerta per l’ennesima volta in chissà quanto tempo. “No, tesoro, non oggi, grazie.” Rispose come ogni volta, non sorprendendomi affatto. “Sei proprio sicuro?” continuai, ronzandogli intorno come una mosca. “Sì, ma forse un giorno potrei provare, chi lo sa?” replicò a quel punto, per poi ridursi ancora al silenzio e aprire il frigo per estrarne un cartone di succo di frutta. Non era caffè, ovvio, ma era buono lo stesso, e se gli piaceva, non ero nessuno per impedirgli di berne qualche sorso. “Per ora non sai cosa ti perdi.” Non mancai di dirgli, mentre sollevavo la caffettiera ora calda per versarmi la prima tazza di quella scura bevanda, sempre deliziosa. “E per ora non voglio saperlo.” Fu svelto a rispondermi, sempre deciso ad avere l’ultima parola. Da parte di entrambi un’abitudine infantile, dovevamo ammetterlo, ma comunque tutta nostra, che a nostro dire dava carattere alla coppia che formavamo. A detta di alcuni sicuramente quello sbagliato, ovvio, ma non ci importava. Guardandoci metaforicamente indietro, ricordavamo spesso tutto quello che avevamo passato, quanto avessimo sofferto e quanta fatica avessimo fatto prima di riuscire ad amarci l’un l’altra senza alcun remore, e decisi, entrambi, ma io per prima, eravamo pronti a vivere il nostro amore per ciò che era, sincero, profondo e a volte anche goliardico, sicuri di non dover certo dar troppe spiegazioni a nessuno. Erano questi i pensieri che mi calmavano quando a volte non dormivo, o quando le voci di quei dannati spiriti tornavano a farsi sentire. Grazie al cielo, ora non accadeva più così spesso, anzi di rado, ma solo perché avevo seguito il consiglio di un’amica e tenuto vicino un cristallo bianco anche dopo la nascita dei miei bambini. Inizialmente, avevo stentato a crederci, ma a quanto sembrava, quel gioiello era in realtà un potente oggetto magico, forse l’unico, ma non ne ero sicura, in grado di proteggermi dal loro tetro apparire e da tutte le loro menzogne. Una vera reliquia secondo mia madre, della quale speravo di ottenere notizie al più presto. Impegnata com’ero con i piccoli e con il mistero di Sky, ero stata così distratta da non riuscire neanche a scriverle una lettera, e intendevo rimediare, ma non oggi. Era strano, forse stupido, lo sapevo, ma nonostante lei fosse stata l’unica persona oltre a Sky a prendersi cura di me e credere in me quando nessuno mi voleva né sembrava volermi bene, prima volevo far luce sugli strani comportamenti di mia sorella. Per fortuna ora usciva dalla camera degli ospiti, ci parlava anche se con il suo solito sarcasmo pungente e privo di modi, e mangiava, anche se, c’era da ammetterlo a giudicare dalle briciole che lasciava e non ripuliva, lo stretto necessario. Preoccupata, finii il mio caffè e gustai appena mezzo biscotto, poi, con una sorta di nodo alla gola e allo stomaco, guardai Chris. “Credi che stia bene?” azzardai, tornando senza volere a mordermi un labbro. “Come? Sì, tranquilla. L’hai vista ieri, era sempre sé stessa, o sbaglio?” mi rispose, calmo e tranquillo come al solito. “Christopher, lo so, e voglio crederci, ma sono preoccupata.” Confessai, seriamente in pena per lei. “Kaleia, amore...” mi chiamò, tristissimo. Nel farlo, si avvicinò di qualche passo, e non appena lo fu abbastanza da toccarmi, cercò la mia mano, poi me la strinse. Non contenta, mi voltai e allargai le braccia, e annuendo, mi strinse a sé. “Kia, è tua sorella. È normale preoccuparsi. Sarebbe strano il contrario, non credi?” continuò poco dopo, la voce a metà fra un sussurro e un incoraggiamento. Chiusa nel mio silenzio, mi limitai ad annuire, e con una debole luce azzurra a circondarmi il corpo come un’aura, sentii gli occhi ardere di dolore. Succedeva sempre quando ero sul punto di piangere, e non riuscivo mai a farci nulla, e aiutata da Christopher, non mi trattenni. Di lì a poco, calde lacrime bagnarono il mio viso e la maglietta del suo pigiama, ma lasciando che mi sfogassi, lui non ci badò. “Ecco, così. Va meglio, ora?” chiese, quando finalmente riuscii a calmarmi. Con gli occhi ancora velati dalle lacrime, annuii ancora, e tirando su col naso, cercai un fazzoletto. “Tieni.” Lasciò intendere, porgendomene uno. Grata, gli sorrisi appena, poi mi asciugai le lacrime e soffiai il naso. A lavoro finito, respirai a fondo, e colpita da uno strano mal di testa, attesi solo che passasse. Per fortuna non ci volle molto, per quanto ne sapevo non era un malanno magico, e dopo altri attimi di silenzio, la voce del mio amato mi distrasse di nuovo dai miei pensieri. “Che intendeva Sky con stavolta?” indagò, sinceramente curioso e con un mezzo sorriso a increspargli le labbra. “Niente di che, soltanto una sciocchezza di quando eravamo bambine, ma come mai?” risposi semplicemente per poi azzardare quella domanda, confusa. Per tutta risposta, Christopher alzò le spalle, poi sorrise ancora. “Così, per sapere. Mi è parso strano nient’altro.” Spiegò, senza più aggiungere altro e ridursi al silenzio. “Strano? Se vuoi sapere qualcosa di strano, lei non ha mai aperto un libro di narrativa in vita sua.” Scherzai, sforzandomi di sorridere nonostante le lacrime, la voce e la lingua impastata. “Cosa? Ma davvero? Mai una storia, o un romanzo?” non potè evitare di chiedermi lui, meravigliato. “Esatto! È così da quando eravamo piccole. Sempre e solo libri di magia.” Spiegai tranquillamente, ridacchiando tanto per quella strana abitudine quanto per il suo sconcerto a riguardo. “Cielo, siete così diverse...” commentò, sconvolto. “Sorelle, non gemelle, ricordi?” ci tenni a puntualizzare, sempre scherzando e con il respiro ora più regolare. “Vero.” Disse appena in risposta, per poi stringermi ancora e godere di quel contatto, caldo nonostante il freddo di questo periodo dell’anno unito a quello della mia tristezza. Sorridendo, lo lasciai fare e scostandomi quanto bastava mi accoccolai a lui su quella sedia, finchè ad occhi chiusi non lasciai che il buio mi avvolgesse e che il resto del mondo svanisse. In breve, al mattino seguì il pomeriggio, e nuovamente più calma e con indosso una veste più pesante, ma non per questo meno comoda, mi sedetti tranquillamente sul divano. A Darius e Delia avevo già badato poco prima di vestirmi, avevano mangiato e ora dormivano profondamente, mentre io e Chris avevamo finalmente modo di rilassarci. Distratta dal tomo di magia bianca della sua famiglia, ne rileggevo in silenzio le parti più importanti mentre lui mi stringeva la mano, e senza accorgermene andai avanti fino a sera, o per meglio dire fino al momento in cui un suono non ci distrasse. Almeno stavolta non si trattava di Cosmo, e stranita e allarmata, mi precipitai alla porta. Confusa, non vidi nulla di strano, e fu solo aguzzando la vista che riuscii a notarli. Poco più grandi del biglietto che avevo ricevuto, fogli di carta appallottolati che si muovevano brevemente nel vento che da poco aveva ripreso a spirare e che non reputavo certo naturale, salvo poi arrendersi e finire per terra, fra l’erba e il gelo senza alcun rumore. Decisa, afferrai la giacca, e anche senza Christopher al seguito, uscii di casa. Il sole era ormai sceso, e probabilmente avrei visto ben poco, ma ero certa che fosse opera di Sky, e malgrado parte di me non volesse, un’altra, governata dalla preoccupazione, mi spinse ad andare subito a controllare. Camminando lentamente, raggiunsi a piedi la finestra della camera degli ospiti, e solo allora, ecco la verità. Frustrata come e più delle altre volte, mia sorella aveva ricominciato a scrivere messaggi a Noah, così da guarire dal malumore o almeno provarci, e alla mia vista, arrabbiata, richiuse la finestra con uno scatto rabbioso, per poi tirare con malagrazia anche le tende, tutto al solo scopo di nascondersi così che non potessi vederla né chiederle nulla. Non la giudicavo, se indagavo era per aiutare, ma in quei momenti, lei mi ricordava Anya. Sola, ferita e spaventata, un animale selvatico e in gabbia, che colto dalla paura, non riconosce alcun soccorritore. Abbassando lo sguardo, raccolsi uno di quei fogli accartocciati, e dispiegandolo, lessi le stesse parole che avevo visto davanti alla porta di quella stanza. “Sono pr​onta a riprovare.” Proprio come prima, anche quella volta, solo quattro parole, e assieme ad esse, la volontà di salvare quello che lei considerava un amore ancora vivo ma finito troppo presto, e ora come ora, sospeso fra il vero e il falso, il tanto e il niente, ovvero, come anche gli umani avrebbero detto, rimasto in bilico.   
   
 
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